Cipollino si svegliò in piena notte con l'impressione che qualcuno avesse bussato alla porta del sotterraneo. Tese le orecchie: nulla, non il sospiro di un topo. Stava già per riaddormentarsi quando il rumore che lo aveva svegliato si ripetè. Era un grattare sordo e continuo, non troppo distante.
Qualcuno sta scavando una galleria — concluse Cipollino dopo aver posto l'orecchio alla parete della fossa. Pochi istanti dopo dal muro si staccò del terriccio, poi un mattone cadde e dietro il mattone qualcuno o qualcosa saltò sul pavimento.
— Dove diavolo sono capitata? — cominciò a borbottare una voce piuttosto nasale.
— Nella fossa segreta, — rispose Cipollino, — ossia nella prigione più scura del Castello. Mi scusi dunque se non posso riconoscerla e salutarla come si deve.
— Segreta? Scuro? Ma qui c'è una luce che abbaglia. E lei chi è, scusi? Se fosse un po' più buio non avrei bisogno di chiederglielo, lo vedrei da sola.
— Ho capito, non può essere che la Talpa.
— Per l'appunto, — rispose la bestiola. — Era un pezzo che volevo scavare in questa direzione, ma non ne avevo mai trovato il tempo. Sa, ho decine di chilometri di gallerie da sorvegliare, da ripulire. C'è sempre qualche infiltrazione d'acqua (e mi ci sono preso anche un raffreddore). Poi ci sono quei benedetti vermiciattoli che non sanno mai dove andare a battere il capo e non hanno nessun rispetto per il lavoro degli altri. Sicché, di settimana in settimana, avevo sempre rimandato. Ma questa mattina mi son detta: «Signora Talpa, se lei è una persona di giudizio e desiderosa di conoscere il mondo, è tempo che scavi proprio da quella parte là». Cosi mi sono messa in cammino e…
Cipollino interruppe quella chiacchierata per presentarsi:
— Mi chiamo Cipollino e sono prigioniero del Cavalier Pomodoro.
— Oh non si preoccupi, — disse la Talpa, — la stavo riconoscendo dall'odore. Però la compiango sinceramente. Dover stare giorno e notte in un posto così chiaro dev'essere una tortura.
— Per i miei guai, è già un posto abbastanza scuro.
— Non lo dica nemmeno per ridere. La compiango sinceramente. Eh, il mondo è cattivo. Dico io: se volete mettere qualcuno in prigione, mettetelo almeno in un posto dove possa riposarsi la vista. Ma dal giorno in cui i cartaginesi hanno esposto Attilio Regolo ai raggi del sole, dopo avergli strappato le ciglia, l'umanità è diventata sempre più crudele.
Cipollino comprese che non valeva la pena di fare una discussione sulla luce e sul buio con una talpa, che essendo abituata alle sue gallerie, ed essendo cieca per giunta, doveva avere sulla questione un parere molto diverso dal suo.
— Ammetto che la luce mi da molta noia, — sospirò.
— Lo vede? Cosa dicevo? — La Talpa era tutta commossa. — Se lei non fosse tanto grande… — cominciò a dire.
— lo? Ma sono piccolissimo, gliel'assicuro. Potrei passare comodamente per un buco di talpa.
— Può darsi, può darsi, giovanotto. Ma se non vuoi farmi torto non chiami buchi le mie gallerie. Chissà, forse potrei accompagnarla per un pezzo di strada.
— Potrei infilarmi nella galleria che lei ha finito adesso di scavare, — propose Cipollino. — Naturalmente se lei mi farà da guida, perché da solo avrei paura di perdermi: ho sentito dire che le sue gallerie sono molto complicate.
— Senta, — rispose la Talpa, — a fare sempre la stessa strada io mi annoio. Sa che cosa le dico? Scaveremo una galleria nuova.
— Da che parte? — domandò subito Cipollino.
— Da una parte qualunque, — rispose la Talpa, — purché si possa andare a finire in qualche posto scuro davvero e non in un'altro faro come questo.
Cipollino pensò subito alla prigione nella quale si trovavano Zucchina, Uvetta e gli altri. Sarebbe stata una bella sorpresa, per loro, vederselo arrivare di sottoterra.
— Credo che si debba scavare verso destra, — propose alla Talpa.
— Destra o sinistra per me fa lo stesso. Se lei preferisce la destra, andiamo a destra.
E senza pensarci due volte la Talpa ficcò il muso nella parete e cominciò a scavare così furiosamente che Cipollino si trovò tutto coperto di terriccio.
Gli venne un accesso di tosse che gli durò un quarto d'ora. Quando ebbe finito di tossire e di starnutire udì la voce della Talpa che lo chiamava:
— Allora si decide a venire, sì o no?
Cipollino si ficcò nell'imboccatura della galleria, che era abbastanza larga per permettergli di strisciare in avanti: la Talpa aveva già percorso parecchi metri, a una velocità sbalorditiva.
— Eccomi, eccomi, signora Talpa, — farfugliò sputando il terriccioio che gli si ficcava in gola.
Prima di proseguire, però, si fermò a tappare l'ingresso della galleria.
Quando scopriranno la mia fuga, — pensò, — non indovineranno da che parte me ne sono andato.
— Come si sente? — domandò la Talpa continuando a scavare.
— Benissimo, grazie, — rispose Cipollino, — qui c'è un buio perfetto.
— Glielo dicevo io che si sarebbe trovato subito meglio. Vuole che ci fermiamo un momentino? Io preferirei di no, perché ho una certa fretta, ma forse lei non è abituato a correre nelle gallerie.
— Andiamo pure avanti, — disse Cipollino, pensando che, a quell'andatura, in poche ore sarebbero giunti nelle vicinanze della prigione.
— D'accordo. — La Talpa ripartì a gran velocità. Scavando produceva un rumore simile a quello di un martello pneumatico. Cipollino faticava a tenerle dietro.
Un quarto d'ora dopo la fuga di Cipollino e della Talpa, la porta della fossa segreta si aperse e Pomodoro entrò con un sorriso trionfale.
Come aveva assaporato quel momento, il prode Cavaliere!
Mentre si dirigeva verso la prigione, gli pareva di essere diventato più leggero di una ventina di chili.
— Cipollino è nelle mie mani, — si diceva gongolando, — gli farò confessare tutto, dall'a alla zeta, e poi dalla zeta all'a, e infine lo farò impiccare. Quando questo sarà fatto, lascerò in libertà Mastro Uvetta e gli altri stupidi come lui; da quella gente non ho niente da temere. Ecco la porta della fossa segreta. Ah ah, come me la godo a pensare a quel marmocchio. Si starà certo struggendo in lacrime. Scommetto che mi cadrà ai piedi e mi supplicherà di perdonargli. Scommetto che mi luciderà le scarpe con la lingua. E io lo lascerò fare, dandogli qualche speranza di salvezza; poi gli toglierò ogni illusione e gli comunicherò la mia sentenza: morte per impiccagione.
Quando però ebbe aperto la porta e accesa una lampadina tascabile, non trovò nessuna traccia del prigioniero.
Pomodoro non credeva ai suoi occhi. Le guardie che gli stavano vicino lo videro diventare giallo, arancione, verde, azzurro, indaco e violetto, e infine più nero di uno scarafaggio.
— Dove può essersi cacciato? Cipollino, dove ti nascondi?
La domanda era abbastanza stupida: dove avrebbe potuto nascondersi Cipollino?
Pomodoro guardò sotto il tavolaccio, guardò nella brocca dell'acqua, scrutò il soffitto, ispezionò il pavimento e le pareti centimetro quadrato per centimetro quadrato: nulla.
— Chi lo ha fatto fuggire? — tuonò il Cavaliere, rivolgendosi aIle guardie.
Ma il capo delle guardie gli fece notare:
— Signor Cavaliere, le chiavi della fossa segreta le aveva lei.
Pomodoro si grattò in testa: anche questo era vero.
Per risolvere il mistero si sedette in mezzo alla fossa, pensando:
— A stare seduti si riflette meglio che in piedi.
Ma anche in quella posizione non gli venne in mente nulla. A un tratto, poi, per colpa di qualche corrente d'aria, la porta si richiuse bruscamente: Pomodoro dentro e le guardie fuori.
— Aprite, buoni a nulla! — strillò Pomodoro.
— Eccellenza, non si può, la chiave ce l'ha lei. Pomodoro provò ad aprire: ma la serratura era fatta in maniera che ci si poteva mettere la chiave solo dall'esterno.
A trovarsi prigioniero nella sua stessa prigione, Pomodoro voleva scoppiare.
Diventò violetto, indaco, azzurro, verde, arancione e giallo e minacciò di far fucilare sui due piedi tutte le guardie se non avessero aperto la porta, tempo di contare fino a cento.
A farla corta, per aprire la prigione bisognò far saltare la porta con la dinamite. Lo scoppio mandò Pomodoro a gambe all'aria e lo ricoperse di terra da capo a piedi. Le guardie scavarono febbrilmente e alla fine tirarono fuori Pomodoro come si estrae una patata dal solco. Lo portarono fuori e lo esaminarono ben bene per vedere se c'era qualcosa di rotto.
Difatti Pomodoro si era rotto il naso. Gli misero un cerotto e il Cavaliere corse a nascondersi a letto. Si vergognava troppo a mostrarsi in giro con quel cerotto al posto del naso, in mezzo alla faccia.
Cipollino e la Talpa erano già molto lontani, ma udirono l'eco dello scoppio.
— Che sarà mai? — domandò il ragazzo.
— Oh, non si preoccupi, — lo rassicurò la Talpa, — deve trattarsi di esercitazioni militari. Il Governatore Principe Limone si crede un grande condottiero, e non ha pace se non può fare qualche guerra, magari finta.
La Talpa, continuando a scavare alacremente, non finiva mai di lare gli elogi del buio e di dire quanto odiasse la luce.
— Ricordo che una volta, — raccontava, — mi capitò di dare un'occhiata a una candela. Vi giuro che dovetti fuggire a gambe levate: non resistevo a quella vista.
— Eh, sì, — approvava Cipollino, — certe candele fanno una luce abbagliante.
— Ma si figuri, — riprese la Talpa, — che quella candela era spenta. Guai a me se fosse stata accesa.
Cipollino si domandò come potesse dar noia una candela spenta a una talpa cieca, ma la brava scavatrice si fermò improvvisamente:
— Odo delle voci, — disse.
Cipollino tese l'orecchio: gli giungeva un lontano brusio, ma non riusciva a distinguere in esso alcuna voce.
— Sente? — proseguì la Talpa. — Dove ci sono voci c'è gente. Dove c'è gente c'è luce. Sarà meglio che andiamo in un'altra direzione.
Cipollino tese di nuovo l'orecchio, e stavolta gli giunse distinta la voce di Mastro Uvetta: non poteva capire che cosa stesse dicendo, ma non c'era da sbagliarsi, era proprio la voce del ciabattino. Avrebbe voluto gridare, farsi sentire, farsi riconoscere, ma si trattenne.
— Signora Talpa, — disse invece, — ho sentito parlare di una caverna molto buia, che secondo i miei calcoli dovrebbe trovarsi appunto da queste parti.
— Più buia di questa galleria? — domandò la Talpa in tono dubbioso.
— Infinitamente più buia. — mentì Cipollino. — Forse le voci che udiamo vengono di là. Saranno persone che si riposano la vista in quella caverna.
— Hm… — brontolò la Talpa. — Questa storia non mi persuade molto. Ma se lei ci tiene proprio a visitare la caverna… A suo rischio e pericolo, s'intende.
— Le sarei proprio riconoscente, — pregò Cipollino. — Si vive per imparare, non le sembra?
— E sia, — concluse la Talpa, — ma se si farà male agli occhi sarà peggio per lei.
Dopo pochi minuti le voci erano vicinissime.
Cipollino poteva perfino udire il sor Zucchina che sospirava:
— Tutta colpa mia… tutta colpa mia… almeno venisse Cipollino.
— Mi sbaglio, — disse la Talpa, — o è stato fatto il suo nome?
— Il mio nome? — domandò Cipollino fingendosi molto stupito. — Io non ho inteso.
A questo punto si udì la voce di Mastro Uvetta:
— Cipollino ha dato la sua parola che sarebbe venuto a liberarci, e verrà. Io non ho alcun dubbio in proposito.
La Talpa fece:
— Ha sentito? Parlano di lei. No, non mi dica che non ha sentito. Mi dica piuttosto con quali intenzioni mi ha fatto venir fin qui.
— Signora Talpa, — confessò Cipollino, — forse avrei dovuto dirle subito la verità. Gliela dirò ora, tutta in una volta. Le voci che noi sentiamo vengono dalla prigione del Castello del Ciliegio, e in essa sono rinchiusi alcuni miei amici ai quali ho promesso di liberarli.
— E ha pensato che col mio aiuto…
— Appunto. Signora Talpa, ella è stata tanto buona da scavare una galleria fin qui. Sarebbe disposta a scavarne un'altra per far fuggire i miei amici?
La Talpa, riflette un momentino, poi disse:
— Va bene, accetto. Per me tutte le direzioni sono buone. Scaverò una galleria per i suoi amici.
Cipollino l'avrebbe baciata, se non avesse avuto il muso così sporco di terra che non si capiva più dove stesse la bocca.
La Talpa si rimise al lavoro e in pochi secondi la galleria fu terminata. Purtroppo, proprio nel momento in cui la Talpa si affacciava nella prigione, Mastro Uvetta stava accendendo un fiammifero per guardare l'orologio.
La fiammella impressionò talmente la povera Talpa che essa si ritirò come se le avessero schiacciato il naso: fece dietro-front e filò via per la galleria a tutto vapore.
— Arrivederla, signor Cipollino, — essa gridava fuggendo, — sei un bravo ragazzo e avrei voluto aiutarti. Ma mi dovevi avvisare che saremmo piombati in un inferno di luce. Non avresti dovuto mentirmi su questo punto.
Scappava così in fretta che dietro a lei la galleria rovinava, le pareti franavano e il cunicolo si riempiva di terriccio. Ben presto! Cipollino non udì più la sua voce. La salutò tristemente in cuor suo:
— Addio, vecchia Talpa! Il mondo è piccolo, forse un giorno ci ritroveremo e ti potrò chiedere scusa di averti ingannata.
Congedandosi così dalla sua compagna di viaggio, Cipollino si pulì alla meglio il viso col fazzoletto e saltò nella prigione, allegro e vispo come un pesce.
— Buongiorno, amici miei! — trillò con una voce che pareva uno squillo di tromba.
Figuratevi quei poveretti! Volevano mangiarlo di baci: in un momento lo ripulirono di tutto il terriccio che aveva ancora indosso, e chi lo abbracciava, chi gli dava un pizzicotto, chi gli batteva una mano sulla spalla.
— Piano, piano! — si raccomandava Cipollino, — volete farmi a pezzi?
Ci volle del bello e del buono per calmarli. Ma l'allegria si cambiò in disperazione quando Cipollino ebbe raccontato la sua avventura.
— Sicché, tu sei prigioniero tale quale come noi? — domandò Mastro Uvetta.
— Né più né meno, — disse Cipollino.
— E quando verranno le guardie ti vedranno.
— Questo non è necessario, — disse Cipollino, — posso sempre nascondermi nel violino del professore Pero Pera.
— Ma intanto chi ci farà uscire di qui? — brontolò la sora Zucca.
Nessuno rispose.
Cipollino avrebbe voluto rincorare la compagnia, ma con tutta la sua buona volontà non trovò le parole. Ed era stanco, stanco, cento volte stanco.