Capitolo decimo

Bar venne con la marea della notte.

Immersa in un sonno inquieto, l’orecchio teso a individuare un crepitio di perle sulla soglia, Fiord si destò lentamente, nel sordo boato delle onde. Alla finestra era sospesa una luna quasi piena, obliqua, venata di cristallo: le ricordò le piccole, misteriose lune che la donna del mare aveva intrecciato alle sue ghirlande. Una luna che plasmava la notte in forme magiche: grovigli d’alghe e detriti d’un colore perlaceo. Un principe in groppa ad un cavallo nero, sul ciglio della marea…

Affascinata, Fiord si gettò una coperta sulle spalle e aprì la porta: la luna la sbirciava dall’alto, curiosa. Attraversò la fredda spiaggia d’argento, col fruscio della risacca che le cantava nella testa. Al suo avvicinarsi, il principe bruno volse lo sguardo su di lei. Non disse nulla: semplicemente allungò una mano, per aiutarla a salire. Un’onda le spumeggiò intorno ai piedi e Kir la sollevò dall’acqua, facendola sedere davanti a sé. La cinse tra le braccia, la guancia premuta sui suoi capelli. Così rimasero a lungo, in silenzio, guardando l’acqua inarcarsi e spezzarsi sulle rocce.

«Mi sei mancata» disse infine Kir. Sembrava sorpreso. «Pensavo a te, nelle Isole del Nord.»

«E io a te» bisbigliò Fiord. Tacque, per inghiottire un nodo che le chiudeva la gola. «Kir…»

«Ho visto il drago, ieri notte… era ieri notte? Nella burrasca. Ci ha seguiti per lungo tempo.»

«Kir, ho qualcosa da dirti.»

«E allora dimmela.»

«Ho visto tua madre.»

Kir non disse nulla, e Fiord intuì che quelle parole non dovevano avere alcun significato per lui, al momento; poi lo sentì vibrare, scosso dall’improvvisa comprensione: «Cos’hai detto?» esclamò.

«Kir, strane cose sono accadute ai pescatori, in questi ultimi giorni. Vedono sirene, sentono cantare, si perdono in nebbie improvvise…»

«Fiord» l’interruppe Kir, bruscamente.

«Ed ecco cos’è successo a noi…»

«Voi chi? Che cosa stai…»

«Lyo. Il mago. Ci siamo spinti con la barca oltre le guglie, per cercare tua madre, per parlarle di te. Era un mattino sereno, e una nuvola è scesa su di noi. E tua madre ha fermato la barca.» Un’onda luccicò intorno a loro, lambì gli zoccoli del cavallo, si sciolse. «Aveva i tuoi occhi. E l’anello di tuo padre.»

Kir la strinse fino a farle male: «L’ha raggiunta…»

«Ha ricevuto il tuo messaggio, sì. E il mio. Mi ha reso le ghirlande.» Lo sentiva respirare, un respiro affannoso, discontinuo; si divincolò dalla sua stretta, per guardarlo in faccia. «Lyo dice che è arrabbiata con tuo padre. Ha gettato il suo anello nella barca. Ma Lyo dice che l’ama ancora.»

«Lyo? Il mago che ha trasformato la catena d’oro in fiori?»

«Fiordalisi.»

«Fiord…» s’interruppe di colpo, come se la lingua gli si inceppasse su quel nuovo significato del suo nome. «Fiordalisi… Mi era parsa una gran sciocchezza, per un mago. Fino ad ora. E mia madre… cosa ha… lei…»

«Ti ha mandato una specie di messaggio, credo. Io cercavo di chiederle di te, e lei mi ha quasi trascinato sott’acqua, per darmi le ghirlande. Non capisco che messaggio sia, però.»

«E io non capisco…» proruppe Kir, con asprezza «… non capisco perché sei stata tu a vederla, e non io. Ho aspettato così a lungo!» si staccò da lei, rabbiosamente.

«Lo so, Kir. Dovevi essere tu.» Gli catturò le braccia, per farsi stringere di nuovo: si sentiva invadere da un gelo che solo lui le poteva dare, o togliere. «Ma Lyo ha detto che bisognava uscire a cercarla.»

«Perché?»

«Perché mi ha lasciato una perla nera sulla porta di casa.»

«Perché sulla tua porta?» quasi gridava. «Perché tu?»

Un nodo le serrava la gola; deglutì, affannosamente, tenendogli strette le mani nelle sue: «Kir, c’è dell’altro. Ma devi aspettare.»

«Ho già aspettato abbastanza» disse lui, con voce pericolosamente sottile.

«Voglio dire, solo pochi minuti. E allora capirai perché mi ha lasciato quel messaggio sulla porta. Ti prego.» Si rannicchiò sul suo petto, di nuovo invasa dal gelo. «Ti prego, Kir.»

«Verrà qui?»

«No. Non posso controllare i suoi movimenti. Ma… aspetta un poco, Kir, ancora un poco, ti scongiuro. E intanto dimmi cos’hai fatto, mentre eri via.»

Kir rimase in silenzio; e in quel silenzio, come nell’attimo sospeso che precede l’abbattersi di un’onda, Fiord percepì tutta la sua frustrazione, la sua rabbia, il suo smarrimento. Il mare rombava intorno a loro, scuotendo un lembo della coperta penzoloni nell’acqua. Il cavallo prese a scalpitare, in una protesta irrequieta. Con un guizzo di redini, Kir lo pilotò sulla sabbia asciutta.

«Ho conosciuto una giovane donna, nelle Isole del Nord» disse. Parlava con voce stanca, quasi trasognata. «La figlia di un nobile del luogo. Era bellissima. Non aveva i capelli tutti aggrovigliati, né camminava a piedi nudi sulla spiaggia…»

«… Né strofinava pavimenti» mormorò Fiord, appoggiandosi a lui.

Con gesto delicato, Kir le carezzò i capelli, li scostò dal viso.

«No. Era dolce e intelligente. Parlavamo, uscivamo a cavallo, qualche volta danzavamo. Mio padre era compiaciuto. Ma di notte, quando tutti dormivano, io scendevo ai piedi della rupe dove sorgeva il castello di suo padre, e mi fermavo su uno scoglio, e mi lasciavo investire dal mare, come se anch’io fossi uno scoglio. Aspettavo che mi trascinasse con sé. Non l’ha mai fatto.»

«Kir…»

«Né quella ragazza mi ha trascinato nel suo mondo. Avrei voluto che ci riuscisse… Poi siamo tornati. Dal giorno della partenza non ho più parlato con mio padre. Non posso. Lo farei solo per dirgli che deve lasciarmi libero. Ma non ho nessun mondo dove andare, nessun luogo. Così non posso lasciarlo.»

«Ti amava? Quella giovane nobildonna del Nord?»

«Non lo so. Forse, se fossi diverso da come sono, potrei essere ancora là a danzare, a guardare il suo viso sotto la luna…» si chinò su di lei, sfiorandola con le labbra fredde.

Fiord lo strinse fra le braccia, con forza, ad occhi chiusi: come se potesse proteggerlo, non guardando il mare. Kir le insinuò le dita fra i capelli, le sollevò il viso, e Fiord sentì che la sua bocca sapeva di sale. Poi si staccò da lei, mormorando qualcosa. Riluttante, Fiord aprì gli occhi, e lo vide con lo sguardo fisso sul mare, come sempre.

«Cos’è quello?» lo sentì dire, in un bisbiglio.

Stava sorgendo dalle onde una forma gigantesca, nera come la notte.

«È il drago marino» sussurrò lei, tremando, col cuore che le batteva tumultuosamente in petto; si sentì invadere da un gelo improvviso.

Quella gran massa di buio si avvicinava sempre più, attraverso la spuma.

«Cosa fa?» chiese Kir, facendo arretrare il cavallo di qualche passo.

«Sta uscendo.»

Gli occhi del drago riflettevano la luna come due grandi, pallidi falò, e i filamenti vorticavano nella risacca, sinuosi nastri di luce. Kir restò in silenzio a guardarlo.

«Perché?» chiese poi, bruscamente. «Perché esce?»

Fiord scosse la testa, troppo nervosa per rispondere. Il drago continuava ad avanzare, inesorabile, finché raggiunse il lento pendio di sabbia luccicante, sul ciglio della risacca; e con strattoni poderosi sottrasse l’intero suo corpo all’abbraccio della marea. Era così vicino, così immenso, che i suoi occhi sembravano alla stessa altezza della luna, come due lune supplementari. Il cavallo ebbe uno scalpitio spaventato, e Kir tirò le redini per tenerlo fermo.

Poi le due lune svanirono dal cielo. E mentre i loro occhi ancora scrutavano il buio, a cercarle, un giovane si alzò dalla sabbia e chiese: «Cosa state facendo?»

Finalmente Fiord poté rispondere alla domanda di Kir: «Esce per imparare le parole.»

Kir rimaneva immobile, come una pietra. Poi si mosse, scese da cavallo, e Fiord si sentì circondare da un freddo improvviso. Il drago li guardava placidamente, con la luna che gli accendeva vampe dorate sui capelli.

All’avvicinarsi di Kir, la sua espressione mutò, le sopracciglia s’inarcarono di scatto: «Cosa stai facendo?» bisbigliò. Ebbe un lungo brivido, col freddo della notte che penetrava nella sua forma umana. «Ti stai avvicinando a me.» Poi la sua faccia si distese, assumendo un’espressione di meraviglia che Fiord non gli aveva mai visto. Come un mago, evocò dal nulla una parola: «Kir!»

Kir si fermò. Fiord lo vedeva tremare. Le loro facce, di profilo contro lo scintillio delle onde, sembravano l’una lo specchio dell’altra. Poi Kir si portò le mani alla gola, sganciò la fibbia del mantello e lo posò sulle spalle del drago.

«Cosa stai facendo?» ripeté il drago: sembrava supplicarlo, sembrava invocare la voce di Kir, una voce umana che rispondesse alla sua, in tutto quel silenzio.

E allora Kir parlò, con voce rotta: «Guardo mio fratello.»

Fiord chiuse gli occhi. Si sentì come tirare da mani invisibili e scivolò a terra; corse da Kir, nascose il viso sul suo petto, tremando di sollievo: «Non sei arrabbiato.»

«Da quanto tempo… da quanto tempo…»

«Dalla notte che sei partito. Il drago… lui… è uscito dal mare, per la prima volta. La catena era scomparsa. Io… non ho avuto modo di dirtelo.»

«No» bisbigliò Kir. Stava ancora tremando. «Avrei dovuto immaginarlo. La catena…»

«Catena» ripeté il drago. Incerto, indugiava sul ciglio della marea, osservandoli.

«Come si chiama?» domandò Kir.

«Non penso che nessuno gli abbia mai dato un nome. Può restare fuori dall’acqua solo per poche ore, la notte, e poi deve riprendere la sua forma di drago.»

«Lo sa, mio padre?»

«Lyo si prepara a dirglielo.»

La guardò un momento. «Lyo» disse, asciutto. «Lyo. Ma chi è, esattamente, questo mago che ama i fiordalisi e non ha paura di raccontare a mio padre una storia come questa?»

«Non lo so» rispose lei, nervosamente. «Venite in casa. Accenderò il fuoco.»

Seduti davanti al focolare — il drago ancora avvolto nel mantello di Kir, chiuso alla gola da una fibbia di perle — i due principi si studiavano l’un l’altro, in silenzio; Fiord li osservava entrambi, uno biondo, uno bruno, e notava tra loro una somiglianza sorprendente. Avevano identica struttura fisica, identica statura. Ma gli occhi del drago erano azzurri, mentre Kir li aveva d’un colore blu cupo. Sì, gli occhi erano diversi, pensò Fiord, come diversa era la loro espressione. Dopo anni di burrasche invernali, affrontate senza paura dal suo corpo possente, avendo come unico ostacolo una catena, il drago appariva molto più placido e disteso. Il volto di Kir, invece, era mutevole come il mutevole volto di una fiamma.

Fiord aprì il libro di Lyo e mostrò a Kir gli opalescenti giardini del mare: la donna si allontanava adagio lungo il sentiero di perle finché le correnti sollevarono un turbinio d’alghe, mutando il disegno in un nuovo paesaggio. Il drago emise un breve mugolio, e Kir si volse a guardarlo:

«Tu conosci questo posto.»

«Quando… quando ero piccolo, catena era piccola» disse il drago, faticosamente. «Poi catena diventata grande, più grande. Ma sempre cominciava qui.»

Kir guardò di nuovo la pagina: Fiord non gli vedeva gli occhi, ma leggeva sul suo viso un desiderio struggente.

«È come il chiaro di luna» bisbigliò, mentre il disegno mutava un’altra volta. «Puoi vederlo, ma non puoi catturarlo: traccia un sentiero attraverso il mare, ma non puoi camminarci. Potrei cercare tutta la vita e poi morire, prima di trovare questo posto, e lui… lui vuole fuggirne.»

Il drago l’ascoltava attentamente, sforzandosi di comprenderlo. Gli occhi di Kir vagarono sulle parole scritte che accompagnavano l’illustrazione; il drago le copri con una mano: «Che cosa vedi?» gli chiese.

«Un mondo che voglio.» Il viso di Kir si addolcì, vedendo la sua espressione meravigliata. «Non capisci, vero?»

«Io capisco tue parole. Non capisco…» fece un piccolo gesto d’impazienza «… non capisco tuoi occhi. Tu guardi sempre il mare. Anche con Fiord, tu guardi il mare.»

Kir non rispose; forse cercava di vedere se stesso sulla spiaggia, attraverso gli occhi del drago.

«Sì» mormorò infine. «Io lo guardo. Io voglio essere qui» batté col dito sulla pagina, dove di nuovo tremava il misterioso fondale di perle. Un guizzo di dolore attraversò il volto del drago.

«Tu non devi. Tu…» scosse la testa, sbigottito. Poi una folla di ricordi parve turbinargli nella mente, a formare un quadro: e nel vederlo, sgranò gli occhi. «C’era una volta un re. Un re che aveva due figli: uno avuto da una giovane regina, sua sposa, e l’altro da una donna del mare… Tu» disse a Kir, improvvisamente. «Tu» e gii sfiorò il viso, vicino agli occhi. Poi toccò la donna con le stelle marine nei capelli e gli ardenti occhi blu-neri: in quegli occhi aveva guardato, quando dimorava negli abissi. «Tu sei il figlio venuto dal mare.»

«Sì» bisbigliò Kir. «Sì.»

«Io no.»

«No. Non lo sei.»

Il drago parve di nuovo sbigottito: «Allora perché io sono nel mare?»

Kir alzò gli occhi su Fiord, come a cercare il suo sostegno. «Sono successe delle cose» disse. «Non le capisco tutte, neppure io. So solo che tu appartieni alla terra e io appartengo al paese in fondo al mare, con la donna che cammina su quei sentieri di perle.»

Il drago rimase in silenzio. Spostò lo sguardo sul fuoco: lo fissò a lungo, finché Fiord lo tirò per un braccio, lo fece voltare. Appariva turbato: una nuova espressione, un nuovo movimento per il suo corpo d’uomo.

«Kir» disse, gli occhi sul viso del fratello. Fece una pausa, lottando per trovare le parole; poi si protese verso di lui, gli posò una mano sulla spalla. «Io posso vederti. Posso parlare con te. A te. Io vengo… io sono venuto dal mare per te. Resta. Qui con Fiord. In questo mondo dove posso vederti.»

«Non posso restare.» La sua faccia era bianca, rigida. Fiord, che lo scrutava ansiosamente, vi colse un represso luccichio di lacrime. Poi si ricompose, e afferrò il drago per i polsi. «Tu puoi vedermi» disse, con voce roca. «Fiord può vedermi. Nessun altro al mondo può vedere chi sono, realmente. Ma non posso restare con voi, qui. Morirò se non trovo la mia strada per raggiungere il mare.»

«Morire?»

«Non più vivere. Non più vedere.»

Il drago si sciolse dalla stretta delle sue mani, quasi con riluttanza: «Come?» chiese. Erano tante le domande che poneva, una dopo l’altra, che Kir dovette sorridere.

«Non lo so, come» rispose. «Forse il mago mi troverà un sentiero. Sembrerebbe la sua specialità, trovare le cose…» Il disegno del mare gli vibrò sotto le dita: abbassò gli occhi sul libro, come se avesse percepito il mutamento. «In queste pagine» aggiunse in un soffio «in queste pagine c’è scritto il modo.»

«Ma Lyo ha detto di non…»

«Lyo non ha bisogno di scendere nel mare.»

«No» ammise Fiord, paziente. «Ma dice che gli incantesimi sono pericolosi.»

«Tu credi che m’importi?» ribatté lui, con altrettanta pazienza, e Fiord si sentì agghiacciare le mani.

«Tu non sei un mago.»

«Ma so leggere» disse, troncando la discussione. E così fece, a voce alta, mentre il drago lo guardava meravigliato, e Fiord si metteva a sbatacchiare pentole e cucchiai, sperando di disturbare la sua lettura. Alla fine si arrese e lo raggiunse, chinandosi sulla sua spalla a vedere ciò che stava leggendo.

«Per trovare il sentiero che sprofonda negli abissi del mare, trova prima il sentiero dei tuoi desideri» diceva misteriosamente il libro degli incantesimi. L’illustrazione mostrava una giovane donna, immobile nella risacca, gli occhi fissi sul mare; aveva i capelli lunghi, agitati dal vento; i piedi nudi; una lacrima scivolava sul suo viso disperato. Fiord ebbe un sussulto. Così sarebbe stata lei, una volta che Kir l’avesse lasciata? Il suo sguardo tornò alla didascalia: lesse muovendo le labbra, sforzandosi di memorizzare la formula magica, nel caso le fosse servita.

«Chiamare o essere chiamati» diceva la formula. Poi: «Sono molti i sentieri che conducono ai mare. Il sentiero della marea, il sentiero della foce, il sentiero della luna. Può essere imitato il sentiero a spirale che disegna il guscio del nautilo. Chiamare o essere chiamati, ricevere o dare risposta. Per chi viene invitato, il sentiero apparirà chiaro ai suoi occhi. Per gli altri, voi, che avete certe conoscenze, che avete certi poteri, voi che per scopi disinteressati volete discendere negli abissi del mare: è imperativo che siate pronti ad offrire un dono. Il dono dev’essere prezioso — o sembrare prezioso — quanto la vita del viaggiatore. Deve valere la sua vita. Una tale offerta può rendersi necessaria, per poter tornare al tempo dell’uomo…».

«Io non voglio tornare» mormorò Kir. Cominciava a scoraggiarsi.

«Aspetta» disse Fiord. Continuò a leggere, affascinata: ««Possedendo un tale dono, il viaggiatore deve trovare il sentiero della luna piena sull’acqua dell’alta marea, nel punto dove il sentiero della luna incontra la terra». Ma non c’è luna piena, adesso…» aggiunse Fiord.

«Manca poco. È luna di tre quarti.»

««Qui il viaggiatore deve esibire il suo dono e poi, con voce chiara e cortese, chiederà al mare di concedergli l’ingresso. Il consenso può essere dato da un cavallo nero che emerge dalla spuma, e il viaggiatore dovrà salirgli in groppa; o da una foca bianca, che il viaggiatore dovrà seguire; o dalla stessa regina del mare, che guiderà il viaggiatore fino al paese sotto le onde. Il dono dovrà essere offerto al momento più opportuno, per averne in cambio un sicuro ritorno. È un viaggio gravido di rischi e pericoli, e non è consigliato se non quando siano esaurite tutte ie possibili alternative.»»

«Un dono» ripeté Kir, cupamente.

«Già gliel’hai offerto, un dono: l’anello di tuo padre.»

«Non valeva la mia vita. E lei l’ha reso.»

«Una volta hai cercato di darle la tua stessa vita!» proruppe Fiord. Gli occhi le si riempirono di lacrime, a ricordare la disperazione di quella notte.

Kir fissava il fuoco; nel suo volto pallidissimo si leggeva una sconfinata amarezza.

«Forse lei non mi vuole» disse.

«Io credo di sì. Secondo Lyo…»

«Come puoi saperlo?» esplose Kir. «Come potete saperlo, voi due?»

Allarmato dalla sua voce vibrante, il drago sussurrò: «Cosa stai facendo?»

Kir tacque. Fiord si allontanò dal tavolo, tormentandosi i capelli tra le dita; improvvisamente si chiese se avesse capito qualcosa della madre di Kir, del mondo in cui dimorava. Il suo sguardo cadde sullo scaffale dei sortilegi: come spinta da un impulso disperato, afferrò le ghirlande rese dal mare, e le sparse sulla pagina che Kir stava leggendo.

«Guarda! Quando ho detto il tuo nome, tua madre me le ha restituite. Devono pur significare qualcosa! Devono!»

Kir fissò con stupore la ragnatela di perle e cristallo e raggi di luna intrecciata ai vecchi sterpi e steli d’alga. Ne sollevò una: l’imperlava una rugiada di fuoco. Il tondo cristallo nel centro fiammeggiava come l’occhio del drago.

«Cosa sono?» mormorò.

«I miei malefici. Le ghirlande con cui volevo maledire il mare.»

«Sono bellissime! Come hai fatto…»

«È lei che l’ha fatto. Io le avevo legate con filo nero, e tua madre le ha riempite di magia…» le mancò il respiro. «Oh, Kir, guarda!»

Tutt’intorno a loro, sulle pareti e sul soffitto, il riflesso della ghirlanda tremava come una grande, scintillante ragnatela di fuoco.

Il drago ansimava, sgomento e affascinato.

Lentamente, Kir girò la ghirlanda nella mano: e la ragnatela ruotò intorno a loro. Aprì le labbra, in muta esclamazione. Poi, con l’altra mano sfiorò uno dei fili e ne percorse il tracciato: e l’ombra delle sue dita seguì il fiammeggiante disegno riflesso sul muro.

«Ma cosa…» bisbigliò. «Ma come…?»

Si sentì bussare. Due rapidi colpi.

Di scatto volsero gli occhi sull’uscio, ansiosi, smarriti, come se quei colpi venissero da un altro mondo. L’uscio si apri. E il re varcò la soglia, penetrando nella ragnatela di fuoco.

Загрузка...