Capitolo quarto

La pioggia si ritrasse, acquattata all’orizzonte; i pescatori ebbero un intervallo di cielo azzurro che li tentò a prendere il mare, e poi nuovi scrosci, nuove folate di vento rabbioso che li risospinsero in porto. Fuori, dentro, fuori, dentro, continuarono così per svariati giorni. E sempre avvistavano il drago: i racconti sul drago divennero comuni come ostriche. Poi quel tempo capriccioso culminò in una burrasca violentissima, che gettava sulla spiaggia un susseguirsi di cavalloni spumeggianti e strappava le barche dagli ormeggi. Non riuscirono più a oltrepassare i marosi che assediavano la bocca del porto, e il drago rimase a cavalcare la tempesta in solitudine. Stipati nella locanda, i pescatori bevevano birra e fissavano cupamente il cielo. I clienti, disdegnando l’odore di lana bagnata e salmastro, si ritiravano nelle loro stanze e lasciavano agli abitanti il focolare e lo spinotto della birra. Passando nell’atrio con le braccia cariche di lenzuola o entrando ad aggiungere legna, Fiord percepiva, senza neppure ascoltare, il filo dorato, magico e scintillante, che s’intrecciava nelle loro conversazioni.

«Anelli d’oro. Ogni anello ha il suo punto d’apertura, altrimenti come si potrebbe inserirlo in una catena? Sicché basterebbe procurarci una leva, qualcosa di grosso, e forzare una maniglia…»

«E cosa credi che farebbe, il mostro, mentre tu gli stai a cavalcioni sul collo, cacciandogli una leva nella catena? Rosicchiare gamberetti e contemplare gabbiani? S’immergerà, amico, e ti trascinerà giù con sé!»

«Il fuoco, allora. Il fuoco fonde l’oro, no? Costruiremo un crogiolo galleggiante e lo spingeremo sotto la catena, nel punto dove affonda nell’acqua. Quanto al mostro, lo distrarremo con pesci, o qualsiasi altra cosa gli piaccia mangiare…»

«Gamberetti. Esserini microscopici. E come diavolo fai a distrarre un bestione grande come una stalla con delle cose che non riesci neppure a vedere?»

«Allora canteremo. Gli piacciono le canzoni.»

«Canzoni!»

«Oppure Tull può suonare il suo violino. E lui resterà in ascolto. Così noi spingeremo il crogiolo sotto la catena, fonderemo un anello, e poi…»

«Oro» sospirò Marli, spazzando nell’atrio l’eterno rivolo di acqua e sabbia. «Non parlano d’altro, in questi giorni. Perfino Ami e Bel. E peggio di tutti Enin. Ci stanno perdendo la testa tutti quanti, tutti quanti…»

«Be’, se è là fuori, perché non prenderselo?» ribatté Carey. «E poi non credo che quella catena gli piaccia granché, al drago.»

«D’accordo, ma il fatto è che non usano il cervello. Nessuno di loro. Non esistono esseri umani capaci di fare una catena come quella, ed è la cosa che dovrebbero considerare per prima. E invece…» Marli diede una nervosa strizzata allo strofinaccio «… e invece si preparano a fare qualcosa di stupido. Lo so, già me lo vedo…»

Fuori, il vento continuava a fischiare e investire le finestre di folate impetuose.

«Ma a pensarci bene, c’è un altro problema» aggiunsero i pescatori. «Anche se ce la facessimo a forzare un anello, a cosa ci servirebbe? Come impedire alla catena di scivolare giù, sul fondo? Sarebbe come tirare a bordo una balena. Ci colerebbe a picco, se cercassimo di trattenerla.»

«Allora taglieremo un anello sott’acqua. Poi uccidiamo il mostro e aspettiamo che sia il mare a trascinarcelo a riva.»

«Ucciderlo! Il minimo che può capitare è che solo a toccarlo quello ci sparisce sotto gli occhi. O peggio ancora, può rivoltarsi contro di noi e affondarci le barche.»

«E allora? Ditemi voi come facciamo a prendere l’oro!»

Carey continuava a soffermarsi sulla porta, indugiando ad ascoltare. Fiord era tentata di imitarla. Quel drago fiammeggiante, con la sua luminosa catena, forniva l’unica nota di colore in un mondo dove ogni cosa — sabbia, mare, cielo — era illividita nel grigio della pioggia. Appariva come una favola meravigliosa per i vuoti giorni di noia; un’elaborata storia di pesca, da raccontarsi sui boccali di birra accanto a un bel fuoco caldo.

Ma Marli, entrando a portare dei bicchieri puliti, intervenne con rabbia: «Che bravi! Pensate all’oro e subito vi viene l’idea di uccidere, eh? Tipico! Tipico di voi tutti!»

Imbarazzato, Enin cercò di calmarla: «Andiamo, Marli, si sta solo chiacchierando, via! Che altro possiamo fare, in una giornata come questa?»

«Ma non state usando il cervello!»

«Oh be’…» ridacchiò Ami, divertita. «Nessuno ci paga, per questo.»

«Avete mai conosciuto uomo o donna capace di fabbricare una catena come quella? Metti caso che chi l’ha costruita abbia qualcosa da ridire sul fatto che gliela rubate. O che liberate quel mostro.»

«Oh, probabilmente è vecchissimo, Marli. Probabilmente è…»

«Ah, ah! E allora perché è così luccicante da lasciare il suo riflesso nei vostri occhi ingordi? In tutti i vostri racconti sul drago non vi ho mai sentiti dire che avesse incrostazioni di alghe o altro… se è così vecchio come dite. A mio giudizio, dovreste andarci più cauti con chi tratta come il suo cucciolo personale un bestione di quella stazza! Ecco cosa penso, e non c’è bisogno che mi paghino, per questo!»

Continuarono a parlare, perché ancora il vento infuriava e sferzava l’acqua, sollevando ondate di spuma, e ancora la pioggia scrosciava in raffiche impetuose. Ma l’intervento di Marli aveva dirottato la conversazione su temi leggermente diversi, notò Fiord. Adesso non era più “Come?”, ma “Chi?”; non più mostri marini, ma terre incantate e stregonerie.

Presero a inventarsi paesi misteriosi su isole lontane, o in fondo al mare, o galleggianti a pelo d’acqua.

«Un po’ come i banchi di alghe. Solo che possono guizzare sulla superficie più veloci dei gabbiani, e svanire di colpo come svanisce la luce sull’acqua, senza lasciare tracce. Enormi, bellissime isole galleggianti, fatte di perle e corallo e oro… Il popolo del mare tiene il mostro come un bambino il suo cucciolo. E l’ha incatenato a quell’isola invisibile.»

«No, non è un cucciolo. È qualcuno che ha commesso una diavoleria, o ha fatto arrabbiare un mago cattivo, e lo tengono incatenato al fondale per punirlo.»

«Vorrà liberarsi, allora.»

«Vorrà che gli spezziamo la catena.»

«Supponiamo di farcela: credete che quel mago cattivo ci lascerà prendere l’oro?»

«Bah, dovremmo prima prendere l’oro e poi preoccuparci.»

Fiord continuava a passare avanti e indietro il suo strofinaccio, distrattamente, perduta in mille fantasticherie. Isole lontane in cima al mondo, oltre i ghiacciai e gli iceberg, oltre le terre dell’inverno, oltre l’inverno stesso, le splendevano nella mente come luce d’estate. Paesi sommersi in fondo al mare, dove intere città erano fatte di perle, e gli abitanti indossavano vestiti di squame, fluttuanti come nuvole argentate. E uno di loro aveva costruito quella catena d’oro, per uno specialissimo…

«Marli» disse bruscamente.

«Sì?»

«Perché la gente fa le cose?»

«Perché? I motivi sono tanti quanti sono i pesci nel mare.»

«Voglio dire, se tu avessi fatto una catena per un drago, sarebbe perché lo amavi e non volevi che ti sfuggisse? O perché l’odiavi e gli volevi togliere la libertà? Oppure perché ne avevi paura?»

«Mah, per ciascuno di questi motivi, forse. Perché?»

«Stavo solo chiedendomi… Sarà stato l’amore o l’odio o la paura che ha costruito una catena come quella?»

Marlì appariva sorpresa: di rado Fiord usava concetti così complessi. «Non lo so. Ma a giudicare da come ne parlano quelli di là, credo che lo scopriremo presto.»

Finito il lavoro, Fiord tornò alla capanna, stanca e pensierosa; camminando lungo la spiaggia scrutava l’orizzonte, per cogliere il minimo accenno di luce nel monotono, uniforme grigio del cielo e del mare. La pioggia le pungeva gli occhi; si calò sulla fronte il cappuccio del mantello. No, decise, nient’altro che i pesci, agili e muti, potevano dimorare in quelle onde. Non c’erano mirabolanti paesi sprofondati negli abissi, pieni di castelli fatti di perle e ossa di balena. Né esistevano isole galleggianti dall’estate perenne. La catena del drago non era altro che un anello d’alghe, luccicante di minuscoli, fosforescenti organismi marini. Quanto al drago, si era perduto, probabilmente, e veniva da calde acque lontane, da un mare dove non era un mostro. Tutto qui. Nessun mistero. Nulla di strano, era tutto spiegato…

Eppure eccolo là, oltre le guglie, che emergeva dai flutti tumultuosi, sfavillante come il fuoco, con la luce del sole annodata intorno al collo.

I grandi occhi erano puntati a riva, verso l’unico movimento sulla spiaggia: Fiord.

Fiord si fermò, a bocca aperta. La creatura indugiava a guardarla, massiccia e curiosa, coi fiammeggianti filamenti che turbinavano irrequieti sull’acqua. Le delicate pinne sopracciliari guizzavano su e giù, a segnalare sorpresa e interesse. Sottili filamenti gli orlavano il labbro superiore, come baffi. Galleggiava tra le onde, i grandi occhi sospesi sul mare come due soli scarlatti; sembrava che si lasciasse trascinare dalla corrente, avvicinandosi sempre più alla spiaggia. Fiord cominciò a indietreggiare, spaventata, e andò a sbattere contro qualcosa, qualcosa che le soffiò gentilmente tra le scapole.

Si voltò di scatto, in preda al tenore. Il nero cavallo di Kir sbuffò di nuovo, mentre Kir, senza distogliere gli occhi dal drago, le porgeva una mano: «Sali.»

Fiord posò il piede sul suo stivale e si issò goffamente dietro di lui. Il principe non aggiunse altro: fermo sulla sella, gli occhi stretti per escludere la pioggia, continuava a contemplare il drago. E il drago pareva osservarli altrettanto intensamente, con tutte le pinne e i filamenti che vorticavano per sostenerlo nella burrasca.

E poi scomparve, scivolando con fluidità di pesce nel suo mondo segreto.

Kir trasse un lungo sospiro silenzioso; poi sollevò le redini e spronò il cavallo ad un improvviso galoppo. Fiord si avvinghiò a lui, freneticamente. Al suo tocco, Kir ebbe un sussulto, e rapidamente rallentò l’andatura.

«Scusami… Dimenticavo che eri qui.»

«Posso tornare a piedi» suggerì Fiord, ansimando.

«Ti ci porto io.» Ma continuò ad avanzare nella pioggia, al piccolo trotto, la faccia sempre rivolta al mare.

«Cos’è?» domandò Fiord. «Dove comincia, quella catena?»

Per un lungo momento Kir non rispose, e Fiord si sentì come una patella che parla allo scoglio cui è attaccata. Poi, bisbigliando così piano che Fiord dovette aguzzare l’orecchio per distinguere le parole tra il boato del vento e delle onde, disse:

«Io credo che cominci nel cuore di mio padre.»

Fiord si sentì improvvisamente fragilissima, come una stella marina rinsecchita dal sole. Apri la bocca, ma non ne uscì alcun suono; poi avvertì i brividi che scuotevano il corpo di Kir, stretto fra le sue braccia, e poté di nuovo muoversi, la mente colma di pensieri vaghi ed elusivi come forme guizzanti in acque profonde.

«C’è un paese, sotto il mare» disse Fiord.

«Deve esserci» bisbigliò lui.

«Ed è quello che tu cerchi, quando guardi il mare.»

«Sì.»

«E pensi al modo di arrivarci. Laggiù, dove… dove tu vuoi vivere.»

«Nessun altro…» sussurrò Kir, in un soffio «… nessun altro lo sa, tranne te.»

Un nodo le chiudeva la gola, soffocandole la voce. Lasciato senza guida, il cavallo s’era fermato nella pioggia; Kir sollevò il viso al pungente scrosciare dell’acqua.

«È per questo che siamo venuti prima, quest’anno. Io non posso… non posso più stare troppo lontano dal mare. Mio padre… lui pensa… gli ho lasciato credere di essermi follemente innamorato della figlia di un nobile che abita da queste parti. Non sospetta che darei il mio cuore a chiunque sappia mostrarmi Sa strada per quel paese segreto sotto le onde.»

«Ma come…» mormorò Fiord con voce roca.

«Oh, Fiord, devo proprio dirtelo parola per parola? Sei davvero così ingenua?»

Fiord rifletté un momento; si sentiva la faccia gelata, di un freddo che le veniva da dentro, che non aveva nulla a che vedere con la pioggia. Poi annuì: «Sì, probabilmente lo sono.»

«Mio padre ha avuto un’amante… una creatura del mare.»

«Un’amante» bisbigliò lei.

«Sì.»

«Il re.» Pensò alla ciocca dei suoi capelli grigi, che cadeva nel mare.

«E lei mi ha concepito, e mi ha dato a lui.»

«Allora tuo padre sa di te.»

«No. Non lo sa.»

«Non capisco.» Si sentiva confusa, stordita.

«Neanch’io l’ho saputo, per molto tempo… Eppure… perfino in mezzo all’isola, nel punto più lontano dalla costa, io sento la marea, so quando cambia. Sogno continuamente il mare, ho bisogno di respirarlo come l’aria, di indossarlo come una pelle. Ma mio padre dice che mia madre era una nobildonna delle Isole del Nord, con capelli biondi e voce dolcissima, ed è morta nel darmi alla luce… Ma come poteva aver partorito un figlio che vorrebbe cambiare il suo posto con ogni pesce che vede? Non so dove sia quel suo figlio. Ma non sono io.»

Un’onda ruggì sull’acqua e s’infranse, srotolando attraverso la sabbia un merletto di spuma, fin quasi a sfiorare gli zoccoli del cavallo; si ritrasse prima di toccarli. In silenzio, il principe la guardava ritirarsi verso il ciglio della marea. Fiord fu invasa da brividi incontrollabili. Kir trasalì, ricordandosi di lei. Raccolse le redini, e in pochi minuti la condusse sulla porta della capanna.

Fiord scivolò a terra. Per una volta gli occhi di Kir erano sul suo viso, e non sulle onde. «Tornerò» le disse, e Fiord annuì, senza parlare: ma la sollevava sapere che non l’avrebbe lasciata sola, con la sua magica, terribile storia. Poi, vedendo che non accennava a partire, alzò lo sguardo su di lui, e anche nei suoi occhi lesse un improvviso, strano sollievo. A quel punto la lasciò, e Fiord rimase sulla soglia a guardarlo finché non venne ingoiato dalla foschia.

Fu così taciturna e quieta il giorno dopo, alla locanda, che Marli osservò con stupore: «Fiord, si direbbe che cerchi di inghiottire un pensiero, o lasciartene strozzare, Sei innamorata, per caso?»

Fiord le lanciò uno sguardo stupefatto, come se parlasse una lingua sconosciuta: «Mi sto raffreddando» borbottò, tanto per dire qualcosa. «Con tutta quella pioggia. Me la sono presa ieri sera, guardando il drago.»

«L’hai visto?» squittì la voce di Carey. «Perché non ce l’hai detto?»

«L’ho dimenticato.»

«Dimenticato!» Carey si strinse al petto lo spazzolone, fremendo di curiosità. «Allora è vero? C’è davvero quella catena d’oro? Non è un sogno?»

«È reale.»

«È pericoloso?» intervenne Marli, preoccupata. «Credi che aggredirebbe le barche?»

Fiord scosse la testa, spingendo avanti il secchio: «No, sembra amichevole.»

«Amichevole!»

«Be’, si direbbe che gli piace osservare la gente.»

«Enin ha detto la stessa cosa. Dice che gli piace sentir parlare i pescatori. Affiora dall’acqua col suo gran testone, e si ferma ad ascoltarli. E intanto i gabbiani gli atterrano sul cranio, a beccare i pesciolini impigliati tra i filamenti.»

«Scommetto che la catena non gli mancherebbe per niente» mormorò Carey.

«Già, ma come fare a levargliela? Si direbbe gigantesca. E chiunque gliel’abbia infilata voleva che rimanesse.»

«Ma devono togliergliela! Devono!» protestò Carey. «Diventeremo tutti ricchi! Se gli è stata messa, può benissimo essergli tolta.»

Fiord si tuffò nel lavoro, pensando allo sguardo di Kir, affascinato e tormentato dalla fredda, inafferrabile lusinga delle onde; e pensando alla catena d’oro, che si perdeva giù, giù in un luogo segreto. «È magica» mormorò, e si sorprese a udire la propria voce.

Carey la fissò sbalordita: «Cos’è che è magico?»

«La catena. Dev’esserlo per forza.»

«Che cosa vuoi dire: stregoni, incantesimi, roba così?»

Inginocchiata accanto a Fiord, Marli si rizzò lentamente, facendole un cenno d’intesa: «Hai ragione, Fiord. Hai senz’altro ragione» disse. Una porta sbatté nella sala del bar, e frettolosamente Marli raccolse lo strofinaccio. «Se è stata un’opera di magia a mettergli al collo la catena, solo la magia gliela può togliere.»

In quel momento s’affacciò l’oste: «Non c’è nessuna magia che possa fare il lavoro per voi» grugnì, stizzito «per quanto possiate desiderarlo.» Spazzoloni e strofinacci si rimisero in movimento, al ritmo dei suoi passi che attraversavano l’atrio.

«Avevo appena pulito, lì!» gemette Carey.

Dalla porta d’ingresso spuntò la testa di Enin: «Marli» disse, e lei gli rivolse uno stiracchiato sorrisetto. «In piena attività, vedo?»

«Vattene!»

«No, no, resta!» gridò Carey, bloccandolo sulla porta. «Fiord, digli quel che ci hai detto. A proposito della magia. Fiord dice che la catena è magica, e allora Marli ha detto che bisogna toglierla con la magia.»

«E dove la peschiamo, la magia? Tra i merluzzi che troviamo nelle reti?»

«Cerca qualcuno che la pratichi. C’è gente esperta, in questo campo.»

Il giovane si strofinò in silenzio la barba, guardando Carey inginocchiata nell’acqua saponata: «Un mago…» disse. «Uno stregone.»

«Sì.»

«Potremmo offrirgli dell’oro. Ne avremo più che a sufficienza.»

«Con quel tipo di paga possiamo procurarci un mago di prim’ordine. Il migliore. Uno che sappia spezzare quella catena, e impedirle di sprofondare sott’acqua…»

«Uno che vi impedisca di lasciarci le penne, su quell’oro» l’interruppe Marli, sarcastica.

«Be’» ammise Enin «ci siamo lasciati un po’ trascinare, è vero. Ma se tu capissi, Marli, se solo tu potessi…»

Fiord si scostò i capelli dagli occhi, nervosa: «Forse non dovreste farlo» disse.

«Fare cosa?»

«Disturbare quel che c’è in fondo al mare. Forse la catena inizia in un luogo pericoloso.»

La guardarono in silenzio, immaginando i possibili pericoli, come se li vedessero in agguato fra la schiuma del sapone. Poi Carey gridò: «Ma no, Fiord, non c’è nulla da temere!»

La porta si aprì di nuovo. Pesanti stivali varcarono la soglia. Enin volse la testa, tornando allegro: «Ami! Vedrai che ce lo prendiamo, quell’oro!»

«E come?»

«Assumeremo un mago.»


Maghi, pensava Fiord, camminando lungo la spiaggia. Re. Mostri marini. Com’era successo, si domandava, che simili parole fossero venute ad abitarle nella testa insieme alle semplici parole di tutti i giorni, come zuppa di pesce, e secchi, e strofinacci? I gabbiani volteggiavano nel vento, lanciando strida lamentose. Fiord si sentiva le dita quasi paralizzate dal freddo; in un angolo del mantello stringeva i mitili che le aveva dato l’oste. Quel mantello, si disse, cominciava a puzzare come una catasta di vecchie alghe. Al primo giorno di sole, l’avrebbe…

Uno scalpitare di zoccoli interruppe le sue riflessioni: scrutò nella pioggia. Un cavallo senza cavaliere galoppava lungo la spiaggia, verso di lei; contro il cielo del crepuscolo non riusciva a vedergli gli occhi, ma solo la testa nerissima, e il corpo, come un lucido frammento di notte. Un lungo nastro d’alghe si era impigliato a uno zoccolo. La raggiunse e passò oltre, mentre la risacca s’insinuava tra le sue impronte.

Fiord emise un grido strozzato e subito cominciò a correre, senza sapere esattamente perché e dove. Il mondo sembrava fatto di due soli colori: il grigio cupo di cielo, scogli, acqua, e il bianco brumoso della spuma e delle ali di gabbiano. I mitili si sparpagliarono sulla spiaggia; il vento le strappò dalla testa il cappuccio, scompigliandole i capelli. Finalmente vide la capanna: non c’era il barlume del fuoco, alla finestra, e la porta era chiusa. Rallentò il passo, con gli occhi che frugavano la spiaggia. Sul ciglio del mare, metà dentro l’acqua, metà fuori, individuò una striscia scura. Riprese a correre.

Era Kir, faccia in giù nella sabbia. Cadde in ginocchio accanto a lui, lo rovesciò sulla schiena. Aveva un volto spettrale, inerte. Non lo sentiva respirare; si alzò, afferrandolo per le mani, e cercò di strapparlo all’abbraccio insidioso della marea. Tirò con tutte le sue forze, una, due volte. Aveva gli abiti appesantiti d’acqua e sabbia: non riusciva quasi a smuoverlo. Spostò la presa sui polsi, e diede un energico strattone. E Kir riprese i sensi, mentre fiotti d’acqua salata gli sgorgavano dalla bocca. Fiord gli lasciò i polsi e lui si piegò su un fianco, il corpo ansimante. D’improvviso i suoi respiri affannosi, rauchi, si trasformarono in singhiozzi: «Non so cosa fare! Non so cosa fare!» gridava. «Cosa devo fare? Io appartengo al mare, e il mare non mi vuole; non riesco a sopportare questa terra, e la terra non mi lascia andar via!»

«Oh!» bisbigliò Fiord, mentre lacrime ardenti le rigavano il viso. «Oh!» Tornò ad inginocchiarsi su di lui, e lo cinse tra le braccia, tenendolo stretto a sé, goffamente. Sentiva raspare sulla guancia la sabbia dei suoi capelli, avvertiva l’odore di mare delle sue vesti. La marea ribolliva intorno a loro, sollevandosi adagio.

«Dev’esserci un modo, deve! E lo troveremo» disse Fiord, d’impulso. «Ti aiuterò a trovare quel sentiero, te lo prometto, te lo prometto…»

Lo sentì acquetarsi contro di lei, quasi abbandonarsi. Poi, lentamente, Kir si volse, si mise in ginocchio, stancamente le posò le braccia intorno al collo, le mani intrecciate ai suoi capelli, il viso premuto al suo viso. Non parlò più: si tenne stretto a lei finché la marea ruggì intorno a loro, tra loro, costringendoli a scegliere fra terra e mare, se andar via o rimanere per sempre.

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