Ciliegino, per una volta, a don Prezzemolo si rivolta

Il Castello era un po' in cima alla collina ed era circondato da un gran parco. C'era un cartello che da una parte diceva: «Vietato l'ingresso»— e dall'altra parte diceva invece: «Vietata l'uscita».

Una parte era destinata ai ragazzi del villaggio, perché non gli venisse la tentazione di scavalcare l'inferriata per andare a giocare sotto gli alberi del parco; l'altra era per Ciliegino, perché non gli venisse la tentazione di scappare nel villaggio a imbrancarsi con i figli dei poveri.

Ciliegino passeggiava solo soletto, stando bene attento a non calpestare le aiuole e a non rovinare i fiori. Difatti il suo precettore, don Prezzemolo, aveva fatto mettere dappertutto dei cartelli, su cui c'era scritto quello che Ciliegino poteva fare e quello che non poteva fare.

Per esempio, vicino alla vasca dei pesci rossi c'era questo cartello:

«E' vietato a Ciliegino mettere le mani nella vasca».

E c'era anche quest'altro:

«E' vietato ai pesci rivolgere la parola a Ciliegino».

In mezzo alle aiuole fiorite c'erano cartelli come questo:

«Ciliegino non deve toccare i fiori, altrimenti resterà senza frutta».

Oppure, come questo:

«Guai a Ciliegino se calpesta l'erba dovrà scrivere duemila volte: io sono un ragazzo bene educato».

Questi cartelli erano un'idea di don Prezzemolo, che non era un prete, ma il precettore di Ciliegino.

Il nostro Visconte aveva chiesto alle nobili zie il permesso di andare alla scuola del villaggio, insieme a tutti i ragazzi che vedeva andare e tornare dalla scuola, agitando gloriosamente le cartelle come bandiere. Ma Donna Prima era inorridita:

— Un Conte del Ciliegio nello stesso banco di un contadino? Giammai!

Donna Seconda aveva ribadito:

I pantaloni di un Conte del Ciliegio sul legno di un volgare banco di scuola? Non sarà mai!

Così era stato affittato un maestro privato, per l'appunto don Prezzemolo, chiamato a quel modo perché saltava sempre fuori da tutte le parti.

Se Ciliegino, nel fare il compito, osservava una mosca che era entrata in una macchia d'inchiostro e voleva imparare a scrivere, saltava fuori da chissà dove don Prezzemolo, si soffiava il naso in un fazzolettone a quadri rossi e azzurri e cominciava:

— Guai a quei ragazzi che guardano le mosche! Si comincia sempre così. Poi una mosca tira l'altra, si comincia a guardare anche il ragno, poi il gatto, poi tutti gli altri animali e ci si dimentica di studiare la lezione. Chi non studia la lezione non può diventare un bravo bambino. Chi non diventa un bravo bambino non diventa un brav'uomo. E chi non è un brav'uomo va in prigione. Ciliegino, se non vuoi finire in prigione, smettila di guardare quella mosca.

Se Ciliegino apriva il suo albo per disegnare qualche bella figura, saltava fuori chissà da dove don Prezzemolo, si soffiava il naso e cominciava:

— Guai a quei ragazzi che perdono il tempo a disegnare le belle figure. Che cosa potranno diventare da grandi? Al più al più degli imbianchini, cioè persone sudice e malvestite che girano giorno e notte a insudiciare i muri e perciò finiscono in prigione come si meritano. Ciliegino, vuoi tu finire in prigione?

Per paura della prigione, Ciliegino non sapeva a che santo votarsi.

Per fortuna qualche volta don Prezzemolo non poteva saltar fuori da nessuna parte, perché era andato a fare un pisolino o perché indugiava a tavola a discorrere con la bottiglia. In quei pochi istanti Ciliegino era finalmente libero. Don Prezzemolo se ne rese conto, e fece mettere tutti quei cartelli di cui ho parlato: con questo sistema, poteva dormire un'oretta di più, sicuro che intanto il suo pupillo non perdeva tempo e, passeggiando per il parco, imparava utili lezioni.

Ma Ciliegino, quando passava vicino ai cartelli, si toglieva gli occhiali, così non vedeva quel che c'era scritto e poteva continuare tranquillamente a pensare ai casi suoi.

Mentre dunque Ciliegino passeggiava nel parco, si sentì chiamare da due voci squillanti come campanelli.

— Signor Visconte! Signor Visconte!

Si mise gli occhiali e vide un ragazzo della sua età, piuttosto malvestito ma dal viso chiaro e simpatico, e una ragazzina di forse dieci anni, coi capelli raccolti in un codino che le stava sempre in piedi sulla testa.

Ciliegino si inchinò cerimoniosamente e disse:

— Buongiorno, signori. Io non ho l'onore di conoscerli, ma farei volentieri la loro conoscenza.

— Allora perché non vieni più vicino?

— Non posso. Don Prezzemolo non vuole che io parli con i ragazzi del villaggio.

— Ma ormai abbiamo già parlato.

— Quand'è così, vengo subito.

Ciliegino era timido e bene educato, ma nei momenti decisivi sapeva prendere decisioni eroiche. Entrò decisamente nell'erba, calpestandola con tutta la forza delle sue gambette e si avvicinò all'inferriata.

— lo mi chiamo Ravanella, — si presentò la bambina. — E questo è Cipollino.

— Molto piacere, signorina. Molto piacere, signor Cipollino. Ho già sentito parlare di lei dal Cavalier Pomodoro.

— Ecco uno che mi mangerebbe senza neanche condirmi.

— Proprio così. Appunto per questo mi sono figurato che lei doveva essere una simpaticissima persona. E vedo che non mi sono sbagliato.

Cipollino sorrise:

— Benissimo. Allora perché stai facendo tanti salamelecchi e mi dai del lei come se fossi un vecchio cortigiano in parrucca? Diamoci del tu.

Ciliegino si ricordò improvvisamente di un cartello che stava sulla porta del pollaio, e dove don Prezzemolo aveva fatto scrivere «Non si deve dar del tu a nessuno», perché aveva sorpreso una volta Ciliegino a conversare confidenzialmente con le galline. Tuttavia decise di passar sopra anche a quel cartello, com'era passato sopra l'erba e rispose:

— D'accordo. Diamoci del tu. Chissà come gli fischieranno le orecchie, a don Prezzemolo.

Risero tutti e tre allegramente. Sulle prime Ciliegino rideva appena appena con un angolo della bocca, ricordandosi di un cartello di don Prezzemolo che diceva— «E' vietato ridere il lunedì, il martedì, il mercoledì, il giovedì, il venerdì, il sabato e la domenica». Ma poi, vedendo Cipollino e Ravanella che ridevano senza ritegno, si lasciò andare e rise a pieni polmoni.

Una risata così lunga e così allegra, al Castello del Ciliegio non si era mai sentita. Le nobili Contesse, in quel momento, sedevano nella veranda a bere il té.

Donna Prima udì la risata ed osservò:

— Sento uno strano rumore.

Donna Seconda accennò col capo:

— Lo sento anch'io. Dev'essere la pioggia.

— Ti faccio notare che non piove affatto, — disse Donna Prima, con aria sentenziosa.

— Se non piove, pioverà, — ribattè Donna Seconda con decisone, alzando il capo per trovare conferma nel cielo. Il cielo però era limpido come se fosse stato scopato e lavato dalla nettezza urbana cinque minuti prima: non si vedeva una nuvola per scommessa.

— Io dico che è la fontana, — ricominciò Donna Prima.

— La fontana non può essere: è rotta e non da acqua.

— Si vede che il giardiniere l'ha riparata.

Ma il giardiniere non si era nemmeno accorto che la fontana era rocca.

Anche Pomodoro aveva udito quello strano rumore, e non era per niente tranquillo.

— Nelle prigioni del castello, — pensava, — ci sono molti prigionieri. Bisogna vigilare, se non vogliamo avere sorprese.

Desise di fare un giretto d'ispezione nel parco e dietro il Castello, dove passava la strada del villaggio, scoprì i tre ragazzi in allegra conversazione.

Se il cielo si fosse aperto, e gli angeli fossero rotolati giù l'uno sull'altro, la sorpresa di Pomodoro non sarebbe stata maggiore. Ciliegino che calpestava l'erba! Ciliegino che parlava con due straccioni!

In uno di quei due straccioni, poi, Pomodoro ravvisò addirittura il monello che lo aveva fatto piangere abbondantemente. Montò in furore e diventò così rosso che se fossero passati di lì i pompieri avrebbero dato mano alle pompe per spegnerlo.

— Signor Visconte! — chiamò con voce terribile. Ciliegino si volse, impallidì, si strinse all'inferriata.

— Amici, — bisbigliò, — scappate, prima che Pomodoro possa farvi del male.

Cipollino e Ravanella scapparono, senza smettere di ridere.

— Per questa volta, — osservò Ravanella, — la nostra spedizione non è riuscita.

Ma Cipollino non la pensava così:

— E chi te l'ha detto? Abbiamo conquistato un amico, e questo non è poco.

Il loro nuovo amico, intanto, si preparava a subire le lavate di capo di Pomodoro, di don Prezzemolo, di Donna Prima, di Donna Seconda e di tutto il parentado. Il povero ragazzo si sentiva infelice come non mai.

Per la prima volta egli aveva trovato due amici, per la prima volta in vita sua aveva riso di cuore, ed ecco che doveva perdere tutto di nuovo: Cipollino e Ravanella erano scappati giù per la collina e forse non li avrebbe più rivisti. Quanto avrebbe dato per essere con loro, là fuori, dove non c'erano cartelli, dove si potevano calpestare i prati e cogliere i fiori!

Per la prima volta nel cuore di Ciliegino c'era quella cosa strana e terribile che si chiama dolore. Era una cosa troppo grande per lui, e Ciliegino sentì che non l'avrebbe potuta sopportare. Si gettò a terra e cominciò a singhiozzare disperatamente.

Pomodoro lo raccolse, se lo mise sotto il braccio come un fagottello, e si avviò su per il viale.

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