Erano circa le tre del mattino, ora locale; il cielo era coperto di nuvole, e il bosco era fitto, e quel mondo notturno mi pareva grigio, piatto e fangoso, come una vecchia fotografia sporca.
Ovviamente, lui mi trovò per primo e, probabilmente, per cinque minuti, forse per dieci, mi seguì per un sentiero parallelo, nascondendosi nel folto sottobosco. Quando finalmente mi accorsi di lui, lui lo capì quasi all’istante e subito si trovò sul sentiero davanti a me.
— Sono qui, — annunciò.
— Lo vedo, — dissi.
— Parliamo qui.
— Va bene.
Si sedette proprio come un cane che parli col suo padrone, un cane grosso, robusto, dal gran testone e le piccole orecchie triangolari ritte, con grandi occhi rotondi sotto l’ampia fronte massiccia. Aveva la voce un po’ rauca, e parlava senza il minimo accento, per cui solo le frasi brevi, spezzettate e la precisione un po’ eccessiva nell’articolare facevano capire che era uno straniero. E ancora: puzzava. Ma non di cane bagnato, come ci si poteva aspettare; era un odore di tipo inorganico, qualcosa di simile alla califolia riscaldata. Uno strano odore, più di un meccanismo che di un essere vivente. Su Sarakš, mi ricordo, i Testoni avevano tutto un altro odore.
— Che cosa vuoi? — chiese.
— Ti hanno detto chi sono?
— Sì. Sei un giornalista. Scrivi un libro sul mio popolo.
— Non è proprio così. Scrivo un libro su Lev Abalkin. Lo conosci.
— Tutto il mio popolo conosce Lev Abalkin. Questa era una novità.
— E cosa ne pensa il tuo popolo di Lev Abalkin?
— Il mio popolo non pensa niente di Lev Abalkin. Lo conosce.
A quanto pare, qui cominciavano le sabbie mobili linguistiche.
— Volevo dire: qual è l’opinione del tuo popolo su Lev Abalkin?
— Lo conosce. Ognuno. Dalla nascita fino alla morte.
Mi consigliai con il giornalista Kammerer e decisi di lasciar perdere questo argomento. Chiesi:
— Che cosa puoi raccontare su Lev Abalkin?
— Niente, — rispose brevemente.
Ecco quello che temevo più di tutto. Lo temevo talmente che nel subconscio avevo respinto persino la possibilità di trovarmi in una tale situazione e vi ero assolutamente impreparato. Mi confusi nel modo più penoso, e lui intanto si portò la zampa anteriore al muso e cominciò a succhiarsela rumorosamente in mezzo alle unghie. Non come fanno i cani, ma piuttosto come fanno i gatti.
Comunque avevo sufficiente autocontrollo. Capii in tempo che, se quel cane sapiens veramente non avesse voluto avere a che fare con me, avrebbe semplicemente rifiutato di incontrarmi.
— So che Lev Abalkin è un tuo amico, — dissi. — Avete vissuto e lavorato insieme. Moltissimi terrestri vorrebbero sapere che cosa pensa di Abalkin il suo amico e collaboratore Testone.
— Perché?
— È un’esperienza.
— Un’esperienza inutile.
— Non esistono esperienze inutili.
Ora si dedicò all’altra zampa e dopo qualche secondo bofonchiò in modo poco chiaro:
— Fa’ delle domande concrete.
Ci pensai su.
— So che l’ultima volta hai lavorato con Abalkin quindici anni fa. Dopo di allora ti è capitato di lavorare con altri terrestri?
— Mi è capitato. Molte volte.
— Hai sentito una differenza?
Facendo questa domanda, non avevo in mente niente di particolare. Ma Ščekn all’improvviso restò immobile, poi abbassò lentamente la zampa e sollevò la testa dall’ampia fronte. Per un attimo gli occhi si. illuminarono di una fosca luce rossa. Tuttavia, non era passato un secondo, che di nuovo si accingeva a rosicchiarsi le unghie.
— È difficile dirlo, — bofonchiò. — I lavori erano diversi, le persone pure erano diverse. È difficile.
Era stato evasivo. Perché? La mia innocente domanda lo aveva costretto quasi a fare un passo falso. Si era smarrito per un secondo intero. Oppure era di nuovo un problema di linguistica? La linguistica in genere non è una cattiva cosa. All’attacco. Direttamente in fronte.
— Ti sei incontrato con lui, — annunciai. — Lui ti ha chiamato di nuovo a lavorare. Hai accettato?
Poteva significare: «Se ti fossi incontrato con lui, e lui ti avesse di nuovo invitato ad andare a lavorare con lui, tu avresti accettato?». Oppure: «Ti sei incontrato con lui, e lui (come mi è noto) ti ha invitato ad andare a lavorare con lui. Hai dato il tuo assenso?». Linguistica. Non discuto, era una manovra piuttosto misera, ma che cosa mi restava da fare?
E la linguistica mi diede una mano.
— Non mi ha invitato a lavorare con lui, — ribatté Ščekn.
— Allora di che cosa avete parlato? — mi meravigliai, coltivando il mio successo.
— Del passato, — brontolò. — Non interessa a nessuno.
— Come ti è sembrato, — chiesi, asciugandomi mentalmente il sudore sulla fronte, — è cambiato molto in quindici anni?
— Anche questo non interessa nessuno.
— Ma no. È molto interessante. L’ho visto anch’io da poco e ho visto che è molto cambiato. Ma io sono un terrestre, vorrei conoscere il tuo parere.
— Il mio parere è: sì.
— Ecco, vedi! — mi meravigliai con sincerità. — E con me ha parlato solo dei Testoni…
Gli occhi gli si illuminarono di nuovo di rosso. Capii che le mie parole di nuovo lo colpivano.
— Che cosa ti ha detto?
— Abbiamo discusso su chi fra i terrestri abbia fatto di più per i contatti con il popolo dei Testoni.
— E poi?
— E poi basta. Solo di questo.
— Quando è stato?
— L’altro ieri. E tu perché hai deciso che non ha più niente a che fare con il popolo dei Testoni?
Annunciò all’improvviso:
— Stiamo perdendo tempo. Non fare domande inutili. Fa’ le domande giuste.
— Va bene. Faccio una domanda giusta: dove si trova ora?
— Non lo so.
— Che cosa si proponeva di fare?
— Non so.
— Che cosa ti ha detto? Mi interessa ogni sua parola.
Ed a questo punto Ščekn assunse una posizione strana, direi innaturale: si accoccolò sulle zampe in tensione, allungò il collo e mi fissò dal basso in alto. Poi, facendo lentamente oscillare la pesante testa a destra e a sinistra, disse, spiccicando chiaramente le parole:
— Ascolta con attenzione, cerca di capire bene, e non dimenticarlo. Il popolo della Terra non si immischia negli affari del popolo dei Testoni. Il popolo dei Testoni non si immischia negli affari del popolo della Terra. Così è sempre stato, così è e così sarà. L’affare Lev Abalkin riguarda il popolo della Terra. È stato deciso. Perciò: non cercare quello che non c’è. Il popolo dei Testoni non darà asilo a Lev Abalkin.
Ma guarda un po’! Mi sfuggì:
— Ha chiesto asilo? Da voi?
— Ho detto solo quello che ho detto: il popolo dei Testoni non darà mai asilo a Lev Abalkin. Niente altro. Hai capito?
— Ho capito. Ma non mi interessa. Ripeto la domanda: che cosa ti ha detto?
— Risponderò. Ma prima ripeti quello che ti ho detto.
— Va bene, ripeto. Il popolo dei Testoni non si immischia nell’affare Abalkin e rifiuta di concedergli asilo. Va bene?
— Va bene. Questa è la cosa principale.
— Ora rispondi alla mia domanda.
— Rispondo. Mi ha chiesto se c’è differenza fra lui e gli altri uomini con cui ho lavorato. Proprio la stessa domanda che mi hai fatto anche tu.
Appena finito di parlare, si girò e scivolò nella boscaglia. Non si sentì frusciare nemmeno un ramo, nemmeno una foglia, e non c’era più. Era sparito.
Che tipo questo Ščekn! «…Gli ho insegnato la nostra lingua e ad utilizzare la linea di approvvigionamento. Non l’ho mai lasciato quando era ammalato di quelle sue strane malattie… Ho sopportato le sue cattive maniere, le sue espressioni brusche, gli ho perdonato cose che non ho mai perdonato a nessuno… Se occorresse, mi batterei per lui, come per un terrestre, come per me stesso. E lui? Non so…» Che tipo questo Ščekn-Itrč!