22 L’ultima cosa che può essere fatta

Semirhage sedeva da sola nella piccola stanza. Le avevano portato via la sedia e non le avevano lasciato ne una lanterna ne una candela.

Che fosse folgorata questa dannata Epoca e le sue maledette persone! Cosa avrebbe dato per due globi luminosi alle pareti. Durante i suoi giorni, ai prigionieri non era stata negata la luce. Naturalmente, lei aveva rinchiuso diversi dei suoi esperimenti nella completa oscurità , ma quello era differente. Era importante scoprire che effetto avrebbe avuto su di loro la privazione di luce. Queste cosiddette Aes Sedai che la trattenevano non avevano alcun motivo razionale per lasciarla al buio. Lo facevano solo per umiliarla.

Portò le braccia più vicino, rannicchiandosi contro la parete di legno. Non pianse. Era una dei Prescelti! Che importava se era stata costretta a essere umiliata? Non l’avevano spezzata. Ma… quelle sciocche Aes Sedai non la guardavano più come prima. Semirhage non era cambiata, ma loro sì. In qualche modo, con un unico colpo, quella maledetta donna con la rete di paralis fra i capelli aveva sbrogliato l’autorità di Semirhage con tutte quante loro.

Come? Come aveva fatto a perdere il controllo così in fretta? Fu percorsa da un tremito ricordando quando era stata rigirata sulle ginocchia della donna e sculacciata. E con che noncuranza. L’unica emozione nella voce della donna era stata una lieve irritazione. Aveva trattato Semirhage — una dei Prescelti! — come se fosse a malapena degna di nota. Quello l’aveva infastidita più delle sculacciate.

Non sarebbe accaduto di nuovo. Semirhage sarebbe stata pronta per le percosse la prossima volta, e non vi avrebbe dato alcun peso. Sì, avrebbe funzionato. Vero?

Fremette di nuovo. Aveva torturato centinaia, forse migliaia di persone nel nome della ragione e della comprensione. La tortura aveva senso. Vedevi davvero com’era fatta una persona, in più di un aspetto, quando iniziavi a farla a pezzi. Quella era una frase che aveva usato in numerose occasioni. Di solito la faceva sorridere.

Non stavolta.

Perche non le avevano inflitto dolore? Dita rotte, tagli sulla carne, carboni ardenti nell’incavo dei gomiti. Semirhage aveva rinsaldato la sua mente per ognuna di queste cose, preparandosi a esse. Una piccola parte di lei, bramosa, non aveva visto l’ora di sperimentarle.

Ma questo? Essere costretta a mangiare il cibo da terra? Essere trattata come una bambina di fronte a coloro che l’avevano osservata con tale soggezione?

La ucciderò, pensò, non per la prima volta. Le asporterò i tendini, uno alla volta, usando il Potere per Guarirla in modo che viva per sperimentare il dolore. No. No, farò qualcosa di nuovo con lei. Le mostrerò un tormento che nessuno ha conosciuto in nessuna Epoca!

«Semirhage.» Un sussurro.

Si immobilizzò, alzando gli occhi nell’oscurità. Quella voce era sommessa, come un vento freddo, eppure netta e tagliente. Se l’era immaginata? Lui non poteva essere qui, vero?

«Hai fallito miseramente, Semirhage» continuò la voce, così bassa. Una luce flebile brillava da sotto la porta, ma la voce proveniva da dentro la cella. La luce parve farsi più brillante e assunse una tonalità di un rosso intenso, illuminando il contorno di una figura avvolta in un mantello nero in piedi di fronte a lei. Semirhage alzò lo sguardo. Quella luce rossastra rivelò una faccia bianca, del colore della pelle morta. Quella faccia non aveva occhi.

Lei si inginocchiò immediatamente, prostrandosi sul legno vecchio. Anche se la figura che aveva davanti pareva un Myrddraal, era molto più alto e molto, molto più importante. Semirhage rabbrividì al ricordo della voce del Signore Supremo in persona, che le parlava.

‘Quando obbedisci a Shaidar Haran, tu obbedisci a me. Quando disobbedisci…’

«Dovevi catturare il ragazzo, non ucciderlo» sussurrò la figura in un sibilo, come vapore che sfuggiva dalla fessura tra pentola e coperchio. «Gli hai preso la mano e per poco anche la vita. Ti sei rivelata e hai perduto pedine preziose. Sei stata catturata dai tuoi nemici e ora ti hanno spezzato.» Semirhage pote udire il sorriso sulle sue labbra. Shaidar Haran era l’unico Myrddraal che lei aveva mai visto sorridere. Ma d’altra parte, non pensava che questa cosa fosse davvero un Myrddraal.

Non replicò alle sue accuse. Nessuno mentiva o accampava scuse davanti a questa figura. All’improvviso, lo schermo che la bloccava svanì. Rimase senza fiato. Saidar era tornato! Dolce potere. Comunque, mentre si protendeva verso di esso, esitò. Quelle imitazioni di Aes Sedai all’esterno avrebbero percepito se avesse incanalato.

Una mano fredda con le unghie lunghe le toccò il mento. Quella carne dava la stessa sensazione della pelle morta. Le sollevò il volto per incontrare il suo sguardo senza occhi. «Ti è stata concessa un’ultima possibilità» sussurrarono quelle labbra come vermi. «Non. Fallire.»

La luce scomparve. La mano sul suo mento si ritrasse. Lei rimase inginocchiata, reprimendoli terrore. Un’ultima possibilità. Il Signore Supremo ricompensava sempre il fallimento in… modi fantasiosi. Le erano state date tali ricompense in precedenza, e non aveva alcun desiderio di riceverne ancora. Avrebbero fatto sembrare infantile qualunque tortura o punizione che queste Aes Sedai avessero potuto immaginare.

Si costrinse ad alzarsi in piedi, orientandosi a tentoni nella stanza. Raggiunse la porta e, trattenendo il fiato, la provò.

L’uscio si aprì. Semirhage scivolò fuori dalla stanza senza far cigolare i cardini. Fuori, tre cadaveri giacevano sul pavimento, accasciati accanto alle loro sedie. Le donne che avevano mantenuto il suo schermo. C’era qualcun altro lì, in ginocchio per terra davanti a loro tre. Una delle Aes Sedai. Una donna in verde, con i capelli castani tirati indietro in una coda, col capo chino.

«Vivo per servire, Somma Padrona» mormorò la donna. «Mi è stato ordinato di dirti che nella mia mente c’è una Coercizione che tu devi rimuovere.»

Semirhage sollevò un sopracciglio; non si era resa conto che ci fosse una delle Nere fra le Aes Sedai qui. Togliere la Coercizione avrebbe avuto un effetto davvero… spiacevole su una persona. Perfino se la Coercizione fosse stata debole o sottile, il cervello poteva essere danneggiato seriamente se fosse stata rimossa. Se la Coercizione fosse stata forte… be’, sarebbe stato piuttosto interessante da guardare.

«Inoltre,» disse la donna, porgendole qualcosa avvolto in un pezzo di stoffa «devo darti questo.» Tolse il tessuto, rivelando un collare metallico dal colore smorto e due braccialetti. La Fascia del Dominio. Foggiata durante la Frattura, sorprendentemente simile all’a’dam su cui Semirhage aveva passato molto tempo a lavorare.

Con questo ter’angreal si poteva controllare un uomo capace di incanalare. Un sorriso si fece infine strada fra la paura di Semirhage.

Rand aveva visitato la Macchia in un’unica occasione, anche se poteva vagamente ricordare di essere venuto in questa zona diverse volte, prima che quella terra diventasse infetta. Ricordi di Lews Therin. Non suoi.

Il pazzo prese a sibilare e a borbottare con rabbia men tre cavalcavano attraverso la boscaglia saldeana. Perfino Tai’daishar diventava più nervoso a mano a mano che si spostavano a nord. La Saldea era un paesaggio bruno di zone coperte da arbusti e suolo nero, neanche lontanamente spoglia come il Deserto Aiel, ma non certo una terra indulgente o rigogliosa. Le fattorie erano comuni, ma avevano quasi l’aspetto di fortini, e i bambini si comportavano come guerrieri addestrati. Una volta Lan gli aveva detto che, nelle Marche di Confine, un ragazzo diventava un uomo quando guadagnava il diritto di portare una spada.

«Ti è venuto in mente» disse Ituralde, cavalcando alla sinistra di Rand «che quello che stiamo facendo qui potrebbe costituire un’invasione?»

Rand annuì verso Bashere, il quale cavalcava attraverso quella boscaglia alla sua destra.

«Porto con me truppe del loro stesso sangue» disse. «I Saldeani sono miei alleati.» Bashere rise. «Dubito che la regina la vedrà a quel modo, amico mio! Sono passati mesi dall’ultima volta che le ho chiesto ordini. Insomma, non sarei sorpreso se a quest’ora avesse domandato la mia testa.»

Rand strabuzzò gli occhi. «Io sono il Drago Rinato. Non è un’invasione marciare contro le forze del Tenebroso.» Davanti a loro sorgevano le pendici delle montagne di Dhoom. Avevano un aspetto fosco, come se i loro versanti fossero coperti di fuliggine.

Cosa avrebbe fatto lui se un altro sovrano avesse usato un passaggio per depositare quasi cinquantamila truppe all’interno dei suoi confini? Era un atto di guerra, ma le forze delle Marche di Confine erano lontane a fare solo la Luce sapeva cosa, e lui non avrebbe lasciato sguarnite queste terre. Solo a un’ora a cavallo verso sud, i Domanesi di Ituralde avevano montato un campo fortificato accanto a un fiume la cui sorgente si trovava fra le montagne della Fine del Mondo. Rand aveva ispezionato il loro campo e i ranghi. Dopodiche Bashere aveva suggerito che Rand andasse a ispezionare la Macchia. Gli esploratori erano rimasti sorpresi della rapidità con cui la Macchia stava avanzando, e Bashere riteneva importante che Ituralde e Rand lo vedessero con i propri occhi. Rand era d’accordo. Le mappe a volte non riuscivano a trasmettere la verità che gli occhi potevano vedere.

Il sole stava calando verso l’orizzonte come un occhio pendulo che non vede l’ora di dormire. Tai’daishar pestò uno zoccolo, gettando indietro la testa. Rand sollevò la mano, arrestando il suo gruppo: due generali, cinquanta soldati e un ugual numero di Fanciulle, con Narishma in retroguardia per intessere passaggi.

A nord, sul basso pendio, una boscaglia di erbe a foglia larga e tozzi arbusti si agitava come onde al vento. Non c’era una specifica linea dove cominciava la Macchia. Una chiazza su un filo d’erba qui, l’aspetto malaticcio di uno stelo lì. Ogni singola macchiolina era innocente, tuttavia ce n’erano tante, troppe. Sulla cima della collina, non c’era una singola pianta priva di quelle chiazze. Quel vaiolo pareva diffondersi perfino mentre guardava.

La Macchia aveva in se un untuoso senso di morte, di piante che sopravvivevano a stento, tenute in vita come prigionieri messi a digiuno e a un passo dalla morte. Se Rand avesse visto qualcosa del genere in un campo nei Fiumi Gemelli, avrebbe bruciato l’intero raccolto e sarebbe rimasto sorpreso che non fosse ancora stato fatto.

Al suo fianco, Bashere si toccò con le nocche i lunghi baffi scuri. «Ricordo quando non cominciava prima di qualche altra lega» rilevò. «Non era così tanto tempo fa.»

«Ho già predisposto alcune pattuglie che ne percorrono l’intera lunghezza» disse Ituralde. Fissò il paesaggio malsano. «Tutti i rapporti dicono lo stesso. Là fuori è tutto tranquillo.»

«Questo dovrebbe essere un avvertimento sufficiente che qualcosa non va» disse Bashere.

«Ci sono sempre pattuglie o scorrerie di Trolloc da combattere. E se non ci sono, vuoi dire che qualcosa di peggio li ha spaventati. Vermi o sanguivori.»

Ituralde appoggiò un braccio sulla sua sella, scuotendo il capo mentre continuava a fissare la Macchia. «Non ho esperienza nel combattere cose del genere. So come pensano gli uomini, ma le squadre di razziatori Trolloc non hanno linee di approvvigionamento, e ho solo sentito delle storie su quello che i vermi possono fare.»

«Lascerò alcuni degli ufficiali di Bashere con te come consiglieri» disse Rand.

«Questo sarebbe d’aiuto,» ribatte Ituralde «ma mi domando se non sarebbe meglio lasciare semplicemente lui qui. I suoi soldati possono pattugliare questa zona, e tu potresti avvalerti delle mie truppe nell’Arac! Doman. Senza offesa, mio signore, ma non ritieni strano farci lavorare uno nel regno dell’altro?»

«No» asserì Rand. Non era strano, era amaro buonsenso. Si fidava di Bashere, e i Saldeani avevano servito bene Rand, ma sarebbe stato pericoloso lasciarli nella loro patria. Bashere era cugino della regina in persona… e i suoi uomini? Come avrebbero reagito quando la loro stessa gente avrebbe domandato perché erano diventati Fautori del Drago? Per strano che fosse, Rand sapeva che avrebbe causato una conflagrazione decisamente minore lasciando degli stranieri su suolo saldeano.

Il suo ragionamento su Ituralde era ugualmente spietato. L’uomo gli aveva giurato fedeltà , ma le lealtà potevano cambiare. Quassu’, vicino alla Macchia, Ituralde e le sue truppe avrebbero avuto ben poche opportunità di ribellarsi contro Rand. Erano in territorio ostile, e gli Asha’man di Rand sarebbero stati il loro unico mezzo rapido per ritornare nell’Arad Doman. Se l’avesse lasciato nella sua terra natale, invece, Ituralde avrebbe potuto radunare truppe e forse decidere che non bisogno della protezione del Drago Rinato.

Era molto più sicuro tenere gli eserciti in territorio ostile.

Rand odiava pensarla in quel modo, ma era una delle differenze principali fra l’uomo che era stato e l’uomo che era diventato. Solo uno di quegli uomini poteva fare quello che andava fatto, a prescindere da quanto lo odiasse.

«Narishma» chiamò Rand. «Passaggio.»

Non dovette voltarsi per percepire Narishma afferrare l’Unico Potere e iniziare a tessere. Quella sensazione fece formicolare Rand, allettandolo, ma la ricacciò indietro. Stava diventando sempre più difficile per lui afferrare il Potere senza svuotarsi lo stomaco, e non aveva intenzione dì rigettare di fronte a Ituralde.

«Avrai cento Asha’man entro la fine della settimana» disse Rand, rivolto a Ituralde.

«Sospetto che ne farai buon uso.»

«Sì, penso proprio di poterlo fare.»

«Voglio rapporti giornalieri, perfino se non accade nulla» replicò Rand. «Manda i messaggeri attraverso un passaggio. Io smonterò il campo e mi sposterò a Bandar Eban tra quattro giorni.»

Bashere mugugno’; questa era la prima volta che Rand parlava di un trasferimento. Rand fece voltare il suo cavallo verso l’ampio passaggio aperto dietro di loro. Alcune delle Fanciulle l’avevano già attraversato, andando per prime come sempre.

Narishma stava da un lato, i suoi capelli raccolti in due trecce nere adornate di campanelli. Anche lui era stato un uomo delle Marche di Confine prima di diventare un Asha’man. Troppe lealtà confuse. Quale sarebbe venuta prima per Narishma?

La sua patria? Rand? La Aes Sedai di cui era Custode? Rand era piuttosto certo che l’uomo fosse leale; era uno di quelli che erano venuti con lui ai Pozzi di Dumai. Ma i nemici più pericolosi erano quelli di cui supponevi di poterti fidare.

Non ci si può fidare di nessuno di loro!, disse Lews Therin. Non avremmo mai dovuto lasciarci avvicinare tanto. Ci si rivolteranno contro!

Il pazzo aveva sempre problemi con altri uomini in grado di incanalare. Rand spronò Tai’daishar in avanti, ignorando le farneticazioni di Lews Therin, anche se sentire la voce lo riportava a quella notte. La notte in cui aveva sognato Moridin e non c’era stato nessun Lews Therin nella sua mente. A Rand si torceva lo stomaco al pensiero che i suoi sogni non erano più sicuri. Era arrivato ad affidarsi a essi come un rifugio. Poteva essere assalito dagli incubi, vero, ma erano i suoi incubi.

Perche Moridin era venuto ad aiutare Rand a Shadar Logoth, durante il combattimento con Sammael? Quali contorte trame stava ordendo? Aveva affermato che era stato Rand a invadere il suo sogno, ma se fosse stata solo un’altra menzogna?

Devo distruggerli, pensò. Tutti i Reietti, e devo farlo per sempre stavolta. Devo essere implacabile.

Tranne che Min non voleva che fosse implacabile. E Rand non voleva spaventare proprio lei. Non c’erano giochi con Min; lei poteva chiamarlo sciocco, ma non mentiva, e questo gli metteva voglia di essere l’uomo che lei desiderava che fosse. Ma osava farlo? Poteva un uomo capace di ridere essere anche colui che poteva affrontare quello che andava fatto a Shayol Ghul?

‘Per vivere devi morire’ era stata la risposta a una delle sue tre domande. Se avesse avuto successo, la sua memoria — il suo retaggio — sarebbe vissuto dopo la sua morte. Non era molto confortante. Rand non voleva morire. E chi lo voleva? Gli Aiel affermavano di non cercare la morte, anche se la abbracciavano quando giungeva.

Entrò nel passaggio, Viaggiando di nuovo al maniero nell’Arad Doman, con gli anelli di pini che circondavano il bruno terreno calpestato e le lunghe file di tende. Sarebbe servito un uomo duro per affrontare la sua stessa morte, per combattere il Tenebroso mentre il suo stesso sangue colava sulle rocce. Chi poteva ridere davanti a tutto cio’?

Scosse il capo. Avere Lews Therin nella sua testa non aiutava. Lei ha ragione, disse Lews Therin all’improvviso.

Lei?, chiese Rand.

Quella graziosa. Con i capelli corti. Dice che dobbiamo rompere i sigilli Ha ragione.

Rand rimase immobile, arrestando di colpo Tai’daishar, ignorando lo stalliere che era venuto a prendere il cavallo. Sentire Lews Therin dar ragione…

Cosa dobbiamo fare dopo?, domandò Rand. Moriamo. Hai promesso che avremmo potuto morire!

Solo se sconfiggiamo il Tenebroso, replicò Rand. Sai che, se lui vincerà , non ci sarà nulla per noi. ‘Nemmeno la morte.

Sì… nulla, disse Lews Therin. Questo sì che sarebbe bello. Niente dolore, niente rimpianto. Nulla.

Rand fu percorso da un brivido. Se Lews Therin iniziava a pensarla a quel modo… No, disse Rand, non sarebbe nulla. Lui avrebbe la nostra anima. Il dolore sarebbe peggio, molto peggio. Lews Therin cominciò a piangere.

Lews Therin!, sbottò Rand nella sua mente. Cosa facciamo? Come sigillaste il Foro l’ultima volta?

Non funzionò, sussurrò Lews Therin. Usammo saidin, ma con esso toccammo il Tenebroso. Era l’unico modo! Qualcosa deve toccarlo, qualcosa per chiudere il varco, ma lui fu in grado di corromperlo, il sigillo era debole!

Sì, ma cosa facciamo di diverso?, pensò Rand.

Silenzio. Rand rimase seduto per un momento, poi scivolò giù da Tai’daishar e lasciò che lo stalliere innervosito lo conducesse via. Le Fanciulle rimanenti stavano giungendo attraverso il passaggio, con Bashere e Narishma che chiudevano la retroguardia. Rand non li aspettò, anche se notò Deira Bashere — la moglie di Davram Bashere — in piedi fuori dal terreno di Viaggio. La donna alta e statuaria aveva capelli scuri con striature bianche alle tempie. Rivolse a Rand un’occhiata di valutazione. Cosa avrebbe fatto se Bashere fosse morto al servizio di Rand? Avrebbe continuato a seguirlo oppure avrebbe condotto via le truppe e sarebbe tornata in Saldea? Aveva la stessa forza di volontà di suo marito. Forse ancora di piu’.

Rand la superò con un cenno del capo e un sorriso, poi camminò attraverso il campo serale verso il maniero. Dunque Lews Therin non sapeva come sigillare la prigione del Tenebroso. A che serviva la voce allora? Che fosse folgorato! Era stato una delle poche speranze di Rand! Molte persone furono abbastanza sagge da farsi da parte quando lo videro incedere per i terreni. Rand riusciva a ricordare quando non era preda di tali umori, quando era solo un semplice pastore. Rand il Drago Rinato era un uomo completamente diverso. Era un uomo dedito al dovere e alla responsabilità. Doveva esserlo.

Dovere. Il dovere era come una montagna. Be’, Rand si sentiva come se fosse intrappolato fra una dozzina buona di montagne diverse, che si spostavano tutte per distruggerlo. Fra quelle forze, le sue emozioni parevano ribollire sotto pressione. C’era da stupirsi che ogni tanto esplodessero?

Scosse il capo, avvicinandosi al maniero. A est si ergevano i Monti di Nebbia. Il sole era quasi prossimo al tramonto e le montagne erano immerse in una luce rossa. Al di là di esse e verso sud, così stranamente vicini, si trovavano Emond’s Field e i Fiumi Gemelli. Una casa che non avrebbe rivisto mai piu’, dato che una visita non avrebbe fatto altro che avvisare i suoi nemici che era un luogo per cui nutriva affetto. Aveva lavorato sodo affinche pensassero che ne era privo. A volte temeva che questa finzione fosse diventata realtà.

Montagne. Montagne come dovere. Il dovere della solitudine, in questo caso, poiche da qualche parte a sud lungo quelle montagne troppo vicine c’era suo padre. Tarn. Rand non lo vedeva da molto tempo. Tarn era suo padre. Rand lo aveva deciso. Non aveva mai conosciuto il suo padre naturale, il capoclan Aiel di nome Janduin, e per quanto fosse stato evidentemente un uomo d’onore, Rand non aveva alcun desiderio di chiamarlo padre.

A volte, Rand bramava la voce di Tarn, la sua saggezza. Quelli erano i casi in cui Rand sapeva di dover essere più duro, poiche un momento di debolezza — un momento in cui fosse corso a chiedere aiuto a suo padre — avrebbe distrutto quasi tutto quello per cui aveva lavorato. E molto probabilmente avrebbe significato anche la fine della vita di Tarn.

Rand entrò nel maniero attraverso il foro bruciato sul davanti, scostando lo spesso telone che ora fungeva da ingresso, e diede le spalle alle Montagne di Nebbia. Era solo. Gli occorreva essere solo. Affidarsi a qualcuno avrebbe rischiato di renderlo debole una volta raggiunto Shayol Ghul. All’Ultima Battaglia non sarebbe stato in grado di appoggiarsi a nessuno tranne se stesso.

Dovere. Quante montagne doveva portare un uomo?

Il maniero odorava ancora di fumo. Lord Tellaen si era lamentato dell’incendio in modo esitante — eppure persistente — finche Rand non aveva ordinato una compensazione per l’uomo, anche se la bolla di male non era stata colpa sua. O sì? Essere ta’veren aveva molti effetti strani, dal far rivelare alle persone cose che normalmente non avrebbero detto fino a portargli la fedeltà di quelli che erano stati indecisi. Era un fulcro per i guai, bolle di male incluse. Non aveva scelto di esserlo, ma aveva scelto di alloggiare in quel maniero.

A ogni modo, Tellaen era stato compensato. Era un’inezia a paragone dei soldi che Rand stava spendendo per finanziare il suo esercito, e perfino quello era poco a paragone dei fondi che aveva impegnato per portare cibo all’Arad Doman e alle altre zone a rischio. A questo ritmo, i suoi sovrintendenti temevano che presto avrebbe mandato in bancarotta le sue risorse a Illian, Tear e Cairhien. Rand non aveva detto loro che non gliene importava.

Si sarebbe occupato del mondo fino all’Ultima Battaglia.

E non lascerai nessuna eredità tranne quella?, sussurrò una voce in fondo alla sua mente. Non Lews Therin, ma i suoi stessi pensieri, una vocina, la parte di lui che lo aveva spronato a fondare scuole a Cairhien e nell’Andor. Vuoi vivere dopo essere morto? Lascerai tutti coloro che ti seguono in preda a guerra, carestia e caos? Sarà la distruzione ciò per cui verrai ricordato? Rand scosse il capo. Non poteva aggiustare tutto! Era solo un uomo. Guardare oltre l’Ultima Battaglia era stupido. Non poteva preoccuparsi del mondo, dopo di essa, non poteva proprio. Farlo avrebbe significato distogliere lo sguardo dall’obiettivo.

E qual è l’obiettivo?, parve dire la voce. Sopravvivere o prosperare? Getterai le basi per un’altra Frattura o per una nuova Epoca Leggendaria?

Non aveva risposte. Lews Therin si agitò un po’, farfugliando qualcosa di incoerente. Rand salì le scale fino al secondo piano del maniero. Luce, quanto era stanco.

Cosa aveva detto il folle? Quando aveva sigillato il Foro nella prigione del Tenebroso, aveva usato saidin. Era accaduto poiche gli Aes Sedai di allora si erano rivoltati contro di lui e gli erano rimasti accanto solo i Cento Compagni, i più potenti Aes Sedai del suo tempo. Nessuna donna. Le Aes Sedai donna avevano definito il suo piano troppo rischioso.

Era spaventoso come Rand riuscisse quasi a ricordare quegli eventi; non ciò che era accaduto, ma la rabbia, la disperazione, la decisione. L’errore era forse non aver usato la metà femminile del potere assieme a quella maschile? Era stato quello a consentire al Tenebroso di contrattaccare e corrompere saidin, facendo impazzire Lews Therin e quelli che rimanevano dei Cento Compagni?

Poteva essere così semplice? Quante Aes Sedai gli sarebbero servite? O forse non gliene sarebbe servita nessuna? C’erano parecchie Sapienti in grado di incanalare. Di sicuro la faccenda era più complessa.

C’era un gioco diffuso fra i bambini, Serpenti e Volpi. Si diceva che l’unico modo per vincere fosse infrangere le regole. E quest’altro suo piano, allora? Poteva infrangere le regole uccidendo il Tenebroso? Era qualcosa che perfino lui, il Drago Rinato, osava contemplare? Attraversò il cigolante pavimento in legno del corridoio e aprì la porta della sua stanza. Min era stesa sul letto appoggiata contro i cuscini, indossando i suoi pantaloni verdi ricamati e una camicia di lino, mentre sfogliava un altro libro ancora alla luce di una lampada. Nella stanza era affaccendata una donna anziana, che stava raccogliendo i piatti della cena di Min. Rand si tolse la giacca, sospirando fra se e flettendo la mano.

Si sedette sul lato del letto mentre Min metteva da parte il suo libro, un volume intitolato Esauriente trattato sulle reliquie pre-Frattura. Si mise a sedere e gli sfregò la nuca con una mano. Le scodelle tintinnarono mentre la servitrice le raccoglieva, e lei si inchinò in segno di scuse, muovendosi più veloce mentre le metteva nel canestro.

«Ti stai affaticando troppo, pastore» disse Min.

«Devo farlo.»

Lei gli diede un pizzicotto forte sul collo e lui sussultò con un grugnito. «No che non devi» disse, la sua voce vicina all’orecchio di Rand. «Non mi dai ascolto? A cosa servirà se ti logorerai prima di arrivare all’Ultima Battaglia? Luce, Rand, sono mesi che non ti sento ridere!»

«È davvero il momento di ridere?» chiese lui. «Vorresti che fossi felice mentre i bambini muoiono di fame e gli uomini si massacrano fra loro? Dovrei ridere nel sentire che i Trolloc stanno ancora uscendo dalle Vie? Dovrei essere felice che la maggior parte dei Reietti sia là fuori da qualche parte, ad architettare il modo migliore per uccidermi?»

«Be’, no» disse Min. «Certo che no. Ma non possiamo lasciare che i guai del mondo ci distruggano. Cadsuane dice che…»

«Aspetta» sbottò lui, ruotando in modo da guardarla in faccia. Lei si inginocchiò sul letto, i corti capelli scuri che si arricciavano sotto il suo mento. Pareva sconcertata dal suo tono.

«Cos’ha a che fare Cadsuane con questo?» chiese. Min si accigliò. «Nulla.»

«Ti ha imbeccato su cosa dire» replicò Rand. «Ti sta usando per arrivare a me!»

«Non essere idiota» ribatte Min.

«Cos’ha detto su di me?»

Min scrollò le spalle. «Si preoccupa di quanto sei diventato rigido. Rand, che succede?»

«Sta cercando di arrivare a me, di manipolarmi» disse lui. «Ti sta usando. Cosa le hai detto, Min?»

Min gli diede un altro brusco pizzicotto. «Non mi piace quel tono, babbeo. Pensavo che Cadsuane fosse la tua consigliera. Perche dovrei stare attenta a quello che dico con lei?»

La servitrice continuò a far cozzare i piatti. Perche non poteva andarsene e basta? Questo non era il genere di discussione che Rand voleva avere di fronte a degli estranei.

Non era possibile che Min stesse lavorando con Cadsuane, vero? Rand non si fidava affatto di Cadsuane. Se era arrivata a Min…

Rand provò un tuffo al cuore. Non sospettava di Min, vero? Lei era sempre stata la persona che aveva considerato più sincera nei suoi confronti, quella che non giocava con lui. Cosa avrebbe fatto se l’avesse perduta? Che io sia folgorato, penso. Ha ragione. Sto diventando troppo rigido. Che ne sarà di me se inizio a sospettare di quelli che so che mi amano? Non sarei meglio di quel folle di Lews Therin.

«Min» disse lui, abbassando la voce. «Forse hai ragione. Forse sono andato troppo oltre.» Lei si voltò a guardarlo, rilassandosi. Poi si irrigidì, gli occhi sgranati dallo stupore.

Qualcosa di freddo schioccò attorno al collo di Rand. Lui alzò immediatamente la mano al collo, ruotando su se stesso. La servitrice era in piedi dietro di lui, ma la sua forma stava scintillando. Svanì e fu rimpiazzata da una donna dalla carnagione scura e gli occhi neri, con il volto affilato e trionfante. Semirhage.

La mano di Rand toccò il metallo. Metallo troppo freddo che pareva ghiaccio, premuto contro la sua pelle. In preda alla rabbia, cercò di estrarre la spada dal suo fodero nero istoriato col drago, ma scoprì di non poterlo fare. Le sue gambe furono sottoposte a uno sforzo come se si stessero opponendo a un peso incredibile. Rand artigliò il collare — le sue dita potevano ancora muoversi —, ma il metallo pareva essere un unico pezzo solido. In quel momento, Rand provò terrore. Incontrò comunque gli occhi di Semirhage e lei esibì un largo sorriso. «Ho atteso a lungo di metterti addosso la Fascia del Dominio, Lews Therin. Strano come capitino le circostanze, non è…»

Qualcosa guizzò nell’aria e Semirhage ebbe a malapena il tempo di urlare prima che qualcosa deflettesse di pochissimo la lama: un flusso di Aria, poteva solo supporre Rand, anche se non poteva vedere i flussi intessuti con saidar. Tuttavia il coltello di Min aveva lasciato uno sfregio sul volto di Semirhage prima di proseguire e conficcarsi nel legno della porta.

«Guardie!» urlò Min. «Fanciulle, allarme! Il Car’a’carn è in pericolo!»

Semirhage imprecò agitando una mano e Min tacque. Rand si voltò con apprensione, cercando di afferrare saidin e fallendo. Qualcosa lo bloccava. Min venne gettata giù dal letto da flussi di Aria e con la bocca serrata. Rand cercò di correre da lei, ma di nuovo scoprì di non potere. Le sue gambe rifiutavano semplicemente di muoversi.

In quel momento, l’uscio della stanza si apri. Un’altra donna entrò con passo affrettato. Lanciò un’occhiata fuori dalla porta, come se stesse in guardia per qualcosa, poi la chiuse dietro di se. Rand provò un impeto di speranza, ma poi la donna minuta si unì a Semirhage, prendendo l’altro braccialetto che controllava l’a’dam attorno al collo di Rand. Alzò lo sguardo su di lui: aveva gli occhi arrossati e l’aria intontita, come se qualcosa l’avesse colpita forte sulla testa. Comunque, quando lo vide inginocchiato, sorrise. «E così hai finalmente incontrato il tuo destino, Rand al’Thor. Affronterai il Signore Supremo. E perderai.»

Elza. Elza era Nera, che fosse folgorata! Rand avvertì un pizzicore sulla pelle quando la percepì abbracciare saidar, in piedi accanto alla sua padrona. Erano entrambe faccia a faccia con lui, ciascuna con indosso un braccialetto, e Semirhage pareva estremamente sicura di se. Rand ringhiò, voltandosi verso Semirhage. Non si sarebbe lasciato intrappolare in questo modo!

La Reietta toccò il taglio sanguinante sulla sua guancia, poi emise un suono di stizza. Indossava un abito marrone smorto. Come era sfuggita alla sua prigionia? E dove aveva preso quel maledetto collare? Rand lo aveva dato a Cadsuane perché lo tenesse al sicuro. Lei aveva giurato che lo sarebbe stato!

«Non verrà nessuna guardia, Lews Therin» disse Semirhage con fare assente, sollevando la mano col braccialetto; quello era intonato con il collare attorno alla sua gola. «Ho protetto la stanza per non far uscire alcun suono. Scoprirai di non poterti neanche muovere a meno che io non te lo permetta. Hai già tentato e devi esserti reso conto di quanto sia futile.» Disperato, Rand si protese di nuovo verso saidin, ma non trovò nulla. Nella sua testa, Lews Therin iniziò a ringhiare e a piangere, e Rand si sentì sul punto di unirsi all’uomo. Min! Doveva raggiungerla. Doveva essere abbastanza forte!

Si costrinse a muoversi verso Semirhage ed Elza, ma era come se stesse cercando di spostare le gambe di qualcun altro. Era intrappolato nella sua stessa testa, come Lews Therin. Aprì la bocca per imprecare, ma non uscì nulla tranne un gracidio.

«Sì,» disse Semirhage «non puoi nemmeno parlare senza permesso. E ti consiglio di non protenderti di nuovo verso saidin. Troveresti l’esperienza spiacevole. Quando ho collaudato la Fascia del Dominio in precedenza, ho scoperto che è uno strumento molto più elegante di quegli a’dam dei Seanchan. I loro a’dam permettono qualche piccola dose di libertà , affidandosi alla nausea come inibitore. La Fascia del Dominio esige un’obbedienza molto più stretta. Agirai esattamente come io desidero. Per esempio…»

Rand si alzò dal letto, con le gambe che si muovevano contro la sua volontà. Poi la sua stessa mano schizzò in alto e iniziò a stringergli la gola proprio sopra la banda metallica. Annaspò, incespicando, in preda alla frenesia, cercò di nuovo di afferrare saidin.

Trovò dolore. Era come se avesse affondato la mano in una tinozza d’olio bollente e poi avesse attirato il liquido infuocato nelle sue stesse vene. Urlò dallo shock e dal dolore, crollando sul pavimento di legno. Il dolore lo fece contorcere, mentre la vista gli si oscurava.

«Vedi.» La voce di Semirhage suonava distante. «Ah, avevo dimenticato quanto può essere appagante.»

Il dolore era come un milione di formiche che gli scavavano sotto la pelle, fino all’osso, Rand si dibatte, con i muscoli in preda agli spasmi.

Siamo di nuovo nella cassa!, urlò Lews Therin.

E all’improvviso fu lì. Poteva vederla, con i suoi confini neri che lo schiacciavano. Il suo corpo dolorante per le ripetute percosse, la sua mente che cercava frenetica di rimanere in se. Lews Therin era stato il suo unico compagno. Era una delle prime volte in cui Rand poteva ricordarsi di aver comunicato con il folle; Lews Therin aveva iniziato a rispondergli solo brevemente prima di quel giorno.

Rand non era stato disposto a considerare Lews Therin come parte di se stesso. La parte folle di se, quella che poteva sopportare la tortura, anche solo per il fatto che era già così torturata. Altro dolore e sofferenza erano insignificanti. Non potevi riempire una coppa che aveva già iniziato a traboccare.

Smise di gridare, il dolore era ancora lì, gli faceva lacrimare gli occhi, ma le urla non uscivano. Tutto pareva immobile.

Semirhage lo guardò dall’alto in basso, accigliandosi, con del sangue che le colava dal mento. Un’altra ondata di dolore lo assalì. Chiunque lui fosse. La fissò in silenzio.

«Cosa stai facendo?» chiese lei, obbligandolo. «Parla.»

«Non può essermi fatto più nulla» sussurrò lui.

Un’altra ondata di dolore. Lo squassò, e qualcosa dentro di lui piagnucolò, ma non lasciò trasparire alcuna reazione all’esterno. Non perché stava tenendo dentro le urla, ma perché non riusciva a provare nulla. La cassa, le due ferite al fianco che gli corrompevano il sangue, le percosse, l’umiliazione, le sofferenze e il suo stesso suicidio. Uccidere se stesso. All’improvviso pote vederlo e ricordarlo in modo chiaro. Dopo tutto questo, cosa mai poteva fargli Semirhage?

«Somma Padrona» disse Elza, voltandosi verso Semirhage con occhi che parevano ancora intontiti da qualcosa. «Forse ora dovremmo…»

«Silenzio, verme» la apostrofò Semirhage, pulendosi il sangue dal mento. Lo guardò.

«Con questa sono due volte che quei coltelli hanno assaggiato il mio sangue.» Scosse il capo, poi si voltò e sorrise a Rand. «Dici che non ti può essere fatto più nulla? Dimentichi con chi stai parlando, Lews Therin. Il dolore è la mia specialità e tu sei ancora poco più che un ragazzo. Ho spezzato uomini dieci volte più forti di te. in piedi.»

Lui si alzò. Il dolore non era scomparso. Era ovvio che lei intendeva usarlo contro di lui finche non avesse ottenuto una reazione.

Rand si voltò, obbedendo al suo comando inespresso, e trovò Min sospesa sopra il pavimento, legata da corde invisibili di Aria. Aveva gli occhi sgranati dalla paura, le braccia legate dietro la schiena, la bocca bloccata da un bavaglio intessuto d’Aria.

Semirhage ridacchiò. «Non c’è nient’altro che posso fare, dici?»

Rand afferrò saidin… non per propria scelta, ma per la sua. Il ruggito del potere eruppe dentro di lui, portando con se la strana nausea che lui non era mai stato in grado di spiegare. Crollò carponi, svuotando lo stomaco con un gemito mentre la stanza si muoveva e girava attorno a lui.

«Che strano» sentì dire a Semirhage, come in lontananza. Scosse il capo, ancora trattenendo l’Unico Potere, dibattendosi con esso come doveva sempre fare con saidin, costringendo quel poderoso, torcente flusso di energia alla sua volontà. Era come incatenare una tempesta di vento, e gli riusciva difficile perfino quando era forte e in salute. Ora era quasi impossibile.

Usalo, sussurrò Lews Therin. Uccidila mentre possiamo!

Non ucciderò una donna, pensò Rand con ostinazione, il frutto di un ricordo dai recessi della sua mente. È un confine che non superero’…

Lews Therin ruggì, cercando di prendere saidin da Rand, ma senza successo. In effetti, Rand scoprì di non riuscire a incanalare di proposito più di quanto non poteva fare un passo senza il permesso di Semirhage.

Si raddrizzò per un suo ordine mentre la stanza diventava più ferma, la nausea si ritirava. E poi iniziò a intessere flussi, complicati intrecci di Spirito e Fuoco.

«Sì» disse Semirhage, quasi fra se. «Ora, se riesco a ricordare… Il modo maschile di fare questo è così bizzarro, a volte.»

Rand creò i flussi, poi li spinse verso Min. «No!» urlò mentre lo faceva. «Non quello!»

«Ah, dunque capisci» disse Semirhage. «Non era così difficile spezzarti, dopotutto.»

I flussi toccarono Min e lei si contorse dal dolore. Rand continuò a incanalare, con le lacrime che gli sgorgavano dagli occhi mentre era costretto a mandare i flussi complessi nel corpo della ragazza. Trasmettevano solo dolore, ma lo facevano molto bene. Semirhage doveva aver rimosso il bavaglio di Min, poiche lei iniziò a urlare, piangente.

«Ti prego, Rand!» implorò. «Ti prego!»

Rand ruggì dalla rabbia, cercando di fermarsi ma incapace di farlo. Poteva sentire il dolore di Min attraverso il legame, provarlo mentre lo causava.

«Smettila!» gridò.

«Supplicami» disse Semirhage.

«Per favore» disse lui, piangendo. «Per favore, io ti supplico.»

Tutt’a un tratto si fermò e i flussi torturatori si dipanarono. Min era sospesa in aria, piagnucolante, gli occhi inebetiti dalla violenza del dolore. Rand si voltò, fronteggiando Semirhage e la figura più piccola di Elza accanto a lei. La Nera pareva terrorizzata, come se si fosse cacciata in qualcosa per cui non era stata preparata.

«Ora,» disse la Reietta «capisci che il tuo ruolo è sempre stato quello di servire il Signore Supremo. Lasceremo questa stanza e ci occuperemo di quelle cosiddette Aes Sedai che mi hanno imprigionato. Viaggeremo a Shayol Ghul e ti presenterò al Signore Supremo, e poi tutto questo potrà aver fine.»

Lui chinò il capo. Doveva esserci una via di scampo! La immaginò mentre lo usava per fare a pezzi le file dei suoi stessi uomini. Se li figurò timorosi di attaccare, per paura di fargli del male. Vide il sangue, la morte e la distruzione che avrebbe causato. E lo raggelò, facendolo diventare di ghiaccio dentro.

Hanno vinto.

Semirhage lanciò un’occhiata alla porta, poi si voltò di nuovo verso di lui e sorrise. «Ma temo che prima dobbiamo fare i conti con lei. Procediamo, dunque.»

Rand si girò e iniziò a camminare verso Min. «No!» esclamò. «Hai promesso che se avessi supplicato…»

«Io non ho promesso nulla» disse Semirhage con una risata. «Hai implorato davvero con grazia, Lews Therin, ma ho scelto di ignorare le tue suppliche. Puoi lasciar andare saidin, comunque. Questo dev’essere qualcosa di più personale.»

Saidin scomparve in un istante e Rand lo rimpianse quando si ritrasse. Il mondo attorno a lui pareva più smorto. Si accostò a Min e gli occhi imploranti di lei incontrarono i suoi. Poi lui le premette la mano alla gola, afferrandola, e iniziò a stringere.

«No…» mormorò dall’orrore mentre la sua mano, contro la sua volontà , la privava dell’aria. Min barcollò e lui la costrinse involontariamente a terra, ignorando facilmente i suoi sforzi di dibattersi. Incombette sopra di lei, premendole la mano contro la gola, serrandola, e soffocandola. Lei lo guardò, iniziando a strabuzzare gli occhi.

Non è possibile. Questo non sta succedendo. Semirhage rise.

Ilyena!, gemette Lews Therin. Oh, Luce! L’ho uccisa!

Rand strinse più forte, appoggiandosi a terra per maggiore potenza. Le sue dita premevano contro la pelle di Min affondandole nella gola. Era come se stringesse il suo stesso cuore, e il mondo attorno a lui divenne nero, tutto oscurato tranne Min. Poteva sentire le sue pulsazioni palpitare sotto le sue dita.

Quei suoi stupendi occhi scuri lo fissavano, amandolo perfino mentre la uccideva. Questo non può accadere!

L’ho uccisa! Sono pazzo! Ilyena!

Doveva esserci una via di scampo! Doveva! Rand voleva chiudere gli occhi, ma non poteva. Lei non glielo avrebbe permesso… non Semirhage, ma Min. Teneva gli occhi fissi nei suoi, con le lacrime che le striavano le gote, gli scuri capelli ricci scarmigliati. Così bella.

Si affannò per prendere saidin, ma non ci riuscì. Cercò con ogni briciolo di volontà di rilassare le dita, ma quelle non facevano altro che continuare a stringere. Provò orrore, avvertì il suo dolore. Il volto di Min divenne violaceo, mentre le palpebre tremolavano.

Rand urlò. Questo non può accadere! Non lo farò di nuovo!

Qualcosa schioccò dentro di lui. Divenne freddo; poi quella freddezza scomparve e lui non riuscì a provare nulla. Nessuna emozione. Nessuna rabbia.

In quel momento divenne consapevole di una strana forza. Era come un serbatoio d’acqua, che ribolliva e si rimestava appena al di là della sua visuale. Vi si protese con la mente.

Un volto annebbiato guizzò davanti a quello di Rand, uno di cui non riusciva bene a distinguere le fattezze. In un istante scomparve.

E Rand si ritrovò pieno di un potere sconosciuto. Non saidin, non saidar, ma qualcos’altro. Qualcosa che non aveva mai sperimentato prima.

Oh, Luce, urlò all’improvviso Lews Therin. Questo è impossibile! Non possiamo usarlo! Gettalo via! è morte ciò che stai trattenendo, morte e tradimento. a lui!

Rand chiuse gli occhi mentre si inginocchiava sopra Min, poi incanalò quella strana forza ignota. Energia e vita eruppero attraverso di lui, un torrente di potere come saidin, solo dieci volte più dolce e cento volte più potente. Lo rese vivo, lo rese consapevole di non essere mai stato vivo prima. Gli diede una forza che non aveva mai immaginato. Rivaleggiava perfino col potere che aveva trattenuto quando aveva attinto dai Choedan Kal.

Urlò, sia dall’estasi che dalla rabbia, e intesse enormi lance di Fuoco e Aria. Mandò quei flussi a sbattere contro il collare attorno alla sua gola e la stanza esplose di fiamme e pezzi di metallo fuso, ciascuno distinto agli occhi di Rand. Pote percepire ogni singolo frammento di metallo volar via dal suo collo, deformando l’aria col suo calore, lasciando una scia di fumo mentre colpiva il pavimento o una parete. Apri gli occhi e lasciò andare Min. Lei annaspò e singhiozzò.

Rand si alzò e si voltò, sentendo nelle vene magma incandescente… Come quando Semirhage lo aveva torturato, eppure in qualche modo l’opposto. Per quanto fosse doloroso, era anche pura estasi.

Semirhage pareva del tutto sbigottita. «Ma… questo è impossibile» disse. «Non ho percepito nulla. Tu non puoi…» Alzò lo sguardo, fissandolo con occhi sgranati. «Il Vero Potere. Perche mi hai tradito, Signore Supremo? Perche?»

Rand sollevò una mano e, colmo di quel potere che non comprendeva, intesse un singolo flusso. Un fascio di pura luce bianca, un fuoco purificatore, eruttò dalla sua mano e colpì Semirhage al petto. Lei svanì in un lampo, lasciando una debole immagine residua nella visuale di Rand. Il suo braccialetto cadde a terra.

Elza corse verso la porta. Anche lei scomparve davanti a un altro fascio luminoso, e la sua stessa figura divenne luce per un istante. Anche il suo braccialetto cadde al suolo: le donne che li avevano indossati erano state bruciate via del tutto dal Disegno.

Cos’hai fatto?, chiese Lews Therin. Oh, Luce. Meglio aver ucciso di nuovo che questo… Oh, Luce. Siamo condannati.

Rand assaporò quel Potere ancora per un momento, poi, con rammarico, lo lasciò defluire. Avrebbe voluto trattenerlo, ma era semplicemente troppo esausto. La sua scomparsa lo lasciò intontito.

O… no. Quell’intontimento non aveva nulla a che fare col potere che aveva trattenuto. Si voltò, abbassando lo sguardo verso Min, che tossiva piano e si massaggiava il collo. La ragazza alzò gli occhi su di lui e parve spaventata. Rand dubitava che l’avrebbe guardato mai più allo stesso modo.

Si era sbagliato: c’era stato davvero qualcos’altro che Semirhage poteva fargli. Aveva sentito se stesso uccidere una persona che amava profondamente. Prima, quando l’aveva fatto come Lews Therin, era stato pazzo e incapace di controllarsi. Riusciva a malapena a ricordare di aver ucciso Ilyena, come attraverso un sogno annebbiato. Si era reso conto di ciò che aveva fatto solo dopo che Ishamael lo aveva svegliato.

Infine, ora, seppe con precisione cosa voleva dire guardare mentre uccideva coloro che amava.

«È fatta» sussurrò Rand.

«Cosa?» domandò Min, ancora tossendo.

«L’ultima cosa che mi poteva essere fatta» disse lui, sorpreso per la sua stessa calma. «Mi hanno tolto tutto, ora.»

«Cosa stai dicendo, Rand?» chiese Min. Si sfregò di nuovo il collo. Iniziavano ad apparire dei lividi.

Lui scosse il capo quando — finalmente — delle voci risuonarono nel corridoio di fuori. Forse gli Asha’man lo avevano percepito incanalare quando aveva torturato Min.

«Ho fatto la mia scelta, Min» disse, voltandosi verso la porta. «Mi hai chiesto di ridere ed essere flessibile, ma sono cose che non posso piu’ dare. Mi dispiace.»

Una volta, settimane fa, aveva deciso che doveva essere più forte: dove era stato ferro, aveva stabilito di diventare acciaio. Pareva che l’acciaio fosse troppo debole.

Ora sarebbe stato più duro. Comprendeva come. Dove una volta era stato acciaio, divenne qualcos’altro. D’ora in poi, era cuendillar. Era entrato in un posto come il vuoto che Tarn lo aveva addestrato a cerca re, così tanto tempo fa. Ma dentro questo vuoto lui non aveva nessuna emozione. Nessunissima emozione.

Non potevano piegarlo o spezzarlo. Era fatta.

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