19

«Dunque Melanie è viva e si nasconde da qualche parte nella zona di Washington?» domandò Kelly, rannicchiandosi ancor più vicina a Michael sul divano verde che adornava il soggiorno di casa McLeod.

«A quanto mi risulta, sì.»

«E perché non torna a casa?»

«Perché non vuole, oppure perché ha paura. Forse tutt’e due le cose.» Michael scelse una mela nella ciotola di cristallo poggiata sul ripiano nero in gomma del tavolo.

«Ne discuterai, alla prossima riunione del Consiglio mutante?»

«Non credo proprio.» Diede un morso al bel frutto maturo, poi lo offrì a Kelly. «Riuscirei solo a turbare i miei genitori.»

«Quand’è la riunione?»

«Il quindici dicembre.»

«Manca poco. Solo due settimane e mezzo.»

«Già, e fino allora sono ingolfato di lavoro. Mi tocca fare le ore piccole ogni notte. Se non la smetto presto coi diagrammi di celle solari, verranno le vampate pure a me. Questo benedetto riflettore ci sta richiedendo più tempo del previsto.»

«Non è quel contratto che avevate in trattativa con mio padre?»

«Esatto. Ma non dirgli nulla, mi raccomando. Credo comunque che finiremo entro i termini.»

«Va bene.» Kelly si mosse irrequieta, sfuggendo il suo sguardo.

«Qualcosa non va?»

Scosse la testa con moto rapido e nervoso. Poi, esitante, alzò gli occhi per incontrare quelli di Michael.

«La questione dell’Accademia… Che cosa ne pensi?»

«Ma tu ci vuoi proprio andare?»

Kelly sospirò. «Qualcosa vorrei fare.»

«E ti sembra un buon motivo per diventare pilota di aerei militari?»

«Mike, non ho intenzione di ridurmi a fare la casalinga. E nemmeno l’appendice digitante di stupidi terminali intelligenti. L’Accademia, per lo meno, mi offre qualche possibilità.»

Michael le percorse delicatamente, con la punta di un dito, il contorno del mento. «Non mi piace per niente l’idea che tu debba andartene così lontano.»

«Denver dista solo un quarto d’ora di navetta. Potrò vederti ogni volta che sono in libera uscita. E comunque, a giudicare da quanto ti è toccato lavorare negli ultimi tempi, non credo che durante la settimana sentiresti troppo la mia mancanza. A parte il fatto che non andrò via fino a giugno.» C’era, nella voce di lei, un tono supplichevole che metteva Michael a disagio.

«Potresti inserirti nel corso accelerato?» le domandò.

«Non lo so. Perché?»

«Be’, credo proprio che dovresti prenderlo in considerazione. Darebbe a noi due qualche altra possibilità.»

Lei sorrise dubbiosa.

«D’accordo. Mi piace quando parli di noi due.»

«Anche a me.» La serrò dolcemente fra le braccia. «Farò il possibile per rivederti, prima che mi tocchi partire per il convegno.»

«Discuterete ancora della morte di Eleanor Jacobsen?»

«Probabilmente.»

Kelly gli strinse la mano. «Sembra così lontana, ormai.»

«Non per me. E neppure per gli altri mutanti. Ma per lo meno adesso abbiamo Jeffers.»

«Già, ho visto un video su di lui. Grazioso, direi.» Ridacchiò.

«Il fatto è che tu hai un debole, per i mutanti maschi.» La baciò teneramente, e sentì il suo cuore palpitare. Con pochi, abili gesti le slacciò il vestito e prese pian piano a carezzarle i seni. Kelly sospirò di gioia. Michael la sbaciucchiò un poco sul collo, poi scese più giù, andando a coprire con le sue labbra ora l’uno ora l’altro dei turgidi capezzoli. Quando i gemiti di Kelly cominciarono a riecheggiare per la stanza, Michael s’interruppe.

«Quando hai detto che tornano, i tuoi?»

«Non prima di due ore», assicurò lei. Gli occhi le brillavano.

«Andiamo di sopra.»

Fecero l’amore con dedizione appassionata, stuzzicandosi e ridendo. Kelly raggiunse un orgasmo bruciante, ansimando e dibattendosi sotto di lui. Michael chiuse gli occhi, avvertendo il veemente approssimarsi del proprio compimento. E d’improvviso gli esplose in mente l’immagine di Jena, nuda e provocante. La respinse con feroce determinazione.

Adesso la mia vita è questa, pensò. Questa. Ed è questa che voglio.

L’acme, quando giunse, fu debole, inconsistente, insoddisfacente. Ma Kelly parve non accorgersi della sua momentanea esitazione. Si rannicchiò felice contro di lui che la tenne racchiusa fra le braccia, cullandola per lungo tempo, finché il suo respiro regolare non lo persuase che doveva essersi addormentata. Scivolando giù dal letto, Michael si vestì in silenzio e la lasciò in compagnia dei suoi sogni.

Tornò a casa guidando piano. L’inattesa intrusione mentale verificatasi durante l’atto d’amore lo angosciava. Non poteva darsi che Jena gli avesse instillato, per tormentarlo, un’immagine ad attivazione riflessa? Oppure, semplicemente, ne sentiva la mancanza?

Nel varcare la porta avvertì una stanchezza enorme gravargli addosso. Un’altra settimana di superlavoro, si disse. Poi veniva la stagione dei mutanti.

Fece sosta in cucina e programmò una Red Jack sulla tastiera del bar. La linguetta saltò con un sibilo, e Michael inghiottì lunghe, appaganti sorsate del robusto beveraggio. Una volta che l’assemblea del Consiglio mutante fosse terminata, avrebbe potuto riprendere a occuparsi della sua vita. Rallegrato da quel pensiero, sollevò in un brindisi l’argentea lattina. «A Kelly e a me. Al futuro.»

Finito di bere, fece levitare il contenitore vuoto fin dentro il dispositivo di eliminazione dei rifiuti.

Nel salire al piano di sopra, Michael passò davanti allo studio di suo padre. La porta era socchiusa, e una luce azzurrina filtrava dalla fessura nel corridoio buio. Sbirciò dentro. James Ryton, seduto al terminale, stava parlando con qualcuno: Andrea Greenberg. Michael controllò l’orologio. Decisamente tardi. Come mai Andie chiamava a quell’ora? E perché proprio papà?

James Ryton disse qualcosa d’incomprensibile, Andie annuì, e lo schermo si oscurò. Michael bussò piano alla porta. Suo padre si volse a guardare.

«Entra. Torni ora?»

Michael annuì.

«È tardi», osservò Ryton. «Non esagerare con gli straordinari, figliolo. Fa male al cervello.» Si soffregò il mento. «Ho appena avuto una conversazione molto particolare con Andrea Greenberg.»

«Spero di non disturbare.»

«No no, figurati. Anzi, credo sinceramente che avrebbe preferito parlare con te, ma invece ho risposto io.»

«E cosa voleva?»

«Ma tu guarda le stranezze della vita… Voleva qualche consiglio circa i matrimoni misti, fra mutanti e nonmutanti.»

«E perché proprio da te?»

«Probabilmente perché non ha trovato nessun altro cui rivolgersi.» Scosse la testa. «Pensa di essersi innamorata. Di uno di noi.»

«Davvero? E chi sarebbe il fortunato?»

«Jeffers.»

«Cosa?» Michael lo fissò incredulo.

«Sono rimasto sbalordito quanto te.»

Michael sedette sulla soffice poltrona marrone accanto alla porta.

«Chissà, potrebbe anche essere un fatto positivo…»

«E per chi?» replicò Ryton. «Col carattere romantico che ti ritrovi, me l’aspettavo che l’avresti presa a questo modo. E ti dico francamente che secondo me sarebbe invece un fatto disastroso. Sia per lui che per lei. Quindi ho fatto del mio meglio per dissuaderla.»

«Ma perché? I matrimoni misti possono funzionare benissimo», ribatté Michael.

Suo padre sospirò. «Lo so che la pensi così. Io, però, un’unione davvero riuscita fra un mutante e un nonmutante non l’ho mai veduta. Succedono immancabilmente dei pasticci. E nel caso specifico, tra l’altro, non pare nemmeno che Jeffers le abbia proposto un rapporto stabile.»

«Devo ammettere che la cosa mi lascia un po’ perplesso.»

«Be’, ti garantisco che non sei il solo. Spero proprio che quella ragazza non stia semplicemente andando incontro a una tremenda delusione.»

«Pensavo che i normali non ti andassero a genio.»

«Di solito no. Ma Andrea Greenberg è una brava persona. Mi spiacerebbe se dovesse soffrire. E Jeffers, d’altra parte, non può certo rischiare di alienarsi le simpatie del suo elettorato mutante contraendo matrimonio all’esterno del clan.»

«Forse, però, sarebbe un fatto positivo», insisté Michael ostinato. «Potrebbe contribuire notevolmente ad avvicinare i due gruppi. Ed è a questo, secondo me, che dobbiamo puntare.»

Suo padre sorrise mestamente. «È naturale che un giovane tenda a essere ottimista», commentò in tono gentile. «Certo, potrebbe essere un’ottima cosa, se andasse per il verso giusto. Ma non andrà.»

Sul vano della porta, avvolta in un kimono rosso, comparve sbadigliando Sue Li, che si appoggiò allo stipite osservandoli incuriosita. «James, con chi stavi parlando?» domandò.

«Andie Greenberg.»

Michael vide gli occhi di sua madre restringersi sospettosi.

«Quella donna che lavora per il senatore Jeffers? Perché ti ha chiamato di nuovo? E così tardi, poi?»

«Aveva bisogno di certi suggerimenti.»

«In materia giuridica? Come mai si è rivolta a te?»

«No, si tratta di una questione personale», spiegò Ryton. «Riguarda un mutante.»

«Personale?» ripeté Sue Li indugiando sul termine.

«Si è innamorata di un mutante», intervenne Michael.

Sua madre inarcò le sopracciglia in atto di sorpresa.

«Skerry?» domandò.

«No», rispose Ryton. «Anch’io, all’inizio, avevo pensato così. In un certo qual modo, avrebbe anche potuto avere senso. Ma non si tratta di Skerry. Si tratta di Jeffers.»

«Jeffers?» Sue Li chiuse gli occhi. «Povera ragazza.»

Michael avvertì, proveniente da lei, la fievole eco telepatica di un canto rasserenante.

Sue Li riaprì gli occhi ammiccando più volte, quindi rivolse a Michael uno sguardo colmo di afflizione.

«Come vorrei che fossimo già pronti per i matrimoni misti», disse malinconicamente. «Un giorno, chissà, lo saremo. Vieni a letto, James.»

Si volse, scomparve nell’ombra.

«Buonanotte, figliolo.»

Una pacca sulla spalla di Michael, e Ryton seguì sua moglie in corridoio.

Michael si soffermò un attimo sulla soglia, pensando ad Andie e al senatore Jeffers. Strana coppia. Ma non più strana, forse, della coppia di cui lui stesso faceva parte. Ce ne sarebbero volute tante, di quelle unioni miste… Spense la luce, e nell’oscurità si diresse alla sua stanza.


Fianco a fianco, la donna bionda e l’uomo dai capelli rossi si fissavano intensamente negli occhi, annuendo di tanto in tanto. Indossavano eleganti completi marroni e dondolavano lievemente sui loro sedili, spalla contro spalla. Quando si alzarono per lasciare il vagone, Andie constatò senza sorpresa che avevano gli occhi d’oro. Nient’altro che due mutanti telepatici che comunicavano apertamente in pubblico, pensò, e uscì dietro di loro per ritrovarsi sul marciapiede della stazione.

Dopo il convegno dell’Unione mutante, quelle inconfondibili manifestazioni di facoltà metapsichiche erano andate di giorno in giorno proliferando. Nel metrò, per strada, in banca, sul lavoro. Andie ormai non ci faceva più nemmeno caso, quando un uomo d’affari dagli occhi d’oro le passava accanto in tutta fretta trascinandosi dietro, fluttuante a mezz’aria, una pila di portadischi. Ma altri nonmutanti reagivano con minore tolleranza, lanciando occhiate malevole e borbottando oscure minacce.

Si piantò saldamente sulla rotocorsia che l’avrebbe condotta nelle immediate vicinanze del Campidoglio, e mentre si lasciava trasportare valutò i propri sentimenti per Jeffers. Lo amava davvero? Il ricordo dei loro amplessi la immergeva in un’atmosfera sognante, colma d’incertezza e di desiderio. Ma cosa poteva ragionevolmente aspettarsi, da quel rapporto? La conversazione con James Ryton non l’aveva di sicuro rincuorata.

Discese agilmente dal marciapiede mobile, e riuscì a infilarsi nell’affollato ascensore un attimo prima che le porte si chiudessero sibilando. Scorse Karim sul fondo e lo salutò con un gesto della mano.

Sgusciando fra la gente, egli le si portò accanto.

«Hai saputo di Jackie Renstrow?»

«No. Che c’è da sapere?»

«Hanno ripescato il suo cadavere nel Potomac.»

«Cosa?…» Andie provò una stretta allo stomaco.

Karim alzò le spalle. «Eh, già. Credo che stesse indagando sul racket cinese del gioco d’azzardo. E, come suol dirsi ai giornalisti ficcanaso dalle parti del sol levante, sayonara.» Guardandola allarmato, afferrò Andie per una spalla. «Ehi, tutto bene? Hai l’aria di una che sta per svenire.»

Lei si sottrasse alla sua stretta.

«Sei sicuro che sia morta?» gli domandò.

Karim annuì.

«E pensare che l’ho incontrata la settimana scorsa… Non ci posso credere…»

L’ascensore si fermò al loro piano, e Karim la spinse fuori.

«Non credevo che l’avresti presa così male», si scusò. «Eravate buone amiche?»

«No. Ma qualche volta avevo collaborato con lei a dei servizi. Era in gamba. Si dava da fare.»

«Ora ha chiuso, purtroppo.» Karim la fissava, serio in volto. «Sei sicura di sentirti bene?»

Andie si scansò i capelli dal viso. «Sì, grazie, tutto a posto. Un poco scossa, nient’altro.» Gli strinse una mano. «Devo andare.»

«Bene. Ci vediamo.» Rimase a osservarla allontanarsi per il corridoio.

Era in anticipo. In ufficio ancora nessuno. Andie si lasciò andare nella sua poltroncina. Quell’ultimo incontro con Jackie Renstrow le incombeva vivido in mente. Dio, quant’era stata fastidiosa. Un’ottima giornalista, però. Nonostante la sua irritante ostinazione, Andie aveva provato per lei stima e rispetto.

Una ragazza dal volto sottile, capelli neri, in completo azzurro scuro, fece capolino dalla porta. «Signorina Greenberg? C’è il senatore Jeffers?»

«Non ancora. Desidera?»

La giovane si fece avanti esitante, stringendo in mano un videotaccuino. «Sono Nora Rodgers. Ufficio Generale Contabilità, sezione R. Dalla morte della senatrice Jacobsen siamo noi a occuparci delle verifiche contabili sul vostro ufficio.»

«E allora?»

«Ecco, avrei alcune domande da rivolgere al senatore Jeffers. Le sue eccedenze di bilancio nel corrente trimestre sono alte. Molto alte.»

«Potrei dare un’occhiata?»

«Veramente non sarebbe consentito.»

«Sono certa che al senatore Jeffers non rincrescerebbe.» Sorridendo, Andie allungò una mano per farsi consegnare il miniterminale. Sorriso che svanì con estrema rapidità non appena i suoi occhi si posarono sulle risultanze della revisione.

Le cifre erano astronomiche. Quasi quadruplicate rispetto a quanto aveva speso la Jacobsen nel medesimo periodo dell’anno precedente.

«Impossibile», mormorò Andie. «Negli ultimi tempi non ho seguito personalmente la situazione contabile, lui però mi aveva assicurato che era tutto in ordine. Eravamo andati un po’ fuori, lo so, ma questo non è concepibile. Dovete aver commesso un errore di calcolo.»

«Ho ricontrollato tre volte.»

«Be’, ricontrolli di nuovo, prima di far perdere tempo al senatore Jeffers», esclamò in tono acceso, e riconsegnò bruscamente il miniterm.

«Vedrò di mettermi in contatto col senatore più tardi», sospirò Nora Rodgers, e batté in ritirata, eclissandosi oltre la porta.

Andie la guardò andar via con un senso di sollievo. Quelle cifre dovevano essere sbagliate. Per forza.

La mattinata incominciava proprio male, pensò. Prima la Renstrow. E adesso questo.

Finalmente arrivò Jeffers, pimpante come al solito.

«Stephen, ti debbo parlare.»

Lui mimò un’elaborata, beffarda riverenza. «Qui da te o là da me?»

Mosse senza esitare verso il suo studio, con Jeffers alle calcagna.

«Allora, che c’è?»

«Jackie Renstrow è morta.»

«Quella cronista del Post?» Jeffers depositò la videovaligetta sulla scrivania e si mise a sedere. «Dio mio, e quando?»

«Non lo so. Hanno ritrovato il suo corpo nel Potomac.»

Per qualche istante Jeffers tenne gli occhi fissi al pavimento, la bocca atteggiata a una piega severa. Infine risollevò lo sguardo verso Andie.

«Trasmettiamo un messaggio di condoglianze alla famiglia.»

«Va bene.»

«C’è altro?»

Stavolta toccò ad Andie chinare gli occhi a terra.

«Sì. È stata qui una ragazza, un revisore dell’Ufficio Generale Contabilità…»

«L’Ufficio Generale Contabilità?»

Lo fronteggiò apertamente, le mani puntate su fianchi. «Stephen, le cifre del primo trimestre sono raccapriccianti. Non possiamo assolutamente spendere tutti quei soldi. Secondo i loro calcoli, abbiamo già fatto fuori due terzi del nostro bilancio per l’intero anno fiscale.»

Il volto di Jeffers si contorse in un’espressione di collera.

«Ma è ridicolo!» esclamò seccamente. «Hanno sbagliato!»

«Mi pareva che tu mi avessi detto di aver controllato la situazione contabile…»

«Sicuro. E siamo in regola.»

«Forse faresti meglio a chiamare i revisori…»

«E tu faresti molto meglio a smetterla immediatamente con questo piagnisteo!» ribatté Jeffers in tono duro. «Te l’ho già detto e ripetuto, che la contabilità non è più affar tuo.»

«Ma…»

«Non c’è ma che tenga.»

Si alzò di scatto in piedi, gesticolando verso la porta.

«E ti invito fermamente a occuparti, una buona volta, dei compiti che ti sono stati affidati!» Il tono non ammetteva repliche, e il gesto di congedo era fin troppo esplicito.

«Benissimo. Non so dirti quanto mi rincresce di essermi presa a cuore le sorti dell’ufficio.» Furibonda e amareggiata, gli volse le spalle e si diresse all’uscita.

«Andie?»

Il tono di lui s’era fatto all’improvviso assai più calmo, quasi carezzevole. Andie si fermò, girandosi a guardarlo.

«Che c’è?»

«Ti chiedo scusa», le disse, sorridendo affettuosamente. «Stai facendo un lavoro magnifico. Non sovraccaricarti con inutili preoccupazioni. Ai rompiscatole della ragioneria ci penso io.»

Anche la collera di Andie si andò rapidamente stemperando. Benissimo, pensò, lasciamo che la gatta del bilancio se la peli da sé, visto che pare tanto sicuro del fatto suo.

«Scuse accettate.»

Jeffers tirò un sospiro di sollievo.

«Credo proprio che abbiamo tutti e due urgente bisogno di quella vacanza.»

Andie sorrise. «Evviva la sincerità.»

«Ti spiacerebbe, uscendo, mandarmi dentro Ben?»

«Sicuro. Se c’è.»

«Andie?»

Si arrestò sulla soglia. «Sì?»

«Fra due settimane a Thera… alla faccia dei ragionieri!» promise, facendole l’occhiolino.

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