9

Nato di nuovo, il Padre Capitano Federico de Soya si guarda intorno, con stupore infantile, mentre attraversa piazza S. Pietro fra gli eleganti archi del colonnato del Bernini e si avvicina alla basilica. La giornata è magnifica: sole non troppo caldo, cielo azzurro, aria frizzante (l’unico continente abitabile di Pacem si trova a millecinquecento metri sul livello standard del mare e l’aria è rarefatta, ma fin troppo ricca d’ossigeno) e ogni cosa è bagnata dalla pastosa luce del pomeriggio che crea un’aura intorno alle maestose colonne, attorno alla testa della gente frettolosa; una luce che imbianca le statue di marmo ed evidenzia lo splendore delle tonache rosse dei vescovi e delle strisce rosse, azzurre e arancioni della divisa delle Guardie Svizzere ferme sul riposo; luce che dipinge l’alto obelisco al centro della piazza e i pilastri scanalati della facciata della basilica, che accende di splendore la cupola stessa, alta più di cento metri. Colombi si levano in volo e vengono colpiti da quella luce pastosa, mentre girano sopra la piazza, con ali ora bianche contro il cielo, ora scure contro l’abbagliante cupola della basilica di S. Pietro. Un mucchio di gente si muove ai lati, semplici ecclesiastici in tonaca nera e bottoni rosa, vescovi in bianco con bordo rosso, cardinali in rosso scarlatto e magenta scuro, cittadini del Vaticano in farsetto nero inchiostro, calzoni alla zuava e gorgiera bianca, suore in tonaca frusciante e copricapo bianco ad ala di gabbiano, preti maschi e femmine in semplice nero, ufficiali della Pax in alta uniforme scarlatta e nera come quella che lo stesso de Soya indossa oggi, e un piccolo numero di fortunati turisti e ospiti civili, che godono del privilegio d’assistere alla messa del Papa, abbigliati con i loro abiti più eleganti, per la maggior parte neri, ma tutti di stoffe così sfarzose da far risplendere anche la fibra più scura. La folla si muove verso la sublime basilica di S. Pietro, parlando a bassa voce, con atteggiamento animato ma grave. Una messa del Papa è un evento importante.

Oggi, a soli quattro giorni dal fatale congedo dalla task force MAGI e a un giorno dalla risurrezione, il Padre Capitano de Soya è accompagnato da padre Baggio, dal capitano Marget Wu e da monsignor Luca Oddi: Baggio, grassoccio e amabile, è il cappellano della risurrezione di de Soya; Wu, snella e silenziosa, è l’aiutante di campo dell’ammiraglio Marusyn della Flotta della Pax; Oddi, che ha ottantasette anni standard ma è tuttora vispo e arzillo, è lo stretto collaboratore del potente segretario di stato del Vaticano, cardinale Simon Augustino Lourdusamy. Si dice che il cardinale Lourdusamy sia la seconda persona più potente della Pax, l’unico membro della Curia romana cui Sua Santità presti orecchio, e individuo d’intelligenza incredibilmente vivace e pronta. Il potere del cardinale si riflette anche nel fatto che ricopre la carica di Prefetto della Sacra Congregano pro Gentium Evangelizatione vel de Propaganda Fide, il leggendario istituto per l’evangelizzazione delle genti, noto come Propaganda Fide.

Per il Padre Capitano de Soya la presenza di quelle due persone tanto potenti non è più sorprendente della luce del sole sull’alta facciata, mentre lui e gli altri tre salgono i larghi gradini verso la Basilica. La folla, già silenziosa, si zittisce del tutto, mentre i quattro sfilano nell’ampio sagrato, oltrepassano altre Guardie Svizzere sia in uniforme da parata sia in divisa da combattimento ed entrano nella navata. Lì anche il silenzio echeggia e de Soya si commuove fino alle lacrime davanti alla bellezza della grande chiesa e alle eterne opere d’arte che oltrepassa per andare ai banchi: la Pietà di Michelangelo, nella prima cappella a destra; l’antico bronzo di Arnolfo di Cambio, raffigurante san Pietro, il cui piede destro è quasi consumato da secoli di baci; e, vividamente illuminata dal basso, l’impressionante figura di Giuliana Falconieri vergine e santa, scolpita da Pietro Campi nel XVI secolo, più di millecinquecento anni fa.

Il Padre Capitano de Soya piange senza ritegno, quando con l’acqua santa si fa il segno di croce e segue padre Baggio nel banco a loro riservato. I tre preti e l’ufficiale della Pax s’inginocchiano in preghiera, mentre gli ultimi rumori si spengono. Ora la basilica è quasi buia: solo minuscoli faretti alogeni illuminano di luce dorata i tesori artistici e architettonici. De Soya guarda, fra le lacrime, i pilastri scanalati e le colonne barocche bronzo scuro di un’altra opera del Bernini, il baldacchino dorato e riccamente ornato sopra l’altare centrale dove solo il Papa può celebrare messa, e contempla le meraviglie delle ultime ventiquattro ore dalla propria risurrezione. Ha provato dolore, certo, e confusione, come se si riprendesse dallo stordimento causato da un forte colpo alla testa; e il dolore era in tutto il corpo, più penoso di qualsiasi emicrania, come se ogni cellula ricordasse l’indegnità della morte e ancora adesso vi si ribellasse; ma ha provato anche meraviglia. Meraviglia e stupore reverenziale per le cose più insignificanti: il sapore del brodo che padre Baggio gli ha fatto sorbire; la prima occhiata, dalla finestra del presbiterio, al cielo azzurro chiaro di Pacem; l’opprimente essenza umana delle facce viste quel giorno, delle voci udite. Il Padre Capitano de Soya, pur sensibile, non ha più pianto da quand’era bambino e aveva cinque o sei anni standard, ma oggi piange, piange apertamente e senza vergogna. Gesù Cristo gli ha fatto per la seconda volta dono della vita, il Signore ha condiviso con lui, fedele e onorato figlio di poveri genitori su di un pianeta arretrato, il sacramento della risurrezione e le singole cellule di de Soya ora sembrano ricordare il sacramento della rinascita, oltre al dolore della morte. De Soya è soffuso di gioia.

La messa ha inizio in un’esplosione di splendore: note di tromba tagliano come lame d’oro il silenzio dei fedeli in attesa, cori si levano in un canto trionfale, note d’organo salgono a echeggiare nella grande cupola e poi una serie di vivide luci si accende per illuminare il Papa e il suo seguito che vengono a celebrare messa.

La prima impressione di de Soya è che il Santo Padre sia molto giovane: Giulio XIV ha superato da poco la sessantina, malgrado sia stato Papa quasi di continuo per 250 anni, a parte i brevi periodi in cui è morto e risuscitato, per nove incoronazioni, la prima col nome di Giulio VI (dopo gli otto anni di regno dell’antipapa Teilhard I) e poi, a ogni successiva reincarnazione, sempre col nome di Giulio. Mentre de Soya guarda il Santo Padre celebrare messa, pensa alla storia dell’ascendenza di Giulio, appresa sia dalla storia ufficiale della Chiesa, sia dal poema all’indice, i Canti, che ogni giovane di cultura legge a rischio della propria anima, ma che comunque legge.

Secondo tutt’e due le versioni, Papa Giulio era, nella vita precedente la prima risurrezione, un giovane di nome Lenart Hoyt, giunto al clero nell’ombra di Paul Duré, un carismatico archeologo e teologo gesuita. Duré era un sostenitore degli insegnamenti di san Teilhard secondo cui la razza umana ha il potenziale per evolversi verso l’essenza divina… anzi, secondo Duré, salito al trono di Pietro dopo la Caduta, per evolversi nell’essenza divina. Un’eresia, questa, che padre Lenart Hoyt, divenuto Papa Giulio VI, dopo la prima risurrezione si è impegnato a spazzare via.

Tutt’e due le versioni, la storia della Chiesa e i Canti, convengono che fu padre Duré, durante l’esilio su Hyperion, pianeta della Periferia, a scoprire il simbionte detto crucimorfo. A questo punto le versioni divergono completamente. Secondo i Canti, Duré aveva ricevuto il crucimorfo da una creatura aliena, lo Shrike. Secondo la dottrina della Chiesa, lo Shrike (la più emblematica rappresentazione di Satana) non ebbe niente a che fare con la scoperta del crucimorfo, ma più tardi tentò sia padre Duré sia padre Hoyt. La storia della Chiesa riporta che solo Duré cedette alla perfidia di quella creatura. I Canti narrano, nella loro confusa mistura di mitologia pagana e di storia arruffata, che Duré si crocifisse da solo nella foresta di fuoco sull’altopiano Punta d’Ala, su Hyperion, per non riportare alla Chiesa il crucimorfo. Secondo il poeta pagano Martin Sileno, agì in questo modo per salvare la Chiesa dal totale affidamento in un parassita anziché nella fede. Secondo la storia della Chiesa, cui de Soya crede, Duré si crocifisse per porre termine alla sofferenza causata dal simbionte e, in combutta col demone Shrike, per impedire alla Chiesa (ritenuta da Duré suo personale nemico, dopo la scomunica per la falsificazione di reperti archeologici) di riguadagnare vitalità mediante la scoperta del sacramento della risurrezione.

Secondo tutt’e due le storie, padre Lenart Hoyt era andato su Hyperion per cercare l’amico ed ex mentore Duré. Secondo i blasfemi Canti, Hoyt aveva accettato su di sé il crucimorfo di Duré oltre al proprio, ma poi era tornato su Hyperion, negli ultimi giorni prima della Caduta, per supplicare il malefico Shrike di liberarlo di quel fardello. La Chiesa metteva in evidenza la falsità di questa versione e spiegava come padre Hoyt fosse coraggiosamente tornato per affrontare il demone nel suo stesso covo. Quale che sia l’interpretazione, i fatti registrano che Hoyt morì durante l’ultimo pellegrinaggio su Hyperion, che Duré fu risuscitato e portò il crucimorfo di padre Hoyt oltre al proprio: e che poi tornò, durante il caos della Caduta, per diventare il primo antipapa della storia moderna. Gli otto anni di eresia sotto Duré/Teilhard I sono stati per la Chiesa un momento oscuro; ma dopo la morte del falso papa, avvenuta per incidente, la risurrezione dal corpo condiviso con Duré ha portato padre Hoyt alla gloria di Giulio VI, alla scoperta della natura sacramentale di quel simbionte che Duré aveva definito un parassita, alla rivelazione divina (avuta da Giulio stesso e tuttora compresa solo dal sancta sanctorum della Chiesa) del modo per effettuare con successo la risurrezione, al susseguente sviluppo della Chiesa da setta secondaria a religione ufficiale dell’uomo.

Il Padre Capitano Federico de Soya guarda il Papa… magro, pallido… sollevare sopra l’altare l’Eucarestia e rabbrividisce di puro e semplice stupore.

Padre Baggio gli ha spiegato che l’opprimente senso di novità e di meraviglia, effetto secondario della Santa Risurrezione, diminuirà fino a un certo punto, nei giorni e nelle settimane a venire; ma ha detto che l’essenziale sensazione di benessere permarrà sempre e anzi diventerà più intensa a ogni risurrezione in Cristo. De Soya capisce perché la Chiesa ritenga il suicidio uno dei più gravi peccati mortali, punibile con la scomunica immediata, dal momento che il fuoco della vicinanza di Dio è molto più intenso, dopo che si sono assaggiate le ceneri della morte. Ci si potrebbe assuefare alla risurrezione come a una droga, se la pena per il suicidio non fosse così terribile.

Ancora sofferente per il dolore della morte e della rinascita, con la mente e i sensi letteralmente in bilico sull’orlo della vertigine, il Padre Capitano de Soya guarda la messa celebrata dal Papa avvicinarsi al punto culminante della Comunione, mentre la basilica di S. Pietro si riempie della stessa esplosione di suoni e di splendore con cui il servizio è iniziato; e sapendo che fra un momento assaggerà il corpo e il sangue di Cristo transustanziati dallo stesso Santo Padre, il guerriero piange come un bimbetto.


Dopo la messa, nel fresco della sera, sotto un cielo simile a chiara porcellana, il Padre Capitano de Soya cammina con i suoi nuovi amici nelle ombre dei Giardini Vaticani.

— Federico — dice padre Baggio — l’incontro che stiamo per avere è molto importante. Importantissimo. Si sente abbastanza lucido per capire ciò di cui si parlerà?

— Sì — dice de Soya. — Sono lucidissimo.

Monsignor Luca Oddi tocca la spalla del giovane ufficiale della Pax. — Federico, figlio mio, ne è sicuro? Possiamo aspettare un altro giorno, se occorre.

De Soya scuote la testa. Si sente ancora stordito per la bellezza e la solennità della messa a cui ha appena assistito, sulla lingua ha ancora il sapore dell’Eucarestia e del Vino, ha l’impressione che Cristo gli mormori in quello stesso momento, ma pensa con lucidità. — Sono pronto — dice. Il capitano Wu è un’ombra silenziosa alle spalle di Oddi.

— Molto bene. — Il monsignore rivolge un cenno a padre Baggio. — Non abbiamo più bisogno dei suoi servigi, Padre. Grazie.

Baggio annuisce, fa un lieve inchino e se ne va senza dire altro. De Soya capisce con perfetta chiarezza che non rivedrà l’amabile capitano che ha assistito alla sua risurrezione e in un impeto di puro amore ha gli occhi bagnati di nuove lacrime. Ringrazia l’oscurità che le nasconde; sa d’avere bisogno d’autocontrollo, per l’incontro. Si domanda dove si terrà l’importante abboccamento: nelle leggendarie Sale Borgia? Nella Cappella Sistina? Negli uffici vaticani della Santa Sede? Forse negli uffici di collegamento della Pax, in quella che un tempo era chiamata la Torre Borgia.

Monsignor Luca Oddi si ferma in fondo ai giardini e segnala agli altri d’accomodarsi su di una panchina di pietra dove un’altra persona è in attesa; padre de Soya si rende conto che l’uomo seduto sulla panchina è il cardinale Lourdusamy e che l’incontro avrà luogo lì, negli odorosi giardini. Piega il ginocchio sulla ghiaia, davanti al cardinale, e gli bacia l’anello.

— Si alzi — dice il cardinale Lourdusamy. È un uomo massiccio, con viso rotondo e mascelle forti; ha una voce tonante che per de Soya suona come quella di Dio. — E si accomodi.

De Soya si siede sulla panchina, mentre gli altri rimangono in piedi. Alla sinistra del cardinale, un altro uomo siede nell’ombra. Nella fioca luce de Soya distingue l’uniforme della Pax, ma non le mostrine. Si rende conto vagamente della presenza di varie persone, almeno una seduta, le altre in piedi, nella fitta ombra di un padiglione sulla sinistra.

— Padre de Soya — comincia il cardinale Simon Augustino Lourdusamy. Indica con un cenno l’uomo seduto alla sua sinistra. — Mi permetta di presentarle l’ammiraglio William Lee Marusyn.

De Soya si alza subito in piedi e saluta, rigido sull’attenti. — Le mie scuse, ammiraglio — riesce a dire, malgrado serri le mascelle. — Non l’avevo riconosciuta, signore.

— Riposo — dice Marusyn. — Si sieda, Capitano.

De Soya torna a sedersi, ma con prudenza, ora: la consapevolezza della compagnia in cui si trova brucia come sole ardente la gioiosa nebbia della risurrezione.

— Siamo molto soddisfatti di lei, Capitano — dice l’ammiraglio Marusyn.

— Grazie, signore — mormora de Soya, con un’altra occhiata alle ombre: ora è sicuro che nel padiglione ci sono degli spettatori.

— Tanto quanto noi — tuona il cardinale Lourdusamy. — Per questo abbiamo scelto lei per questa missione.

— Missione, Eccellenza? — dice de Soya. Si sente turbinare la mente, teso e confuso.

— Come sempre, servirà la Pax e la Chiesa insieme — dice l’ammiraglio, sporgendosi nella fioca luce. Il pianeta Pacem non ha luna, ma la luce delle stelle è vivida e gli occhi di de Soya si sono adattati. Da qualche parte una piccola campana chiama al Vespro i frati. La luce che proviene dagli edifici del Vaticano si riflette debolmente sulla cupola di S. Pietro.

— Come sempre — interviene il cardinale — farà rapporto alla Chiesa e alle autorità militari. — Esita e lancia un’occhiata all’ammiraglio.

— Qual è la missione, Eccellenza? Ammiraglio? — De Soya non sa bene a chi rivolgersi. Marusyn è il suo più alto superiore, ma in genere gli ufficiali della Pax si rimettono ad alti ufficiali della Chiesa.

Nessuno dei due risponde, però Marusyn rivolge un cenno al capitano Marget Wu, ferma ad alcuni metri di distanza, accanto a una siepe. L’ufficiale della Pax si fa avanti rapidamente e porge a de Soya un olocubo.

— Lo attivi — dice l’ammiraglio Marusyn.

De Soya tocca la parte inferiore del piccolo blocco di ceramica. Sopra il cubo si forma l’immagine di una bambina. De Soya fa ruotare l’immagine, nota i capelli scuri, gli occhi grandi, lo sguardo intenso. La testa e il collo, privi di corpo, sono le cose più luminose nell’oscurità dei Giardini Vaticani. Padre de Soya alza gli occhi e vede il bagliore dell’ologramma riflettersi negli occhi del cardinale e dell’ammiraglio.

— Il suo nome… be’, non siamo sicuri del suo nome… — dice il cardinale Lourdusamy. — Secondo lei, padre, quanti anni dimostra?

De Soya guarda l’immagine, calcola l’età, la converte in anni standard. — Dodici, forse? — prova a indovinare. Non ha avuto molto a che fare con i bambini, dal tempo in cui era anche lui bambino. — Undici? Standard.

Il cardinale Lourdusamy annuisce. — Ne aveva undici, su Hyperion, quando scomparve, più di 260 anni standard fa, Padre.

De Soya guarda di nuovo l’ologramma. Allora, pensa, la bambina probabilmente è già morta (non riesce a ricordare se 277 anni fa la Pax aveva già portato su Hyperion il sacramento della risurrezione) oppure è diventata adulta ed è rinata. Si domanda perché gli mostrino l’ologramma di una persona al tempo in cui era bambina, secoli fa. Rimane in silenzio.

— Quella bambina è la figlia di tale Brawne Lamia — dice l’ammiraglio Marusyn. — Il nome significa niente per lei, Padre?

Qualcosa significa, riflette de Soya, ma al momento non riesce a inquadrarlo. Poi ricorda i Canti e la donna che in quel poema prese parte al pellegrinaggio.

— Sì — risponde. — Ricordo quel nome. Era uno dei sei che fecero con Sua Santità l’ultimo pellegrinaggio prima della Caduta.

Il cardinale Lourdusamy si sporge più vicino e intreccia sul ginocchio le mani grassocce. La sua tunica, dove la luce dell’ologramma la tocca, è di un rosso acceso. — Brawne Lamia ha avuto rapporti sessuali con un abominio — tuona il cardinale. — Un cìbrido. Un individuo donato, la cui mente era un’Intelligenza Artificiale residente nel TecnoNucleo. Ricorda la storia e il poema all’indice?

Padre de Soya batte le palpebre, sorpreso. Possibile che l’abbiano condotto lì nel Vaticano per punirlo perché da ragazzo ha letto i Canti? Vent’anni fa ha confessato il peccato, ha fatto penitenza; da allora non ha più letto quel libro proibito. Arrossisce.

Il cardinale ridacchia. — Non ha niente di cui preoccuparsi, figliolo. Tutti nella Chiesa hanno commesso quel particolare peccato. La curiosità è troppo grande, l’attrazione per il proibito è troppo forte… Abbiamo letto tutti quel poema all’indice. Ricorda che la donna Brawne Lamia ha avuto una relazione carnale col cìbrido di John Keats?

— Vagamente — risponde de Soya e si affretta a soggiungere: — Eccellenza.

— Sa chi era John Keats, figliolo?

— No, Eccellenza.

— Era un poeta pre-Egira — spiega il cardinale, con quella sua voce tonante. In alto, le code di frenata di plasma azzurrino di tre navette della Pax tagliano il cielo stellato. Il Padre Capitano de Soya non ha bisogno di guardarle, per riconoscere la fattura e l’armamento di quelle navi. Non si sorprende di non avere ricordato i particolari del nome del poeta citato nei Canti proibiti: anche da bambino, ha sempre avuto più interesse per letture riguardanti le macchine e le grandi battaglie spaziali, non le opere precedenti l’Egira, soprattutto di poesia.

— La donna di quel poema blasfemo, Brawne Lamia, non solo ha avuto rapporti sessuali con l’abominio cìbrido — continua il cardinale — ma ha anche messo al mondo la figlia di quella creatura.

De Soya inarca il sopracciglio. — Non sapevo che i cìbridi… voglio dire… pensavo che fossero… ah…

Il cardinale Lourdusamy ridacchia. — Sterili? — dice. — Come gli androidi? No… Le turpi IA hanno donato quell’uomo. E quell’uomo ha fecondato questa figlia di Eva.

De Soya annuisce, anche se tutti quei discorsi su cìbridi e androidi potrebbero, per quanto lo riguarda, riferirsi a grifoni e a unicorni. Creature esistite un tempo. Che lui sappia, nessuna di esse potrebbe esistere oggi. Con la mente corre all’impazzata, cercando d’immaginare quale rapporto possano avere con lui tutti quei discorsi su poeti defunti e donne gravide.

Come in risposta alla domanda inespressa di de Soya, l’ammiraglio Marusyn interviene: — Quella figlia, Capitano, è la bambina di cui ha davanti agli occhi l’immagine. Dopo la distruzione dell’abominio cìbrido, Brawne Lamia partorì su Hyperion quella bambina.

— Non era del tutto… umana — mormora il cardinale Lourdusamy. — Il corpo di suo… padre… il cìbrido Keats… fu distrutto, ma la sua personalità IA fu conservata in un disco d’iterazione Schrön.

Anche l’ammiraglio Marusyn si sporge verso de Soya, come se nessun altro dovesse udire quell’informazione. — Crediamo che la bambina abbia comunicato con la personalità Keats nel disco d’iterazione Schrön addirittura prima di nascere — dice sottovoce. — Siamo quasi certi che quel… feto… era in contatto con il TecnoNucleo tramite il cìbrido.

De Soya ha l’impulso di farsi il segno di croce e lo soffoca. Le letture, l’istruzione e la fede gli hanno insegnato che il TecnoNucleo era il male incarnato, la più attiva manifestazione del Maligno nella moderna storia umana. La distruzione del TecnoNucleo è stata la salvezza non solo della tormentata Chiesa, ma della stessa razza umana. De Soya cerca d’immaginare che cosa un’anima umana non ancora nata imparerebbe dal diretto contatto con quelle intelligenze prive d’anima e di corpo.

— La bambina è pericolosa — mormora il cardinale Lourdusamy. — Anche se con la Caduta dei teleporter il TecnoNucleo è stato messo al bando, anche se la Chiesa non permette più a macchine prive d’anima d’avere una vera intelligenza, quella bambina è stata programmata come agente delle IA cadute… agente del Maligno.

De Soya si sfrega la guancia. A un tratto si sente stanchissimo. — Lei parla come se la bambina fosse ancora viva — dice a bassa voce. — E ancora bambina.

Il cardinale Lourdusamy cambia posizione, con un fruscio della tonaca di seta. Usa un tono baritonale, minaccioso e sinistro. — Infatti è viva — dice. — Ed è ancora bambina.

De Soya guarda l’ologramma librato fra loro. Tocca il cubo e spegne l’immagine. — Magazzinaggio criogenico? — domanda.

— Su Hyperion ci sono le Tombe del Tempo — tuona Lourdusamy. — Una di esse, detta Sfinge, che forse ricorderà dal poema o dalla storia della Chiesa, è stata usata come portale per andare avanti nel tempo. Nessuno sa come funzioni. Per molti non funziona affatto. — Lancia un’occhiata all’ammiraglio e torna a guardare il prete capitano. — 264 anni standard fa, la bambina scomparve nella Sfinge. Già allora sapevamo che era pericolosa per la Pax, ma arrivammo con qualche giorno di ritardo. Da fonte attendibile sappiamo che emergerà da quella tomba fra meno d’un mese… tuttora bambina. Rappresenta un pericolo micidiale per la Pax.

— Un pericolo per la Pax… — ripete de Soya. Non capisce.

— Sua Santità ha previsto questo pericolo — dice il cardinale Lourdusamy. — Quasi tre secoli fa, Nostro Signore ritenne opportuno rivelare a Sua Santità quale minaccia quella figlia sciagurata rappresenti e ora il Santo Padre si è mosso per occuparsi di questo pericolo.

— Non capisco — confessa il Padre Capitano de Soya. L’olocubo è spento, ma lui vede ancora nella propria mente la faccia della bambina. — Come può una bambina rappresentare un pericolo… allora o adesso?

Il cardinale Lourdusamy gli stringe il braccio. — Quale agente del TecnoNucleo, sarà un virus inoculato nel Corpo di Cristo. È stato rivelato a Sua Santità che la bambina avrà dei poteri… poteri che non sono dell’uomo. Uno di essi è il potere di convincere i fedeli ad abbandonare la luce degli insegnamenti di Dio, a rinunciare alla salvezza per servire il Maligno.

De Soya annuisce, ma continua a non capire. Ha male al braccio, per la stretta della robusta mano di Lourdusamy. — Cosa vuole da me, Eccellenza? — domanda.

Risponde l’ammiraglio Marusyn, in un tono normale che, dopo tutti quei bisbigli, sorprende de Soya. — Da questo momento — ordina, brusco — lei è sospeso dall’incarico nella Flotta, Padre Capitano de Soya. Da questo momento la sua missione consiste nel cercare quella… bambina e portarla nel Vaticano.

Il cardinale crede di scorgere una traccia d’ansia nello sguardo di de Soya. — Figliolo — dice, ora in tono consolante — si preoccupa forse che alla bambina sia fatto del male?

— Sì, Eccellenza — risponde de Soya e si domanda se, per averlo ammesso, sarà sollevato dall’incarico.

Lourdusamy allenta la stretta, la rende un contatto amichevole. — Stia tranquillo, figliolo. Nessuno nella Santa Sede… nessuno nella Pax… ha la minima intenzione di nuocere a quella bambina. Anzi, il Santo Padre ha dato disposizioni a noi… e a lei… di badare in secondo luogo che la bambina non subisca incidenti.

— In primo luogo — spiega l’ammiraglio — dovrà portarla qui, su Pacem. Al Comando della Pax, qui nel Vaticano.

De Soya fa un cenno d’assenso, deglutisce. Si pone, avanti a tutto, una domanda: "Perché proprio io?"

— Sissignore — dice. — Capisco.

— Riceverà un diskey col salvacondotto papale — prosegue l’ammiraglio. — Potrà requisire qualsiasi materiale, aiuto, collegamento o personale che le locali autorità della Pax siano in grado di fornirle. Ha domande, su questo?

— Nossignore — risponde de Soya, con voce ferma. Ma la sua mente vacilla. Un diskey col salvacondotto papale gli darebbe potere superiore a quello del governatore di un pianeta.

— Oggi stesso traslerà nel sistema di Hyperion — continua l’ammiraglio Marusyn, nello stesso vivace tono di comando che non ammette stupide obiezioni. — Capitano Wu?

L’aiutante di campo si fa avanti e porge a de Soya una cartellina rossa. Il Padre Capitano annuisce, ma una voce gli urla nella mente: "Nel sistema di Hyperion, oggi stesso… La nave classe Arcangelo! Morire di nuovo. Il dolore. No, Gesù mio, Signore. Allontana da me questo calice!".

— Avrà il comando della nostra nave corriere più moderna, Capitano — dice intanto Marusyn. — È simile a quella che l’ha portato su Pacem, ma può ospitare sei passeggeri, è dotata di un armamento a livello nave torcia e possiede un sistema di risurrezione automatizzato.

— Sissignore — dice de Soya. "Un sistema automatizzato?" pensa. "Il sacramento sarà dunque amministrato da una macchina?"

Il cardinale Lourdusamy gli dà un amichevole colpetto sul braccio. — Il sistema robotizzato è increscioso, figliolo. Ma la nave potrebbe portarla in luoghi dove la Pax e la Chiesa non esistono. Non possiamo negarle la risurrezione solo perché lei si trova fuori portata dei servi di Dio. Le garantisco, figliolo, che lo stesso Santo Padre ha benedetto quell’apparecchiatura per la risurrezione e l’ha consacrata con lo stesso comandamento sacramentale che darebbe una vera Messa di Risurrezione.

— Grazie, Eccellenza — borbotta de Soya. — Ma non capisco… luoghi al di fuori della Chiesa… Non ha detto che devo andare su Hyperion? Non ci sono mai stato, ma pensavo che quel mondo facesse parte della…

— Appartiene alla Pax — lo interrompe l’ammiraglio. — Ma se lei non avesse successo nel catturare… — Esita. — Nel salvare la bambina… se per imprevedibili ragioni fosse costretto a seguirla su altri mondi, in altri sistemi… abbiamo ritenuto opportuno che la nave abbia una culla di risurrezione automatizzata.

De Soya, confuso, china la testa in segno di ubbidienza.

— Ma ci aspettiamo che lei trovi la bambina su Hyperion — prosegue l’ammiraglio Marusyn. — Giunto su quel mondo, si presenterà al comandante di Fanteria Barnes-Avne e mostrerà il diskey papale. Barnes-Avne comanda la brigata di Guardie Svizzere di stanza su Hyperion, ma le lascerà l’effettivo comando del distaccamento.

De Soya rimane sorpreso. "Il comando di una brigata di Guardie Svizzere?" pensa. "Ma io comando una flotta di navi torcia! Non saprei distinguere una manovra di fanteria da una carica di cavalleggeri!"

L’ammiraglio Marusyn ridacchia. — Ci rendiamo conto che si troverà un po’ fuori del suo campo, Padre Capitano de Soya, ma le assicuriamo che è necessaria la qualifica di comandante. Barnes-Avne continuerà a comandare le forze di fanteria per quanto riguarda le attività quotidiane, ma è d’assoluta importanza che ogni risorsa sia volta al salvataggio della bambina.

De Soya si schiarisce la voce. — Cosa accadrà a… Ha detto che non ne conosciamo il nome? Alla bambina, voglio dire.

— Prima di scomparire — interviene il cardinale Lourdusamy — si faceva chiamare Aenea. In quanto a ciò che le accadrà… le garantisco ancora, figliolo, che vogliamo solo impedire alla bambina d’infettare col suo virus il Corpo di Cristo nella Pax, ma che agiremo senza nuocerle. Anzi, la nostra missione… la sua missione… è di salvare l’anima immortale della bambina. Lo stesso Santo Padre provvederà a questo.

Qualcosa, nel tono del cardinale, induce de Soya a ritenere che l’incontro sia terminato. Il Padre Capitano si alza, sente dentro di sé un senso di vertigine dovuto al dislocamento da risurrezione. "Nel giro di questo stesso giorno devo morire di nuovo!" pensa. Ancora pieno di gioia, si sente nondimeno sul punto di piangere.

Anche l’ammiraglio Marusyn è in piedi. — Padre Capitano de Soya, la sua nuova assegnazione ha effetto finché la bambina non sarà consegnata a me, qui nell’ufficio collegamento militare del Vaticano.

— Nel giro di qualche settimana, ne siamo sicuri — precisa il cardinale Lourdusamy, ancora seduto.

— Si tratta di una grande e terribile responsabilità — riprende l’ammiraglio. — Deve usare fino all’ultimo grammo della sua fede e delle sue doti, per realizzare l’espresso desiderio di Sua Santità e portare al sicuro nel Vaticano quella bambina… prima che il distruttivo virus della sua perfidia programmata si diffonda tra i nostri Fratelli e Sorelle in Cristo. Sappiamo che non ci deluderà, Padre Capitano de Soya.

— Grazie, signore — dice de Soya. "Perché proprio io?" pensa di nuovo. S’inginocchia per baciare l’anello al cardinale e si rialza: scopre che l’ammiraglio si è ritirato nel buio del padiglione, dove le altre figure appena intraviste non si sono mai mosse.

Monsignor Luca Oddi e il capitano Marget Wu si pongono ai fianchi di de Soya e fungono da scorta, quando si girano per lasciare il giardino. Ed è allora che il Padre Capitano de Soya, con la mente che ancora vacilla per la confusione e lo sconvolgimento, con il cuore che batte forte per l’ansia e per il timore dell’importante missione richiestagli, si guarda brevemente indietro, proprio mentre la scia di plasma di una navetta in decollo illumina di pulsante luce azzurrina la cupola di S. Pietro, i tetti del Vaticano, il giardino. Per un istante risultano chiaramente visibili le figure nel padiglione, illuminate dal lampeggio azzurro. C’è l’ammiraglio Marusyn, già di spalle rispetto a de Soya, al pari di due ufficiali delle Guardie Svizzere in armatura da combattimento, con le armi a fléchettes in posizione di portat’arm. Ma è la figura seduta, quella che per anni a venire tormenterà i sogni e i pensieri di de Soya.

Sulla panchina, con lo sguardo triste puntato su de Soya che si allontana, con l’alta fronte e i lineamenti dall’aria afflitta dipinti per un attimo, ma indelebilmente, di luce azzurrastra, siede Sua Santità, Papa Giulio XIV, il Santo Padre per più di seicento miliardi di fedeli cattolici, l’effettivo sovrano per altri quattrocento miliardi di anime sparse nella sconfinata Pax, l’uomo che ha appena spinto de Soya in quella fatidica missione.

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