Il sor Pisello si svegliò al buio e credeva di essere già stato impiccato.
— Sono morto, — pensò, — e questo è certamente l'inferno. Mi stupisco solo che ci sia così poco fuoco. Anzi, non ce n'è del tutto. Strano inferno.
In quel momento sentì girare la chiave nella serratura. Si rannicchiò in un angolo, dimenticando che non avrebbe potuto fuggire, e guardò ansiosamente la porta che si apriva, aspettandosi di vedere comparire i Limoncini di guardia e il boia.
I Limoncini comparvero, ma in mezzo a loro, invece del boia, c'era il Cavalier Pomodoro in persona, legato come un salame.
II sor Pisello balzò in piedi e fece per avventarglisi addosso, ma poi si arrestò:
— Come! Siete stato arrestato anche voi?
— Arrestato? Dite pure che sono stato condannato a morte. Sarò impiccato domattina all'alba, dopo di voi. Forse non sapete che questa è appunto la Stanza degli Impiccati.
L'avvocato era molto sorpreso.
— Il Principe Limone, — continuò Pomodoro, — è molto irritato perché non gli riesce di trovare il bandolo della matassa. Sapete cos'ha fatto? Mi ha accusato davanti alle Contesse di essere il capo della cospirazione contro il Castello e mi ha fatto condannare a morte.
Il sor Pisello non sapeva se rallegrarsi o compatirlo. Infine esclamò:
— Quand'è così, Cavaliere, fatevi coraggio: moriremo insieme.
— Magra consolazione, — osservò il Cavaliere, — permettete comunque che vi domandi scusa se al vostro processo non mi sono molto interessato di voi. Capirete, ne andava della mia vita.
— Oh, ormai è acqua passata, non parliamone più, — propose gentilmente il sor Pisello. — Siamo compagni di sventura, cerchiamo di aiutarci l'un l'altro.
— Sono anch'io di questo parere, — concluse Pomodoro, evidentemente sollevato. — E sono contento che non mi abbiate serbato rancore.
Trasse di tasca una fetta di torta e la divise fraternamente con il sor Pisello, che davanti a tanta generosità non credeva ai suoi occhi. — E' tutto quello che mi hanno lasciato, — disse Pomodoro, crollando il capo con aria triste.
— Eh, così vanno le cose di questo mondo. Fino a ieri eravate praticamente il padrone del Castello e oggi non siete che un prigioniero.
Pomodoro continuò a mangiare la torta senza rispondere.
— Sapete, — disse poi, — sono quasi contento che quel Cipollino mi abbia giocato. In fondo, è un ragazzo furbo, e quel che ha fatto, lo ha fatto per nobiltà di cuore, per aiutare i poveri.
— Già, — approvò il sor Pisello.
— Chissà, — proseguì Pomodoro, — chissà dove si nascondono adesso i prigionieri evasi. Mi piacerebbe poter fare qualcosa per loro.
— Che cosa potreste fare, nelle vostre condizioni?
— Avete ragione. Del resto non so dove sono.
— Nemmeno io lo so, — disse il sor Pisello, che a vedersi trattare da Pomodoro con tanta gentilezza diventava loquace, — però so dove hanno nascosto la casa del sor Zucchina.
A sentire queste parole, il cuore del Cavaliere cessò di battere.
— Pomodoro, — si disse subito, — fai bene attenzione a ciò che dirà questo tonto: forse per te c'è ancora una speranza di salvezza.
— Davvero lo sapete? — continuò a voce alta, rivolgendosi all'avvocato.
— Lo so, certo, ma non lo dirò mai. Non voglio far del male a quella povera gente.
— Questi sentimenti vi onorano moltissimo, avvocato. Anch'io, se lo sapessi non lo direi: non vorrei che per colpa mia quei poveracci passassero altri guai.
— Quand'è così, — disse il sor Pisello, — sono contento di stringervi la mano.
Pomodoro gli tese la mano e se la lasciò stringere a lungo. Il sor Pisello ormai era in vena di chiacchierare.
— Sapete, — disse allegramente, — hanno nascosto la casetta a due passi dal Castello e sono stati tutti così stupidi da non pensarci.
— E dove l'hanno nascosta? — domandò Pomodoro con aria di niente.
— A voi ormai lo posso dire, — rise il sor Pisello, — domani morrete con me e porteremo il segreto nella tomba.
— Certo, sapete benissimo che moriremo all'alba e le nostre ceneri saranno disperse al vento.
A questo punto il sor Pisello si accostò ancora di più al suo compagno di prigionia e, bisbigliandogli nelle orecchie, gli rivelò che la casa del sor Zucchina si trovava nel bosco, ed era affidata alle cure del sor Mirtillo.
Pomodoro lo lasciò finire di parlare, poi gli prese la mano, gliela strinse calorosamente ed esclamò:
— Mio caro amico, vi ringrazio molto di avermi confidato questa importante notizia. Voi mi salvate la vita.
— Io vi salvo la vita? Avete voglia di scherzare?
— Niente affatto, — gridò Pomodoro, rialzandosi. Andò alla porta e battè coi pugni fin che i Limoncini di guardia gli vennero ad aprire:
— Portatemi subito alla presenza del Principe Limone, — ordinò con il suo solito tono arrogante, — gli devo fare importanti rivelazioni.
Difatti il Cavaliere rivelò ogni cosa al Principe, che non stava nella pelle dalla contentezza. Fu deciso che il mattino seguente, subito dopo l'esecuzione del sor Pisello, sarebbero andati nel bosco a prendere la casa.