Cipollino fa amicizia con un Orso senza malizia

Torniamo, come si dice, un passo indietro, altrimenti non riusciremo a sapere che cosa è accaduto nella grotta.

Zucchina e Mirtillo non si potevano dar pace per la perdita della casetta. Si erano tanto affezionati a quei centodiciotto mattoni, che li consideravano come centodiciotto figli. La sventura li aveva fatti diventare amici, anzi, Zucchina aveva perfino promesso al sor Mirtillo:

— Se riusciremo a rientrare in possesso della nostra casina, verrete ad abitare con me.

Mirtillo aveva accettato con le lacrime agli occhi. Ormai Zucchina, come avrete notato, non diceva più la mia сasina, ma la nostra casina, e altrettanto faceva Mirtillo. Il quale però rimpiangeva molto anche la sua mezza forbice, la lametta arrugginita avuta in eredità dal bisnonno e le altre proprietà perdute.

Una volta litigarono perfino per stabilire chi dei due volesse più bene alla casina. Il sor Zucchina sosteneva che Mirtillo non poteva volerle bene quanto lui:

— Io ho sudato tutta la vita per costruirla.

— Ma ci avete abitato così poco: io invece ci ho abitato quasi una settimana.

Questi litigi però finivano presto. Presto infatti scendeva la sera e c'era troppo da pensare a tenere indietro i lupi per stare a discutere di proprietà immobiliari.

In quel bosco c'erano lupi, orsi ed altre fiere selvagge, ed ogni sera bisognava accendere un gran fuoco attorno alla grotta per sventarne gli assalti.

I lupi venivano fino a pochi metri dalla grotta e lanciavano occhiate terribili alla sora Zucca, che essendo tonda e grassa prometteva di essere un bel boccone.

— E' inutile che mi guardiate tanto, — gridava indignata la sora Zucca, — non è ancora nato il lupo che mi mangerà.

Alla fine i lupi avevano tanta fame che si facevano supplichevoli.

— Sora Zucca, — bisbigliavano attraverso il fuoco, — ci dia almeno un dito. Che cos'è un dito per lei? Ne ha dieci alle mani e dieci ai piedi, e in tutto fanno venti.

— Per essere dei lupi selvaggi, — rispondeva la sora Zucca, — sapete bene l'aritmetica. Ma questo non vi servirà a niente.

I lupi brontolavano un poco, poi si allontanavano e per consolarsi sbranavano tutte le lepri di passaggio.

Più tardi arrivava l'Orso, e anche lui gettava occhiate languide alla sora Zucca:

— Quanto mi piacete, signora Zucca, — diceva l'Orso.

— Anche voi mi piacete, signor Orso, ma mi piacereste di più in salmì.

— Che cosa dite mai, signora Zucca. Io invece vi mangerei arrostita, con qualche patatina fresca, e naturalmente ben condita con rosmarino, erba salvia, uno spicchio d'aglio e un pizzico di peperoncino rosso.

E l'Orso allargava le narici: gli sembrava già di avere sotto il naso il profumo di quell'arrosto.

Cipollino gli gettò una patata cruda:

— Provate intanto a saziarvi con questa.

— Ho sempre odiato le cipolle, — rispondeva l'Orso, montando su tutte le furie, — non sono capaci che di far piangere.

— Sentite, — propose Cipollino, — invece di venire tutte le sere a darci la caccia, e sapete benissimo che non serve a niente, perché abbiamo moltissimi fiammiferi, e almeno per un paio di mesi potremo accendere il fuoco alla sera e tenervi abbastanza lontano dalle nostre ossa, invece di essere nemici, vi stavo dicendo, perché non proviamo a diventare amici?

— S'è mai visto, — brontolava l'Orso, — s'è mai visto un Orso amico di una cipolla?

— Perché? — riprese Cipollino. — E perché no? Si può essere amici, su questa terra. C'è posto per tutti, per gli Orsi e per le Cipolle.

— C'è posto per tutti, quest'è vero. Ma allora perché gli uomini quando ci prendono ci mettono in gabbia? Dovete sapere che mio padre e mia madre sono chiusi nel giardino zoologico, nel palazzo del Governatore.

— Anche mio padre è prigioniero del Governatore.

A sentire che anche Cipollino aveva il padre in prigione, l'Orso cominciò ad intenerirsi.

— Ci sta da molto tempo?

— Da molti mesi, e per di più è condannato all'ergastolo, ossia non uscirà nemmeno dopo morto, perché nelle prigioni del Governatore c'è perfino il cimitero.

— Anche mio padre e mia madre sono stati condannati all'ergastolo e non usciranno di gabbia nemmeno dopo la morte, perché saranno sepolti nel giardino del Governatore, con tutti gli onori.

L'Orso sospirò.

— Se vuoi, — propose, — possiamo essere amici. In fondo non c'è nessuna ragione perché ci vogliamo male. Il mio bisnonno, il celebre Orso Macchiato, mi raccontava di aver sentito dire dai suoi vecchi che una volta si stava tutti in pace, nella foresta.

— Quei tempi potrebbero ritornare, — disse Cipollino. — Un giorno tutti saremo amici. Gli uomini e gli orsi saranno gentili gli uni con gli altri, e quando si incontreranno si caveranno il cappello.

L'Orso apparve molto imbarazzato.

— Allora, — disse, — dovrò comprarmi il cappello, perché non ce l'ho.

Cipollino rise:

— Potrete salutare alla vostra maniera, inchinandovi o dondolandovi graziosamente.

L'Orso si inchinò e si dondolò graziosamente, come aveva suggerito Cipollino. Mastro Uvetta corse a prendere la lesina per grattarsi la testa.

— Non ho mai visto un orso tanto gentile, — ripeteva sbalordito.

Il sor Pisello, come avvocato, era piuttosto sospettoso.

— Io non mi fiderei tanto, — badava a dire, — l'Orso può fingere.

Ma Cipollino non gli diede retta: fece un passaggio in mezzo al fuoco ed aiutò l'Orso a raggiungere la grotta senza bruciarsi il pelo. Poi lo presentò come suo amico ai compagni e in suo onore il professor Pero Pera, che aveva finito proprio allora di accomodare il violino, suonò un bellissimo concerto.

L'Orso si prestò gentilmente a ballare per i suoi ospiti. Fu una piacevolissima serata.

Quando l'Orso salutò per andarsene a letto, Cipollino lo accompagnò per un tratto di strada. Vedete, Cipollino era fatto così: non gli piaceva tanto parlare dei suoi guai; ma ci pensava spesso, e spesso, senza mostrarlo a nessuno, provava una gran tristezza.

Quella sera, per esempio, gli era tornato in mente il suo povero babbo prigioniero e voleva sfogarsi un poco con l'Orso.

— Che cosa faranno, — diceva Cipollino, — che cosa faranno in questo momento i nostri genitori?

— Io lo so, — rispose l'Orso. — Non sono mai stato in città, ma un fringuello amico mio vola spesso da quelle parti e mi porta notizie di mio padre e di mia madre. Dice che non dormono mai, e giorno e notte sognano la libertà. Io poi non so che cosa sia, questa libertà. Preferirei che sognassero di me. Dopotutto sono loro figlio.

— La libertà significa non avere padroni, — rispose Cipollino.

— Il Governatore non è un cattivo padrone. Il fringuello mi ha riferito che mio padre e mia madre mangiano a sazietà e si divertono a veder passare la gente davanti alla loro gabbia. Il Governatore è gentile, li ha messi in un posto dove possono veder passare moltissime persone. Tuttavia essi vorrebbero tornare al bosco. Ma lo stesso fringuello mi ha detto che la cosa è impossibile, perché le gabbie sono di ferro, e le sbarre sono solidissime.

Cipollino sospirò a sua volta.

— A chi lo dici? Quando sono stato a trovare il mio babbo prigioniero ho osservato molto attentamente le sbarre: è assolutamente impossibile fuggire. Eppure ho promesso al mio babbo di liberarlo, e un giorno o l'altro, quando sarò pronto, tenterò l'impresa.

— Tu sei un ragazzo coraggioso, — fece l'Orso, — vorrei anch'io andare a liberare i miei genitori. Ma non conosco la strada della città, ed ho paura di perdermi.

— Senti, — disse Cipollino all'improvviso, — la notte è appena cominciata. Se tu mi prendi in groppa, possiamo essere in città prima dell'alba.

— Che cosa vorresti fare? — domandò l'Orso, con un leggero tremito nella voce.

— Andiamo a trovare i tuoi genitori. Mi sembrerà di andare a trovare il mio babbo.

L'Orso non se lo fece dire due volte: si chinò in modo che Cipollino potesse salirgli in groppa, e spiccò la corsa.

Cipollino gli indicava la strada:

— A destra! — diceva, oppure: — a sinistra! — Oppure: — Passiamo dietro quella casa. Attento ora, siamo alle porte della città. Il giardino zoologico è da quella parte. Cerchiamo di far piano.

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