29 Dentro Bandar Eban

Moiraine Damodred, morta a causa della mia debolezza.

Rand rallentò Tai’daishar al passo mentre attraversava il massiccio cancello per Bandar Eban, attorniato dal suo seguito, con file di Aiel in testa. Si diceva che sui cancelli fosse intagliato il sigillo cittadino, ma essendo spalancati, Rand non poteva vederli.

L’Amico delle Tenebre senza nome che decapitai su quelle colline nel Murandy. Ho scordato l’aspetto degli altri che erano con lei, ma non dimenticherò mai la sua faccia.

La lista proseguiva nella sua testa. Quasi un rituale giornaliero ora, il nome di ogni donna che era morta per mano sua o a causa delle sue azioni. La strada dentro la città era di terra battuta, fiancheggiata da solchi che si incrociavano alle intersezioni. Il terreno era più chiaro qui di quello a cui lui era abituato.

Colavaere Saighan, morta perché la resi una mendicante.

Cavalcò oltre schiere di Domanesi, donne con abiti diafani, uomini con baffi sottili e giacche variopinte. Le strade qui avevano passerelle di legno ai lati e la gente vi si era assiepata a guardare. Rand poteva sentire stendardi e bandiere garrire al vento. Parevano essercene molti nella città.

La lista cominciava sempre con Moiraine. Quel nome gli faceva più male di tutti, poiche avrebbe potuto salvarla. Avrebbe dovuto. Si odiava per averle permesso di sacrificarsi per lui. Un bambino scese dalla passerella e iniziò a correre in strada, ma suo padre lo prese per la mano e lo tirò di nuovo nella calca di persone. Alcuni tossirono e borbottarono, ma perlopiù rimasero in silenzio. I suoni delle truppe di Rand in marcia sulla terra battuta parevano un tuono a paragone.

Lanfear era ancora viva? Se Ishamael era stato fatto tornare, era accaduto lo stesso con lei? In tal caso, la morte di Moiraine era stata per nulla e la sua codardia era ancora più cocente. Mai piu’. L’elenco sarebbe rimasto, ma lui non sarebbe mai più stato troppo debole per fare quello che andava fatto.

Non c’erano grida di esultanza dalle persone su queste passerelle. Be’, lui non era giunto come un liberatore. Era venuto per fare quello che andava fatto. Forse avrebbe trovato Graendal qui; Asmodean aveva detto che si trovava in questo paese, ma era stato così tanto tempo fa. Se l’avesse trovata, forse questo avrebbe placato la sua coscienza per quell’invasione.

Aveva ancora una coscienza? Non riusciva a stabilirlo.

Liah, dei Chareen Cosaida, che ho ucciso, dicendo a me stesso che era per il suo bene. Stranamente, Lews Therin iniziò a cantilenare con lui, elencando i nomi, una strana nenia che gli riecheggiava nella testa.

Più avanti un numeroso gruppo di Aiel se ne stava ad attenderlo in una piazza cittadina con delle fontane di rame a forma di cavalli che balzavano da un’onda schiumosa. Un uomo in sella attendeva accanto alla fontana, circondato da una scorta. Era un uomo dal volto massiccio e squadrato, con pelle rugosa e capelli grigi. La sua fronte era rasata e incipriata, secondo la moda dei soldati cairhienesi. Dobraine era fidato, per quanto poteva esserlo un Cairhienese. Sendara dei Taardad delle Montagne di Ferro, Lamelle dei Miagoma Acqua Fumante, Andhilin dei Goshien del Sale Rosso.

Ilyena Therin Moerelle, disse Lews Therin, infilando il nome fra altri due. Rand lo lasciò fare. Perlomeno l’uomo non urlava di nuovo.

«Lord Drago» disse Dobraine con calma, inchinandosi a Rand mentre si avvicinava. «Ti consegno la città di Bandar Eban. L’ordine è stato ripristinato come da tuoi comandi.»

«Ti. avevo chiesto di ripristinare l’ordine nell’intero Paese, Dobraine» ribatte Rand piano.

«Non solo in una città.»

Il nobile sussultò leggermente.

« Hai un membro del Consiglio dei Mercanti per me?» chiese Rand.

«Sì» rispose Dobraine. «Milisair Chadmar, ultima a fuggire dal caos cittadino.» I suoi occhi erano impazienti. Era sempre e stato un uomo coraggioso, ma se fosse stata una messinscena?

Rand aveva problemi a fidarsi di chiunque, di recente. Quelli che sembravano più affidabili erano coloro che dovevi sorvegliare di piu’. E Dobraine era Cairhienese. Rand osava fidarsi di qualcuno di Cairhien, con i loro giochi?

Moiraine era Cairhienese. Mi fidavo di lei. Quasi sempre.

Forse Dobraine sperava che Rand l’avrebbe scelto come re dell’Arad Doman. Era stato sovrintendente a Cairhien, ma lui come molti altri — sapeva che Rand aveva intenzione di mettere Elayne sul Trono del Sole.

Be’, se era per quello, Rand poteva dare questo regno a Dobraine. Era meglio di molti altri. Rand gli fece cenno col capo di fare strada e lui obbedì, svoltando col gruppo di Aiel per marciare lungo un’ampia strada laterale. Rand continuò con la lista che ancora gli scorreva in testa.

Gli edifici qui erano alti e squadrati, con la forma di scatole impilate l’una sull’altra. Molti di essi avevano balconi, affollati di persone come le passerelle lì sotto.

Ogni nome sulla lista di Rand lo addolorava, ma quel dolore adesso era una cosa strana, distante. I suoi sentimenti erano… diversi fin dal giorno in cui aveva ucciso Semirhage. Lei gli aveva insegnato come seppellire la sua colpa e la sua sofferenza. Aveva pensato di incatenarlo, ma invece gli aveva dato forza.

Aggiunse il suo nome e quello di Riza all’elenco. Non avevano alcun diritto di essere lì. Semirhage era più un mostro che una donna. Elza l’aveva tradito, servendo l’Ombra fin dall’inizio. Ma lui aggiunse quei nomi. Erano comunque state uccise da lui come le altre. Di piu’, perfino. Non era stato disposto a uccidere Lanfear per salvare Moiraine, ma aveva usato il fuoco malefico per annullare Semirhage dall’esistenza piuttosto che permettere di essere catturato di nuovo.

Tastò l’oggetto che portava in una tasca sulla sua sella. Era un’effigie liscia. Non aveva detto a Cadsuane che i suoi servitori l’avevano recuperata dalla sua stanza. Ora che Cadsuane era stata esiliata dalla sua presenza, non gliel’avrebbe mai detto. Sapeva che lei si trovava ancora in mezzo al suo seguito, portando allo stremo le limitazioni del suo ordine di non mostrargli più la sua faccia. Ma faceva come le era stato comandato, perciò lui lasciava stare. Non le avrebbe parlato e lei non avrebbe parlato a lui.

Cadsuane era stata uno strumento, e quello strumento si era dimostrato inefficace. Non rimpiangeva di averlo gettato via.

Jendhilin, Fanciulla dei Miagoma del Picco Freddo, pensò, con Lews Therin che borbottava assieme a lui. La lista era lunga. Sarebbe cresciuta prima della sua morte.

La morte non lo preoccupava piu’. Finalmente capiva i pianti di Lews Therin di lasciare che terminasse. Rand meritava di morire. Esisteva una morte tanto potente che un uomo non sarebbe mai dovuto rinascere? Raggiunse il termine della lista, finalmente. Una volta l’aveva ripetuta per impedirsi di dimenticare i nomi. Quello non era possibile ora: non avrebbe potuto dimenticarli nemmeno se avesse voluto. Li ripeteva come promemoria di quello che era.

Ma Lews Therin ebbe un altro nome da aggiungere. Elmindreda Farshaw, sussurrò.

Rand arrestò di colpo Tai’daishar, fermando la sua colonna di Aiel, cavalleria saldeana e assistenti dell’accampamento nel mezzo della strada. Dobraine si voltò indietro sul suo stallone bianco con aria interrogativa.

Non l’ho uccisa!, pensò Rand. Lews Therin, lei vive ancora. Non l’abbiamo uccisa! E comunque la colpa sarebbe stata di Semirhage, in ogni caso.

Silenzio. Poteva ancora sentire le proprie dita sulla sua pelle, che stringevano, impotenti eppure incredibilmente forti. Perfino se cera stata Semirhage dietro quelle azioni, era stato Rand quello troppo debole per mandare via Min e proteggerla.

Lui non l’aveva mandata via. Non perché era troppo debole, ma perché qualcosa dentro di lui aveva smesso di preoccuparsi. Non per lei: l’amava con furore e l’avrebbe sempre fatto. Ma sapeva che morte, dolore e distruzione giungevano nella sua scia, e lui se li trascinava dietro come un mantello.

Min poteva morire qui, ma se lui l’avesse mandata via, sarebbe stata comunque in pericolo. I suoi nemici probabilmente sospettavano che l’amava.

Non c’era alcun posto sicuro. Se fosse morta, l’avrebbe aggiunta alla lista e avrebbe sofferto per questo.

Ricominciò a muoversi prima che qualcuno potesse domandare il perché delle sue azioni. Gli zoccoli di Tai’daishar picchiarono sulle strade polverose, rese soffici dall’umidità. La pioggia cadeva spesso qui; Bandar Eban era la più importante città portuale del Nordovest. Se pure non era una grande città come quelle al Sud, era comunque impressionante. File su file di case squadrate, fatte di legno, con dei rilievi al secondo e al terzo piano. Sembravano come blocchi di bambini, impilati uno sopra l’altro, così perfettamente quadrati nella loro divisione in piani. Riempivano la città , digradando giù per un gentile pendio verso l’imponente porto.

Era lì che la città era più ampia, facendola sembrare come la testa di un uomo che spalancava la bocca, come per bersi l’oceano intero. I moli erano quasi vuoti; le sole navi ormeggiate erano un gruppo di vascelli del Popolo del Mare — perlustratoci a tre alberi — e qualche peschereccio. Le enormi dimensioni del porto lo rendevano solo più desolato per la mancanza di navi.

Era il primo segnale che le cose non andavano bene a Bandar Eban.

Oltre al porto praticamente sgombro, l’aspetto più peculiare della città erano gli stendardi. Erano appesi o sventolavano in cima a ogni edificio, a prescindere da quanto fosse umile. Molti di quei vessilli dichiaravano quale commercio veniva praticato in un certo edificio, proprio come una semplice insegna di legno avrebbe fatto a Caemlyn. Gli stendardi erano molto più stravaganti del normale, dai colori vividi e svolazzanti nel vento sopra i palazzi. Altri con gli stessi colori e simili ad arazzi pendevano dai lati della maggior parte degli edifici, annunciando a chiare lettere il proprietario, il maestro artigiano e il mercante di ogni negozio. Perfino le case riportavano vessilli con i nomi delle famiglie che ci vivevano.

Di carnagione ramata e con i capelli scuri, i Domanesi preferivano vestiti dai colori vividi. Le donne domanesi erano famigerate per i loro abiti, che erano tanto trasparenti da essere scandalosi. Si diceva che le ragazze domanesi si esercitassero nell’arte di manipolare gli uomini fin da giovanissime, preparandosi per il giorno della loro maturità.

Vederle in piedi lungo le strade a osservare fu quasi uno spettacolo sufficiente a distogliere Rand dalle sue riflessioni. Forse, un anno fa, le avrebbe guardate a bocca aperta, ma ora le degnò a malapena di uno sguardo. In effetti, gli venne in mente che le Domanesi si notavano molto meno, radunate assieme così. Un fiore in un campo di erbacce era sempre uno spettacolo, ma se passavi davanti ad aiuole coltivate ogni giorno, nessuna di esse attirava l’attenzione.

Per quanto fosse distratto, colse i segni della carestia. Non ci si poteva sbagliare sull’aspetto tormentato dei bambini, quell’aria smunta nelle facce degli adulti. La città era stata nel caos solo poche settimane prima, anche se Dobraine e gli Aiel avevano ripristinato la legge. Alcuni dei palazzi mostravano finestre riparate malamente o assi rotte, e alcuni degli stendardi erano stati evidentemente lacerati di recente e rammendati in maniera grossolana. La legge era stata ripristinata, ma la sua mancanza era un ricordo ancora vivo.

Il gruppo di Rand raggiunse un crocevia centrale, che grossi vessilli sventolanti proclamavano essere Arandi Square, e Dobraine fece svoltare la processione verso est. Molti degli Aiel con i Cairhienesi indossavano in testa la fascia rossa che li contrassegnava come siswai’aman. Lance del Drago. Rhuarc aveva circa ventimila Aiel accampati attorno alla città e nei villaggi vicini; a quest’ora buona parte dei Domanesi avrebbero saputo che gli Aiel seguivano il Drago Rinato.

Rand fu lieto di scoprire che i perlustratori del Popolo del Mare erano arrivati — finalmente — con grano dal Sud. C’era da sperare che questo avrebbe contribuito a riportare l’ordine quanto Dobraine e gli Aiel.

La processione svoltò nella parte ricca della città. Rand sapeva dove l’avrebbero trovata molto prima che le case iniziassero a sembrare più sontuose: il più lontano possibile dal porto, rimanendo comunque a una distanza agevole dalle mura cittadine. Rand avrebbe potuto trovare i ricchi senza nemmeno guardare una mappa. La loro posizione era obbligata dalla conformazione della città.

Un cavallo si accostò scalpitando a Rand. Sulle prime suppose che fosse Min… ma no, lei stava cavalcando dietro, con le Sapienti. Lo guardava in modo diverso ora o se lo stava solo immaginando? Si ricordava le sue dita alla gola ogni volta che vedeva la sua faccia?

Era Merise che lo aveva raggiunto, in sella a una placida giumenta grigiastra. La Aes Sedai era infuriata perché Rand aveva bandito Cadsuane. Non c’era da sorprendersene. Alle Aes Sedai piaceva mantenere una facciata molto calma e controllata, ma Merise e le altre erano state compiacenti con Cadsuane in modo molto simile a un locandiere di paese che si profondeva in sorrisetti per un monarca in visita.

La donna tarabonese aveva scelto di indossare il suo scialle oggi, proclamando la sua affiliazione all’Ajah Verde. Lo portava, forse, in uno sforzo di rinsaldare la sua autorità. Dentro di se, Rand sospirò. Si era aspettato un confronto, ma aveva sperato che l’attività dello spostamento l’avrebbe ritardato finche gli animi non si fossero raffreddati. Lui rispettava Cadsuane, fino a un certo punto, ma non si era mai fidato di lei. Ci dovevano essere conseguenze per il fallimento, e lui provava un enorme sollievo per essersi occupato di lei. Non avrebbe più avvolto attorno a lui i suoi fili.

O, al massimo, ne avrebbe avvolti di meno.

«L’esilio di Cadsuane, questo è follia, Rand al’Thor» disse Merise in tono sprezzante. Stava cercando di irritarlo di proposito, forse per poterlo tiranneggiare più facilmente. Dopo mesi passati a trattare con Cadsuane in persona, la pallida imitazione di questa donna era quasi divertente.

«Dovresti implorare il suo perdono» continuò Merise. «Ha acconsentito a proseguire con noi, anche se la tua insensata restrizione l’ha costretta a indossare un mantello col cappuccio tirato durante il giorno, nonostante la calura. Dovresti vergognarti.»

Ancora Cadsuane. Non avrebbe dovuto lasciarle spazio per aggirare il suo ordine.

«Ebbene?» chiese Merise.

Rand voltò la testa e guardò Merise negli occhi. Aveva scoperto qualcosa di sconcertante durante le ultime ore. Contenendo la furia bruciante dentro di se — diventando cuendillar — aveva ottenuto una comprensione che gli era a lungo sfuggita.

La gente non rispondeva alla rabbia. Non rispondeva alle pretese. Il silenzio e le domande: questi erano molto più efficaci. In effetti, Merise — una Aes Sedai pienamente addestrata — trasalì davanti al suo sguardo.

Lui non vi mise alcuna emozione. La sua furia, la sua rabbia, la sua passione… era tutto ancora lì, sepolto dentro. Ma lo aveva circondato con ghiaccio, freddo e immobilizzante. Era il ghiaccio del posto in cui Semirhage gli aveva insegnato ad andare, il posto simile al vuoto, ma molto più pericoloso.

Forse Merise pote percepire quella rabbia gelata dentro di lui. O forse riuscì ad avvertire l’altra cosa, il fatto che aveva usato quel… potere. In lontananza, Lews Therin iniziò a piangere. Il pazzo lo faceva ogni volta che Rand ripensava a quello che aveva fatto per sfuggire al collare di Semirhage.

«Quello che hai fatto, è stata una mossa stupida» proseguì Merise. «Dovresti…»

«Mi ritieni uno stupido, dunque?» chiese Rand piano.

Rispondi alle pretese col silenzio, rispondi alle sfide con domande. Era sorprendente come funzionava. Merise rimase immobile, poi rabbrividì visibilmente. Abbassò lo sguardo verso il borsello sulla sella di Rand, dove lui portava la statuetta di un uomo che teneva in alto una sfera. Rand la tastò, tenendo le redini in modo allentato.

Non ostentava la statuetta. La portava semplicemente con se, ma Merise e molte delle altre sapevano quale Potere quasi illimitato poteva attingere se voleva. Era un’arma più potente di qualunque altra conosciuta. Con essa, lui avrebbe potuto annientare il mondo stesso. E se ne stava innocente sulla sua sella. Quello sì che aveva un effetto sulla gente.

«Io… No» ammise. «Non sempre.»

«Pensi che i fallimenti debbano rimanere impuniti?» chiese Rand, la voce ancora tranquilla. Perche aveva perso la calma? Queste piccole seccature non valevano la sua passione, la sua furia. Se una lo infastidiva troppo, tutto quello che doveva fare era estinguerla, come una candela.

Un pensiero pericoloso. Era stato suo o di Lews Therin? O era venuto da… altrove?

«Di sicuro tu sei stato troppo severo» disse Merise.

«Troppo severo?» chiese lui. «Ti rendi conto del suo errore, Merise? Hai riflettuto su cosa sarebbe potuto succedere? Cosa sarebbe dovuto succedere?»

«Io…»

«La fine di ogni cosa, Merise» mormorò lui. «Il Tenebroso che avrebbe avuto il controllo del Drago Rinato. Noi due che avremmo combattuto dalla stessa parte.»

Lei tacque, poi disse: «Sì. Ma gli errori, tu stesso li hai commessi. Sarebbero potuti risultare in un simile disastro.»

«Io pago per i miei errori» disse lui, voltandosi. «Pago per essi ogni giorno. Ogni ora. Ogni respiro.»

«Io…»

«Basta.» Non gridò quella parola. La pronunciò con fermezza, ma piano. Le fece sentire l’intera forza del suo malcontento, con lo sguardo che si serrava in quello di Merise. Lei tutta un tratto si afflosciò sulla sella, guardandolo con occhi sgranati.

Da una parte ci fu un fragoroso scricchiolio, seguito da un improvviso schianto. L’aria fu rotta da urla. Rand si girò allarmato. I supporti di un balcone pieno di spettatori si erano rotti ed esso era caduto in strada, andando in pezzi come un barile colpito da un macigno. Alcune persone gemevano dal dolore mentre altre chiamavano aiuto. Ma i suoni erano venuti da entrambi i lati della strada. Rand si accigliò e si volto’: anche un secondo balcone — proprio di fronte al primo — era caduto.

Merisc impallidì, poi voltò il suo cavallo in tutta fretta, dirigendosi ad aiutare i feriti. Altre Aes Sedai si stavano già precipitando a Guarire quelli che erano caduti.

Rand spronò avanti Tai’daishar. Questo non era stato causato dal Potere, ma dalla sua natura di ta’veren di alterare le probabilità. Ovunque si recasse, accadevano eventi casuali e fuori dal comune. Nascite, morti, matrimoni e incidenti in gran numero. Lui cercava di ignorarli.

Di rado aveva visto un avvenimento così… violento, però. Poteva essere certo che non fosse dovuto a qualche interazione con la nuova forza? L’invisibile eppure allettante riserva di potere da cui Rand aveva attinto, usandola e godendo? Lews Therin pensava che quello che era accaduto sarebbe dovuto essere impossibile.

Il motivo originario per cui l’umanità aveva perforato la prigione del Tenebroso era stato il potere. Una nuova fonte di energia per incanalare, come l’Unico Potere, ma differente. Sconosciuta e strana, e potenzialmente vasta. Quella fonte di potere si era rivelata essere il Tenebroso stesso.

Lews Therin piagnucolò.

Rand portava con se la chiave d’accesso per una ragione. Lo collegava a uno dei più potenti sa’angreal mai creati. Con quel potere e l’aiuto di Nynaeve, Rand aveva ripulito saidin. La chiave d’accesso gli aveva consentito di attingere da un fiume inimmaginabile, una tempesta vasta quanto l’oceano. Era stata la cosa più sensazionale che avesse mai sperimentato.

Fino al momento in cui aveva usato quel potere senza nome.

Quell’altra forza lo chiamava, lo lusingava, lo tentava. Così tanto potere, così tanta meraviglia divina. Ma lo terrorizzava. Non osava toccarlo, non di nuovo.

Così portava con se la chiave. Non era certo di quale delle due fonti di energia fosse più pericolosa, ma finche entrambe lo chiamavano, era in grado di resistere a entrambe. Come due persone, che urlavano per attirare la sua attenzione, sovrastandosi a vicenda. Per il momento.

Inoltre, lui non si sarebbe fatto mettere di nuovo un collare. La chiave d’accesso non l’avrebbe aiutato contro Semirhage — nessuna quantità dell’Unico Potere avrebbe soccorso un uomo, se veniva colto alla sprovvista — ma forse ci sarebbe riuscita in futuro. Una volta non aveva osato portarla con se per paura di quello che offriva. Ora non aveva più spazio per indulgere in tali debolezze.

Fu facile distinguere la destinazione: circa cinquecento armigeri Cairhienesi erano accampati sui terreni di un spaziosa villa signorile. Anche gli Aiel avevano le loro tende per terra, ma avevano rivendicato pure gli edifici e diversi tetti circostanti. Per gli Aiel, accamparsi in un posto era essenzialmente come proteggerlo, e un Aiel che riposava era doppiamente in allerta rispetto a un normale soldato di pattuglia. Rand aveva lasciato il grosso della sua forza fuori dalla città ; avrebbe affidato a Dobraine e ai suoi amministratori il compito di trovare alloggi per gli uomini di Rand all’interno delle mura.

Rand arrestò Tai’daishar, poi esaminò la sua nuova casa.

Noi non abbiamo casa, sussurrò Lews Therin. L’abbiamo distrutta. Bruciata, fusa, liquefatta, come sabbia nei fuoco.

La villa era di sicuro un passo in avanti dal maniero fatto soprattutto di tronchi. I suoi vasti terreni erano circondati da cancellate di ferro. Le aiuole erano vuote — i fiori esitavano a sbocciare questa primavera —, ma il prato era più verde di molti di quelli che aveva visto. Oh, era soprattutto giallo e marrone, ma c’erano chiazze di verde. I giardinieri stavano lavorando sodo, i loro sforzi evidenti anche nei filari di tassi Aryth potati in forme di animali immaginali ai lati del prato.

La villa stessa era quasi un palazzo; naturalmente ce n’era uno nella città , di proprietà del re. Ma si diceva che fosse inferiore rispetto alle case del Consiglio dei Mercanti. Lo stendardo che sventolava in cima alla villa era di colore nero e oro brillante, e proclamava questa come la sede della Casata Chadmar.

Forse questa Milisair aveva visto la partenza degli altri come un’opportunità. Se era così, l’unica vera opportunità che aveva ottenuto era quella di essere presa da Rand.

I cancelli per i terreni della villa erano aperti e gli Aiel a suo seguito si stavano già affrettando all’interno, unendosi a capannelli di membri del loro clan o setta. Era seccante che di rado aspettassero i comandi o gli ordini di Rand, ma gli Aiel erano Aiel. Qualunque suggerimento di rimanere ad aspettare suscitava semplicemente risate, come se lui avesse pronunciato una battuta spassosa. Sarebbe stato più facile domare il vento stesso che non farli comportare come abitanti delle terre bagnate.

Questo lo indusse a pensare ad Aviendha. Dov’era andata, così all’improvviso? Poteva percepirla attraverso il legame, ma era debole: si trovava molto lontano. A est. Che faccende aveva da sbrigare nel Deserto?

Scosse il capo. Tutte le donne erano difficili da capire, e quelle Aiel erano dieci volte più incomprensibili. Aveva sperato di poter passare qualche tempo con lei, ma Aviendha l’aveva evitato di proposito. Be’, forse era stata la presenza di Min a tenerla a distanza. Forse Rand sarebbe riuscito a impedire di farle del male prima della sua morte. Forse Aviendha era fuggita. a’ suoi nemici non sapevano ancora di lei.

Spronò Tai’daishar attraverso i cancelli, percorrendo il viale verso la villa vera e propria. Smontò, staccando la statuetta dalla sua cinghia e facendola sci vola re nella tasca troppo grande della sua giacca, che era stata rapidamente adattata per contenerla. Consegnò il suo destriero a uno stalliere, uno dei servitori della villa, che indossava una giubba verde con sotto una camicia di un bianco lucente, colletto e polsini increspati. I servitori della villa erano già stati informati che Rand avrebbe usato quel posto come suo, ora che alla sua precedente occupante era stata… data la sua protezione.

Dobraine si unì a lui mentre saliva i gradini per l’edificio. Era imbiancato per bene, con pilastri di legno che fiancheggiavano il pianerottolo anteriore. Rand attraversò le porte principali. Dopo aver vissuto in diversi palazzi, rimase ancora impressionato. E disgustato. L’opulenza che trovò oltre le porte della villa non avrebbe mai fatto supporre che metà della cittadinanza stesse morendo di fame. Lungo il fondo dell’ingresso, parecchi servitori molto nervosi erano disposti in fila. Rand poteva percepire la loro paura. Non accadeva tutti i giorni che un’abitazione venisse occupata dal Drago Rinato in persona.

Rand si tolse il guanto per cavalcare infilando la mano fra l’altro braccio e il fianco, poi se lo fece scivolare alla cintura. «Dov’è lei?» domandò, voltandosi verso le due Fanciulle — Beralna e Riallin — che stavano tenendo d’occhio i servitori.

«Al secondo piano» rispose una delle Fanciulle. «A sorseggiare del te mentre la mano le trema così tanto da minacciare di rompere la porcellana.»

«Continuiamo a dirle che non è una prigioniera» disse l’altra Fanciulla. «Non può andarsene e basta.»

Entrambe lo trovavano divertente. Rand lanciò un’occhiata di traverso quando Rhuarc si unì a lui nell’atrio. L’alto capoclan dai capelli color del fuoco ispezionò la stanza, con il suo lampadario scintillante e i vasi decorati. Rand sapeva cosa stava pensando. «Puoi prendere il quinto» disse. «Ma solo dai ricchi che vivono in questo quartiere.»

Non era così che avveniva: gli Aiel avrebbero dovuto aver diritto a un quinto da tutti quanti. Ma Rhuarc non obiettò. Quello che gli Aiel avevano fatto con la presa di Bandar Eban non era stata una vera conquista, anche se avevano combattuto bande e delinquenti. Forse non avrebbe dovuto concedergli nulla. Ma considerando le ville come questa, qui c’era ricchezza in abbondanza per gli Aiel, perlomeno fra i ricchi.

Le Fanciulle annuirono, come se se lo fossero aspettato, poi si allontanarono con ampie falcate, probabilmente per cominciare a selezionare la loro quota. Dobraine le guardò con costernazione. Cairhien aveva subito il quinto aiel in diverse occasioni.

«Non riuscirò mai a capire perché li lasciò saccheggiare come banditi che trovano le guardie del convoglio addormentate» disse Corele, entrando nella stanza con un sorriso. Sollevò un sopracciglio per quel mobilio impressionante. «E in un posto così bello. Come lasciare che dei soldati calpestino dei germogli primaverili, non è così?»

Era stata mandata a trattare con lui adesso che aveva sconvolto Merise? Incontrò lo sguardo di Rand nel suo modo affabile, ma lui lo sostenne finche non fu Corele a distoglierlo e a voltarsi. Rand riusciva a ricordarsi un tempo quando ciò non aveva mai funzionato con le Aes Sedai.

Si voltò verso Dobraine. «Hai agito bene qui» disse al nobile. «Perfino se non hai riportato l’ordine così ampiamente come volevo. Raduna i tuoi armigeri. Narishma ha ricevuto istruzioni di aprirti un passaggio per Tear.»

«Tear, mio signore?» chiese Dobraine sorpreso.

«Sì» rispose Rand. «Riferisci a Darlin di smettere di importunarmi con messaggeri. Deve continuare a radunare le sue forze: lo porterò nell’Arad Doman quando deciderò che è il momento giusto.» Quello sarebbe avvenuto dopo il suo incontro con la Figlia delle Nove Lune, che sarebbe stato determinante.

Dobraine pareva leggermente mortificato. O era solo l’interpretazione di Rand? L’espressione di Dobraine cambiava di rado. Stava immaginando che le sue speranze di ottenere questo regno si stessero indebolendo? Stava complottando contro Rand? «Sì, mio signore. Suppongo di dover partire immediatamente?»

Dobraine non ci ha mai dato motivo di dubitare di lui Ha perfino raccolto del sostegno affinche Elayne prendesse il Trono del Sole!

Rand era stato lontano da lui per così tanto tempo. Troppo per potersi fidare di quell’uomo. Ma era meglio allontanarlo per adesso: aveva avuto troppo tempo per stabilire una posizione salda qui, e Rand non aveva fiducia nel fatto che un Cairhienese potesse tenersi lontano dai giochi politici.

«Sì, partirai entro un’ora» disse Rand, voltandosi per salire le aggraziate scale bianche. Dobraine gli rivolse il saluto, stoico come sempre, e uscì dalla porta principale. Obbediva immediatamente. Neanche una lamentela. Era davvero un brav’uomo. Rand sapeva che lo era.

Luce, cosa mi sta succedendo?, pensò. Ho bisogno di fidarmi di qualcuno. Non è così? Fiducia?, sussurrò Lews Therin. Sì, forse possiamo avere fiducia in lui. Non è in grado di incanalare. Luce, l’unico di cui non ci possiamo fidare affatto è noi stessi…

Rand serrò la mascella. Avrebbe ricompensato Dobraine con il regno se non fossero riusciti a trovare Alsalam. Ituralde non lo voleva.

Le scale salivano dritte e ampie fino a un pianerottolo, poi si dividevano, proseguendo curve fino al secondo piano, toccando il nuovo pianerottolo da due lati separati. «Mi serve una stanza delle udienze» disse Rand ai servi lì sotto «e un trono. In fretta.»

Meno di dieci minuti più tardi, Rand sedeva in un salotto sontuosamente decorato al secondo piano, aspettando che la mercante Milisair Chad mar venisse portata al suo cospetto. Il suo seggio di legno bianco intagliato in maniera elaborata non era proprio un trono, ma sarebbe bastato. Forse Milisair stessa lo aveva usato per le udienze. La stanza pareva essere disposta come una sala del trono, con una predella poco rialzata per ospitarlo. Sia la predella che il pavimento sottostante erano ricoperti da un tappeto intessuto in verde e rosso con un disegno fantasioso che si intonava alle porcellane del Popolo del Mare su dei piedistalli nell’angolo. Quattro ampie finestre dietro di lui — ciascuna tanto larga da poterci camminare attraverso — lasciavano entrare una soffusa luce solare nella stanza, ed essa gli cadeva sulla schiena mentre si trovava sul suo seggio e si protendeva in avanti, con un braccio appoggiato sulle ginocchia. La statuetta era posata sul pavimento proprio di fronte a lui.

Poco dopo, Milisair Chadmar fece il suo ingresso superando la soglia sorvegliata da guardie Aiel. Indossava uno di quei famosi abiti domanesi. Le ricopriva il corpo dal collo ai piedi, ma era a malapena opaco e aderiva a tutte le sue curve, di cui lei era dotata in abbondanza. Il vestito era di un verde intenso, e lei portava al collo delle perle. I suoi capelli scuri, in ricci compatti, le pendevano oltre le spalle, con diversi boccoli che le incorniciavano il viso. Rand non si aspettava che fosse così giovane, di poco sopra la trentina.

Sarebbe stato un peccato doverla giustiziare.

Solo un giorno, meditò fra se, e già penso a giustiziare una donna che non acconsente a seguirmi. C’era un tempo in cui riuscivo a malapena a sopportare di mandare a morte criminali che se lo meritavano.

Ma avrebbe fatto quello che andava fatto.

La profonda riverenza di Milisair parve implicare che accettava la sua autorità. O forse era semplicemente un modo per consentirgli una visuale migliore di quello che l’abito accentuava. Una cosa molto domanese da fare. Purtroppo per lei, Rand aveva già più problemi con le donne di quanti potesse gestirne.

«Mio lord Drago» disse Milisair, sollevandosi dalla sua riverenza. «Come posso servirti?»

«Quand’è stata l’ultima comunicazione che hai ricevuto da Alsalam?» chiese Rand. Non le diede di proposito il permesso di accomodarsi in una delle sedie della stanza.

«Il re?» domandò lei sorpresa. «Sono ormai settimane.»

«Avrò bisogno di parlare col messaggero che ha portato l’ultima comunicazione» disse Rand.

«Non sono certa che possa essere trovato.» La donna suonava agitata. «Non controllo l’andirivieni di ogni messaggero in città , mio signore.»

Rand si sporse in avanti. «Mi stai mentendo?» chiese piano.

La bocca della donna si aprì, forse per lo sconcerto verso la sua franchezza. I Domanesi non erano come i Cairhienesi — la cui scaltrezza politica era apparentemente innata —, ma erano un popolo sottile. In particolare le donne.

Rand non era ne sottile ne scaltro. Era un pastore divenuto conquistatore, e il suo cuore era quello di un uomo dei Fiumi Gemelli, perfino se il suo sangue era aiel. A qualunque politica lei fosse abituata a giocare, non avrebbe funzionato su di lui. Rand non aveva pazienza per i giochetti.

«Io…» esordì Milisair fissandolo. «Mio lord Drago…»

Cosa stava nascondendo? «Cosa gli hai fatto?» chiese Rand, azzardando un’ipotesi. «Al messaggero?»

«Non sapeva nulla dell’ubicazione del re» si affrettò a dire Milisair, le cui parole sembravano riversarsi da lei. «I miei uomini sono stati piuttosto accurati nel loro interrogatorio.»

«È morto?»

«Io… No, mio lord Drago.»

«Allora lo farai portare da me.»

Lei impallidì ulteriormente e lanciò un’occhiata di lato, forse cercando di riflesso una via di fuga. «Mio lord Drago» disse in tono esitante, riportando i suoi occhi su di lui. «Ora che sei qui, forse il re rimarrà … nascosto. Forse non c’è più bisogno di cercarlo.»

Anche lei ritiene che sia morto, pensò Rand. È stato questo a farle correre dei rischi.

«È necessario trovare Alsalam,» disse Rand «o almeno scoprire cosa gli è successo. Dobbiamo conoscere la sua sorte, in modo che possiate scegliere un nuovo re. È così che funziona, giusto?»

«Sono certa che tu puoi essere incoronato rapidamente, mio lord Drago» disse lei in tono suadente.

«Io non sarò re qui» affermò Rand. «Fa’ portare il messaggero, Milisair, e forse vivrai per vedere l’incoronazione di un nuovo re. Sei congedata.»

Lei esitò, poi fece un’altra riverenza e si ritirò. Rand colse un’occhiata di Min fuori assieme alle Aiel, a osservare la mercante andarsene. Incontrò i suoi occhi, e lei parve turbata. Aveva avuto delle visioni su Milisair? Fu sul punto di chiamarla, ma lei scomparve, allontanandosi a passo svelto. Da una parte, Alivia la guardò andarsene incuriosita. L’ex damane era rimasta molto sulle sue di recente, come prendendo tempo, attendendo il momento in cui avrebbe potuto realizzare il suo destino nell’aiutare Rand a morire.

Lui si ritrovò in piedi. Quello sguardo negli occhi di Min. Era arrabbiata con lui? Si ricordava la mano di Rand attorno al collo, il ginocchio che la schiacciava contro il pavimento?

Rand si rimise seduto. Min poteva aspettare. «D’accordo» disse, rivolto alle Aiel.

«Portatemi i miei scribi e amministratori, assieme a Rhuarc, Bael e qualunque personalità cittadina non sia fuggita o non sia rimasta uccisa nelle rivolte. Dobbiamo occuparci dei piani per la distribuzione del grano.»

Le Aiel inviarono dei messaggeri e Rand si appoggiò contro lo schienale della sedia. Avrebbe fatto in modo che la gente venisse nutrita, fosse ripristinato l’ordine e venisse radunato il Consiglio dei Mercanti. Si sarebbe perfino assicurato che venisse scelto un nuovo re.

Ma avrebbe anche trovato dov’era andato Alsalam. Poiche il suo istinto gli diceva che questo era il posto migliore per trovare Graendal. Era la sua pista migliore.

Se l’avesse trovata, avrebbe fatto in modo che morisse col fuoco malefico, proprio come Semirhage. Avrebbe fatto quello che andava fatto.

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