8

Leggermente a corto di fiato, Andie sedette al lungo tavolo da conferenze in tek. Il robocameriere aveva già servito il primo giro di caffè nelle bianche tazzine d’ordinanza. L’intera città sembrava alimentata dalla caffeina brasiliana. Un vassoio d’argento, in bella mostra sopra un tavolino di servizio accanto alla porta, offriva confezioni sigillate di siringhe a chi desiderasse dosaggi più massicci. Andie non fu sorpresa di scorgere accanto a Craddick due ipodermiche vuote. Dall’inizio della missione aveva già veduto la sua testa ciondolare sonnacchiosa durante più d’una riunione.

A metà della tavola sedeva Eleanor Jacobsen, con un videotaccuino aperto davanti e, accanto ad esso, una tazza fumante di quello che pareva tè. Senza interrompersi, salutò con un cenno del capo l’ingresso della sua assistente.

Come Andie aveva sospettato, c’era ben poco da riferire. Horner e il suo secondo osservavano un silenzio contegnoso. Craddick si limitava a qualche sporadica osservazione. A condurre il gioco era essenzialmente la Jacobsen. E la senatrice mutante aveva un’aria piuttosto stanca.

«A quanto pare, il dottor Ribeiros continua a offrirci una piena collaborazione», dichiarò la Jacobsen. Si coglieva forse una nota ironica, nella sua voce? «Comunque, per impiegare al meglio la settimana che ci resta, suggerisco di diversificare al massimo i nostri sforzi. Propongo che il senatore Horner, tramite i propri agganci in campo religioso, entri in contatto con l’arcivescovo locale. Il senatore Craddick, d’altro canto, potrebbe forse visitare le cliniche del Jacarepaguá. Quanto a me, continuerò le mie chiacchierate col dottor Ribeiros.»

Jacarepaguá? Ma non era proprio in quella zona la clinica dove Skerry aveva reperito la documentazione sugli esperimenti genetici? Spie o non spie, pensò Andie, bisognava che ne parlasse in segreto alla Jacobsen. Aspettò con impazienza che la riunione avesse termine e la stanza si vuotasse. Karim la salutò con un cenno della mano. L’avrebbe visto dopo, alla clinica di Ribeiros. Ma proprio nel momento in cui si volgeva verso la Jacobsen, qualcuno in un baleno le fu accanto.

«Mi scusi, gentile signorina, potrei scambiare due parole con lei e con la nostra incantevole senatrice?» Il reverendo Horner prese posto nella sedia piazzata fra Andie ed Eleanor, che lo accolse sorridendo freddamente.

Andie trasse un respiro profondo e lottò contro l’impulso di afferrare i braccioli della sedia di Horner. Bastava una bella spinta, e il reverendo, la boccaccia spalancata dalla sorpresa, si sarebbe rovesciato all’indietro andando a fracassare la grande lastra di cristallo della finestra. Poi, lentamente, l’avrebbero visto andar giù, venti piani buoni, verso la strada pulsante di traffico. Immaginò persino l’urlo affievolirsi nell’aria umida. Chiudendo di scatto il suo videotaccuino, rivolse al senatore un gran sorriso.

«Cosa possiamo fare per lei, signor Horner?» si informò la Jacobsen. Con quel tono di voce avrebbe congelato un pinguino, pensò Andie.

«Ordunque, mia cara signora, m’è avvenuto di riflettere che, lungi dal dividere i nostri sforzi, è al contrario tassativo che noi li si unisca. Dobbiamo necessariamente operare di concerto, se intendiamo massimizzare gli esiti di questa missione.» Stava utilizzando la medesima intonazione cui era solito ricorrere per i suoi sermoni televisivi. Le sue parole ristagnavano in aria come chiazze d’olio. Infido ipocrita. Chissà, si chiese Andie, se al tatto sarebbe risultato untuoso come all’udito?

La Jacobsen incrociò le braccia e si appoggiò allo schienale.

«In pratica?»

«Riconoscendo che gli interessi dei suoi e dei miei elettori sono coincidenti. Presentando un fronte unito, per così dire.»

«Come il Fronte Unito Musulmano?»

Inequivocabile, il sarcasmo della senatrice. Andie si sforzò di non mettersi a ridere.

«Be’, sì… cioè, no.» Horner parve innervosirsi. «Quel che sto cercando di farle comprendere è… non vorrebbe riesaminare le mie proposte? Ciò mi renderebbe senza dubbio assai propenso a comunicarle qualsivoglia informazione nella quale mi capitasse di imbattermi…»

«Senatore Horner, come ben sa, lei è tenuto in forza di legge a condividere con l’intera commissione le informazioni di cui venisse eventualmente in possesso nel corso di questa indagine. Altrimenti la sua presenza qui non avrebbe senso. E se mai dovessi sospettare che lei nasconde qualcosa allo scopo di procacciarsi favori o estorcere collaborazione, sarà mia cura cavarglielo personalmente fuori dalla testa, quel qualcosa!» La voce di Eleanor Jacobsen s’era ridotta quasi a un sussurro. «Gliel’ho già spiegato che non m’interessa affatto schierarmi con alcuno specifico gruppo di potere.»

«A parte quello che lei già rappresenta.» La voce di Horner non suonava più untuosa. Adesso il senatore ragliava come un asino.

«Io rappresento lo stato dell’Oregon», ribatté calma la Jacobsen.

«Lei rappresenta i mutanti! E la violenza mentale è contro la legge!»

Andie trattenne il respiro, aspettando di vedere come avrebbe reagito la Jacobsen. Con suo grande stupore, la senatrice scoppiò a ridere.

«Oh, andiamo, Joseph. Non è da lei. Violenza mentale?»

La faccia di Horner era paonazza di rabbia. «Al suo posto non riderei così di gusto, senatrice. Lei reca un pessimo servizio al suo elettorato, negandogli l’ausilio e il conforto del Gregge.»

La Jacobsen sorrise ironica, ma i suoi occhi non ridevano più. «Joseph, non c’è bisogno di un telepate per capire che cosa le interessa. Sono convinta che il suo Gregge gradirebbe immensamente aggregarsi una bella schiera di mutanti attivi. Diciamo pure che li accoglierebbe a braccia aperte. E senza badare a spese. Assoluta libertà di adesione al Gregge, per i mutanti…» Il suo tono si fece duro. «E invece stia pur certo che mi guarderò bene dal favorire le manovre di qualunque gruppo, suo o altrui che sia. Non ne ho né l’autorità né l’interesse.»

«Potrebbe pentirsene.»

«È una minaccia?»

«Diciamo un’osservazione.»

Eleanor Jacobsen puntò le mani sul tavolo e si levò in piedi. «Riservi le sue osservazioni all’indagine, senatore. E adesso, se vuole scusarci…»

Si avviò per uscire dalla stanza, e Andie le tenne dietro ben volentieri.

Una volta nel corridoio, Andie trasse un sospirone. «Dio ci scampi, che individuo malefico!»

La senatrice annuì. «Ho cercato di escluderlo dalla missione, ma è riuscito lo stesso a intrufolarsi. Il fatto è che più di tanto non potevo insistere, pena il rischio che trapelasse qualche indiscrezione. Quei vampiri dei media farebbero qualunque cosa, pur di mettere le mani su una notizia di questo genere.»

«Pensa che creerà altri fastidi?»

«No. Comunque sarà un gran sollievo rientrare a Washington. Trovato niente, in biblioteca?»

«Nada. Il motto ufficiale è: Quali occhi dorati? Ah, quelli? Semplici lenti a contatto.»

La Jacobsen sorrise debolmente. «Be’, continua a provare.»

«Ci torno oggi pomeriggio.»

«Può anche darsi che le cliniche del Jacarepaguá ci forniscano qualche indizio più sostanzioso di quelli reperiti sinora.»

Andie ponderò se non fosse il caso di riferire alla senatrice del suo incontro con Skerry. E se la Jacobsen non le avesse creduto, neppure con l’aiuto della memocassetta? Skerry l’aveva pure avvertita di tenere la cosa per sé fin quando non fossero tornate a Washington. Passò loro accanto, lungo il corridoio, una robocameriera, gran balenio di lucette azzurre e cinguettio di sensori. Andie rabbrividì. A detta di Skerry la Jacobsen veniva sorvegliata di continuo, e forse a spiarla erano le macchine, oltreché le persone. Per rivelarle quanto aveva saputo, avrebbe dovuto attendere davvero che fossero tornate alla base. Al sicuro.

«Di che cosa volevi parlarmi, Andie?»

«Oh, io… ecco, volevo chiederle soltanto che ne pensa di Ribeiros.»

Le sopracciglia della Jacobsen s’inarcarono in un moto di perplessità. «Mi pareva di avervi già accennato, a dire il vero. Comunque… Freddo, imperturbabile. Sembrerebbe collaborare, ma l’apparenza inganna.»

«Quindi nutre qualche sospetto?»

«Sì. Ma neanche uno straccio di prova.»

«Be’, ad ogni modo sono sicura che presto scopriremo qualcosa.» Andie si augurò di apparire più fiduciosa di quanto in realtà non fosse.

«Ammesso che vi sia qualcosa da scoprire.» Eleanor le regalò una breve stretta sulla spalla. «Andiamo, ti do un passaggio fino in clinica.»

Dure ore dopo, mentre le colonne alfanumeriche delle variazioni demografiche ondeggiavano attraverso lo schermo in quelle che ai suoi occhi affaticati apparivano ormai solo macchie indistinte, Andie decise di andare a vedere se Karim avesse fatto qualche progresso. Magari aveva scoperto un branco di supermutanti appollaiati sopra una jacaranda. O alla guida di tutti i taxi di Rio. Insomma, una cosa qualunque.

Lo trovò in giardino che parlava a certi ricoverati provvisti di vistose fasciature al cranio. Alcuni di loro, avendo gli occhi bendati a protezione della luce, indossavano cuffie radar. All’avvicinarsi di Andie, la porta si aprì ruotando con un gemito meccanico. Karim levò lo sguardo e sorrise. Poi, congedatosi, le si fece incontro.

«Non sapevo che qua dentro si potesse ottenere accesso ai pazienti.» Andie diede un’occhiata per la stanza, ammirando il rigoglio di bromeliacee in fiore, la lussureggiante varietà di piante in vaso, il ruscello artificiale.

«Be’, a dire il vero non è che abbia proprio chiesto il permesso», ammise Karim sorridendo. «Sono solo andato un po’ in giro per vedere cosa mi riusciva di trovare.»

Andie rise. «Così hai curiosato senza dar troppo nell’occhio, hai aspettato di avere via libera, e ti sei intrufolato qui.»

«Confesso ogni addebito, vostro onore. Allora, come va? Scoperto qualcosa?»

Andie avvertì un curioso formicolio nel bel mezzo della schiena, come se qualcuno la stesse fissando. Nell’afferrare Karim per un braccio si gettò una fugace occhiata alle spalle, ma il corridoio appariva deserto.

«Dai, usciamo un attimo», gli rispose. «Ti va di fare una passeggiata sulla spiaggia?»

«Ottima idea. Possiamo prenderci il libratore di Craddick completo di conducente. Tanto i signori senatori sono tutti impegnati in un altro dei loro interminabili abboccamenti con Ribeiros. Andranno avanti a chiacchierare per ore e ore. Viva la libertà!» E si mosse verso l’uscita.

«Vai a capire di che staranno discutendo», disse Andie mentre attraversavano di buona lena il parcheggio asfaltato. Nella vampa implacabile del pieno sole pomeridiano poteva quasi vedere le ondate di calore levarsi dal suolo bollente. Chissà che a socchiudere gli occhi non le riuscisse di scorgere l’incerta sagoma di Skerry baluginare in mezzo a quel torrido rimescolio…

«Qualunque sia l’argomento, non credo proprio che caveranno un bel nulla, da Ribeiros. Quel tizio è più sfuggente di un’anguilla.» Karim aspettò che Andie prendesse posto sul sedile posteriore dell’affusolato libratore scarlatto, poi salì a sua volta.

«All’albergo», ordinò al guidatore. Sfrecciarono via, agilmente schivando altri libratori, zigzagando in mezzo al traffico a tutta velocità. Andie resistette all’impulso di stringere le palpebre. Si accorse che il conducente li sbirciava dal retrovisore. Inforcava un paio di impenetrabili lenti a specchio. Chissà di che colore aveva gli occhi.

In capo a un quarto d’ora stavano camminando lungo il litorale di Copacabana, pienamente a loro agio nei minuscoli costumi da bagno di moda fra i carioca. Attorno a loro i bagnanti se la spassavano nell’acqua, tra scrosci, risa e gridolini deliziati ogni qual volta un’onda si frangeva su di loro.

«E tu che cosa hai scoperto?» gli chiese Andie.

Karim si strinse nelle spalle. «Non molto. Di certo non è un laboratorio genetico. Piuttosto una clinica specializzata in chirurgia plastica. Che ha fatto la fortuna di Ribeiros. Una ritoccatina qua, una riaggiustatina là, e adesso non c’è facoltosa femmina di Rio che non ricorra a lui per farsi rimodellare il naso, il petto o il fondoschiena.»

«E gli occhi?»

«Già, gli occhi. A quanto pare il buon Ribeiros fa un sacco di chirurgia oculare, vero? E ora che mi ci fai pensare, direi proprio che è un ramo piuttosto inconsueto per un esperto di chirurgia plastica.»

«Naturalmente può sempre servirsi di uno specialista. I pazienti che abbiamo visto noi magari si son fatti semplicemente togliere le zampe di gallina. A quel che ho sentito dire la pelle nuova è tremendamente sensibile alla luce, e ad aggravare l’inconveniente ci si mettono anche i farmaci rigeneranti.»

«Da cui, probabilmente, la ragione di tutte quelle fasciature.»

«A meno che invece quella gente non sia entrata in clinica per farsi cambiare il colore degli occhi.» Ecco, ce l’aveva fatta a sputare il rospo.

«Come?»

«Voglio dire», continuò Andie in tono deciso, «che se qualcuno volesse cambiarsi colore agli occhi e farli diventare… supponiamo dorati, potrebbe forse rivolgersi a Ribeiros o a uno dei suoi assistenti.»

«Dorati alla maniera dei mutanti?»

«Proprio così.» Karim scosse il capo. «Ma anche supponendo che sia possibile, per quale motivo dovrebbero sottoporsi a un intervento del genere?»

«In modo da passare per mutanti. Per integrarsi nella futura razza dominante.»

«Razza dominante? I mutanti?» Rimase lì a fissarla per un lungo istante. «Andie, mi sa proprio che devi aver passato troppo tempo sotto il cocente sole brasileiro. Ti è bastato credere di aver visto un venditore di gelati con gli occhi d’oro per riempirti il capo con ipotetiche legioni di supermutanti.»

«Ridi, ridi pure, ma io sono certa sia di quel che ho veduto sia delle sensazioni che ho provato. È da quando siamo qui che continuo a notare dappertutto gente i cui occhi sembrano reagire alla luce in modo strano.»

«Lo so. Praticamente non hai quasi parlato d’altro.»

«Per forza. Tutta la situazione mi appare molto sospetta. Questa città mi fa accapponare la pelle. Non è certo come l’immaginavo. Ma non ti sembra strano che Rio sia così tranquilla? Non ti aspettavi di trovarla giorno e notte in festa?»

«Ora che me lo dici, ti confesserò che a parte il traffico pare anche a me molto più inerte di quanto credevo. Ci sono un paio di discoteche aperte, ma sostanzialmente non è che sia un posto più animato di Georgetown il sabato sera.»

«Quasi come se qualcuno tenesse la situazione sotto controllo.»

«Può darsi.» Karim allungò un calcio a un pezzo di alga rossoscuro. «Comunque, il semplice fatto che la vita notturna sia inconsistente, e che tu creda di aver visto in giro degli occhi dai colori strani, non basta certo a convincermi che un invisibile squadrone di cosiddetti supermutanti abbia organizzato un colpo di stato. A parte il fatto che non sono nemmeno convinto che esistano davvero. Spesso mi risulta difficile persino credere nei normali mutanti domestici. Come il tuo capo.»

Andie scosse la testa. «Non ti sei mai chiesto per quale motivo il dottor Ribeiros non si toglie mai quegli occhiali scuri? Nemmeno al chiuso? Chi ha mai visto il colore dei suoi occhi?»

«Quindi secondo te Ribeiros sarebbe un mutante?» Traspariva, dalla voce di Karim, una risata a stento trattenuta. «Ma allora non bisognerebbe informarne la Jacobsen?»

«Non lo so.» Si sentì attanagliare da una fitta d’incertezza. Forse stava solo perdendo il suo tempo, ad andare in cerca di trame e complotti. Non le aveva forse confessato, la senatrice, di dubitare dell’esistenza stessa di questo supermutante? E chi, meglio di lei, avrebbe potuto saperlo? Non poteva darsi che Skerry si sbagliasse, o che fosse solo un mutante rinnegato, in giro a seminare zizzania? Ma se invece avesse avuto ragione lui?

«Va bene, Karim, non dico che tu abbia necessariamente torto. Ad ogni modo mi piacerebbe sul serio stabilire, una volta per tutte, se il supermutante esiste oppure no.»

«Piacerebbe anche al Congresso degli Stati Uniti.» Karim si fermò, le mise la mano su una spalla e la trasse a sé. «Quel che ti serve è svagarti un po’.»

«Tu cosa proponi?»

«Prendiamoci un paio di giorni a Teresópolis. Andiamo a visitare il Palazzo d’Estate. Fa più fresco, lassù. Dimentichiamoci di mutanti e senatori. Giovedì saremo di ritorno a Washington.» Nello sguardo di lui, schietto, intenso, si leggeva un aperto invito. Andie ammirò il suo corpo snello e abbronzato. I suoi slippini rossi. Sentì che il cuore le si metteva a battere più in fretta.

«Ti dirò, l’idea mi tenta. Ma sei sicuro che possiamo filarcela?»

«Perché no? Il tuo capo non è un cerbero, e quanto al mio, è tutt’altro che prevenuto nei confronti delle vacanze.»

«Delle sue non stento a crederlo. Ma come la mettiamo con quelle dei fedeli assistenti?…» Sottrasse la mano alla stretta di Karim.

«Da quando siamo qui si è mostrato sempre ben disposto. In effetti, dopo un’ora o due con Ribeiros hanno tutti quanti l’aria di aver passato il pomeriggio a un ricevimento.»

«Fatta eccezione per il mio capo.» Le balenò in mente l’immagine della Jacobsen, pallida e stanca. Come fosse sottoposta a chissà quale sforzo senza nemmeno rendersene conto. Andie considerò quell’immagine. C’era qualcosa che non andava. Se solo le fosse riuscito di capire cosa. Supermutanti? Paranoia? Più soggiornava a Rio, più si sentiva confusa. Un fine settimana sulle colline l’avrebbe aiutata a schiarirsi le idee.

«Posso esser pronta per le sei. Lascerò un messaggio sul monitor della Jacobsen. Impegnata com’è, neppure se ne accorgerà che me ne sono andata.»


Michael guardò Kelly salire sul libratore. La ragazza indossava una tunica scarlatta senza maniche, abbondantemente scollata sia davanti sia dietro. I capelli neri le scendevano sulle spalle in morbide onde. Cristalli color lavanda le scintillavano ai lobi delle orecchie. Prima di prender posto si sporse in avanti e lo baciò teneramente. Mentre poi si ritraeva per sedersi, Michael notò che sotto la tunica non indossava quasi nulla.

«Favolosa», le disse sorridendo.

Lei gli lanciò un’occhiata maliziosa. «Be’, dopotutto è la settimana del diploma.»

«Già, anche se non dovresti farci gran caso, visto che è dal 1998 che hanno abolito i festeggiamenti per il diploma.»

«Perché a quei tempi c’era la minaccia continua di attentati.»

«E adesso non più. Ma secondo me, se non hanno ripristinato la tradizione è solo per risparmiare un po’ di quattrini. Spilorcia, questa nuova generazione.»

Kelly gli allungò una leggera gomitata nelle costole. «Molto bene, vecchio mio, dov’è che andiamo, stasera?»

«Non c’è il ricevimento della tua amica Diane?»

«Sì, ma quello incomincia sul tardi, dopo la chiusura dei locali.»

«Allora perché non facciamo un salto all’Hardwired e poi al Club Centauri

Kelly lo guardò perplessa. «Credevo che tua cugina ci avesse invitato a una festa.»

«Mia cugina?»

«Ma sì, Jena Thornton. Non ricordi?»

Michael si lasciò andare a una muta imprecazione. Perché diavolo aveva parlato a Kelly di quell’invito?

«Sono tutti mutanti. Non ti piacerebbe neanche un po’.»

«E tu come fai a saperlo?»

«Credi a me, so quel che dico.»

«Michael, questa è una restrizione assurda. Mi spieghi allora come farò a conoscere la tua famiglia?»

«Ti garantisco che in questo caso non ti divertiresti affatto», ribadì Michael, serrando poi le labbra in una sottile linea caparbia.

«E perché no?»

«Accidenti, Kelly, ma allora non mi ascolti! Te l’ho già detto che è una festa di soli mutanti.»

«Ti vergogni a farti vedere insieme a me?»

«Figuriamoci!»

«E allora andiamo da Jena.»

Michael sospirò. «Come vuoi. Non dire poi che non ti avevo avvertito.» Furente, uscì a marcia indietro dal vialetto. L’ultima cosa che desiderava fare era proprio condurre Kelly a un ricevimento di mutanti, ma opporle un rifiuto a oltranza avrebbe significato senza dubbio scatenare un litigio. Eseguì un rapido canto mentale per riacquisire l’autocontrollo, e diresse il libratore verso l’abitazione di sua cugina.

Traffico scarso. In capo a venti minuti stava parcheggiando lungo il marciapiede accanto alla casa.

Ad aprire venne Jena. Indossava una scintillante, attillatissima camicetta del colore quasi dei suoi capelli, con pantaloni e stivali in tono. Un lampo di sorpresa le traversò la faccia, immediatamente sostituito da un gran sorriso.

«Michael! E tu sei Kelly, vero? Lieta di conoscerti. Gli altri sono già tutti rintanati di là. Venite.»

La stanza era affollata di mutanti, e ricolma dei loro canti di gioia. In un angolo sedevano, tenendosi sottobraccio, due coppie allacciate in contatto mentale. Guizzavano sui loro volti espressioni diverse: argute, meravigliate, estatiche. Non distanti, due ragazzi in tuta nera si libravano vicino al soffitto, palleggiandosi avanti e indietro senza toccarla una rifulgente sfera di vetro. Una ragazza dalle rosse chiome bizzarramente acconciate spiccò un balzo e andò a raggiungerli. Accanto ai divani sui quali coppie mutanti amoreggiavano e si stuzzicavano, vassoi di cibo fluttuavano sopra ciascun bracciolo.

Michael strinse la mano di Kelly. Le nenie si affievolirono sino a tacere. In tutta la stanza non vi fu occhio dorato che non si appuntasse sui nuovi venuti, valutando silenziosamente. E condannando.

Il giovane si fece avanti, sfidando tacitamente i presenti a sfoderare un gesto volgare, a formulare un’osservazione sgarbata. Accennò freddamente ai membri del proprio clan. I suoi cugini gli resero il saluto e tornarono ai loro trastulli.

Michael avvertì sul braccio il contatto di una mano tiepida. Jena gli era giunta accanto. Portava un girocollo d’oro, formato da distintivi della fraternità tenuti insieme da una catenina. Aspirò l’aroma di lei, una fragranza deliziosamente muschiata. Che splendida ragazza, pensò. Un insopprimibile formicolio di desiderio gli riscaldò i lombi. Cosa diavolo era venuto a fare, lì?

«Michael, se non hai nulla in contrario vorrei mostrare la casa a Kelly. Scommetto che non è mai stata in un’autentica abitazione mutante.» Jena circondò con un braccio le spalle di Kelly. «Ti piacerebbe vedere il sancta sanctorum dove mio padre si ritira a cantare?»

Kelly annuì, ma parve a Michael che fosse perplessa e anche un poco indecisa.

«Vengo anch’io», propose.

«Macché, ti annoieresti e basta», replicò, sottolineando il diniego con un gesto reciso. «E poi la casa tu la conosci già.»

A Michael non piacque affatto quell’inflessione insinuante, ma rifletté che a insistere troppo rischiava di scatenare una scenata. Impotente, guardò Jena portarsi via Kelly.

«Te la fai con una normale, Ryton?» gli chiese Stevam Shrader.

Michael squadrò Shrader con antipatia, irritato dal suo tono condiscendente. Ai convegni del clan, durante i canti di gruppo, non c’era volta che Shrader non si intoppasse su qualche passaggio. Era un individuo sciocco, goffo, rozzo. Ma che diavolo ci trovava, Jena?

«Esatto», rispose in tono gelido. «Frequento Kelly McLeod.»

Vala Abben, scintillio di cristalli d’argento fra i capelli neri, si unì a loro. «Non hai paura delle sanzioni?» gli domandò. Con quel mento aguzzo e le sue maniere indiscrete ricordava a Michael un roditore carnivoro che fiutasse in giro alla ricerca di carne fresca. «E poi non è piuttosto… be’, noiosa, limitata?…»

«È simpatica», rintuzzò Michael, bloccando al volo un tramezzino di passaggio. «È brillante. Divertente. E attraente.»

Shrader annuì. «In effetti non è male. Probabilmente interessante da chiavare. Però non è mutante.»

«Grazie a Dio», replicò Michael, e con rabbia volse loro le spalle. Fossero stati in un altro luogo qualsiasi, avrebbe sbattuto Shrader contro il muro, per quell’osservazione. Ma questa non era casa sua, e nemmeno la sua festa. Partì in cerca di Kelly e Jena.


«E queste sono le bacchette che usiamo per scandire il canto nelle ricorrenze speciali», spiegò Jena, facendone fluttuare una in direzione di Kelly.

L’asticella in tek era riccamente decorata, la sua superficie appariva levigata dal lungo uso. Kelly la sfiorò delicatamente.

«Interessante», commentò, posandola sul tavolino accanto alla finestra. Jena la stava trattando con gentilezza, ma l’intera situazione la metteva a disagio. Forse aveva ragione Michael. In questo luogo lei era un’estranea.

«Vieni, usciamo nel portico», la invitò Jena. Senza che nessuno la toccasse, l’iridescente porta di vetro scivolò silenziosamente di lato.

Kelly immerse lo sguardo nel tenebroso rigoglio vegetale del cortile posteriore.

«Ho sempre pensato che mio cugino Michael fosse tremendamente eccitante», dichiarò Jena in un rauco sussurro che invitava alla confidenza.

«Oh, ma davvero?» replicò Kelly in tono di pesante ironia. L’interesse di Jena nei confronti di Michael era così evidente, che se ne sarebbe accorto anche un cieco.

Jena le si fece più vicina. «Sì. Tu non credi? Sei mai stata a letto con un mutante, prima d’ora? Lui com’è?»

Muori dalla voglia di saperlo, vero? pensò Kelly. Be’, vai a farti fottere. Ne ho abbastanza di questa festa balorda, e soprattutto della tua curiosità. E si apprestava a dirle che aveva proprio una bella faccia tosta, quando Jena le toccò d’improvviso un lato del volto. Avrebbe potuto essere un gesto carezzevole, ma c’era in esso una fermezza che lo faceva piuttosto somigliare a un’aggressione. Kelly tentò di sottrarsi, ma si accorse di essere inchiodata al suo posto, con la testa che le martellava. Stava per svenire? Sì, e Jena la sorreggeva per impedirle di accasciarsi a terra. Gentile, Jena. Generosa, Jena. Davvero una brava amica, Jena. Bisognava assolutamente che le raccontasse di Michael…

«Che state combinando, qui?»

Sulla soglia era comparso Michael, i lineamenti contratti dall’ira. Kelly sentì che forze invisibili la sottraevano alla stretta di Jena. Un attimo dopo le braccia del giovane si serravano protettive attorno a lei. Scrollò la testa per schiarirsi le idee.

«Niente di speciale, Michael. Kelly ha avuto un capogiro, e le stavo suggerendo di appoggiarsi a me», rispose Jena. «Comunque ci hai dato proprio una bella dimostrazione d’influsso telecinetico.»

«Lascia perdere, Jena.» Michael osservò Kelly. Gli parve stordita. «Ce ne andiamo.» La condusse quasi di peso fuori della stanza. Jena li seguì fino alla porta.

«Peccato che non possiate rimanere. Stavamo giusto per incominciare qualche gioco di società… spogliapsiche, frugamente… Kelly si sarebbe divertita di sicuro.» Per un attimo guardò fisso Michael. «A presto, allora.»

Michael le volse le spalle e si allontanò rapidamente, con Kelly a rimorchio. Gli pareva quasi di sentir ululare, dietro di sé, i gelidi venti della stagione dei mutanti.

Jena rimase a osservare i fanalini posteriori del libratore finché non disparvero dietro l’angolo. Si sentiva delusa ed euforica insieme. Aveva appena avuto il tempo di gettare un’occhiata sommaria nella mente di Kelly, ma quel che aveva appreso era molto istruttivo. Kelly e Michael erano stati in intimità. In stretta intimità. E i genitori di Michael non lo sapevano. Per ora.

«Gliel’hai detto tu a Michael di andarsene?» chiese Vala, fluttuando quasi ad altezza d’occhio.

«Ma no, che sciocchezze», rispose Jena distogliendosi dalla finestra, con un sorriso posticcio inalberato a nascondere la frustrazione. «E per quale motivo avrei dovuto fare una cosa del genere?»

«Be’, ha portato con sé quella normale. Perché mai si sarà preso il disturbo?»

«Perché le vuole bene», dichiarò Jena, con voce che suonò stridula alle sue stesse orecchie. Controllati, si disse. Hai tutto il tempo che ti serve per affrontare la situazione. «S’è mai sentito di una padrona di casa che ordina a un ospite di andarsene solo perché si è presentato con una partner poco adatta?»

«Comunque ha fatto proprio bene a togliersi di mezzo», concluse Vala sorridendo duramente, «se ha intenzione di frequentare una normale.»

E Jena non ebbe bisogno di volgere lo sguardo attorno, per sapere che la testa di ciascuno dei presenti stava annuendo il proprio assenso.

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