18

Alle tre meno cinque, Andie entrò nello studio di Jeffers col videotaccuino in mano. Annuì soddisfatta all’indirizzo della sottile cartella verde che riposava sulla scrivania. Stephen aveva reperito documenti, cifre e testimonianze che dimostravano come i suoi bilanci fossero perfettamente in ordine. Andie era impaziente di vedere che faccia avrebbe fatto Jackie Renstrow nel rendersi conto che il suo velleitario attacco era andato completamente a vuoto.

Jeffers guardò l’orologio.

«È in ritardo.»

«Pare che ce l’abbia per abitudine», spiegò Andie accomodandosi sul divano color ocra. «Diamole altri cinque minuti.»

«Ma non più di tanto», precisò Jeffers con voce vibrante d’irritazione. «L’Unione mutante sarà qui tra poco, e c’impegnerà tutto il resto del pomeriggio.»

«Be’, peggio per lei. Intanto che aspettiamo, metterò in ordine i tuoi appunti per il convegno.»

Alle tre e venticinque, ancora nessun segno di Jackie Renstrow. Andie era furibonda.

«Me l’immaginavo che stava cercando solo di coglierci alla sprovvista e creare fastidi», commentò, tamburellando con le dita sulla scrivania.

«Non te la prendere, Andie», la consolò Jeffers, con espressione serena e in tono di sollievo. «Si vede che ha trovato qualche pesce più grosso da mettere in padella. E poi, meglio anche per noi. Così ho un po’ più di tempo per prepararmi ad accogliere l’Unione mutante.»

«Ma almeno avrebbe potuto avvertire.»

«Lascia perdere. Piuttosto, sono pronti gli appunti? E non dimenticare che voglio una completa registrazione dell’incontro, in modo che possiamo poi farne una sintesi per la diffusione.»

«Naturalmente. E anche degli estratti per la distribuzione via fax.» Andie inserì gli appunti nel terminale della scrivania. Aveva prenotato la Sala Conferenze Madison, con schermo doppio e impianto di registrazione.

Alle quattro e cinque la piccola sala traboccava di mutanti. Non c’era rimasto un posto libero. Andie aveva preferito tenersi in attesa dietro le quinte, sentendosi decisamente fuori posto in mezzo a tutti quegli occhi dorati.

Jeffers, invece, stava in piedi di fronte alla platea stagliandosi nitidamente nella luce bianca e rosa dei proiettori.

«Amici, sono qui per mettervi a parte dei nostri più recenti progressi», esordì. «Come probabilmente saprete, ho proposto un disegno di legge inteso ad abrogare il cosiddetto Principio d’Imparzialità.»

Il pubblico incominciò subito ad applaudire con forza, fischiando e gridando la sua approvazione. Jeffers aspettò che il baccano si placasse.

«Non vi nascondo che sarà una dura battaglia. Ma non lasciamoci fuorviare. I normali hanno paura di noi mutanti. Paura dei nostri poteri.» Fece una pausa. «Non ho certo bisogno di rammentarvi che quando, negli anni Novanta, incominciammo a rivelarci, essi non esitarono a uccidere alcuni di noi. Così come quest’anno, in questo stesso edificio, una nobile figura mutante ha perduto la vita per mano di un vile attentatore nonmutante. Ma nulla ci impedirà di riappropriarci dei nostri diritti calpestati. Siamo anche noi cittadini a tutti gli effetti. E come tali dobbiamo essere trattati. E finché non ci avranno sterminati dal primo all’ultimo, noi continueremo a pretendere il rispetto dei nostri diritti.»

Altri applausi e acclamazioni si riversarono su Jeffers. I membri dell’Unione mutante balzarono in piedi e si diedero a scandire: «Diritti, ora! Diritti, ora!»

Sui petti, sulle maniche, sui risvolti degli abiti era tutto uno sfavillio di distintivi della fraternità. Jeffers dondolava la testa al ritmo della cadenzata rivendicazione. Infine sollevò le mani per chiedere silenzio.

«È ormai tempo per noi di farci avanti, di occupare il posto che ci spetta al centro della vita pubblica. Lungi dall’accettare di venir esclusi o ignorati, dobbiamo invece esigere che vengano rideterminate certe norme e sia dato pieno riconoscimento del nostro valore. Non siamo affatto disposti a toglierci di mezzo.»

L’assemblea proruppe in un nuovo applauso. In preda a un crescente disagio, Andie si chiedeva cosa avrebbe pensato Eleanor Jacobsen del discorso del suo successore. Jeffers non accennava nemmeno alla possibilità di una collaborazione fra mutanti e nonmutanti. E cento paia di occhi d’oro lo fissavano avidamente.

«Una volta conseguito questo risultato, andremo avanti. Abrogheremo ogni restrizione accademica. E ogni impedimento mirante a ostacolarci nell’ottenere l’autorizzazione a svolgere delicati compiti d’autorità. E proseguiremo nella nostra azione finché non ci saranno spalancate tutte le porte. Finché il mondo non potrà più isolarci e avremo assunto il legittimo ruolo di guide della società ed eredi del domani.»

Il pubblico, osannante, era tutto in piedi, una gran macchia di azzurro e verde, di rosso e giallo. Andie si augurò che nessun altro avesse udito quelle dichiarazioni. Eredi del domani? Di che diavolo stava parlando? Per lei ci sarebbe stato da sudare, a mettere in sesto la registrazione. Ma senti che applausi. Jeffers doveva sapere bene quel che faceva.

Dopo un quarto d’ora di domande dalla platea, Andie cercò di attrarre l’attenzione di Jeffers. Era ora di concludere. Lui, però, pareva troppo concentrato sul pubblico per farle caso, così le toccò uscire allo scoperto.

«Una normale!» insorse immediatamente una voce irata.

«Cosa ci sta a fare, qui?» esclamò un’altra voce. «Jeffers, che significa?»

Jeffers si fece avanti sorridendo e pose un braccio attorno alle spalle di Andie. Una stretta salda, imperiosa.

«Amici miei, questa è Andrea Greenberg, fedele sostenitrice delle nostre sacrosante aspirazioni, e vi invito ad accettare di buon grado la sua presenza, accogliendola con la medesima cordialità che tributereste a me.»

Poi, rivolto ad Andie, aggiunse sottovoce: «Sorridi».

Lei obbedì contraendo il volto in una rigida smorfia, la caricatura di un sorriso. Il cuore le martellava in petto. Quest’assemblea non sembrava affatto l’incontro di un senatore con i rappresentanti del proprio elettorato. Le faceva piuttosto venire in mente un convegno di nostalgici di passati regimi. O un’adunata sediziosa. Controllando il turbamento che minacciava d’incrinarle la voce, Andie ringraziò tutti i presenti di essere venuti, promise loro copie della registrazione, e ricordò a Jeffers il successivo appuntamento. Poi se la filò, sentendosi trapassare la schiena dagli sguardi irosi di duecento occhi d’oro.


Michael, sei occupato?

La domanda mentale era un bisbiglio nelle sue orecchie, la voce era quella di sua madre. Proprio mentre sollevava il capo per guardarsi attorno, Michael si rese conto che non avrebbe trovato nessuno. Sue Li si trovava al piano di sotto, in soggiorno.

«No.» Mise lo schermo in pausa e attese che lei continuasse.

Non credo che sia il momento più opportuno per condividere con tuo padre quanto abbiamo saputo circa tua sorella.

«Perché no?»

Non si è ancora completamente ripreso dall’assassinio della Jacobsen. E le vampate l’indeboliscono. Finché non avremo altre notizie su Melanie, sarà bene che la cosa rimanga fra noi.

«Come preferisci, madre.»

Chi è questa Andrea Greenberg?

«Lavorava per la senatrice Jacobsen. Adesso lavora per Jeffers.»

Una volta ha chiamato tuo padre.

Aleggiava forse una leggerissima traccia di sospetto, in quella osservazione?…

«Mamma, ci ha fatto dei favori, tutto qui.»

Perché mai una normale dovrebbe fare dei favori ai mutanti?

«Tanto per cominciare, perché mai una normale dovrebbe lavorare per un mutante? Non essere sciocca. Andie è nostra amica.»

Se lo dici tu.

Michael sentì il legame mentale svanire. Accadeva di rado che un telepate fosse altrettanto abile sia in trasmissione sia in ricezione, ma il talento di sua madre era effettivamente assai sviluppato. E si manifestava con forza soprattutto quando lei era decisa a proteggere suo marito. Se aveva scelto di nascondergli questo indizio circa la sorte di Melanie, Michael non poteva farci nulla.

Ordinò al terminale di chiamare il numero di Kelly. Lei rispose al quarto squillo.

«Michael?» Sorrideva, ma aveva gli occhi cerchiati di scuro.

«Tesoro, non hai dormito?»

«L’altra sera sono rimasta alzata fino a tardi per aiutare Cindy a finire una ricerca scolastica. Quand’è che ci vediamo?»

«Ti va bene domani sera?»

«A che ora?»

«Alle otto?…»

«Benissimo.» Esitò. Sembrava a disagio.

«Qualcosa non va?»

«Michael, ho ricevuto una comunicazione dall’Accademia Aeronautica. Mi vogliono.»

Un subitaneo senso di vuoto lo attanagliò alla bocca dello stomaco.

«Non sono i soli», replicò.

Kelly sorrise. «Dai, sii serio. Potrei iniziare i corsi già verso giugno.»

«Sei proprio sicura di volerci andare?»

«Non lo so. Vorrei parlarne con te.»

«Scommetto che il tuo vecchio non sta più nella pelle dalla contentezza.»

«Figurati, ha già deciso di quale squadriglia dovrò far parte.»

«Dunque, apri bene le orecchie, non fare altri progetti per il futuro per almeno ventiquattr’ore, d’accordo?»

«Nemmeno se mi chiamano da Hollywood?» Lo fissò con espressione maliziosa.

«Tienili in sospeso e aspetta finché non arrivo io. C’è un mucchio di cose di cui dobbiamo discorrere.» Le gettò un bacio e chiuse la comunicazione.

Era quasi in ritardo per l’incontro di pallamatta con suo cugino Seyn. Afferrò la giacca a vento, aprì la porta della camera e si scontrò con suo fratello Jimmy.

«Proprio tu», disse Jimmy.

«Cosa c’è? Vado di fretta.» Si diresse verso le scale.

«Mike, tu cosa pensi, Mel ritornerà a casa?»

«Non lo so.»

«Ma secondo te è viva?»

«Certo che è viva.»

Un’espressione tra il dubbioso e l’accigliato alterò la fisionomia del ragazzo, facendone per qualche istante una perfetta copia conforme, in versione più giovane, del padrone di casa.

«Be’, comunque che dici, mamma e papà me lo daranno il permesso di andare a stare in camera sua?…»

«Ah, è tutta qui la tua preoccupazione?» sbottò Michael con voce aspra. Trasse un respiro profondo e mandò Jimmy a levitare capovolto verso il soffitto, sbatacchiandolo per giunta. «Testaccia vuota! Non te ne frega niente, vero, di tua sorella! Né di nessun altro!»

«Michael, basta, mi fai male!»

Un vaso antico, uno dei preferiti di Sue Li, volò via dal suo sostegno accanto alla scala in direzione della testa di Michael. Egli lo schivò, e quello andò a fracassarsi in tanti cocci verdi e azzurri contro la parete di fondo del corridoio. Michael fissò inorridito quel disastro.

«Se ti riazzardi», minacciò, «ti appendo in cantina a testa sotto.»

«Lo dirò a mamma e papà.»

«Ma prima dovrai spiegargli come ha fatto a rompersi il vaso.»

«Lo riaggiusto subito. Però rimettimi giù.»

Mentre Jimmy si dimenava, Michael provvide a depositarlo senza tanti complimenti sul tappeto. Allora, sotto il suo sguardo vigile, i frammenti sparpagliati di ceramica si innalzarono dal pavimento e vorticando andarono a fermarsi sopra la mensola, ridando forma e volume al vaso. Ogni traccia di rottura era stata fusa e cancellata.

«Bel lavoro», non poté fare a meno di ammettere Michael. Neppure lui sarebbe riuscito a compiere un restauro tanto accurato. Quanto a poteri telecinetici, Jimmy stava davvero incominciando a essergli superiore. Si girò per far la pace col fratellino, ma il corridoio era vuoto. Udì sbattere la porta della camera di Jimmy.


Il giorno dopo, Andie incontrò Jeffers che usciva dall’ascensore.

«Buon giorno», la salutò.

«Buon giorno, anche a te.» Prese a camminargli accanto. «Stephen, mi puoi spiegare cos’è successo, ieri, a quell’assemblea dell’Unione mutante? Non ti avevo mai sentito parlare a quel modo. Hai per caso intenzione di terrorizzarci tutti, noi normali?»

Jeffers ridacchiò. «L’hai presa troppo sul serio, Andie. E in effetti mi sono accorto di averti un po’ turbata. Be’, non sei tu quella che mi ripete continuamente di dare alla gente ciò che la gente vuole?»

Aprì la porta e le cedette il passo.

«È vero», ammise Andie. «Ma non fino al punto di trasformare un’innocua iniziativa autopromozionale in una specie di raduno neonazista.» Raggiunse a passo vivace lo studio privato di lui e si lasciò cadere nella poltrona azzurra accanto alla scrivania.

Jeffers le andò vicino rimanendo in piedi. «Sin da quando è stata fondata, l’Unione mutante ha sempre adottato, e preteso dai suoi politici, un linguaggio vigoroso. Pertanto, quando l’Unione mutante si riunisce per ascoltarmi, bisogna che mi comporti di conseguenza. Dico ai membri dell’Unione quello che loro si aspettano di sentirsi dire, ma senza assumermi alcun preciso impegno.»

«E tutte quelle restrizioni che hai promesso di far abrogare?»

Jeffers si strinse nelle spalle. «Loro lo sanno benissimo che non posso far miracoli. E poi avrai notato che non ho parlato di scadenze. A parte il fatto che si tratta davvero di restrizioni ingiuste.»

«Cos’era quell’accenno agli… eredi del domani?»

«Semplicemente una frase a effetto per fargli spellare le mani dagli applausi.»

«Ma ai tuoi elettori normali cosa pensi di dire?»

«Che mi adopererò in favore dei loro interessi e mi impegnerò a mantenere bassa la pressione fiscale. Che l’integrazione fra mutanti e nonmutanti andrà avanti in maniera progressiva e non traumatica, recando notevoli vantaggi a entrambe le parti.»

Andie sospirò. «Hai una risposta a tutto.»

«Due risposte per ogni casa… e due voti.» Jeffers si esibì in un sogghigno rapace.

L’avvisatore del terminale modulò il suo richiamo.

«Senatore Jeffers, il signor Canay come da appuntamento.»

«Fallo passare.»

Occhi e capelli scuri, incarnato olivastro, abbigliamento di lusso, il nuovo venuto fece il suo ingresso nella stanza. Rivolse un cenno di saluto a Jeffers, poi guardò Andie con aria dubbiosa.

«Ben. Lieto di vederti.» Jeffers gli strinse la mano. «Ti presento Andie Greenberg, mia prima assistente e responsabile dell’ufficio stampa.»

Canay rivolse anche a lei un cenno cortese. «Piacere di conoscerla.» Sorriso un po’ storto, ma simpatico.

«Salve.» Appena una lieve sfumatura di freddezza, nel tono di Andie. Per quale motivo Jeffers l’aveva definita responsabile dell’ufficio stampa?

«Andie, Ben ha lavorato con me alla Betajef, la mia ditta di importazioni. Ho deciso d’inserirlo nel personale perché coordini la campagna elettorale del diciotto e mi dia una mano in certi progetti particolari.»

«Capisco.»

«Voglio che Ben organizzi il comitato di cui si diceva, quello che dovrà dedicarsi a studiare soluzioni di reciproco interesse nell’interazione mutanti-nonmutanti.»

Andie sgranò gli occhi, colta di sorpresa. Aveva creduto di doverlo guidare lei stessa, quel progetto.

«Ben concorda sul fatto che ci serve un preciso punto d’incontro e confronto, se vogliamo iniziare a colmare le distanze che ci separano», proseguì Jeffers, apparentemente ignaro della reazione di lei.

«Abbiamo intenzione di procedere in tal senso al più presto», intervenne Canay. «Si tratta di un’iniziativa provvista di notevole potenziale propagandistico. Naturalmente avrò bisogno di collaborazione da parte del personale.»

«Sono convinta che non le mancherà», replicò Andie in tono gelido. Poi gli voltò la schiena. «Stephen, ti debbo parlare.»

«Puoi aspettare fino a oggi pomeriggio? Avrei da discutere con Ben di alcune cose.»

«Prima è, meglio è.»

«Ti va bene all’una?»

«D’accordo.»

«Lieto di aver fatto la sua conoscenza, Andie.»

«Altrettanto.» Fulminò Jeffers con uno sguardo furibondo, afferrò il videotaccuino e uscì a lunghi passi dalla stanza.

Schiumante di rabbia, controllò l’agenda. Accidenti! Era già in ritardo per il convegno del Gruppo Roosevelt.

«Aten, starò via fino all’una», avvertì, e si precipitò dabbasso.

Il Gruppo Roosevelt, che annoverava rappresentanti del personale addetto a ciascun senatore del Congresso, si riuniva ogni primo martedì del mese. In parte organismo di reciproco sostegno, in parte occasione di pettegolezzi a ruota libera, teneva Andie in collegamento con la vasta rete di assistenti politici che si snodava attraverso i corridoi del potere. Nessuno le avrebbe tolto di mente che si prendevano più decisioni e ci si scambiavano più favori lì che nell’aula del Senato.

Karim sedeva dalla parte opposta della sala. Vedendola entrare le fece l’occhiolino.

«Hai saputo che si è messo con una delle assistenti di Coleman?» bisbigliò accanto a lei Letty Martin.

Andie si accigliò. «No. Quale?»

«La bionda.»

Per un attimo le balenò in testa il pensiero che forse si era lasciata sfuggire un uomo in gamba, ma non diede seguito alla riflessione. Karim aveva rappresentato solo un interesse passeggero. Andie non aveva mai provato, nei suoi confronti, la passione che adesso le bruciava dentro per Jeffers. Le mancava, è vero, quel vivace scambio di idee che con Karim era stato all’ordine del giorno. E adesso un suo consiglio le sarebbe potuto tornare utile.

Innestò il terminale portatile alla presa del tavolo e digitò il codice di Karim. La risposta non si fece attendere.

CHE C’È?

PROBLEMA. PARLIAMO?

QUANDO?

DOPO CONVEGNO.

OKAY.

In capo a un’ora, allorché l’assemblea ebbe dato fondo allo scambio di battute e pettegolezzi, Andie trovò Karim ad attenderla, con aria interrogativa, accanto all’ascensore.

«Allora?»

«Facciamo due passi.»

«Ma sei matta? Fuori si gela!»

«Non sul viale.»

«Va bene.»

Il viale del Campidoglio, con la sua copertura emisferica, offriva gradito riparo dai venti del novembre inoltrato. Strade intasate di traffico, alberi e prati spogli in attesa della prima neve, si mostravano in rapidi squarci attraverso i segmenti trasparenti che interrompevano a tratti l’azzurra uniformità delle pareti. Gli occhi fissi all’esterno, ma senza vedere, Andie procedeva accanto a Karim.

«Allora», le domandò, «qual è il problema?»

«Penso di essere appena stata retrocessa.»

«Cosa?»

«Jeffers ha chiamato un tizio da una delle sue ditte perché lavori con lui a dei programmi speciali.»

«E la tua retrocessione in cosa consisterebbe?»

«Mi ha presentata a lui come addetto stampa.»

«Oh.» Karim si era fatto pensieroso. «Veramente ero convinto che tu fossi già il suo addetto stampa.»

«Certo, ma nell’ambito di ben più ampie attribuzioni.»

«Quindi credi che questo nuovo tizio debba rimpiazzarti?»

«Per l’appunto.»

Lui alzò le spalle. «Così impari a comprometterti troppo col principale.»

«Senti, Karim, non ho chiesto la tua opinione per sentirmi fare osservazioni volgari.» Gli girò le spalle e prese ad allontanarsi.

«Scusami, scusami!» L’afferrò per un braccio. «Aspetta. Questo nuovo tizio è un mutante?»

«No. Perché me lo chiedi?»

«Si dice in giro che Jeffers stia inserendo nel suo personale un mucchio di mutanti.»

Andie allontanò lo sguardo verso gli alberi esterni.

«È vero», ammise cupa. «Tre questo mese. Cinque il mese scorso. Lo sapevi che Caryl se n’è andata? Non lo sopportava.»

Karim annuì. «La cosa non mi sorprende affatto.»

«La senatrice Jacobsen non aveva mai fatto una cosa del genere.»

«Be’, lei usava metodi diversi.»

«E che altro si dice, in giro?»

«Che gran parte degli orientamenti legislativi appoggiati da Jeffers sono a favore dei mutanti», rispose Karim. «Ma c’era da aspettarselo, credo. Soprattutto dopo l’assassinio della Jacobsen.»

«Eleanor Jacobsen adottava una politica più lungimirante.»

«Be’, secondo me la Jacobsen era meno influenzata da pressioni di parte… specialmente quella cui lei stessa apparteneva.»

Andie si fermò di colpo. «Stai forse insinuando che Stephen sarebbe una pedina dei mutanti?»

«No. Non credo. Potrebbe anche essere, certo, ma forse è semplicemente molto più attento ai diritti e agli interessi dei suoi simili. Perché mai non dovrebbe volere mutanti fra il suo personale? Chi altro se ne serve, nel Congresso?»

«Davis.»

«E poi?»

Karim la fissava, aspettando. Mordicchiandosi il labbro, lei affrontò il suo sguardo.

«Basta.»

«Vedi, Andie, a mio parere non dovresti dare eccessiva importanza alla cosa. Se io fossi un mutante, l’unico in tutto il Congresso, è molto probabile che vorrei avere qualcuno del mio stesso conio, a lavorare con me. Ma sei davvero così preoccupata per il tuo lavoro?»

Si strinse nelle spalle. «Non lo so. Certo non mi è piaciuto per niente, quello che mi son sentita dire stamattina.»

«E allora domanda chiarimenti. Ma non c’è bisogno che te lo venga a suggerire io. Hai avuto difficoltà a lavorare col nuovo personale?»

«Finora no.»

«Questo rafforza la mia convinzione. Dai retta a me, ti stai creando problemi inutili.»

Karim sbirciò l’orologio.

«Senti, ora bisogna proprio che ti lasci, mi aspettano a pranzo.»

«Grazie, Karim.»

Le carezzò una guancia. «Quando hai bisogno…»

Andie lo guardò andar via in gran fretta. Tornò in Campidoglio da sola.

Sul monitor della scrivania trovò ad attenderla un messaggio di Jeffers: PER L’UNA NON CE LA FACCIO.

Probabilmente è a pranzo con Canay, pensò. Al diavolo. Si mise a battere la circolare fax di dicembre. Tanto valeva pensarci per tempo.

Un’ora dopo, Jeffers varcava con passo agile la soglia.

«Andie! Scusa il ritardo. Pronta per me?»

«Se vogliamo metterla così…» Videotaccuino alla mano lo seguì nel suo ufficio e richiuse la porta.

«Può assistere anche Ben?»

«Direi di no.»

Jeffers la squadrò con scherzoso cipiglio. «Parrebbe una cosa seria.»

Andie non perse tempo in convenevoli. «Stephen, cosa intendevi dire definendomi responsabile dell’ufficio stampa?»

«Che è il tuo lavoro qui dentro.»

«No, è una parte del mio lavoro», precisò lei con voce tagliente. «In aggiunta a compiti di documentazione, amministrazione e contabilità.»

«Sì, fino a ieri può anche darsi», replicò Jeffers, liquidando la sua precisazione con sdegnoso gesto della mano. «Ma adesso non devi stare più a preoccuparti di tenuta conti e ricerche d’archivio. D’ora in avanti se ne occuperà Ben.»

«Cosa?»

«Andie, la tua attitudine al contatto umano è di gran lunga troppo preziosa perché tu debba sprecarla passando il tempo a maneggiar scartoffie e macinare numeri. Ho bisogno di te in un’attività più orientata al rapporto col pubblico.» La fissò con espressione decisa. «Da oggi in poi, ti voglio a tempo pieno nel ruolo di mio tramite coi mezzi d’informazione.»

«Ma tu stai scherzando!» esclamò Andie lasciandosi cadere in poltrona. «Sono un avvocato, io, mica un addetto alle pubbliche relazioni!»

«E invece, la tua preparazione in campo giuridico ti rende particolarmente adatta proprio a un compito del genere.»

«Stephen, non sono venuta a Washington perché il sogno della mia vita era passare il tempo a chiacchierare coi cronisti televisivi.»

«Lo so», tagliò corto Jeffers. «Ma quello che ti chiedo è assumere le funzioni di mia rappresentante. E non riesco, in tutta sincerità, a concepire incarico più importante di questo.»

«Io sì.»

«Rimango francamente sorpreso», dichiarò Jeffers, scuro in volto. «Ero convinto che tu ambissi a una posizione più in vista.»

«Eppure lo sai che sono molto più interessata alle procedure legislative che non al giornalismo parlamentare.»

«D’accordo, ma avresti comunque mille occasioni per continuare a occupartene.»

«Sicuro, magari dopo aver finito di parlare a Washington Oggi e Buonanotte Giappone.» Andie incrociò le braccia. «Non è che più avanti mi chiederai di organizzarti un bel rotocalco televisivo su ’Novità e Curiosità dal Mondo Mutante’?»

«Non sarebbe una cattiva idea.»

«Stephen…» Tacque un istante, esasperata. «Non dicevo sul serio, ovviamente.»

«Ascolta, Andie. Ormai ho deciso. Ti voglio come tramite con l’informazione. Ci stai o non ci stai?» Un tono duro, che non ammetteva repliche.

Lo guardò fissamente. Inatteso, un ricordo dell’ultima volta che erano stati a letto insieme le ritornò in mente, e per quanto irritata nei suoi confronti non poté fare a meno di avvertire una punta di desiderio. Voleva davvero togliersi di mezzo? Poteva davvero rinunziare a lui? La risposta era no. E ancora no.

«Ci sto.»

«Benissimo.» Sorrise. «Ti piacerà. Vedrai. Ti ho lasciato sullo schermo un elenco di giornalisti. Guarda un po’ se ti riesce di ottenere qualche altro servizio sul dibattito riguardante l’abrogazione del Principio d’Imparzialità.»

«Va bene.» Si alzò per andarsene.

Jeffers le poggiò una mano sulla spalla. Mentre lui l’attirava dolcemente a sé, il cuore prese a batterle forte.

«Ci vediamo, stasera?» le sussurrò.

Lei annuì. «Ma certo.»

Le insinuò due mani tiepide sotto la giacca, salendo ad accarezzarle i seni.

«Fuggiamocene insieme da qualche parte, noi due soli», mormorò. «Conosco un albergo incantevole, sull’isola di Thera. Potremmo concederci un lungo, piacevole fine settimana sotto Natale…»

Abbandonando ogni residua resistenza, Andie si lasciò andare contro il suo petto.

«Mi piacerebbe, sì…»

«Brava.»

Jeffers la baciò da dietro sul collo, poi la lasciò andare.

«Dirò ad Aten di provvedere.»

Andie annuì.

E mentre assorta, confusa, varcava la soglia, s’incrociò con un vispo, disinvolto Ben Canay che andava in direzione opposta. Le rivolse quel suo sorriso di traverso, entrò nello studio di Jeffers, richiuse subito la porta dietro di sé.

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