Una fredda brezza primaverile solleticava il volto di Perrin. Una brezza del genere avrebbe dovuto portare con se gli odori di polline e fresca rugiada mattutina, di suolo rivoltato da germogli che si spingevano fino alla luce, di nuova vita e di una terra rinata.
Questa brezza portava con se solo gli odori di sangue e morte.
Perrin le voltò le spalle, si inginocchiò ed esaminò le ruote del carro. Il veicolo era costruito di robusto legno di noce, scurito dal tempo. Pareva essere in buono stato, ma Perrin aveva imparato a essere cauto quando si trattava di equipaggiamento preso da Malden.
Gli Shaido non disprezzavano carretti e buoi come facevano coi cavalli, ma, come tutti gli Aiel preferivano nel viaggiare leggeri. Non avevano mantenuto efficienti carri o carretti, e Perrin aveva trovato più di un difetto nascosto durante la sua ispezione.
«Il prossimo!» gridò mentre controllava il mozzo della prima ruota. Il commento era diretto alla folla di persone che attendevano di parlare con lui.
«Mio signore» disse una voce. Era roca e profonda, come legno che sfregava contro legno. Gerard Arganda, primo capitano di Ghealdan. Il suo odore era quello di armatura ben oliata.
«Devo insistere stilla questione della nostra partenza. Permettimi di cavalcare avanti con Sua Maestà.»
La ‘Sua Maestà ‘ a cui si riferiva era Alliandre, regina di Ghealdan. Perrin continuò a lavorare con la ruota; il lavoro del carpentiere non gli era familiare come quello del fabbro, ma suo padre aveva insegnato a ciascuno dei suoi figli a riconoscere possibili difetti in un carro. Meglio aggiustarlo prima di partire che rimanere appiedati a metà strada. Perrin fece scorrere le dita lungo il liscio legno marrone. Le venature erano chiaramente visibili, e le sue dita le saggiarono in cerca di fratture, tastando ogni punto di pressione. Tutte e quattro le ruote parevano in buono stato.
«Mio signore?» chiese Arganda.
«Marciamo tutti assieme» disse Perrin. «Questi sono i miei ordini, Arganda. Non lascerò che i profughi pensino che li stiamo abbandonando.»
Profughi. Ce n’erano oltre centomila a cui provvedere. Centomila! Luce, erano molti di più degli abitanti dei Fiumi Gemelli. E Perrin aveva il compito di nutrirli tutti quanti. Carri. Molti uomini non comprendevano l’importanza di un buon carro. Si stese sulla schiena, preparandosi a esaminare gli assali, e questo gli fornì una visuale del cielo coperto, in parte bloccata dalle vicine mura cittadine di Malden.
La città era grande per essere così a nord nell’Altara. Era quasi più una fortezza che una città , con mura e torri imponenti. Fino al giorno prima, la terra attorno a questa città aveva ospitato gli Aiel Shaido, ma ora non cerano piu’. Molti erano stati uccisi, altri erano fuggiti, i loro prigionieri erano stati liberati da un’alleanza fra le forze di Perrin e i Seanchan.
Gli Shaido gli avevano lasciato due cose: odore di sangue nell’aria e centomila profughi a cui provvedere. Anche se era lieto di aver ridato loro la libertà , il suo obiettivo a Malden era stato diverso: salvare Faile.
Un altro gruppo di Aiel era avanzato verso la sua posizione, ma avevano rallentato, poi si erano accampati e non si stavano più affrettando verso Malden. Forse erano stati avvisati dagli Shaido fuggiti dalla battaglia che davanti a loro c’era un grosso esercito, uno che li aveva sconfitti nonostante le loro incanalatoci. Pareva che questo nuovo gruppo dietro Perrin non avesse un gran desiderio di attaccare lui quanto invece lui l’aveva di attaccare loro.
Quello gli dava tempo. Almeno un po’.
Arganda stava ancora osservando. Il capitano indossava il suo pettorale lucidato e aveva l’elmo a fessura sottobraccio. Quell’uomo tarchiato non era un ufficiale montato e vanesio, ma un uomo comune che aveva conseguito i suoi gradi uno a uno. Combatteva bene e faceva come gli veniva ordinato. Di solito.
«Non ho intenzione di cedere su questo, Arganda» disse Perrin, trascinandosi lungo il terreno umido sotto il carro.
«Non potremmo almeno usare dei passaggi?» chiese Arganda, inginocchiandosi, con i capelli ingrigiti — tagliati corti — che quasi sfioravano il terreno mentre scrutava sotto il carro.
«Gli Asha’man sono quasi morti dalla fatica» sbottò Perrin. «Lo sai.»
«Sono troppo stanchi per intessere un passaggio ampio,» disse Arganda «ma forse potrebbero inviare un piccolo gruppo. La mia signora è esausta per la sua prigionia! Di certo non avrai intenzione di farla marciare!»
«Anche i rifugiati sono stanchi» disse Perrin. «Alliandre può avere un destriero da cavalcare, ma partirà quando lo farà il resto di noi. Voglia la Luce che sia presto.» Arganda sospirò, ma annuì. Si alzò in piedi mentre Perrin passava le dita lungo l’assale. Poteva percepire la tensione nel legno con un’occhiata, ma preferiva toccare. Il tatto era più affidabile. C’erano sempre una frattura o delle schegge dove il legno si indeboliva, e si poteva sentire se era prossimo alla rottura. In quel senso il legno era affidabile. A differenza degli uomini. A differenza di lui stesso.
Digrignò i denti. Non voleva pensare a quello. Doveva continuare a lavorare, doveva continuare a fare qualcosa per distrarsi. Gli piaceva lavorare. Di recente aveva avuto poche opportunità di farlo. «Il prossimo!» disse, la sua voce che riverberava contro il fondo del carro.
«Mio signore, dovremmo attaccare!» dichiarò una voce impetuosa accanto al veicolo. Perrin appoggiò di nuovo la testa contro l’erba ben calpestata, chiudendogli occhi. Bertain Gallenne, lord capitano delle Guardie Alate, era per Mayene quello che Arganda era per Ghealdan. A parte quell’unica somiglianza, i due capitani erano completamente diversi. Perrin poteva vedere i grossi stivali stupendamente lavorati di Bertain, con fibbie a forma di falchi, da sotto il carro.
«Mio signore,» continuò Bertain «un’abile carica delle Guardie Alate sbaraglierebbe quella marmaglia Aiel, ne sono certo. Insomma, abbiamo avuto ragione facilmente degli Aiel qui nella città.»
«Allora avevamo con noi i Seanchan» disse Perrin, terminando con l’assale posteriore e strisciando verso il davanti per controllare quello anteriore. Indossava la sua vecchia giacca macchiata. Faile lo avrebbe rimproverato per questo. Avrebbe dovuto avere l’aspetto di un lord. Ma lei si aspettava davvero che indossasse una giacca elegante se doveva trascorrere un’ora steso sull’erba fangosa a controllare il fondo dei carri?
Faile non avrebbe voluto che stesse sull’erba fangosa, tanto per cominciare. Perrin esitò, la mano sull’assale anteriore, pensando ai suoi capelli corvini e al caratteristico naso saldeano. Era la totalità del suo amore. Era tutto per lui.
Ce l’aveva fatta: l’aveva salvata. Perciò perché si sentiva come se la situazione fosse quasi pessima come prima? Avrebbe dovuto gioire, avrebbe dovuto essere in estasi, sentirsi sollevato. Si era preoccupato così tanto per lei durante la sua prigionia. Eppure, adesso che era al sicuro, tutto gli dava comunque una sensazione sbagliata. In un modo o nell’altro. Per ragioni che non riusciva a spiegare.
Luce! Perche nulla andava mai come doveva? Abbassò una mano verso la tasca, volendo tastare la corda annodata che una volta aveva tenuto lì. Ma l’aveva gettata via. Smettila!, pensò. Lei è di nuovo con te. Tutto può tornare com’era prima fra noi. Non è così?
«Sì, be’,» proseguì Bertain «suppongo che la partenza dei Seanchan possa costituire un problema in un attacco. Ma quel gruppo di Aiel accampato là fuori è più piccolo di quello che abbiamo già sconfitto. E, se sei preoccupato, puoi inviare un messaggio a quel generale Seanchan e riportarla indietro. Di sicuro vorrebbe combattere di nuovo al nostro fianco!» Perrin si costrinse a tornare al presente. I suoi sciocchi problemi erano irrilevanti; adesso quello di cui aveva bisogno era far muovere questi carri. L’assale anteriore andava bene. Si voltò e si spinse fuori da sotto il vagone.
Bertain era di media statura, anche se le tre piume sul suo elmo lo facevano sembrare più alto. Portava la sua benda rossa per l’occhio — Perrin non sapeva dove l’avesse perso — e la sua armatura scintillava. Pareva eccitato, come se il silenzio di Perrin volesse dire che avrebbero attaccato.
Perrin si alzò in piedi, togliendosi la polvere dai suoi semplici pantaloni marroni. «Partiamo» disse, poi sollevò una mano per impedire altre obiezioni. «Abbiamo sconfitto le sette qui, ma le avevamo drogate con la radice biforcuta e avevamo delle damane dalla nostra parte. Siamo stanchi, feriti, e abbiamo di nuovo Faile. Non ci sono ulteriori motivi per combattere. Ce ne andiamo.»
Bertain non pareva soddisfatto, ma annuì e si voltò, diretto a passi pesanti sul terreno fangoso verso il punto dove i suoi uomini erano in sella ai loro destrieri. Perrin guardò il piccolo capannello di persone assiepate attorno al carro per parlare con lui. Una volta questo tipo di faccende lo aveva frustrato. Pareva un compito inutile, dato che molti dei supplicanti sapevano quale sarebbe stata la sua risposta.
Ma avevano bisogno di udire quelle risposte da lui, e Perrin era giunto a comprendere l’importanza di quel fatto. Inoltre le loro domande contribuivano a distrarlo dalla strana tensione che provava nell’aver liberato Faile.
Si diresse verso il carro successivo della fila, col suo piccolo seguito alle spalle. I carri disposti in un lungo convoglio erano una cinquantina buona. I primi erano colmi di oggetti recuperati da Malden; quelli nel mezzo stavano venendo caricati allo stesso modo, e gliene rimanevano solo due da esaminare. Voleva essere ben lontano da Malden prima del tramonto. Probabilmente sarebbe stato sufficiente a portarli al sicuro.
A meno che questi nuovi Shaido non avessero deciso di inseguirli per vendetta. Col numero di persone che Perrin doveva spostare, anche un cieco sarebbe stato in grado di rintracciarli.
Il sole calava verso l’orizzonte, un punto luminoso dietro la coltre di nubi. Per la Luce, che confusione, col caos di organizzare i profughi e separare gli accampamenti degli eserciti. E partire doveva essere la parte semplice!
L’accampamento degli Shaido era un disastro. La sua gente aveva recuperato e messo via molte delle tende abbandonate. Ora sgombro, il terreno attorno alla città non era altro che fango ed erbacce calpestate, disseminato di rifiuti. Gli Shaido, essendo Aiel, avevano preferito accamparsi fuori dalle mura cittadine, piuttosto che all’interno. Erano uno strano popolo, questo era innegabile. Chi avrebbe disprezzato un buon letto, per non parlare di una posizione militarmente migliore, per restare fuori nelle tende?
Gli Aiel disprezzavano le città , però. Molti degli edifici erano stati bruciati nel corso dell’iniziale assalto degli Shaido oppure saccheggiati in cerca di ricchezze. Porte abbattute, finestre rotte, oggetti abbandonati per le strade e calpestati da gai’shain che correvano avanti e indietro per andare a prendere l’acqua.
Le persone formicolavano in giro come insetti, muovendosi attraverso i cancelli cittadini e attorno all’ex campo degli Shaido, afferrando quello che potevano per riporto e portarlo con se. Avrebbero dovuto lasciare indietro i carri una volta che avessero deciso di Viaggiare — Grady non era in condizioni di creare un passaggio abbastanza grande da far passare un carro —, ma per ora quei mezzi sarebbero stati un grosso aiuto. C’erano anche parecchi buoi; qualcun altro si stava occupando di esaminarli, accertandosi che fossero in forma per tirare i carri. Gli Shaido avevano lasciato andare molti dei cavalli della città. Un peccato, quello. Ma bisognava usare quello che si aveva a disposizione.
Perrin raggiunse il carro successivo, iniziando la sua ispezione con il lungo timone a cui sarebbero stati imbrigliati i buoi. «Il prossimo!»
«Mio signore,» disse una voce stridula «credo di essere io il prossimo.»
Perrin lanciò un’occhiata a chi aveva parlato: Sebban Balwer, il suo segretario. Quell’uomo aveva un volto asciutto ed emaciato e una perpetua posa ingobbita che lo faceva sembrare simile a un avvoltoio appollaiato. Anche se la sua giacca e le sue brache erano pulite, a Perrin sembrava che dovessero spargere sbuffi di polvere ogni volta che Balwer faceva un passo. Odorava di muffa, come un vecchio libro.
«Balwer,» disse Perrin, facendo scorrere le dita sopra il timone, poi controllando le cinghie dei finimenti «pensavo che stessi parlando con i prigionieri.»
«In effetti sono stato impegnato con il mio lavoro lì» disse Balwer. «Però mi sono incuriosito. Dovevi proprio lasciare che i Seanchan prendessero tutte le incanalatrici Shaido catturate con se?»
Perrin lanciò un’occhiata all’ammuffito segretario. Le Sapienti in grado di incanalare erano state rese incoscienti dalla radice biforcuta; erano state consegnate ai Seanchan ancora prive di sensi, perché facessero di loro quello che volevano. La decisione non aveva contribuito alla popolarità di Perrin fra i suoi alleati Aiel, ma non voleva che quelle incanalatrici se ne andassero in giro libere di vendicarsi di lui.
«Non capisco perché avrei dovuto tenerle con me» disse a Balwer.
«Be’, mio signore, ci sono molte cose di grande interesse da apprendere. Per esempio, pare che molti degli Shaido si vergognino per il comportamento del loro clan. Le Sapienti stesse erano in disaccordo. Inoltre hanno avuto relazioni con alcuni individui molto curiosi che hanno offerto loro oggetti di potere dall’Epoca Leggendaria. Chiunque fossero, erano in grado di creare passaggi.»
«Reietti» disse Perrin con una scrollata di spalle, abbassandosi su un ginocchio per controllare la ruota anteriore destra. «Dubito che scopriremo quali. Probabilmente erano travestiti.»
Con la coda dell’occhio, vide Balwer increspare le labbra a quel commento.
«Non sei d’accordo?» chiese Perrin.
«No, mio signore» disse. «Gli ‘oggetti’ dati agli Shaido sono molto sospetti, secondo le mie stime. Gli Aiel sono stati raggirati, anche se non riesco a capire per quale ragione. Comunque, se avessimo più tempo per perlustrare la città …»
Luce! Ogni persona nell’accampamento aveva intenzione di chiedergli qualcosa che sapeva di non poter avere? Si mise per terra per controllare il retro del mozzo della ruota. Qualcosa in esso lo turbò. «Sappiamo già che i Reietti si oppongono a noi, Balwer. Di certo non accoglieranno Rand a braccia aperte perché li rinchiuda di nuovo, o qualunque cosa lui abbia intenzione di fare.»
Dannati colori, che gli mostrarono Rand nella mente! Li spinse via di nuovo. Apparivano ogni volta che pensava a Rand o a Mat, portandogli visioni di loro.
«Comunque,» proseguì Perrin «non capisco cosa vuoi che faccia. Porteremo i gai’shain degli Shaido con noi. Le Fanciulle ne hanno catturati un buon numero. Puoi interrogare loro. Ma noi ce ne andremo di qui.»
«Sì, mio signore» disse Balwer. «Solo che è un peccato aver perso quelle Sapienti. Stando alla mia esperienza, fra gli Aiel sono coloro che dispongono di maggior… comprensione.»
«I Seanchan le volevano» disse Perrin. «E le hanno ottenute. Non ho permesso a Edarra di farmi desistere da questo punto, e poi quel che è fatto è fatto. Cosa ti aspetti da me, Balwer?»
«Forse si potrebbe inviare un messaggio,» disse Balwer «per porre alcune domande alle Sapienti una volta sveglie. Io…» Si interruppe, poi si incurvò per guardare Perrin. «Mio signore, questa situazione tende a distrarre. Non potremmo trovare qualcun altro per ispezionare i carri?»
«Chiunque altro è troppo stanco o troppo occupato» rispose Perrin. «Voglio che la maggior parte dei profughi attenda negli accampamenti per muoversi quando daremo l’ordine di partire. E parecchi dei nostri soldati stanno perlustrando la città in cerca di provviste: ogni manciata di grano che troveranno sarà utile. Metà del cibo è comunque guasto. Io non posso aiutare con quel lavoro, dato che devo essere dove la gente può trovarmi.» L’aveva accettato, per quanto la cosa lo irritasse.
«Sì, mio signore» disse Balwer. «Ma di sicuro puoi stare in un posto accessibile senza strisciare sotto i carri.»
«È un lavoro che posso fare mentre la gente mi parla» disse Perrin. «Non hai bisogno delle mie mani, solo della mia lingua. Il quella lingua ti sta dicendo di dimenticarti degli Aiel.»
«Ma…»
«Non c’è nient’altro che posso fare, Balwer» disse Perrin con fermezza, lanciandogli un’occhiata attraverso i raggi della ruota. «Siamo diretti a nord. Ho chiuso con gli Shaido; possono essere folgorati, per quanto me ne importa.»
Balwer arricciò di nuovo le labbra e odorò un po’ irritato. «Ma certo, mio signore» disse, offrendo un rapido inchino. Poi si allontanò.
Perrin strisciò fuori e si mise in piedi, facendo un cenno col capo a una giovane donna che se ne stava con un abito sporco e scarpe lise a fianco della fila dei carri. «Và a prendere Lyncon» disse. «Digli di dare un’occhiata al mozzo di questa ruota. Penso che il supporto si sia staccato e quella dannata cosa pare sul punto di rotolare via.»
La giovane donna annuì e corse via. Lyncon era un maestro carpentiere che aveva avuto la sfortuna di far visita a dei parenti a Cairhien quando gli Shaido avevano attaccato. La sua forza di volontà era stata quasi annullata. Forse sarebbe stato lui a dover esaminare i carri, ma con quello sguardo tormentato negli occhi, Perrin non era certo di potersi fidare che l’uomo effettuasse un’ispezione adeguata. Però pareva abbastanza in grado di risolvere i problemi quando gli venivano indicati.
E la verità era che, finche Perrin continuava a muoversi, si sentiva come se stesse ottenendo qualcosa, facendo progressi. Come se non pensasse ad altre questioni. I carri erano facili da riparare. Non erano come le persone, niente affatto.
Perrin si voltò, passando in rassegna l’accampamento vuoto, punteggiato di buche per il fuoco e stracci scartati. Faile si stava dirigendo di nuovo verso la città : aveva organizzato alcuni dei suoi seguaci affinche perlustrassero la zona. Era straordinaria. Bellissima. Quella bellezza non era solo nel suo viso o nella sua figura snella; era nella facilità con cui comandava le persone, con la rapidità con cui sapeva sempre cosa fare. Era intelligente in un modo in cui Perrin non era mai stato.
Lui non era stupido; gli piaceva semplicemente riflettere sulle cose. Ma non era mai stato bravo con le persone, non come Mat o Rand. Faile gli aveva mostrato che questo non era necessario con la gente, o nemmeno con le donne, sempre che lui riuscisse a fare in modo che una persona lo comprendesse. Non doveva essere bravo a parlare con chiunque altro sempre che riuscisse a parlare con lei.
Ma ora non riusciva a trovare le parole da dire. Si preoccupava di quello che le era successo durante la sua prigionia, ma le possibilità non lo turbavano. Lo facevano adirare, ma nulla di quello che era accaduto era colpa di Faile. Facevi quello che era necessario per sopravvivere. Lui la rispettava per quella forza.
Per la Luce!, pensò. Sto meditando di nuovo! Devo continuare a lavorare.
«Il prossimo!» urlò, chinandosi per continuare la sua ispezione del carro.
«Se avessi visto il tuo volto e nient’altro, ragazzo,» disse una voce vigorosa «penserei che abbiamo perso questa battaglia.»
Perrin si voltò sorpreso. Non si era accorto che Tarn al’Thor era fra quelli che attendevano di parlare con lui. Quella folla si era assottigliata, ma c’erano ancora alcuni messaggeri e attendenti. Verso il fondo, il robusto pastore era appoggiato al suo bastone da combattimento mentre aspettava. I suoi capelli erano diventati argentei. Perrin riusciva a ricordare un tempo quando erano stati di un nero corvino. Quando Perrin era solo un ragazzo, prima che conoscesse un martello o una fucina.
Le dita di Perrin scivolarono verso il basso, toccando il martello alla sua cintura. L’aveva preferito all’ascia. Era stata la decisione giusta, ma aveva comunque perso il controllo durante la battaglia per Malden. Era quello che lo turbava? Oppure era quanto aveva goduto nell’uccidere?
«Di cosa hai bisogno, Tarn?» domandò.
«Devo solo riferire un rapporto, mio signore» rispose Tarn. «Gli uomini dei Fiumi Gemelli sono organizzati per la marcia, ciascuno con due tende sulle spalle, in caso servano. Non potevamo usare l’acqua della città per via del la radice biforcuta, perciò ho mandato dei ragazzi all’acquedotto per riempire alcuni barili lì. Ci farebbe comodo un carro per riportarli indietro.»
«D’accordo» disse Perrin sorridendo. Finalmente qualcuno che faceva qualcosa di necessario senza doverlo chiedere prima! «Dì agli uomini dei Fiumi Gemelli che intendo farli tornare a casa il prima possibile. Nel momento in cui Grady e Neald saranno abbastanza forti da creare un passaggio. Potrebbe volerci un po’ di tempo, però.»
«Lo apprezziamo, mio signore» disse Tarn. Sembrava così strano che si rivolgesse a lui con un titolo, «posso parlarti a quattrocchi per un momento, pero’?»
Perrin annuì, notando che Lyncon stava arrivando — la sua andatura claudicante era riconoscibile — per guardare il carro.
Perrin si allontanò con Tarn dal gruppo di attendenti e guardie, dirigendosi all’ombra delle mura di Malden. Del muschio verde cresceva alla base dei massicci blocchi che formavano la fortificazione; era strano che il muschio fosse di colore molto più vivace dell’erba fangosa e calpestata sotto i loro piedi. Questa primavera solo il muschio sembrava verde.
«Cosa c’è, Tarn?» chiese Perrin non appena furono a distanza sufficiente.
Tarn si sfregò il volto; gli stava spuntando una barba grigia. Perrin aveva fatto lavorare sodo gli uomini negli ultimi giorni e non c’era stato tempo per radersi. Tarn indossava una semplice giacca di lana azzurra, e la stoffa spessa era probabilmente un riparo gradito contro la brezza montana.
«I ragazzi se lo stanno domandando, Perrin» disse Tarn, un po’ meno formale adesso che erano soli. «Intendevi sul serio quello che hai detto sul lasciar perdere il Manetheren?»
«Sì» rispose Perrin. «Quello stendardo non ha portato altro che guai da quando è spuntato. Ed è bene che i Seanchan e chiunque altro lo sappiano. Io non sono un re.»
«Hai una regina che si è votata a te come tua vassalla.»
Perrin riflette sulle parole di Tarn, elaborando la risposta migliore. Una volta quel genere di comportamento aveva fatto pensare alla gente che fosse lento di comprendonio. Ora la gente supponeva che la sua ponderatezza significasse che Perrin era astuto e dalla mente acuta. Che differenza potevano fare alcune parole altisonanti prima di un nome!
«Penso che tu abbia avuto ragione in quello che hai fatto» disse Tarn sorprendentemente.
«Chiamare i Fiumi Gemelli Manetheren avrebbe procurato l’ostilità non solo dei Seanchan, ma della stessa regina dell’Andor. Avrebbe insinuato che avevi intenzione di avere più dei Fiumi Gemelli, che forse volevi conquistare tutti i territori posseduti una volta dal Manetheren.»
Perrin scosse il capo. «Non ho intenzione di conquista re nulla, Tarn. Luce! Non ho intenzione di mantenere quello che la gente dice che possiedo. Prima Elayne prenderà il suo trono e invierà un lord appropriato ai Fiumi Gemelli, meglio sarà. Potremo smetterla con tutta questa storia di ‘lord’ Perrin e le cose potranno tornare alla normalità.»
«E la regina Alliandre?» chiese Tarn.
«Potrà giurare a Elayne invece che a me» ribatte Perrin in tono ostinato. «O forse direttamente a Rand. Pare che gli piaccia impadronirsi dei regni. Come un bambino che gioca con le biglie.»
Tarn odorava preoccupato. Turbato. Perrin distolse lo sguardo. Le cose avrebbero dovuto essere più semplici. Avrebbero dovuto. «Cosa c’è?»
«Pensavo solo che avessi superato questo» disse Tarn.
«Non è cambiato nulla dai giorni prima che Faile venisse catturata» replicò Perrin. «Anche a me non piace quella bandiera con la testa di lupo. Penso che forse sia tempo di ammainare anche quella.»
«Gli uomini credono in quella bandiera, ragazzo» disse Tarn piano. Aveva un modo pacato di esporre le cose, ma che induceva ad ascoltare quando parlava. Ovviamente di solito diceva cose sensate. «Ti ho preso da parte perché volevo avvisarti. Se dai ai ragazzi l’occasione di tornare ai Fiumi Gemelli, alcuni andranno. Ma non molti. Ho sentito parecchi giurare che ti seguiranno fino a Shayol Ghul. Sanno che l’Ultima Battaglia sta arrivando… Chi potrebbe non saperlo con tutti quei segni di recente? Non intendono essere lasciati indietro.» Esitò. «E nemmeno io, immagino.» Odorava di determinazione.
«Vedremo» disse Perrin accigliandosi. «Vedremo.»
Mandò via Tarn con ordini di requisire un carro per quei barili d’acqua. I soldati avrebbero dato ascolto: Tarn era il primo capitano di Perrin, anche se a lui sembrava che dovesse essere il contrario. Non conosceva molto del passato di quell’uomo, ma Tarn aveva combattuto nella Guerra Aiel, parecchio tempo fa; aveva impugnato una spada prima che Perrin nascesse. E ora seguiva gli ordini di Perrin.
Tutti quanti lo facevano. E volevano continuare a farlo! Non avevano imparato nulla? Appoggiò la schiena contro il muro, rimanendo nell’ombra invece di tornare dai suoi attendenti.
Ora che rifletteva su quel fatto, si rese conto che era parte di quello che lo stava turbando. Non tutto quanto, ma parte di ciò era legato a quello che lo preoccupava. Perfino ora che Faile era tornata.
Non era stato un buon condottiero di recente. Non era mai stato esemplare, ovviamente, nemmeno quando Faile era stata a guidarlo. Ma durante la sua assenza era stato peggio. Molto peggio. Aveva ignorato gli ordini ricevuti da Rand, aveva ignorato tutto quanto per riaverla indietro.
Ma cos’altro doveva fare un uomo? Sua moglie era stata rapita!
Lui l’aveva salvata. Ma nel farlo aveva abbandonato ogni altra cosa. E a causa sua alcuni uomini erano morti. Bravi uomini. Uomini che si erano fidati di lui.
In piedi in quell’ombra, si ricordò di un momento — solo un giorno fa — quando un suo alleato era stato abbattuto da frecce aiel, il suo cuore avvelenato da Masema. Aram era stato un amico, uno che Perrin aveva trascurato nella sua missione di salvare Faile. Aram avrebbe meritato di meglio.
Non avrei dovuto lasciare che quel Calderaio impugnasse una spada, pensò, ma non voleva affrontare questo problema ora. Non poteva. C’era troppo da fare. Si scostò dal muro, intenzionato a esaminare l’ultimo carro della fila.
«Il prossimo!» sbraitò ricominciando.
Aravine Carnei si fece avanti. La donna amadiciana non stava più indossando le sue vesti da gai’shain; invece portava un semplice abito verde chiaro, non pulito, che era stato preso dagli oggetti che avevano recuperato. Era grassoccia, ma il suo volto aveva ancora un’aria smunta per via dei suoi giorni come prigioniera. In lei c’era determinazione. Era sorprendentemente brava a organizzare, e Perrin sospettava che fosse di nobili origini. Ne aveva l’odore: fiducia in se e una propensione a impartire ordini. Era un miracolo che quelle cose avessero superato indenni la sua prigionia.
Mentre si chinava per esaminare la prima ruota, pensò che fosse strano che Faile avesse scelto Aravine per supervisionare i profughi. Perche non uno dei giovani dei Cha Faile? Quei damerini potevano essere irritanti, ma avevano dimostrato una sorprendente dose di competenza.
«Mio signore» disse Aravine, rivolgendogli un’accurata riverenza, ulteriore riprova delle sue origini. «Ho terminato di organizzare la gente per la partenza.»
«Così presto?» chiese Perrin, alzando gli occhi dalla ruota.
«Non è stato tanto difficile come ci aspettavamo, mio signore. Ho ordinato loro di radunarsi per nazionalità , poi per città di nascita. Il grosso di loro proviene da Cairhien, cosa non sorprendente, seguito da Altarani, Amadiciani e poi pochi altri. Qualche Domanese, alcuni Tarabonesi, un occasionale Tarenese o un abitante delle Marche di Confine.»
«Quanti possono sopportare un giorno o due di marcia senza viaggiare sui carri?»
«La maggior parte, mio signore» rispose lei. «I vecchi e i malati sono stati espulsi dalla città quando gli Shaido l’hanno presa. La gente qui è abituata a lavorare sodo. Sono esausti, mio signore, ma nessuno desidera aspettare qui, con quegli altri Shaido accampati a meno di un giorno di distanza a piedi.»
«D’accordo» disse Perrin. «Falli mettere in marcia immediatamente.»
«Immediatamente?» chiese Aravine sorpresa.
Lui annuì. «Li voglio sulla strada, a marciare verso nord, non appena puoi farli partire. Manderò Alliandre e la sua guardia a guidare il passo.» Questo avrebbe dovuto far smettere ad Arganda di lamentarsi e sarebbe servito a togliere di torno i rifugiati. Le Fanciulle sarebbero state molto più adatte ed efficienti nel raccogliere provviste per conto loro. Quella ricerca era quasi terminata comunque. La sua gente sarebbe dovuta sopravvivere sulla strada solo per poche settimane. Dopodiche avrebbero potuto balzare attraverso un passaggio fino a qualche posto più sicuro. L’Andor, forse, o Cairhien.
Quegli Shaido alle sue spalle gli mettevano ansia. Potevano decidere di attaccare in qualunque momento. Meglio allontanarsi e togliere la tentazione.
Aravine gli rivolse una riverenza e si affrettò ad allontanarsi per fare i preparativi, e Perrin ringraziò la Luce per un’altra persona che non sentiva il bisogno di mettere in discussione o anticipare le sue decisioni. Mandò un ragazzo a informare Arganda della prossima partenza, poi terminò la sua ispezione del carro. Dopodiche si alzò in piedi, pulendosi le mani sui pantaloni. «Il prossimo!» disse.
Nessuno si fece avanti. Le uniche persone rimaste attorno a lui erano guardie, messaggeri e qualche carrettiere in attesa di attaccare il suo bue e portare il carro a essere caricato, Le Fanciulle avevano radunato una grossa pila di cibarie e provviste nel mezzo dell’ex accampamento, e Perrin riuscì a distinguere Faile lì a lavorare per organizzare tutta quella roba.
Perrin mandò l’anello di attendenti attorno a lui ad aiutare Faile, poi si ritrovò da solo. Senza nulla da fare.
Proprio quello che avrebbe voluto evitare.
Il vento soffiò di nuovo, portando quell’orrendo fetore di morte. Portava anche ricordi. La furia della battaglia, il trasporto e l’eccitazione di ogni colpo. Gli Aiel erano guerrieri eccellenti, i migliori al mondo. Ogni scambio era stato ravvicinato, e Perrin si era guadagnato la sua buona dose di tagli e lividi, anche se poi erano stati Guariti.
Combattere gli Aiel l’aveva fatto sentire vivo. Ciascuno di quelli che aveva ucciso era stato un esperto con le lance; ciascuno avrebbe potuto ucciderlo. Ma lui aveva vinto. Durante quei momenti di lotta, aveva percepito una passione inebriante. La passione da fare finalmente qualcosa. Dopo due mesi di attesa, ciascun colpo aveva significato un passo avanti al ritrovamento di Faile.
Niente più parole. Niente più piani. Aveva trovato uno scopo. E ora era scomparso.
Si sentiva vuoto. Era come… come quando suo padre gli aveva promesso qualcosa di speciale come regalo per la Notte d’Inverno. Perrin aveva atteso mesi, impaziente, svolgendo le sue faccende per guadagnarsi l’ignoto dono. Quando infine aveva ricevuto il cavallino di legno, si era eccitato per un momento. Ma il giorno dopo era stato sorprendentemente depresso. Non per via del regalo, ma perché non c’era più nulla per cui sforzarsi.
L’eccitazione era svanita, e solo allora si era reso conto di quanto aveva reputato più preziosa quell’attesa speranzosa che non il regalo stesso.
Poco dopo aveva iniziato a far visita alla fucina di mastro Luhhan, diventando il suo apprendista.
Era lieto di riavere Faile. Ne gioiva. Eppure, adesso cosa c’era per lui? Questi dannati uomini lo vedevano come il loro capo. Alcuni pensavano addirittura a lui come loro re! Perrin non l’aveva mai chiesto. Aveva fatto riporre loro gli stendardi ogni volta che li tiravano fuori, fino a che Faile non l’aveva persuaso che usarli sarebbe stato un vantaggio. Lui ancora non credeva che fosse questo il posto del vessillo con la testa di lupo, a sventolare insolente sul suo accampamento.
Ma poteva rimuoverlo? Gli uomini lo guardavano davvero con orgoglio. Poteva fiutarlo su di loro ogni volta che vi passavano davanti. Non poteva mandarli via. Rand avrebbe avuto bisogno del loro aiuto — avrebbe avuto bisogno dell’aiuto di chiunque — durante l’Ultima Battaglia.
I colori turbinarono, mostrandogli Rand seduto in quella che sembrava una casa di pietra tarenese. Il vecchio amico di Perrin aveva un’aria cupa, come un uomo turbato da gravi pensieri. Perfino seduto a quel modo, Rand appariva regale. Lui sì che era come doveva essere un re, con quella ricca giacca rossa e quel portamento nobile. Perrin era solo un fabbro. Sospirò, scuotendo il capo e scacciando l’immagine. Doveva andare a cercare Rand. Poteva percepire qualcosa che lo tirava, che lo strattonava.
Rand aveva bisogno di lui. Quello doveva essere il suo obiettivo ora.