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Non so bene che cosa ci spinse ad andare tutti nella camera da letto del Console, in punta alla nave, per guardare la traslazione nello spazio normale. L’ampio letto del Console (quello dove avevo dormito nelle ultime settimane) occupava il centro della stanza, ma lo si poteva ripiegare in una sorta di divano e ora lo ripiegai. Dietro il letto c’erano due cubi opachi (il guardaroba e il bagno/doccia), ma quando lo scafo diventava trasparente, quei cubi erano due semplici blocchi neri contro il campo di stelle intorno a noi e sopra di noi. Mentre la nave decelerava dalla velocità Hawking, le ordinammo di rendere trasparente lo scafo

La prima occhiata, mentre la nave si apprestava a iniziare la rotazione per posizionarsi e decelerare, ci mostrò il pianeta Vettore Rinascimento, tanto vicino da risultare un disco bianco e azzurro anziché un puntino simile a una stella, e due delle tre lune. Si vedevano decine e decine di stelle, cosa insolita, perché in genere il bagliore del sole anneriva il cielo e lasciava scorgere solo le stelle più luminose. Aenea si stupì.

«Non sono stelle» disse la nave, completando la lenta rotazione. Il motore a fusione si accese con un rombo e iniziammo a decelerare verso il pianeta. In situazioni normali non saremmo mai usciti dalla velocità C-più così vicino a un pianeta e alle sue lune (i loro pozzi gravitazionali rendevano assai pericolose le decelerazioni) ma la nave ci aveva garantito che i suoi campi migliorati avrebbero superato qualsiasi difficoltà. Ma non quella che si presentava!

«Non sono stelle» ripeté la nave. «Ci sono più di cinquanta navi in movimento nel raggio di centomila chilometri da noi. Altre decine di navi sono in posizione orbitale di difesa. Tre di esse… navi torcia, dalla traccia di fusione… si trovano a duecento chilometri da noi e si avvicinano.»

Nessuno aprì bocca. La nave si sarebbe potuta risparmiare l’ultima frase: le tre scie dei motori a fusione parevano direttamente su di noi, ardevano in cima alla nostra nave come fiamme di saldatore soffiate contro il nostro viso.

«Ci danno la voce» disse la nave.

— Video? — domandò Aenea.

«Solo audio» rispose la nave, in un tono che pareva più conciso ed efficiente del solito. Possibile che una IA provasse tensione?

— Sentiamo — disse la bambina.

«…nave appena entrata nel sistema Vettore Rinascimento» diceva in quel momento una voce. Una voce nota. L’avevamo udita nel sistema di Parvati. Il Padre Capitano de Soya. «Attenzione, nave appena entrata nel sistema Vettore Rinascimento» ripeté la voce.

— Da quale nave proviene la chiamata? — domandò A. Bettik, guardando le tre navi torcia in avvicinamento. Il suo viso azzurro era bagnato dalla luce azzurra dei motori al plasma.

«Non identificabile» rispose la nave. «Trasmissione a raggio compatto di cui non ho localizzato la provenienza. Potrebbe provenire da una qualsiasi delle settantanove navi sui miei schermi.»

Avevo l’impressione di dover fare un commento, dire qualcosa d’intelligente. — Yoicks — dissi, come se aizzassi i cani in una caccia alla volpe. Aenea mi lanciò un’occhiata e poi tornò a guardare le navi torcia sempre più vicine.

— Tempo per Vettore Rinascimento? — domandò con calma.

«Quattordici minuti a delta-v costante» disse la nave. «Ma questo livello di decelerazione sarebbe illegale entro quattro distanze planetarie.»

— Continua a questo livello.

«Attenzione, nave appena entrata nel sistema Vettore Rinascimento» diceva intanto la voce di de Soya. «State per essere abbordati. In caso di resistenza, useremo gli storditori. Ripeto… attenzione, nave appena entrata…»

Aenea mi guardò e sorrise. — Mi sa che non posso più usare il trucco della depressurizzazione, eh, Raul?

Non riuscii a pensare un commento intelligente, a parte il yoicks di poco prima. Mostrai le mani, palmi in alto.

«Attenzione, nave appena entrata nel sistema Vettore Rinascimento. Ci affianchiamo. Non opponete resistenza mentre agganciamo i campi di contenimento esterni.»

Per chissà quale motivo, in quel momento, mentre Aenea e A. Bettik alzavano il viso per guardare i tre motori a fusione che si separavano e le navi torcia che diventavano visibili a meno di un chilometro dalla nostra, disposte ai vertici di un triangolo equilatero con noi al centro, osservai il viso della bambina. I suoi lineamenti tradivano tensione, forse… c’era una lieve piega agli angoli della bocca… ma tutto sommato Aenea pareva perfettamente composta e totalmente interessata. I suoi occhi scuri erano grandi e luminosi.

«Attenzione, nave» disse la voce del capitano della Pax. «Fra trenta secondi agganciamo i campi.»

Aenea andò ai bordi della stanza, allungò la mano per toccare lo scafo invisibile. Dal mio punto d’osservazione era come se ci trovassimo sul cocuzzolo circolare di un’altissima montagna, con stelle e azzurre code di cometa da ogni lato, e Aenea fosse in bilico sull’orlo del precipizio.

— Per favore, Nave, dammi la trasmissione audio a banda larga in modo che tutte le navi della Pax possano sentirmi.


Il Padre Capitano de Soya segue gli eventi, nella realtà tattica e nello spazio reale. Nella realtà tattica si trova sopra il piano dell’ellittica e vede le navi schierate intorno al bersaglio in decelerazione come punti di luce posti lungo i raggi e il bordo di una ruota. Accanto al mozzo, tanto vicino alla nave della bambina da risultare quasi indistinguibili, ci sono la Melchiorre, la San Tommaso Akira e la Baldassarre. Più lontano, ma in fase di decelerazione perfettamente sincrona con le quattro navi nel mozzo dell’ipotetica ruota, ci sono più di dieci altre navi torcia al comando del capitano Sati a bordo della Sant’Antonio. A diecimila chilometri da queste ultime, disposti intorno a un mozzo perimetrale in lenta rotazione, anch’essi in decelerazione per l’ingresso nello spazio cislunare di Vettore Rinascimento, ci sono i cacciatorpediniere classe Benedizione, tre delle sei navi Tre-C e la portaerei San Malo, sulla quale de Soya osserva gli eventi dal Centro Controllo Combattimento. Avrebbe voluto, ovviamente, trovarsi con la task force MAGI, in rapido avvicinamento alla nave della bambina, ma si è reso conto che per un comandante quella posizione troppo ravvicinata sarebbe inopportuna. La Madre Capitano Stone, promossa dall’ammiraglio Serra solo la settimana precedente, rimarrebbe particolarmente seccata se sminuissero in quel modo il suo primo vero scontro.

Perciò dalla San Malo de Soya guarda la sua Arcangelo Raffaele in orbita di parcheggio intorno a Vettore Rinascimento, con le vedette di difesa e i mezzi leggeri di protezione. Passando rapidamente dalla realtà affollata di luci rosse del Tre-C della San Malo al panorama dello spazio tattico segnato da fiamme di fusione, scorge le scintille sopra quella sorta di ruota in movimento formata di navi, mentre altre decine sono schierate a formare una sfera gigantesca che blocchi qualsiasi direzione di fuga alla nave della bambina. De Soya torna all’affollato Tre-C e nota il viso color sangue degli osservatori Wu e Brown, nonché del comandante Barnes-Avne, che si tiene in contatto su banda compatta con i cinquanta marines a bordo delle navi MAGI. Negli angoli dell’affollato Tre-C de Soya vede Gregorius e gli altri due soldati. Tutt’e tre sono rimasti molto delusi di non fare parte delle squadre d’abbordaggio, ma de Soya li tiene in serbo come guardie del corpo nel viaggio di ritorno a Pacem con la bambina.

Passa di nuovo sul canale a raggio compatto. «Attenzione, nave» dice, sentendo il battito del proprio cuore quasi come un rumore di fondo «fra trenta secondi agganciamo i campi.» Si rende conto d’avere paura per la bambina. Se qualcosa deve andare storto, accadrà nei prossimi minuti. Le simulazioni hanno affinato il procedimento e ci sono solo sei probabilità su cento che la bambina finisca male… ma de Soya considera troppo alto anche quel sei percento. Ogni notte, per 142 notti, ha sognato la bambina.

A un tratto la banda comune emette dei fruscii e dagli altoparlanti del Tre-C esce la voce della bambina. «Padre Capitano de Soya» dice Aenea. Manca il video. «Per favore, non tenti di agganciare i campi né di abbordare la mia nave. Il tentativo sarebbe disastroso.»

De Soya lancia un’occhiata allo schermo. Mancano quindici secondi. Hanno già recitato quella farsa, pensa de Soya, e nessuna minaccia di suicidio impedirà stavolta l’abbordaggio della nave. Meno di un centesimo di secondo dopo l’aggancio dei campi, le tre navi torcia MAGI azioneranno gli storditori e innaffieranno il bersaglio.

«Rifletta, Padre Capitano» dice con calma la bambina. «La nostra nave è controllata da una IA dell’era dell’Egemonia. Se ci stordisce…»

«Sospendere l’aggancio dei campi!» ordina de Soya, due secondi prima che l’aggancio avvenga automaticamente. La Melchiorre, la San Tommaso Akira e la Baldassarre inviano un segnale luminoso per confermare l’ordine ricevuto.

«Lei pensa al silicio» continua la bambina «ma il nucleo IA della nostra nave è totalmente organico: banchi processori del vecchio tipo a DNA. Se stordisce noi, stordisce anche la nave.»

— Maledizione, maledizione, maledizione! — ode de Soya. Sulle prime pensa d’avere udito la propria voce, poi si gira e scopre che è il capitano Wu a imprecare piano.

«Siamo in decelerazione a 87 g» continua Aenea. «Se lei stordisce la nostra IA… be’, quella controlla tutti i campi interni, i motori…»

De Soya passa sulle bande degli esperti tecnici a bordo della San Malo e delle tre MAGI. «È vero?» domanda. «Stordiremmo anche la loro IA?»

Segue un’insopportabile pausa di almeno dieci secondi. Infine il capitano Hearn, che ha una laurea in ingegneria, s’inserisce sulla banda compatta. «Non sappiamo, Federico. Molti particolari della biotecnologia delle vere IA sono andati perduti o sono stati soppressi dalla Chiesa. È peccato mortale, interessarsi delle…»

«Sì, sì» lo interrompe de Soya, brusco. «Ma dice la verità? Qualcuno qui dovrà pur saperlo! Una IA a base DNA sarà danneggiata, se useremo gli storditori per innaffiare la nave?»

Bramly, ingegnere capo sulla San Malo, interviene: «Signore, penso che i progettisti avrebbero protetto il cervello in previsione di una simile possibilità…».

«Ma lo sa per certo?» ribatte de Soya.

«Nossignore» ammette dopo un attimo Bramly.

«Quella IA è totalmente organica?» insiste de Soya.

«Sì» interviene il capitano Hearn, sulla banda a raggio compatto. «A parte le interfacce, elettronica e di memoria a bolla, l’IA di una nave di quell’epoca sarebbe DNA strutturato a elica incrociata, mantenuto in sospensione con…»

«E va bene» dice de Soya, rivolgendosi su canali multipli a tutte le navi. «Mantenete la posizione. Non… ripeto, non… permettete alla nave della bambina di cambiare rotta né di accelerare a velocità C-più. In questo caso, agganciate i campi e usate gli storditori.»

Dalle MAGI e dalle navi più esterne provengono i segnali luminosi di conferma.

«… perciò, per favore, non crei questo disastro» conclude Aenea. «Vogliamo solo atterrare su Vettore Rinascimento.»

Il Padre Capitano de Soya apre alla nave della bambina il proprio canale a raggio compatto. «Aenea» dice, con tono gentile «lasciaci venire a bordo, ti porteremo noi sul pianeta.»

«Penso di eseguire da me l’atterraggio» replica Aenea. De Soya crede di cogliere nel suo tono una traccia di divertimento.

«Vettore Rinascimento è un pianeta assai vasto» protesta de Soya. Guarda, mentre parla, il grafico tattico: dieci minuti all’ingresso nell’atmosfera. «Dove vuoi atterrare?»

Un intero minuto di silenzio. Poi la voce di Aenea. «Lo spazioporto Leonardo, a Da Vinci, andrebbe bene.»

«Quello spazioporto è chiuso da più di duecento anni» obietta de Soya. «I banchi memoria della tua nave sono così arretrati?»

Solo silenzio, sui canali di comunicazione.

«C’è un astroporto della Pax Mercatoria, nel quadrante ovest di Da Vinci» suggerisce de Soya. «Non va bene?»

«Sì» risponde Aenea.

«Dovrai cambiare direzione, entrare in orbita e atterrare secondo gli ordini del controllo del traffico spaziale» dice de Soya. «Ora scarico sulla nave i cambiamenti di delta-v.»

«No!» dice Aenea «La mia nave ci porterà a terra.»

De Soya sospira, guarda il capitano Wu e padre Brown. Il comandante Barnes-Avne dice: — I miei marines possono abbordarla in due minuti.

— La nave entrerà nell’atmosfera fra… sette minuti — dice de Soya. — A quella velocità, anche il minimo errore di calcolo sarebbe fatale. — Passa sul canale a raggio compatto. «Aenea, sopra Da Vinci c’è troppo traffico spaziale e aereo, non puoi tentare l’atterraggio. Per favore, ordina alla nave di seguire i parametri d’inserimento orbitale che ho appena trasmesso e di…»

«Mi spiace, Padre Capitano» lo interrompe la bambina «ma siamo già in fase d’atterraggio. Se comunica alla torre di controllo dello spazioporto d’inviarci i dati d’avvicinamento, mi farà un piacere. Se le parlerò di nuovo, avverrà quando saremo a terra. Chiudo.»

— Maledizione! — impreca de Soya. Si collega con la torre di controllo della Pax Mercatoria. «Avete registrato, torre?»

«Invio dati d’avvicinamento… ora.» La voce del controllore di volo.

«Hearn, Stone, Boulez» dice de Soya. «Registrato?»

«Ricevuto» dice la Madre Capitano Stone. «Dovremo interrompere fra… tre minuti e dieci secondi.»

De Soya passa per un attimo in ambiente tattico, quanto basta per vedere il mozzo e la ruota staccarsi, mentre le navi torcia iniziano a ridurre velocità per entrare in orbita frenante. Quelle navi non sono state progettate per l’atmosfera. La San Malo è già in orbita intorno al pianeta e ora si trova quasi sul percorso della nave della bambina, che riduce pazzescamente la velocità prima d’entrare nell’atmosfera.

— Preparate la navetta — ordina de Soya.

«PAC?» chiama poi sul canale di trasmissione planetario.

«Pronti, signore» risponde il comandante di caccia Klaus. Lei e altri quarantasei Scorpioni, la Pattuglia Aerea di Combattimento, aspettano ad alta quota sopra Da Vinci.

«La seguite?»

«Tracce ottime, signore» risponde Klaus.

«Le ricordo che non va sparato colpo se non sotto mio ordine diretto, comandante.»

«Sissignore.»

«La San Malo lancerà… ah… diciassette caccia che seguiranno fino a terra la nave bersaglio» dice de Soya. «Con la mia navetta, fanno diciotto. I nostri radarfari saranno regolati su zero-cinque-nove.»

«Affermativo» dice Klaus. «Radarfari zero-cinque-nove. Nave bersaglio e diciotto amici.»

«De Soya, chiudo.» Stacca i cavi che lo collegano ai pannelli del Tre-C. L’ambiente tattico svanisce. Il capitano Wu, padre Brown, il comandante Barnes-Avne, il sergente Gregorius, Kee e Rettig seguono de Soya nella navetta. Il pilota, un tenente di nome Karyn Norris Cook, è in attesa, con tutti i sistemi pronti. Basta meno di un minuto perché la navetta sia agganciata ed espulsa dal tubo di lancio della San Malo. Operazione provata e riprovata molte volte.

Mentre entrano nell’atmosfera, de Soya riceve dati tattici tramite la rete di navetta.

— La nave della bambina mette le ali — dice il pilota, usando l’antica terminologia. Da millenni, "avere i piedi asciutti" significa sorvolare terreno, "avere i piedi bagnati", sorvolare acqua, "mettere le ali", passare dallo spazio all’atmosfera.

L’immagine video mostra che la frase non va presa alla lettera. I dati relativi alla vecchia nave indicano la presenza di capacità metamorfiche, ma nel caso attuale la nave non mette le ali. Telecamere delle vedette di difesa mostrano chiaramente che la nave entra di prua nell’atmosfera e si tiene in equilibrio su di una coda di fiamma di fusione.

Il capitano Wu si sporge verso de Soya. — Il cardinale Lourdusamy ha detto che quella bambina è una minaccia per la Pax — mormora in modo che gli altri non sentano.

Il Padre Capitano de Soya si limita a un cenno d’assenso.

— E se avesse voluto dire che poteva essere una minaccia per i milioni di persone su Vettore Rinascimento? — bisbiglia Wu. — Il motore a fusione, da solo, è un’arma terribile. Un’esplosione termonucleare sopra la città…

De Soya sente un gelido nodo alle viscere, ma ha già riflettuto su questa possibilità. — No — risponde in un bisbiglio. — Se la bambina gira la coda di fusione verso qualcosa, stordiamo la nave, disattiviamo i motori e la lasciamo cadere.

— La bambina… — comincia il capitano Wu.

— Possiamo solo augurarci che sopravviva all’urto. Non lasceremo morire migliaia, o milioni, di cittadini della Pax. — Si appoggia allo schienale della cuccetta anti-accelerazione e si collega con lo spazioporto, sapendo che il raggio compatto deve farsi strada nello strato ionizzato intorno alla navetta. Lancia un’occhiata al video dell’esterno e vede che in quel momento attraversano il terminatore: nello spazioporto sarà notte.

«Controllo spazioporto» comunica il direttore del traffico della Pax. «La nave bersaglio decelera nel corridoio di volo da noi consigliato. Il delta-v è alto… illegale… ma accettabile. Tutto il traffico aereo in un raggio di mille chilometri è stato deviato. Tempo all’atterraggio, quattro minuti e trentacinque secondi.»

«Spazioporto sotto controllo» interviene il comandante Barnes-Avne, sulla stessa rete.

De Soya sa che nello spazioporto e tutt’intorno ci sono parecchie migliaia di soldati della Pax. Una volta a terra, la nave della bambina non potrà più decollare. De Soya guarda il video: le luci di Da Vinci brillano da orizzonte a orizzonte. La nave della bambina ha acceso le luci di navigazione, fari rosso e verde che lampeggiano. I potenti riflettori d’atterraggio si accendono e trapassano le nuvole.

«In corridoio» dice la calma voce del controllore del traffico. «Decelerazione nominale.»

«Visuale diretta!» esclama sulla rete il comandante della pattuglia aerea, Klaus.

«Mantenetevi a distanza» ordina de Soya. Gli Scorpioni possono pungere da parecchie centinaia di chilometri. De Soya non vuole che intralcino la nave in discesa.

«Affermativo.»

«In corridoio, sistema strumentale conferma discesa nominale, tre minuti all’atterraggio» trasmette il controllore di volo alla nave della bambina. «Nave non identificata, avete il permesso di atterrare.»

Silenzio da Aenea.

De Soya passa in ambiente tattico. Ora la nave della bambina è una brace rossastra, quasi librata diecimila metri sopra lo spazioporto della Pax. La navetta di de Soya e i caccia si trovano un chilometro più in alto, girano in tondo come insetti rabbiosi. O come avvoltoi, pensa il Padre Capitano. Nel Llano Estacado c’erano avvoltoi, anche se nessuno ha mai saputo perché le navi coloniali li avessero importati: le praterie picchettate (i picchetti erano i generatori d’atmosfera disposti a intervalli di trenta chilometri in modo da formare una griglia) erano sufficientemente secche e ventose da ridurre in mummia qualsiasi cadavere nel giro di poche ore.

De Soya scuote la testa per schiarirsela.

«Un minuto all’atterraggio» riferisce il controllore. «Nave non identificata, vi avvicinate a velocità di discesa zero. Per favore, modificate il delta-v per continuare la discesa secondo il corridoio di volo predisposto. Nave non identificata, confermare, prego…»

— Maledizione — mormora il capitano Wu.

— Signori — dice il pilota Karyn Cook — La nave ha interrotto la discesa. Rimane librata duemila metri sopra lo spazioporto.

— Lo vediamo, tenente — sbotta de Soya. Le luci, rossa e verde, della nave lampeggiano. I fari d’atterraggio nelle pinne caudali sono tanto vividi da illuminare il tarmac dello spazioporto, due chilometri più in basso. Gli altri velivoli nello spazioporto sono al buio; molti sono stati ritirati negli hangar o in piste di sosta secondarie. I velivoli che girano intorno alla nave, navetta compresa, non hanno luci. De Soya parla sul canale multiplo. «A tutte le navi, mantenere la distanza e non aprire il fuoco.»

«Nave non identificata» dice il controllore della Pax «state uscendo dal corridoio. Riprendete subito la velocità di discesa nominale, prego. Nave non identificata, state lasciando lo spazio aereo controllato. Riprendete subito la discesa prevista…»

— Merda — mormora Barnes-Avne. I suoi soldati aspettano, schierati in cerchi concentrici intorno allo spazioporto, ma la nave della bambina non è più sopra lo spazioporto: va alla deriva sopra il centro di Da Vinci. Ora ha spento i fari d’atterraggio.

— La nave non dà segno di voler accendere il motore a fusione — dice de Soya al capitano Wu. — Sfrutta solo i repulsori.

Wu annuisce, ma chiaramente non è soddisfatta. Una nave con motore a fusione librata sopra un centro urbano è come una lama di ghigliottina sopra un collo indifeso.

«PAC» chiama de Soya «mi sposto nel raggio di cinquecento metri. State vicino a me, prego.» Rivolge un gesto al pilota, che muove la navetta verso il basso in una planata intorno alla nave; pare un uccello da preda. Gregorius e gli altri due soldati, in armatura da combattimento, siedono rigidamente sui sedili posteriori.

— Cosa diavolo combina? — mormora il comandante Barnes-Avne. Sulla banda tattica de Soya vede che la donna ha ordinato a un centinaio di soldati di seguire, con i monopropulsori a reazione, la nave. I soldati sono invisibili alle telecamere esterne.

De Soya ricorda il piccolo velivolo, o zaino di volo, che ha prelevato la bambina nella Valle delle Tombe del Tempo. Si collega con il controllo a terra e con le vedette orbitali. «Sensori? State controllando che piccoli oggetti non lascino la nave bersaglio?»

La risposta proviene dalla vedetta primaria. «Sissignore. Non si preoccupi, signore. Neppure un microbo potrebbe uscire da quella nave senza lasciare traccia, signore.»

«Molto bene» dice de Soya. "Che cosa ho dimenticato?" si domanda. La nave di Aenea continua a librarsi lentamente sopra Da Vinci, direzione nord-nordovest, a circa venticinque chilometri all’ora: un lento dirigibile verticale portato dal vento. Al di sopra della nave turbinano i caccia penetrati nell’atmosfera insieme con la navetta di de Soya. Intorno alla nave, simili alle pareti di un ciclone in rotazione intorno all’occhio, turbinano gli Scorpioni della Pattuglia Aerea. Sotto la nave, sfiorando gli edifici e i ponti della città, i marines dello spazioporto e i soldati seguono il bersaglio basandosi sui sensori a infrarossi del visore della tuta e sui dati di rilevamento.

La nave della bambina si libra su silenziosi repulsori EM sopra i grattacieli e le zone industriali di Da Vinci. La città risplende di luci: autostrade, edifici, verdi distese di campi da gioco, rettangoli vividamente illuminati delle aree di parcheggio. Decine di migliaia di veicoli terrestri strisciano sui nastri d’autostrade sopraelevate e i loro fari incrementano lo spettacolo luminoso della città.

— La nave si gira, signore — riferisce il pilota. — Sempre sui repulsori.

Tanto sui video quanto sulla banda tattica de Soya vede la nave di Aenea assumere lentamente la posizione orizzontale. Non compaiono ali. Quella posizione sarebbe insolita per i passeggeri, ma in pratica non fa differenza: i campi interni controllano ancora "alto" e "basso". La nave, più che mai simile a un argenteo dirigibile sospinto dal vento, si muove sopra il fiume e i depositi ferroviari della parte nordovest di Da Vinci. Il controllo del traffico chiede con insistenza una risposta, ma i canali di trasmissione rimangono muti.

"Che cosa ho dimenticato?" si domanda il Padre Capitano de Soya.


Quando Aenea chiese alla nave di girarsi in posizione orizzontale, confesso che per un istante perdetti quasi la calma.

Fui quasi sopraffatto dalla sensazione di cadere. In quel momento eravamo tutt’e tre vicino al bordo della stanza circolare e grazie allo scafo trasparente guardavamo in basso, come dall’orlo di un precipizio. Ora ci rovesciavamo verso quelle luci mille metri più in basso. A. Bettik e io arretrammo istintivamente di alcuni passi verso il centro della stanza (io agitai davvero le braccia, come per mantenere l’equilibrio), ma Aenea rimase sul bordo della stanza e osservò il terreno inclinarsi verso di lei e diventare una muraglia di edifici e di luci.

Provai l’impulso di sedermi sul divano, ma riuscii a restare in piedi e a controllare la sensazione di vertigine, immaginando che il terreno fosse una gigantesca muraglia da sorvolare. Mentre avanzavamo, le vie e la griglia di edifici passavano sotto di noi. Feci un giro completo su me stesso, scorgendo le poche stelle più luminose attraverso il bagliore della città alle mie spalle. Le nuvole riflettevano le. luci arancione del complesso urbano.

— Cosa cerchiamo? — domandai. A intervalli la nave riferiva la presenza di velivoli che ci giravano intorno e il numero dei sensori che ci tenevano sotto controllo. Le avevamo ordinato di non badare alle insistenti richieste del controllore del traffico dello spazioporto.

Aenea voleva guardare il fiume. Ora lo sorvolavamo: un nastro scuro, sinuoso, che serpeggiava fra le luci della città. Costeggiammo il fiume, verso nordovest. Di tanto in tanto sotto di noi passava una chiatta o un battello di piacere, ma dal nostro punto di vista le luci parevano strisciare su o giù lungo la muraglia di edifici.

Invece di rispondere alla mia domanda, Aenea disse: — Nave, sei sicura che quello faceva parte del Teti?

«Sì, secondo le mie mappe» confermò la nave. «Ovviamente la mia memoria non…»

— Là! — esclamò A. Bettik, indicando un punto proprio sopra la linea scura del fiume.

Non scorsi niente, ma di sicuro Aenea vide qualcosa. — Abbassiamoci — ordinò alla nave. — Rapidamente.

«Abbiamo già superato i margini di sicurezza» obiettò la nave. «Se perdiamo ancora la quota, potremmo…»

— Esegui l’ordine! — gridò la bambina. — Prendo il comando manuale. Codice "Preludio… Do diesis". Esegui!

La nave si mosse di scatto in basso e in avanti.

— Punta verso quell’arco — ordinò Aenea, indicando un punto sulla verticale lungo la muraglia della città e del fiume.

— Arco? — dissi, stupito. Poi lo vidi… una corda nera, un arco di tenebra contro le luci della città.

A. Bettik guardò la bambina. — Quasi m’aspettavo che fosse svanito… abbattuto.

Aenea sorrise. — Non possono abbatterlo. Bisognerebbe usare esplosivi atomici… e forse non basterebbero neppure. Il TecnoNucleo ha provveduto a farli costruire… perché durassero.

Ora la nave procedeva a grande velocità sui propulsori. Vedevo chiaramente l’arcata del teleporter, simile a un gigantesco occhiello sopra il fiume. Un parco industriale era cresciuto intorno all’antico manufatto: i depositi ferroviari e i cortili di magazzinaggio erano deserti, a parte il cemento screpolato, le erbacce, i cavi arrugginiti e le carcasse di macchinari abbandonati. Il teleporter distava ancora un chilometro. Attraverso il portale scorgevo le luci della città… no, ora il portale pareva tremolare un poco, come se dall’arcata metallica cadesse un velo d’acqua.

— Stiamo per farcela! — dissi. Avevo appena terminato la frase, quando una violenta esplosione scosse la nave e iniziammo il tuffo verso il fiume.


— L’antico teleporter! — grida de Soya. Già da un minuto ha visto l’arco, ma l’ha ritenuto uno dei tanti ponti. Adesso capisce. — Sono diretti al teleporter. Quel tratto di fiume faceva parte del Teti! — Passa in ambiente tattico. Non si è sbagliato: la nave della bambina accelera in direzione dell’arcata.

— Calma — dice il comandante Barnes-Avne. — I teleporter non funzionano. Dall’epoca della Caduta non hanno più funzionato. Non si può…

— Accosta! — grida de Soya al pilota. La navetta accelera, li schiaccia contro l’imbottitura dei sedioli. Nelle navette non esiste il campo di contenimento interno. — Accosta! Accosta! — grida de Soya. Passa sui canali di comando a banda larga. «A tutti i velivoli, chiudere sul bersaglio.»

— Arriveranno prima di noi — dice il pilota Cook, malgrado i 3 g che la spingono contro lo schienale del sediolo di guida.

«Capo PAC!» chiama de Soya, con voce tesa per l’alto carico gravitazionale cui è sottoposto. «Fuoco sul bersaglio. Fuoco per disabilitare motori e propulsori. Ora!»

Raggi d’energia saettano nella notte. La nave della bambina pare incespicare a mezz’aria, come una belva colpita nelle viscere, e poi cade nel fiume, mancando il portale di alcune centinaia di metri. Nella notte si alza il fungo di un’esplosione di vapore.

La navetta vira intorno alla colonna di vapore, a mille metri di quota. L’aria turbina di velivoli e di soldati in volo. All’improvviso i canali di trasmissione si riempiono di voci eccitate.

«Silenzio!» ordina de Soya sulla banda ampia. «Capo PAC, vedete la nave?»

«Negativo» risponde Klaus. «Vapore e detriti dell’esplosione…»

«C’è stata esplosione?» domanda de Soya. Poi, sulla banda compatta per le vedette di difesa in orbita mille chilometri più in alto. «Radar? Sensori?»

«Nave bersaglio abbattuta» è la risposta.

«Questo lo so, idioti!» sbotta de Soya. «Riuscite a rintracciarla sotto la superficie del fiume?»

«Negativo» risponde la vedetta. «Troppi echi spurii a terra e in aria. Il radar non riesce a distinguere fra…»

«Maledizione» impreca de Soya. «Madre Capitano Stone?»

«Sì» risponde dalla nave torcia l’ex comandante in seconda di de Soya.

«Lo annienti. Il portale. Il fiume. Lo tenga sotto fuoco per un minuto intero. Vetrifichi tutto. Aspetti… lo vetrifichi fra trenta secondi.» Passa sulle bande tattiche aeree. «A tutti i velivoli e a tutti i soldati nelle vicinanze… avete trenta secondi prima che una lancia CPB colpisca l’intera zona. Sparpagliatevi! »

Il pilota Cook segue il consiglio e fa virare di scatto la navetta, accelerando a mach 1,5 in direzione dello spazioporto. — Ehi, ehi! — grida de Soya, malgrado il carico gravitazionale. — Solo un chilometro. Devo guardare.

Sia l’ambiente tattico sia l’ambiente visuale sono una palese dimostrazione della teoria del caos: centinaia di velivoli e di soldati volano lontano dal portale come per effetto di un’esplosione. Sul radar la zona è quasi vuota, prima che il raggio violaceo scenda dallo spazio. Largo dieci metri e troppo luminoso per essere guardato direttamente, il CPB centra in pieno l’antico teleporter. Cemento, acciaio e ferroplastica si fondono in laghi e fiumi di lava, sull’una e sull’altra riva del fiume vero e proprio. In un istante il fiume stesso si muta in vapore, manda l’onda d’urto e la nube di vapore a gonfiarsi sulla città per chilometri in ogni direzione. Stavolta la nube a forma di fungo raggiunge la stratosfera.

Il capitano Wu, padre Brown e tutti gli altri fissano il Padre Capitano de Soya. Quest’ultimo intuisce il loro pensiero: "Bisognava catturare viva la bambina".

Non bada al loro sguardo e dice al pilota: — Non conosco bene questo modello di navetta. Può stare sospesa?

— Per alcuni minuti — risponde il pilota. Sotto l’elmetto, ha il viso lucido di sudore.

— Portaci laggiù e resta sospeso sopra l’arcata del teleporter — ordina de Soya. — Cinquanta metri andranno bene.

— Signore — dice il pilota — le termali e le onde d’urto delle esplosioni di vapore…

— Esegua l’ordine, tenente — ordina il Padre Capitano, con voce calma, che però non ammette discussioni.

Si librano sopra il teleporter. Il vapore e una violenta pioggerella riempiono l’aria, ma i raggi di ricerca e il radar ad alto profilo penetrano in basso. L’arcata del teleporter splende al calor bianco, ma non è ancora crollata.

— Stupefacente — mormora il comandante Barnes-Avne.

La Madre Capitano Stone interviene sulla banda tattica. «Padre Capitano, il bersaglio è stato colpito, ma esiste ancora. Vuole che lo colpisca di nuovo?»

«No» dice de Soya. Sotto l’arcata, il fiume si è autocauterizzato e l’acqua rifluisce sulla cicatrice surriscaldata. Nuovo vapore sale al cielo, mentre le rive d’acciaio e di cemento fusi colano nell’acqua. I microfoni esterni captano benissimo il sibilo. Il fiume è impazzito, pieno di gorghi e di mulinelli. E di detriti turbinanti.

De Soya alza gli occhi dai monitor tattici e vede che gli altri lo fissano di nuovo. "Gli ordini erano di catturare viva la bambina e di portarla su Pacem."

— Comandante Barnes-Avne — dice de Soya in tono formale — le dispiace ordinare ai suoi soldati di atterrare e di iniziare immediatamente la ricerca nel fiume e nelle zone adiacenti?

— Certo — dice Barnes-Avne. Emana ordini sulla rete di comando. Non stacca lo sguardo dal viso del Padre Capitano de Soya.

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