17 Questioni di controllo

«Dovresti stare più attenta» disse Sarene dall’interno della stanza. «L’Amyrlin Seat, noi abbiamo molta influenza su di lei. Le tue punizioni, noi potremmo essere in grado di persuaderla a diminuirle, se ti rendi utile.»

Semirhage tirò su col naso dallo sdegno, un rumore piuttosto udibile per Cadsuane, che ascoltava dal corridoio fuori dalla stanza dell’interrogatorio, seduta su una confortevole sedia di legno. Cadsuane sorseggiava una tazza di stillerba calda. Il corridoio era di semplice legno, coperto da un lungo tappeto bianco e marrone, e lampade a prisma che tremolavano di luce. C’erano diverse altre nel corridoio con lei: Daigian, Erian, Elza. Era il loro turno di mantenere lo schermo su Semirhage. A parte Cadsuane, ogni Aes Sedai nell’accampamento faceva i turni. Era troppo pericoloso rischiare di imporre quel compito solo alle Aes Sedai di rango inferiore, poiche potevano stancarsi. Lo schermo doveva rimanere forte. Solo la Luce sapeva cosa sarebbe successo se Semirhage si fosse liberata.

Cadsuane sorseggiò il suo te, con la schiena contro la parete. Al’Thor aveva insistito affinche anche alle ‘sue’ Aes Sedai venissero concesse delle opportunità di interrogare Semirhage, non solo a quelle che Cadsuane aveva scelto. Non era certa se questo fosse un tentativo di affermare la propria autorità o se lui pensasse davvero che potevano avere successo dove lei — finora — aveva fallito.

Comunque, questo era il motivo per cui era Sarene a condurre l’interrogatorio oggi. La Bianca tarabonese era una persona meditabonda, del tutto ignara di essere una delle donne più belle che avevano ottenuto lo scialle da anni a questa parte. La sua indifferenza non era inattesa, dal momento che era dell’Ajah Bianca, e quelle Sorelle spesso potevano essere noncuranti quanto le Marroni. Sarene inoltre non sapeva che Cadsuane era fuori a origliare, attraverso l’utilizzo di un piccolo filamento di Spirito. Era un semplice trucco, spesso appreso dalle novizie. Mischiato al trucco scoperto di recente di invertire i flussi voleva dire che Cadsuane poteva ascoltare senza che nessuno all’interno sapesse che era lì.

Le Aes Sedai lì fuori, naturalmente, vedevano cosa stava facendo, ma nessuna disse nulla. Anche se due di loro — Elza ed Erian — facevano parte del gruppo di sciocche che avevano giurato fedeltà al ragazzo al’Thor, erano caute con lei nei paraggi: sapevano come le considerava, idiote. A volte pareva che metà dei suoi alleati fosse solo decisa a rendere il suo lavoro più difficile.

All’interno, Sarene continuava il suo interrogatorio. Parecchie delle Aes Sedai nel maniero avevano provato almeno una volta a interrogare Semirhage. Marroni, Verdi, Bianche e Gialle… tutte avevano fallito. Cadsuane stessa doveva ancora rivolgere delle domande alla Reietta di persona. Le altre Aes Sedai la consideravano una figura quasi mitica, una reputazione che lei aveva alimentato. Era rimasta lontano dalla Torre Bianca per diversi decenni alla volta, assicurandosi che molte presumessero che fosse morta. Quando riappariva, suscitava agitazione. Era andata a caccia di falsi Draghi, sia perché era necessario, sia perché ogni uomo che catturava contribuiva alla sua reputazione con le altre Aes Sedai.

Tutto il suo lavoro era mirato a questi ultimi giorni. Che la Luce la accecasse se aveva intenzione di lasciare che il ragazzo al’Thor rovinasse tutto ora!

Mascherò il suo cipiglio prendendo un sorso di te. Stava lentamente perdendo il controllo, a poco a poco. Una volta, qualcosa di sensazionale come le controversie nella Torre Bianca avrebbe attirato la sua immediata attenzione. Ma non poteva nemmeno iniziare a lavorare su quel problema. La creazione stessa si stava sfilacciando, e il suo unico modo di contrastarlo era indirizzare tutti i suoi sforzi su al’Thor.

E lui resisteva a ogni suo tentativo di aiutarlo. Passo dopo passo, stava diventando un uomo che dentro era come pietra, inamovibile e incapace di adattarsi. Una statua senza emozioni non poteva affrontare il Tenebroso.

Dannato ragazzo! E ora qui c’era Semirhage, che continuava a sfidarla. Cadsuane fremeva dalla voglia di entrare e affrontarla faccia a faccia, ma Merise aveva posto le stesse domande che lei voleva chiedere e aveva fallito. Per quanto tempo l’immagine di Cadsuane sarebbe rimasta intatta se si fosse dimostrata impotente come le altre?

Sarene ricominciò a parlare.

«Le Aes Sedai, tu non dovresti trattarle così» disse con voce calma.

«Aes Sedai?» replicò Semirhage ridacchiando. «Non provi vergogna a usare quel termine per descrivervi? Come un cucciolo che chiama se stesso lupo.»

«Possiamo non sapere tutto, lo ammetto, ma…»

«Voi non sapete nulla» ribatte Semirhage. «Siete bambini che si trastullano con i giocattoli dei vostri genitori.»

Cadsuane picchiettò il lato della sua tazza di te con l’indice. Di nuovo rimase colpita dalle somigliarne fra lei e Semirhage… e di nuovo quelle somiglianze le causarono un fremito.

Con la coda dell’occhio, vide una servitrice snella che saliva le scale portando un vassoio di fagioli e ravanelli al vapore: il pranzo di Semirhage. Era già l’ora? Sarene aveva interrogato la Reietta per tre ore, e aveva parlato chiaramente in cerchio per tutto quel tempo. La servitrice si avvicinò e Cadsuane le fece cenno di entrare.

Un momento dopo, il vassoio rovinò a terra. A quel suono, Cadsuane balzò in piedi, abbracciando saidar, e per poco non si precipitò nella stanza. La voce di Semirhage fece esitare Cadsuane.

«Non lo mangerò» disse la Reietta, controllata come sempre. «Mi sono stancata della vostra brodaglia. Mi porterete qualcosa di appropriato.»

«Se lo facciamo,» disse la voce di Sarene, ovviamente cercando di ghermire qualunque appiglio «risponderai alle nostre domande?»

«Forse» rispose Semirhage. «Vedremo se sono dell’umore adatto.»

«Và a prendere qualcos’altro» disse Sarene, parlando dentro la stanza alla servitrice. «E manda qualcuno a pulire qui.» La porta si aprì, poi si richiuse rapidamente mentre la servitrice si allontanava in tutta fretta.

Sarene proseguì. «La prossima domanda determinerà se potrai davvero consumare quel pasto o no.» Malgrado il tono di voce deciso, Cadsuane pote notare come le parole di Sarene erano affrettate. L’improvvisa caduta del vassoio del cibo l’aveva spaventata. Erano tutte nervose attorno alla Reietta. Non erano deferenti, ma trattavano Semirhage con un certo rispetto. E come impedirlo? Lei era una leggenda. Non si entrava alla presenza di una creatura simile — uno degli esseri più malvagi mai vissuti — senza provare almeno un po’ di soggezione. Un po’ di soggezione…

«È questo il nostro errore» mormorò Cadsuane. Sbatte le palpebre, poi si voltò e aprì la porta della camera.

Semirhage era in piedi al centro della piccola stanza. Era stata legata di nuovo con Aria, i flussi probabilmente erano stati intessuti nel momento in cui aveva lasciato cadere il suo vassoio. Il grosso piatto d’ottone giaceva abbandonato, con le vecchie assi del pavimento sempre più intrise del sugo dei fagioli. Questa stanza non aveva finestre; a un certo punto era stato un magazzino, convertito in una ‘cella’ per tenere rinchiusa la Reietta. Sarene — capelli scuri in trecce ornate di perline, volto attraente sorpreso per l’intrusione — occupava una sedia davanti a Semirhage. Il suo Custode, Vitalien, dalle spalle ampie e dal volto terreo, era in piedi nell’angolo.

La testa di Semirhage non era legata, e i suoi occhi guizzarono verso Cadsuane.

Cadsuane si era impegnata: doveva affrontare la donna ora. Per fortuna, quello che aveva in mente non richiedeva molta delicatezza. Si riconduceva tutto a un’unica domanda. Come avrebbe potuto Cadsuane spezzare se stessa? La soluzione era semplice, adesso che le era venuta in mente.

«Ah,» disse Cadsuane con un atteggiamento serissimo «vedo che la bambina ha rifiutato il suo pasto. Sarene, lascia andare i tuoi flussi.»

Semirhage sollevò le sopracciglia e aprì la bocca per sbeffeggiarla, ma, quando Sarene lasciò andare i suoi flussi di Aria, Cadsuane afferrò Semirhage per i capelli e, con una semplice spazzata del piede, colpì le gambe della donna facendola cadere a terra.

Forse avrebbe potuto utilizzare il Potere, me le sembrava giusto usare le mani per questo. Preparò alcuni flussi, anche se probabilmente non ne avrebbe avuto bisogno. Semirhage, per quanto alta, era una donna di costituzione esile, e Cadsuane stessa era sempre stata più robusta che magra. In piu’, la Reietta parve colta del tutto alla sprovvista per come veniva trattata.

Cadsuane si abbassò con un ginocchio sulla schiena della donna, poi le schiacciò la faccia nel cibo rovesciato. «Mangia» disse. «Non approvo lo spreco di cibo, bambina, in particolare di questi tempi.»

Semirhage sputacchiò, farfugliando alcune frasi che Cadsuane pote solo supporre che fossero imprecazioni, anche se non ne riconobbe nessuna. I significati erano probabilmente perduti nel tempo. Presto le invettive si placarono e Semirhage rimase immobile. Non fece resistenza. Nemmeno Cadsuane l’avrebbe fatto: avrebbe solo nuociuto alla sua immagine. Il potere di Semirhage come prigioniera proveniva dalla paura e dal rispetto che le Aes Sedai le concedevano. Cadsuane doveva cambiare quella situazione.

«La tua sedia, per favore» disse a Sarene.

La Bianca si alzò con espressione sconcertata. Avevano tentato tutti i metodi di tortura disponibili date le restrizioni di al’Thor, ma ciascuno di essi aveva tradito stima. Stavano trattando Semirhage come una forza pericolosa e un nemico di valore. Ciò non avrebbe fatto altro che gonfiare la sua boria.

«Hai intenzione di. mangiare?» chiese Cadsuane.

«Io ti ucciderò» disse Semirhage con calma. «Prima di tutte le altre. Farò sentire loro le tue urla.»

«Capisco» replicò Cadsuane. «Sarene, va’ a dire alle tre Sorelle di fuori di entrare.» Cadsuane si interruppe, pensierosa.

«Ho visto pure alcune cameriere che pulivano le stanze dall’altro lato del corridoio. Và a prendere anche loro per me.»

Sarene annuì, precipitandosi fuori dalla stanza. Cadsuane si accomodò sulla sedia, poi intesse filamenti di Aria e sollevò Semirhage. Elza ed Erian lanciarono un’occhiata nella stanza, con aria molto incuriosita. Poi entrarono, seguite da Sarene. Pochi momenti dopo, entrò anche Daigian con cinque servitori: tre donne domanesi col grembiule, un uomo allampanato, con le dita macchiate di marrone per aver riverniciato il legno, e un unico ragazzo. Eccellente. Mentre entravano, Cadsuane usò i suoi filamenti di Aria per piegare Semirhage su un ginocchio. E poi iniziò a sculacciare la Reietta.

Sulle prime Semirhage si trattenne. Poi cominciò a imprecare. Quindi prese a farfugliare minacce. Cadsuane continuò finche la mano non iniziò a farle male. Le minacce di Semirhage si tramutarono in urla di oltraggio e dolore. La servitrice con il cibo tornò nel mezzo della scena, contribuendo ancor di più alla vergogna di Semirhage. Le Aes Sedai osservavano a bocca aperta.

«Ora» disse Cadsuane dopo qualche momento, inserendosi fra le grida di dolore di Semirhage. «Vuoi mangiare?»

«Troverò tutti coloro che hai mai amate» disse la Reietta con le lacrime agli occhi. «Li darò in pasto gli uni agli altri sotto i tuoi occhi. Li…»

Con uno schiocco della lingua, Cadsuane ricominciò. La folla nella stanza osservò in un silenzio meravigliato. Semirhage iniziò a piangere… non per il dolore, ma per l’umiliazione. Era quella la chiave. Semirhage non poteva essere sconfitta con il dolore o con la persuasione… ma distruggere la sua immagine sarebbe stato ai suoi occhi più terribile di qualsiasi altra punizione. Proprio come sarebbe stato per Cadsuane.

Cadsuane arrestò la mano dopo qualche altro minuto, lasciando andare i flussi che tenevano immobile Semirhage. «Mangerai ora?» chiese.

«Io…»

Cadsuane sollevò la mano e Semirhage balzò praticamente giù dal suo grembo e sgattaiolò per il pavimento a mangiare i fagioli.

«è una persona» disse Cadsuane guardando gli altri. «Solo una persona, come ciascuno di noi. Ha dei segreti, ma qualunque ragazzo può avere un segreto che rifiuta di dire. Ricordatevelo.»

Cadsuane si alzò e si diresse verso la porta. Esitò accanto a Sarene, che osservò rapita mentre la Reietta mangiava i fagioli dal pavimento. «Potresti voler iniziare a portare con te una spazzola» aggiunse Cadsuane. «Potrebbero farti male le mani.»

Sarene sorrise. «Sì, Cadsuane Sedai.»

Ora, pensò Cadsuane lasciando la stanza, cosa fare con al’Thor?

«Mio signore,» disse Grady, sfregandosi il volto segnato dalle intemperie «non credo che tu capisca.»

«Allora spiegamelo» ribatte Perrin. Era in piedi sul fianco di una collina, guardando in basso verso l’enorme raduno di profughi e soldati. Tende scompagnate di molte fogge differenti — strutture Aiel marroni a una sola punta; grandi e variopinte tende cairhienesi; tende a due punte di tipo ordinario — venivano montate mentre la gente si preparava per la notte.

Gli Aiel Shaido, come sperato, non li avevano inseguiti. Avevano lasciato che l’esercito di Perrin si ritirasse, anche se i suoi esploratori dicevano che ora si erano spostati per investigare la città. A ogni modo, voleva dire che Perrin aveva tempo. Tempo per riposare, tempo per arrancare via, tempo — aveva sperato — per usare dei passaggi per trasportare via la maggior parte dei profughi.

Per la Luce, quanto erano numerosi. Migliaia e migliaia di persone, un incubo da coordinare e da gestire. I suoi ultimi giorni erano stati riempiti da un flusso costante di lamentele, obiezioni, giudizi e scartoffie. Dove trovava Balwer così tanta carta? Pareva soddisfare molte delle persone che venivano da Perrin. Giudizi e risoluzioni di dispute parevano molto più ufficiali a quella gente quando erano descritti su un pezzo di carta. Balwer diceva che a Perrin sarebbe servito un sigillo. Il lavoro era servito a distrarlo, questo era un bene. Ma Perrin sapeva di non poter scansare i suoi problemi a lungo. Rand lo tirava verso nord. Perrin doveva marciare verso l’Ultima Battaglia. Nient’altro aveva importanza.

Eppure quella sua ostinazione — ignorare tutto tranne il suo obiettivo — era stata la fonte di così tanti guai durante la sua caccia a Faile. Doveva trovare un equilibrio, in qualche modo. Gli occorreva decidere da se se voleva guidare queste persone. Gli serviva fare pace col lupo dentro di lui, la bestia che si infuriava quando lui scendeva in battaglia.

Ma prima che potesse fare qualcosa di tutto ciò, doveva portare a casa i profughi. Quello si stava rivelando un problema. «Ora hai avuto il tempo per riposare, Grady» disse Perrin.

«La fatica è solo una parte della questione, mio signore» disse Grady. «Anche se, sinceramente, mi sento ancora come se potessi dormire per una settimana intera.» Sembrava davvero stanco. Grady era un uomo vigoroso, col volto di un contadino, e anche il temperamento. Perrin confidava che quest’uomo avrebbe fatto il suo dovere più di molti lord che aveva conosciuto. Ma Grady poteva essere spinto solo fino a un certo punto. Che effetti aveva su un uomo incanalare così tanto? Grady aveva le borse sotto gli occhi e il suo volto era pallido malgrado la pelle abbronzata. Anche se era ancora un uomo giovane, i suoi capelli avevano iniziato a ingrigirsi.

Per la Luce, ho affaticato troppo quest’uomo, pensò Perrin. Sia lui che Neald. Quello era stato un altro effetto dell’ostinazione di Perrin, come stava iniziando a capire. Quello che aveva fatto ad Aram, il modo in cui aveva permesso che quelli attorno a lui andassero avanti senza una guida… Devo mettere a posto questa situazione. Devo trovare un modo per gestire tutto quanto.

Se non ci fosse riuscito, sarebbe potuto non arrivare all’Ultima Battaglia.

«Il fatto è questo, mio signore.» Grady si sfregò di nuovo il mento, passando in rassegna il campo. I vari contingenti — i Mayenesi, la guardia di Alliandre, gli uomini dei Fiumi Gemelli, gli Aiel, i profughi di varie città — erano tutti accampati separatamente, nei propri anelli. «Ci sono alcune centinaia di migliaia di persone che devono tornare a casa. Quelli che se ne andranno, almeno. Molti dicono di sentirsi più al sicuro qui, con te.»

«Possono smettere di volerlo» disse Perrin. «Il loro posto è con le loro famiglie.»

«E quelli le cui famiglie si trovano nelle terre occupate dai Seanchan?» Grady scrollò le spalle. «Prima dell’arrivo degli invasori, molte di queste persone sarebbero state felici di tornare. Ma ora… Be’, continuano a parlare di rimanere dove ci sono cibo e protezione.»

«Possiamo mandare comunque quelli che vogliono andare» disse Perrin. «Viaggeremo più leggeri senza di loro.»

Grady scosse il capo. «È questo il fatto, mio signore. Il tuo uomo, Balwer, ci ha dato una conta. Posso creare un passaggio abbastanza grande affinche lo possano attraversare due uomini alla volta. Se supponiamo che impieghino un secondo a passare… Be’, ci vorrebbero ore e ore per mandarli tutti. Non conosco il numero, ma lui ha affermato che servirebbero giorni di lavoro. E ha detto che le sue stime probabilmente erano troppo ottimistiche. Mio signore, potrei tenere aperto un passaggio a malapena un’ora, da quanto sono stanco.» Perrin digrignò i denti. Avrebbe dovuto farsi dare lui stesso quelle cifre da Balwer, ma aveva un tremendo sentore che il segretario avesse ragione.

«Continueremo a marciare, allora» disse Perrin. «In direzione nord. Ogni giorno, tu e Neald aprirete dei passaggi e farete tornare alcune delle persone a casa. Ma non stancatevi.» Grady annuì, con gli occhi vuoti dalla fatica. Forse sarebbe stato meglio attendere qualche altro giorno prima di iniziare con quella procedura. Perrin rivolse un cenno di congedo al Dedicato, e Grady trotterellò di nuovo verso il campo. Perrin rimase sul fianco della collina, ispezionando le varie sezioni dell’accampamento mentre la gente preparava il pasto della sera. I carri erano situati al centro del campo, carichi di cibo che — lui temeva — si sarebbe esaurito prima che potesse raggiungere l’Andor. Oppure avrebbe dovuto deviare verso Cairhien? Era lì che aveva visto Rand l’ultima volta, anche se, dalle visioni di lui che aveva avuto, gli sembrava che non si trovasse in nessuna delle due nazioni. E poi dubitava che la regina dell’Andor l’avrebbe accolto a braccia aperte, dopo le voci su di lui e sul dannato stendardo con l’aquila rossa.

Perrin lasciò stare il problema, per il momento. Pareva che l’accampamento si stesse sistemando. Ogni anello di tende mandava dei rappresentanti al deposito centrale del cibo per prendere le proprie razioni per la sera. Ogni gruppo era responsabile dei propri pasti: Perrin si limitava a supervisionare la distribuzione delle scorte. Distinse il furiere — un Cairhienese di nome Bavin Rodkshaw — in piedi sul retro di un carro, intento a occuparsi di ogni rappresentante a turno.

Soddisfatto della sua ispezione, Perrin scese nell’accampamento, passando attraverso le tende cairhienesi sulla strada per le proprie, che erano con quelle degli uomini dei Fiumi Gemelli. Dava per scontati i suoi sensi affinati, ora. Erano giunti assieme all’ingiallirsi dei suoi occhi. Parecchie persone attorno a lui non sembravano notarli piu’, ma quando incontrava qualcuno di nuovo, quel contrasto gli veniva ricordato in modo crudo. Molti dei profughi cairhienesi, per esempio, si interruppero mentre stavano alzando le tende. Lo osservarono mentre passava, mormorando: «Occhidoro.»

Non gli importava granche del nome. Aybara era il nome della sua famiglia e lui lo portava con orgoglio. Era uno dei pochi che poteva trasmetterlo. Ci avevano pensato i Trolloc.

Scoccò un’occhiata a un vicino gruppo di rifugiati e quelli si affrettarono a tornare a conficcare i pioli delle tende. Mentre lo facevano, Perrin superò un paio di uomini dei Fiumi Gemelli, Tod al’Caar e Jori Congar. Quelli lo videro e gli rivolsero il saluto, coi pugni sul cuore. Per loro, Perrin Occhidoro non era una persona da temere, ma da rispettare, anche se ancora bisbigliavano di quella notte che aveva trascorso nella tenda di Berelain. Perrin desiderava poter sfuggire all’ombra di quell’avvenimento. Gli uomini erano ancora entusiasti ed eccitati per la vittoria sugli Shaido, ma non era passato troppo tempo da quando Perrin aveva sentito di non essere il benvenuto fra loro.

Tuttavia, per il momento, questi due parevano aver messo da parte quel loro malcontento. Invece gli fecero il saluto. Si erano dimenticati che Perrin era cresciuto con loro? E delle volte in cui Jori aveva preso in giro la lingua lenta di Perrin o di quando si era fermato alla fucina per vantarsi delle ragazze a cui era riuscito a rubare un bacio?

Perrin si limitò ad annuire di rimando. Non era il caso di rivangare il passato, non quando la loro fedeltà a ‘Perrin Occhidorò aveva aiutato a liberare Faile. Anche se, mentre si allontanava, le sue orecchie troppo ricettive colsero le risate dei due sulla battaglia, solo pochi giorni prima, e della parte che vi avevano avuto. Uno di loro puzzava ancora di sangue; non si era lavato gli stivali. Probabilmente non aveva nemmeno notato il fango macchiato di sangue. A volte Perrin si domandava se i suoi sensi non fossero davvero migliori di quelli degli altri. Dedicava tempo a notare cose che gli altri ignoravano. Come potevano non accorgersi di quell’odore di sangue? E l’aria frizzante delle montagne a nord? Odorava di casa, anche se erano a molte leghe dai Fiumi Gemelli. Se altri uomini si fossero presi il tempo di chiudere gli occhi e prestare attenzione, sarebbero stati in grado di percepire gli odori come lui? Se avessero aperto quegli occhi e guardato con più attenzione il mondo attorno a loro, li avrebbero definiti ‘acuti’ come facevano con quelli di Perrin?

No. Era solo immaginazione. I suoi sensi erano migliori; la sua affinità con i lupi lo aveva cambiato. Era da parecchio che non pensava a quella affinità : era stato troppo concentrato su Faile. Ma aveva smesso di sentirsi così in imbarazzo per i propri occhi. Erano parte di lui. Non c’era motivo di lamentarsene.

E tuttavia, quella rabbia che provava quando combatteva… quella perdita di controllo. Lo preoccupava sempre piu’. La prima volta che l’aveva sperimentata era stata quella notte, così tanto tempo fa, combattendo contro i Manti Bianchi. Per un certo tempo, Perrin non aveva saputo se era un lupo o un uomo.

E ora, durante una delle sue recenti visite al sogno del lupo, aveva cercato di uccidere Hopper. Nel sogno del lupo, la morte era definitiva. Perrin aveva quasi perduto se stesso, quel giorno. Ripensarci risvegliò vecchie paure, paure che aveva messo da parte. Paure relative a un uomo, che si comportava come un lupo, rinchiuso in una gabbia.

Continuò lungo il tragitto per la sua tenda, prendendo alcune decisioni. Aveva inseguito Faile con determinazione, evitando il sogno del lupo così come aveva evitato tutte le sue responsabilità. Aveva affermato che nient’altro aveva importanza. Ma sapeva che la verità era molto più difficile. Si era concentrato su Faile perché la amava così tanto, ma — in aggiunta — lo aveva fatto perché era stato conveniente. Il suo salvataggio era stata una scusa per evitare cose come il suo disagio in una posizione di comando e la tregua indistinta fra se stesso e il lupo dentro di lui.

Aveva liberato Faile, ma molte cose erano ancora sbagliate. Le risposte potevano trovarsi nei suoi sogni.

Era tempo di tornare.

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