CAPITOLO SETTIMO

— Torno a casa mia — disse Morgon.

— Io non ti capisco — sospirò Lyra. Sedeva al suo fianco davanti al fuoco, con un leggero mantello cremisi gettato sulle spalle della sua tunichetta da guardia, e il suo volto era teso per la mancanza di sonno. Con una mano sfiorava la lancia, poggiata accanto a lei. Altre due ragazze della Guardia, appostate nel corridoio, ne sorvegliavano ciascuna delle estremità, e nella debole luce del mattino le punte delle loro lance scintillavano come triangoli d’argento. — Ti avrebbe ucciso, se non fossi stato tu a uccidere lui. Mi sembra chiaro. A Hed ci sono forse leggi che ti proibiscono di ammazzare per autodifesa?

— No.

— E allora perché? — gemette quasi lei. Morgon evitò il suo sguardo, continuando a fissare le fiamme. Aveva le spalle curve, il volto teso, imperscrutabile come un libro chiuso da una serratura a voce. — Sei arrabbiato perché qui, in casa della Morgol, non abbiamo saputo darti protezione? Morgon, a causa di quanto è accaduto poco fa ho chiesto alla Morgol di sostituirmi nel servizio di guardia, ma lei ha rifiutato.

Finalmente sentì su di sé l’attenzione di lui. — Non c’era alcun motivo che tu chiedessi questo.

La ragazza sollevò la testa. — Il motivo c’era. Non solo me ne sono stata lì senza far niente mentre tu lottavi per la tua vita, ma quando mi sono decisa a scagliare la lancia contro il cambiaforma ho sbagliato. E io non avevo sbagliato mai.

— Lui aveva creato un’illusione di silenzio. Non è stata colpa tua se non hai sentito niente.

— Ho fallito nel sorvegliarti. Questo è evidente.

— Niente è evidente.

Morgon si appoggiò all’indietro sui cuscini e si agitò un poco, di nuovo accigliato. Vedendolo trincerarsi nel silenzio lei attese; poi domandò, incerta: — Ebbene, allora è con Deth che sei arrabbiato, perché era con la Morgol quando tu sei stato aggredito?

— Deth? — La fissò con occhi vacui. — No di certo.

— Allora perché sei così adirato?

Lui abbassò gli occhi sul calice di vino che la ragazza gli aveva servito, lo sfiorò. Quando infine si decise a parlare la voce gli uscì lenta e controvoglia, colma di disagio. — Tu hai visto la spada.

Lei annuì. — Sì. — La ruga di perplessità fra le sue sopracciglia si approfondì. — Morgon, io sto cercando di capire.

— Non ti sarà facile. Da qualche parte nel reame c’è una spada stellata, in attesa che il Portatore di Stelle la reclami per sé. E io mi rifiuto di reclamarla. Tornerò a casa, alla terra cui appartengo.

— Ma Morgon, è soltanto una spada. Non sarai mai obbligato a usarla, se non vorrai. D’altra parte, forse potresti averne bisogno.

— Ne avrò bisogno. — Le sue dita s’irrigidirono intorno al calice argentato. — Questo sarà inevitabile. Il cambiaforma lo sapeva. Lui sapeva. Stava ridendo di me quando l’ho ucciso. Lui sapeva esattamente ciò che stavo pensando, mentre nessuno eccetto il Supremo avrebbe potuto saperlo.

— Che cosa stavi pensando?

— Pensavo a come possa un uomo accettare il nome che le stelle su quella spada gli danno, e tuttavia mantenere il governo della terra a Hed.

Lyra tacque. La luce che filtrava dalle nuvole impallidì, lasciando la stanza immersa in un tetro grigiore; le foglie agitate dal vento ticchettavano come dita sul vetro della finestra. Infine la ragazza si abbracciò strettamente le ginocchia ripiegate, e disse: — Non puoi volgere le spalle a tutto questo e tornartene a casa.

— Io posso.

— Ma tu… tu sei un maestro degli enigmi, dopotutto… non puoi rinunciare così a rispondere a un enigma.

Lui la fissò. — Posso fare tutto ciò che dovrò fare, per mantenere il nome con cui sono nato.

— Se torni a Hed, loro verranno là ad ammazzarti. Non hai neppure guardie a Hed.

— Se non altro, morirò nella mia terra. Sarò sepolto nei miei campi.

— È tanto importante questo? Perché affrontare la morte a Hed ti sembra diverso che affrontarla a Herun?

— Perché non è della morte che ho paura… vorrebbe dire perdere tutto ciò che amo per un nome e una spada e un destino che non ho scelto io, e che non accetto. Preferirei morire che perdere il diritto al governo della terra.

Il tono di lei si fece ansioso. — E che ne sarà di noi? Che ne sarà di Eliard?

— Eliard?

— Se loro ti uccidono a Hed, forse resteranno sull’isola. Forse non sarai il solo a morire. E noi, qui, seppure vivi, non faremo che rivolgerci domande a cui tu solo potresti rispondere.

— Il Supremo vi proteggerà. — Ebbe una smorfia acre. — Questo è compito suo. Io non posso farlo. Non ho intenzione di seguire la sorte, qualunque essa sia, che qualcuno ha sognato per me migliaia di anni fa, come una pecora che va a farsi tosare. — Bevve un sorso di vino, scrutando il volto incerto e angosciato di lei. Il suo tono si addolcì. — Tu sei l’Erede di Herun. Un giorno il governo della terra passerà su di te, e i tuoi occhi diverranno d’oro come quelli della Morgol. Questa è la tua patria; saresti disposta a morire per difenderla; il tuo posto è qui. Quale prezzo, quale offerta potrebbe indurti ad abbandonare Herun, volgendo per sempre le spalle a tutto ciò?

Lei rifletté su quelle parole. Fece un gesto vago. — E dove altro potrei andare? Io non appartengo a nessun altro posto. Ma per te è diverso. — Prima che lui protestasse, aggiunse: — Tu hai un altro nome e un altro posto. Tu sei il Portatore di Stelle.

— Preferirei essere un guardiano dei porci a Hed — sbottò lui. Lasciò ricadere stancamente la testa sul guanciale, massaggiandosi la spalla con una mano. All’esterno cominciò a cadere una pioggerellina sottile che subito s’infittì, facendo frusciare le piante nel giardino della Morgol. Chiuse gli occhi e gli parve di sentire l’odore delle piogge autunnali sui campi di Hed. Nel caminetto c’era lo scoppiettio della legna fresca, sfrigolante, familiare. Le fiamme avevano voci sottili che nei suoi orecchi si sommavano, richiamando altre voci: risentì quelle di Tristan e di Eliard che presso il focolare, ad Akren, discutevano pacatamente o scherzavano mentre Snog Nutt, una manciata di ossa e di ragnatele, seduto su una panca, russava facendo da contrappunto alla pioggia. Quasi gli sembrò di udire i discorsi che s’intrecciavano allo scoppiettar del fuoco, finché le voci cominciarono a svanire, si fecero vaghe e scomparvero lontano, e riaprendo gli occhi egli vide i vetri rigati dalla fredda e grigia pioggia di Herun.

Deth era seduto al lato opposto della camera e stava parlando sottovoce con la Morgol, mentre sostituiva alcune corde spezzate della sua arpa. Nel vederlo alzarsi a sedere i due si volsero. El s’era sciolta i lunghi capelli neri e appariva stanca. — Ho mandato Lyra a letto — disse. — Ho messo guardie a ogni porta e fessura della casa, ma è difficile sospettare della nebbia che scivola sul terreno o di un ragno che passa sotto una porta. Come vi sentite?

— Benissimo. — Lo sguardo gli cadde sull’arpa di Deth. Emise un fischio fra i denti. — Ora ricordo. Ho sentito delle corde che si spezzavano, quando ho colpito il cambiaforma. Dunque quell’arpa era la tua.

— Soltanto cinque corde — disse Deth. — Un piccolo prezzo pagato a Corrig per la tua vita. El mi ha dato delle corde provenienti dall’arpa di Tirunedeth per rimpiazzarle. — Depose al suolo lo strumento.

— Corrig! — Morgon trattenne il respiro. La Morgol stava fissando Deth con meraviglia. — Deth, come fai a conoscere il nome di quel cambiaforma?

— Ho suonato con lui una volta, anni fa. Lo incontrai ancor prima di entrare al servizio del Supremo.

— Dove? — chiese la Morgol.

— Venivo da Isig e stavo scendendo a cavallo lungo la costa settentrionale, da solo, in una zona che non apparteneva né a Isig né a Osterland. Una sera mi accampai sulla spiaggia, e sedetti a suonare accanto al fuoco fino a tarda notte. E… d’un tratto sentii una musica d’arpa che rispondeva alla mia, affascinante, selvaggia, perfetta… apparve nella luce del fuoco scivolando su un’onda, con la sua arpa di conchiglie e di ossa e di madreperla, e mi chiese qualche canzone. Suonai per lui come avrei suonato per un Re; non avrei osato fare di meno. In cambio mi insegnò alcune canzoni; restò con me fino all’alba, e poi per giorni e giorni la sua musica continuò a bruciarmi nel cuore. Quando sorse il sole egli scivolò come una nebbia sulla spuma del mare, ma prima di andarsene mi diede il suo nome. Chiese il mio. Io glielo dissi, e lui rise.

— Ha riso anche di me, questa notte — sussurrò Morgon.

— Ha suonato per te, a quanto ci hai detto.

— Ha suonato la mia morte. La morte di Hed. — Distolse gli occhi dal cuore delle fiamme. — Che razza di potere può far questo? Era realtà? O illusione?

— Ha qualche importanza?

Lui scosse la testa. — No. Era un grandissimo arpista… Il Supremo lo conosceva?

— Il Supremo non mi ha detto niente, a parte l’ordine di lasciare Herun con te il più presto possibile.

Morgon tacque. Si alzò in piedi con una certa difficoltà e andò alla finestra. L’aria era così limpida che, quasi avesse anch’egli la vista totale della Morgol, ebbe l’impressione di poter vedere la vasta e umida costa di Caithnard, dove le navi mercantili alzavano le vele per far rotta verso An, Isig e Hed. Sottovoce disse: — Deth, domani, se potrò cavalcare, andrò a est, al porto mercantile di Hlurle, e m’imbarcherò per tornare a casa. Dovrei andare sul sicuro; nessuno se lo aspetta. Ma perfino se loro mi sorprendessero in mare, preferisco morire come un governatore della terra di ritorno a casa sua che come un uomo senza nome, senza terra, costretto a una vita che io non posso capire né controllare.

Non ci fu risposta; soltanto l’impersonale scrosciare della pioggia contro la finestra. Poco dopo, mentre il temporale conosceva un attimo di pausa, sentì l’arpista alzarsi e venire a mettergli una mano su una spalla. In silenzio fronteggiò il suo sguardo calmo. Deth disse gentilmente: — C’è di più che la morte di Corrig. Vuoi dirmi cosa ti angoscia?

— No.

— Desideri che io ti accompagni a Hed?

— No. Non c’è ragione che tu rischi la vita di nuovo.

— Come riconcilierai il fatto di tornare a casa con ciò che hai imparato a Caithnard?

— Ho fatto una scelta. — Morgon strinse i denti, e la mano ricadde dalla sua spalla. In bocca sentì un sapore amaro, la tristezza di qualcosa che finiva, e aggiunse: — Sentirò la tua mancanza.

Qualcosa mutò sul volto dell’arpista, incrinandone la compostezza senza età, e Morgon avvertì per la prima volta le preoccupazioni, le incertezze, l’esperienza incommensurabile che scivolava attraverso la mente di lui come acqua sotto il ghiaccio. Deth non replicò; la sua testa accennò a chinarsi come di fronte a un Re o all’inevitabilità del Fato.


Morgon lasciò la Città dei Cerchi due giorni più tardi, prima dell’alba. Per proteggersi dalla nebbia gelida e fitta indossò un pesante mantello ricamato che la Morgol gli aveva regalato. Un arco da caccia, datogli da Lyra, era appeso alle bisacce della sua sella. Lasciò a Deth il cavallo da carico, poiché Hlurle, un piccolo porto usato solo dai mercanti che scaricavano merci per Herun, era ad appena tre giorni di strada da lì. E Deth gli consegnò tutto il denaro che aveva con sé, nel caso che egli non trovasse subito un imbarco, poiché con le burrasche dell’autunno inoltrato i vascelli che navigavano nel settentrione erano costretti a frequenti ritardi.

L’arpa ballonzolava sulla schiena di Morgon, chiusa nella custodia a prova di umidità; gli zoccoli del cavallo tambureggiavano con soffice ritmo sulle grasse erbe dei pascoli. Il cielo si schiarì nelle ultime ore del giorno, e proseguendo dopo il tramonto egli poté regolarsi con la luce dura e fredda delle stelle. In distanza le minuscole luci di qualche fattoria erano lucciole gialle immobili nelle tenebre. I campi che circondavano la città lasciarono il posto a una pianura, dove pesanti macigni, senza origine come i maghi, si levavano intorno a lui. Mentre li aggirava sentì le loro ombre nel buio, come nere presenze silenziose. Poi la nebbia scese dalle colline in banchi impenetrabili; seguendo il consiglio di Lyra si fermò, trovò rifugio sotto un albero isolato, e attese.

Trascorse la prima notte alle pendici delle colline orientali. Dopo cena, seduto in un boschetto e solo per la prima volta in molte settimane, guardò malinconicamente la nebbia chiudere la notte in una muraglia grigia; e alla luce del suo piccolo solitario focherello prese l’arpa stellata per strimpellarla un poco. Le sue dita trassero dalle corde un suono ricco e profondo, fatto per mani assai più esperte e delicate. Un’ora più tardi, stanco di fare musica, esaminò l’arpa come non aveva mai fatto in precedenza; seguì col polpastrello gli intarsi in oro e si meravigliò del candore delle lune, intatto malgrado i secoli, il mare e l’uso. Toccò le stelle con leggerezza, cauto come se stesse sfiorando la fiamma.

Trascorse il giorno successivo tagliando per un sentiero attraverso le basse colline semideserte. Oltre la dorsale trovò un torrente e ne seguì il corso, che scendeva fra boschetti di pallidi frassini e querce dai rami anneriti. La corrente, ingrossandosi, gorgogliava fra radici sporgenti e rocce verdi di muschio, e ad un tratto sfociò sulle pendici orientali. Da lì la sua vista poté spaziare all’improvviso su una piatta terra di nessuno, la lunghissima spiaggia che scorreva da Ymris fino a Osterland; a nord erano visibili le cime bianche di montagne lontane, quasi al confine dei ghiacci eterni che delimitavano il reame del Supremo, e ad oriente lo sguardo si perdeva sull’immensità del mare.

Il torrente sfociava in un largo fiume che girava intorno alla parte settentrionale di Herun; riesaminando una mappa mentale del territorio capì che si trattava del Cwill, le cui ruggenti acque schiumose nascevano dal Lago della Dama Bianca, l’enorme e profondo bacino dell’entroterra che alimentava anche i sette Laghi di Lungold. Hlurle, ricordò, si trovava proprio a nord della foce. Quella sera si accampò nella striscia di terra fra il torrente e il fiume, e i suoi pensieri furono cullati dalle loro due voci: una poderosa, veloce, piena di mistero, l’altra cristallina e rassicurante. Si distese nella quieta luce del fuoco, con la testa poggiata sulla sella, tenendo a portata di mano rami secchi e pigne da gettare sulle fiamme. Lievi come passeri vennero ad appollaiarsi nella sua mente quelle domande a cui aveva preferito rinunciare a rispondere; le esaminò l’una dopo l’altra con curiosità nuova, spassionatamente, quasi che la loro soluzione non avesse nulla a che fare con lui, né con l’ormai mezzo cieco Erede di Ymris, né col Re di quella nazione alle prese con una strana guerra lungo le sue coste, né con la Morgol, la pace della cui casa era stata scossa dall’intervento di un potere non bene identificabile e d’origine sconosciuta. Vide con gli occhi della mente le stelle sulla sua fronte, sull’arpa e sulla spada. Guardò a se stesso come al personaggio di un qualche antico racconto: un Principe di Hed a cui era stato insegnato a mietere a schiena nuda nel sole ardente, a districarsi alla meglio fra le varie malattie degli animali e delle piante, a prevedere il tempo dal colore di una nuvola o dalla tensione dell’aria immobile nei pomeriggi afosi, fatto per la semplice vita ottusa e senza curiosità di Hed. Vide la stessa figura vestita nella larga toga di uno studente di Caithnard, capace di far le ore piccole sulle pagine di libri antichi mentre sulle sue labbra si formavano parole senza suono, enigmi, risposte, interpretazioni, enigmi, riposte e interpretazioni ancora; un giovane che un giorno, per pura scelta personale, era entrato in una fredda torre di Aum per cercare sé stesso, faccia a faccia con la morte, senza un nome, senza un destino, senza nulla che lo proteggesse salvo che la sua stessa mente. Vide un Principe di Hed che lasciava la sua terra, che trovava ad Ymris un’arpa stellata, e che ad Herun trovava un nome, una spada e l’alito della morte. E vide queste due figure come protagonisti di una vecchia storia: il Principe di Hed e il Portatore di Stelle, distanti l’uno all’altro, diversi e privi, ai suoi occhi, di elementi capaci di accomunarli.

Spezzò un ramo e lo gettò nel fuoco; e i suoi pensieri si volsero al Supremo, la cui dimora era nel cuore di una lontana montagna del settentrione. Il Supremo, fin dall’inizio, aveva lasciato gli uomini liberi di trovar da soli il loro destino. La sua unica legge era la legge della terra, la legge che passava come l’alito della vita da Erede della terra a Erede della terra; se il Supremo fosse morto, o se avesse rinunciato ad esercitare il suo potere così immenso e intricato, ciò avrebbe trasformato il reame in una desolazione. Le manifestazioni della sua potenza erano sottili e inattese; la gente pensava a lui con timore e insieme con ingenua fede; i suoi rapporti coi governanti, mantenuti in genere tramite il suo arpista, erano invariabilmente cortesi. La sua sola preoccupazione era la terra; la sua sola legge era quella istillata più profondamente dei pensieri, più profondamente dei sogni, nei suoi governatori della terra. Morgon ripensò all’agghiacciante storia di Awn di An che, nel tentativo di scoraggiare l’invasione di un esercito di Hel, aveva fatto terra bruciata davanti ad esso, mettendo a fuoco oltre metà del suo regno, bruciando i raccolti, i frutteti, trasformando in distese di cenere le colline e le foreste. Scongiurato infine il pericolo egli s’era destato, il mattino successivo, solo per scoprire d’aver irrimediabilmente perduto tutte quelle cose fatte di pensiero e di dolce consapevolezza, le cose che aveva visto con l’occhio della mente e sentito nel cuore dal momento della morte di suo padre. E il suo Erede, precipitandosi affannato nella camera, s’era fermato di colpo dinnanzi a lui, sbalordito nel trovarlo ancora in vita…

Le fiamme si abbassavano, come animaletti che stanchi di guizzare s’accovacciassero in cerca di riposo. Morgon le nutrì con qualche manciata di stecchi e ghiande secche. Awn si era suicidato. Il mago Talies, metodico e dalla lingua tagliente, che in seguito mise per iscritto quella storia, parlò dell’accaduto a un mercante di passaggio e nel tempo di tre mesi, pur precarie com’erano le comunicazioni in quei giorni turbolenti, ogni discordia armata nel reame del Supremo era cessata. La pace non era durata a lungo, le guerre fratricide o per questioni di confine non erano certo finite, ma s’erano fatte più rare e meno restrittive. Poi i porti e le città principali avevano cominciato a crescere: Anuin, Caithnard, Caerweddin, Kraal, Kyrth…

E adesso uno strano e oscuro potere, mai sospettato in ogni contrada, forse sconosciuto allo stesso Supremo, si stava facendo forte sulle coste orientali. Fin dal tempo in cui esistevano ancora i maghi non c’era mai stata gente dai poteri così misteriosi; i maghi stessi, benché potenti e irrequieti e individualisti, non s’erano mai sognati di cercare d’uccidere un sovrano. E se non fossero scomparsi, se negli ultimi secoli ci fosse stato un indizio della loro esistenza nelle storie e nelle dicerie dei vari regni, certo avrebbero cercato d’incontrare il Portatore di Stelle a Caithnard. Una faccia fluttuò nel fuoco davanti agli occhi di Morgon: occhi di spuma bianchi e imperscrutabili, luminosi come braci, occhi di madreperla… occhi che sorridevano, consci di quel che lui stava pensando, e che sapevano…

Fu costretto a tornare al nocciolo della questione; le sue labbra si aprirono a sussurrare quella domanda: — Perché?

Dal fiume giungeva una fredda brezza notturna che faceva vacillare le fiamme. D’un tratto fu colpito dal pensiero di quanto fosse piccolo quel fuoco, opposto all’enorme tenebra circostante. In un impeto d’apprensione si guardò attorno, rabbrividendo, e tese gli orecchi per identificare oltre il fruscio dell’acqua lo scricchiolio d’un ramoscello calpestato, lo stormire di fronde al passaggio di un corpo. Ma il gorgogliare della corrente assorbiva ogni altro rumore notturno, e il vento trovava troppo fogliame da far stormire. Morgon si distese all’indietro. Il fuoco continuò a nutrirsi di sé stesso; le stelle appese ai rami spogli della quercia sopra di lui sembravano tremolare e scuotersi ai venti delle grandi altezze. Caddero poche isolate gocce di pioggia, pesanti come ghiande. E come se il vento gli portasse un’eco tranquilla dalla distesa oscura che lo circondava, la sua paura sfumò. Si girò su un fianco e cadde in un sonno senza sogni.

Il giorno successivo, seguendo la riva del Cwill, giunse fino al mare. Hlurle, poco più che un molo con annessi magazzini, locande e piccole case malridotte, era annebbiata da una fitta e sottilissima pioggia che veniva dal mare. Fra i battelli da pesca erano ormeggiate due navi, dalle vele azzurre ammainate. Nella zona non si vedeva anima viva. Morgon mise il cavallo al passo sulla strada fangosa che girava verso il molo, rabbrividendo sotto l’acquazzone. Era già buio, e i soli rumori della cittadina erano il tintinnio di qualche catena d’ancora, il cigolare del sartiame e l’occasionale tonfo di un battello contro la banchina. Davanti a lui la luce di una taverna filtrava sul terreno bagnato. Smontò davanti alla porta e lasciò il cavallo al riparo della grondaia sporgente, con una coperta sulla groppa.

All’interno i banchi di mescita ed i rozzi tavoli, illuminati da torce fumose e da un enorme focolare, erano pieni di marinai, mercanti incappucciati e dalle dita fitte di anelli, ingrugniti pescatori giunti lì sotto la pioggia e fra il fango. Morgon ignorò gli occhi che al suo ingresso s’erano girati a scrutarlo blandamente, si slacciò il mantello con dita irrigidite dal freddo e lo appese ad asciugare. Sedette al tavolo di fronte al caminetto, e quasi subito il gestore apparve al suo fianco.

— Signore! — lo salutò l’uomo, in attesa dell’ordinazione. Poi gettò un’occhiata al suo mantello. — Siete lontano dalla vostra casa.

Morgon annuì stancamente. — Birra — disse. — E… cos’è questo profumo?

— Uno stufato denso e davvero ottimo, con agnello tenerissimo e funghi di prima scelta. E c’è il vino… ve ne servirò una coppa.

Mangiò e bevve in silenzio, ogni tanto sospirando sfinito, cullato dal calore e dalle chiacchiere degli avventori che gli giungevano vaghe come la voce del mare. Poi sedette più eretto e bevve la birra, che dal sapore riconobbe come quella esportata da Hed, storcendo il naso all’odore dei panni di lana messi ad asciugare al fuoco. Un mercante che portava un elegante berretto di pelo inzuppato di pioggia sedette al suo fianco. Morgon si sentì addosso i suoi occhi attenti.

Dopo un momento l’uomo si rialzò, si tolse il berretto e il mantello con un copioso sgocciolio d’acqua che investì la panca, e in tono contrito disse: — Scusatemi, Signore. Siete già abbastanza bagnato senza il mio aiuto.

L’uomo indossava un elegantissimo abito di pelle nera e velluto, aveva un volto rude e benevolo, occhi e capelli neri come l’ala di un corvo. Già semiaddormentato per la stanchezza e il calore, Morgon cercò di schiarirsi la mente e di badare al concreto: non c’era nessun modo di sapere se stava parlando a un uomo o all’illusione di un uomo. Comunque accettò il rischio e disse: — Dite, sapete per dove faranno rotta quelle due navi?

— Sì. Stanno per tornare a Kraal, dove andranno in bacino per l’inverno. — L’uomo tacque un attimo, fissandolo con occhi penetranti. — Non volete andare a nord, vero? Cosa vi serve?

— Un passaggio per Caithnard. Sono atteso alla Scuola.

L’uomo scosse il capo, aggrottò le sopracciglia. — La stagione è troppo avanzata… Lasciatemi pensare. Noi veniamo giusto ora da Anuin, via Caithnard, Tol e Caerweddin.

— Tol! — esclamò involontariamente Morgon. — Perché vi siete fermati là?

— Abbiamo portato Rood di An da Caithnard a Hed. — Si volse a chiamare il gestore e ordinò del vino. Morgon si appoggiò alla spalliera della panca, accigliato, sperando che Rood non avesse altro motivo che il semplice desiderio di cercare lui per avere intrapreso il viaggio. Il mercante bevve un lungo sorso di vino e s’appoggiò all’indietro anch’egli. Il suo tono si fece malinconico: — Non è stato un viaggio molto allegro. A Hed abbiamo trovato tempesta, e sottocosta per poco non siamo andati a rischio di perdere la nave e Rood di An… La sua lingua è una frusta rovente, quando ha il mal di mare. Mai ho sentito bestemmiare in tal modo — aggiunse pensosamente, e Morgon represse un sorriso. — A Tol, sul molo, c’erano Eliard di Hed e la fanciulla, Tristan, ansiosissimi di avere notizie di loro fratello. Tutto ciò che ho potuto dir loro è che è stato visto in Caerweddin, ma che ignoravo cosa stesse facendo là. Abbiamo perso una vela in quella tempesta, e poi abbiamo scoperto che non potevamo approdare a Meremont; c’erano le navi da guerra del Re in quel porto, così abbiamo proseguito alla meglio fino a Caerweddin. Là ho sentito dire che la giovane moglie del Re era sparita, e che suo fratello era tornato a casa, ma pare abbia perso un occhio. Nessuno sa cosa sia accaduto di preciso. — Il mercante bevve ancora. Morgon, con gli occhi persi nel fuoco, aveva la mente colma di volti: quello di Astrin, dagli occhi bianchi, pallido e addolorato; quello di Dama Eriel, affascinante e segretamente spietato; quello di Hereu nell’istante in cui aveva cominciato a capire che razza di creatura aveva sposato… Ebbe un fremito. Il mercante lo fissò.

— Siete bagnato fino alle ossa. Da Herun a qui è stata una lunga cavalcata. Mi chiedo se conosco vostro padre.

Morgon sorrise alla domanda inespressa. — Probabilmente. Ma ha un nome così lungo che neppure io saprei pronunciarlo per voi.

— Ah! — Negli occhi scuri dell’uomo vi fu un lampo divertito. — Scusate. Non volevo essere indiscreto. Ma ho bisogno di qualche chiacchiera oziosa per scaldarmi meglio le ossa. A Kraal ho una moglie che mi aspetta, e due bambini che non vedo da un paio di mesi, ma il vento ci costringe a indugiare qui. Dunque volete un passaggio per Caithnard… Le sole navi possibili sono quelle che scenderanno da Kraal, e non ricordo di chi possono essere. Aspettate. — Si volse e gridò verso un gruppetto di altri mercanti: — Joss! Chi è rimasto a Kraal?

— Tre navi di Rustin Kor. Aspettano un carico di legname da Isig — tuonò una voce in risposta. — Non le abbiamo incrociate, risalendo la costa; dovrebbero essere ancora lassù. Perché?

— Questo gentiluomo di Herun deve tornare alla Scuola. Credi che si fermeranno qui?

— Rustin Kor ha qui un magazzino pieno di vino di Herun. Se non si ferma a caricarlo dovrà pagare l’affitto del locale per tutto l’inverno.

— Si fermerà — disse il mercante a Morgon. — Ora ricordo. È Mathom di An che vuole del vino. E così, vi piacciono gli enigmi? Sapete chi è un grande esperto di enigmi? Il Lupo di Osterland. L’estate scorsa ero nella sua corte a Yrye, e stavo cercando di interessarlo a un paio di coppe d’ambra, quando arrivò lì un uomo da Lungold e lo sfidò a una gara di enigmi. Har ha lanciato una scommessa permanente, secondo la quale chi vince una gara con lui può avere la prima cosa che domanda subito dopo il termine della partita. Ma è un premio che riserva strane sorprese, a volte. Ho sentito dire di un uomo, parecchio tempo fa, il quale vinse contro di lui una gara di enigmi durata un giorno e una notte, e al termine era tanto assetato che la prima cosa che chiese fu un bicchier d’acqua. Non so se la storia sia vera. Comunque quest’uomo… un tipetto magro e arrogante, che a vederlo sembrava non avesse mangiato altro che enigmi da anni… impegnò Har per due giorni filati, e questo al vecchio Lupo piacque. Tutti quelli che assistettero alla gara non fecero che bere e ubriacarsi, e io vendetti più stoffe e gioielli in quei due giorni che in tutto l’anno precedente. Alla fine il Lupo-Re propose un enigma a cui il piccoletto non seppe rispondere… non ne aveva mai sentito parlare, disse. Si irritò, dunque, e contestò l’enigma. Har gli disse di andare a verificarlo dai Maestri di Caithnard, e poi gliene tirò fuori altri dieci di fila a cui l’uomo non poté rispondere, l’uno dietro l’altro… vidi la faccia di questo tipo diventare verde dalla bile, parola mia. Ma Har lo consolò, e dichiarò che da anni non giocava una gara così impegnativa.

— Quale fu il primo enigma a cui l’uomo non seppe rispondere? — domandò Morgon incuriosito.

— Oh… lasciatemi pensare. Cos’è che una stella chiama… No. Cos’è che una stella rievoca dal silenzio, che una stella rievoca dalle tenebre, e una stella rievoca dalla morte?

Morgon si sentì mozzare il respiro. Rigido in faccia, pallido, si volse di scatto a fissare il mercante con occhi socchiusi. Per un momento il volto abbronzato ondeggiò come distorcendosi sotto il suo sguardo, inespressivo quanto una maschera; poi si rese conto che l’uomo lo stava guardando con assoluto sbalordimento.

— Signore, cosa ho detto? — Ma subito la sua espressione cambiò, e allungò una mano a sfiorargli un braccio. — Oh! — sussurrò. — Credo che non siate un nobiluomo di Herun.

— Voi chi siete?

— Signore, il mio nome è Ash Stag di Kraal; ho moglie e due figli, e preferirei tagliarmi una mano che offendervi. Ma vi rendete conto di come vi stanno cercando?

Morgon aveva stretto i pugni. Li riaprì. Dopo un momento, con gli occhi incollati alla faccia ansiosa dell’altro, disse: — Lo so.

— Adesso state tornando a casa? Da Anuin a Caerweddin ho sentito sempre la stessa domanda: avete notizie del Principe di Hed? Ditemi, che vi succede? Siete in difficoltà? Posso aiutarvi? — Fece una pausa. — Voi non avete fiducia in me.

— Mi spiace di…

— No. Ho saputo. Ho sentito ciò che ha raccontato Tobec Rye, il mercante che vi ha trovato a Ymris col Nobile Astrin. Mi ha detto cose abbastanza incredibili: che voi e l’arpista del Supremo avete rischiato di affogare, che l’equipaggio della vostra nave è svanito, e che uno dei mercanti a bordo era Jarl Acker. Io vidi morire Jarl Acker due anni fa, durante un viaggio da Caerweddin a Caithnard. Si era preso una febbre maligna, e chiese d’essere sepolto in mare. Così noi… è quanto facemmo. — Abbassò ancora la voce in un sussurro. — Qualcuno ha rubato la sua forma, dal mare?

Morgon si appoggiò alla spalliera. Il suo cuore pulsava sempre furiosamente. — Voi non… non ne avrete parlato a mio fratello?

— Naturalmente no. — L’uomo tacque un poco, studiando il volto di Morgon con aria pensosa. — È vero che quei mercanti sono svaniti? Qualcuno vuole uccidervi? Dunque è per questo che diffidate di me. Ma non avevate alcun timore finché non ho parlato delle stelle. Quelle stelle. Signore, è per causa delle stelle sulla vostra fronte che stanno cercando di uccidervi?

— Sì.

— Ma perché? Chi mai al mondo potrebbe guadagnarci, assassinando un Principe di Hed? È irrazionale.

Morgon trasse un lungo respiro. Il tranquillizzante vocio nella taverna era immutato; non c’era nessuno abbastanza vicino da udirli, né occhi curiosi che li spiassero. Gli avventori sapevano che se ci fosse stato qualche pettegolezzo da fare sulla presenza di Morgon, questo sarebbe avvenuto solo in sua assenza. Si passò le mani sulla faccia. — Sì. Har ha dato la risposta all’enigma delle tre stelle?

— No.

— Come stanno Eliard e Tristan?

— Sono preoccupatissimi, angosciati. Mi hanno chiesto se avevate lasciato Caerweddin per tornare a casa, e io ho detto col maggior tatto possibile che forse stavate seguendo una strada più lunga, perché nessuno sapeva dove foste. Non mi sarei mai aspettato di trovarvi a Hlurle, tanto a nord.

— Sono stato a Herun.

Ash Strag scosse il capo. — È inaudito. — Bevve un sorso di vino, accigliato. — Non mi piace. Gente dagli strani poteri che impersona dei mercanti… che siano maghi?

— No. Sospetto che i loro poteri siano perfino maggiori.

— E vi stanno inseguendo? Signore, io andrei dritto dal Supremo.

— Hanno cercato di ammazzarmi quattro volte — disse stancamente Morgon. — E non sono ancora andato più lontano di Herun.

— Quattro volte. Una è stata in mare…

— Due volte a Ymris, e poi ancora a Herun.

— Caerweddin! — Gli occhi dell’uomo ebbero un lampo. — Voi siete andato a Caerweddin, e la moglie del Re è sparita, e Astrin Ymris, che tornò là con voi, ha perso un occhio. Cos’è successo mentre stavate là? Dove è finita Eriel Ymris?

— Questo bisogna domandarlo a Hereu.

Il mercante emise un fischio fra i denti. — Non mi piace — ripeté sottovoce. — Ho sentito raccontare cose che non ripeterei neppure a mio fratello, ho incontrato uomini che avevano il cuore fatto con resti di animali, ma non ho mai udito niente del genere. Mai ho sentito parlare di gente che mirasse a uccidere i governatori della terra, così subdolamente, e usando poteri simili. E tutto questo per le vostre stelle?

Morgon scosse le spalle. — Tornerò a casa mia — disse, come a se stesso. Il mercante agitò i loro boccali in aria per richiamare l’attenzione del taverniere, se li fece riempire e restituì a Morgon il suo. Poi mormorò, impensierito: — Signore, è saggio tornare via mare?

— Non posso attraversare nuovamente Ymris. Sarebbe rischioso.

— Perché? Siete a mezza strada per Isig… più che a metà strada. Signore, venite con noi a Kraal… — Si accorse del lieve irrigidirsi di lui e cambiò tono. — Lo so. Lo so. Non vi rimprovero se non vi fidate. Ma io conosco me stesso, e non c’è un uomo in questo locale di cui io diffidi. Per voi sarebbe meglio rischiare e venire a nord con noi, piuttosto che prendere una… strana nave, per Hed. Se indugerete qui troppo a lungo, i vostri nemici potrebbero trovarvi.

— Devo tornare a casa mia.

— Ma Signore, a Hed vi uccideranno! — Accorgendosi di aver alzato la voce si guardò attorno, tornando cauto. — Come potete aspettarvi che i vostri contadini sappiano difendervi? Andate dal Supremo. A Hed riuscirete forse a trovare risposte ai vostri problemi?

Morgon lo fissò un attimo, poi scoppiò improvvisamente a ridere. Si coprì gli occhi con una mano. Sentendosi toccare una spalla dal mercante mormorò: — Scusate, ma è la prima volta che un mercante mi tartassa con tanti enigmi così azzeccati.

— Signore…

Lui tornò a fissarlo con calma. — Non verrò con voi. Lasciamo che sia il Supremo a rispondere a qualche enigma; io non lo farei altrettanto bene. Il reame è affar suo. Il mio è Hed.

La mano che gli stringeva la spalla lo scosse un tantino, quasi per svegliarlo. — Hed va avanti bene così com’è, Signore. — La voce del mercante suonò come un sospiro: — È il resto della gente, è il mondo fuori di Hed che voi avete sconvolto col vostro passaggio, a preoccuparmi.


Le due navi salparono con la marea il mattino successivo. Morgon le osservò allontanarsi veleggiando in un’incantevole alone di luce color lavanda che filtrava dalle nuvole, sempre mutevoli. Aveva sistemato in una stalla il cavallo, e aveva preso alloggio al piano superiore della taverna in attesa delle navi di Rustin Kor; dalla finestra, già rigata di pioggia, aveva una vista completa del molo semideserto e del mare che andava agitandosi, mentre i due vascelli ondeggiavano con la grazia di uccelli marini sospinti dalla brezza. Restò a guardarli finché la luce scemò di nuovo e le loro vele divennero ali scure e lontane. Poi tornò a stendersi sul letto, infastidito da qualcosa che si agitava in fondo alla sua mente, qualcosa che non riuscì a identificare sebbene vegliasse strato dopo strato i suoi pensieri per arrivare a stringerlo. Il volto di Raederle balenò improvvisamente dentro di lui, e fu sorpreso dal senso di tranquilla gioia che gli dava il ricordo della fanciulla.

Una volta, anni addietro, aveva fatto una gara di corsa con lei fino in cima alla collina della Scuola, e ancora gli sembrava di rivedere lo svolazzare della lunga gonna verde che ella teneva un po’ sollevata fra le mani per non inciampare nell’orlo. L’aveva lasciata vincere. E alla sommità dell’altura Raederle, felice, ansimante, lo aveva preso in giro per la sua galanteria. Subito dopo era sopraggiunto Rood, con una manciata di spille ingioiellate che le erano cadute dai capelli; gliele aveva tirate in grembo, scintillanti come uno strano sciame d’insetti verdi, ambra, purpurei e scarlatti. Troppo stanca per afferrarle ella le aveva lasciate rotolare attorno, ridendo, i capelli rossi che ondeggiavano al vento come una criniera di fiamma. E Morgon s’era incantato a guardarla dimenticando le risa, dimenticando perfino di muoversi, finché non s’era trovato dinnanzi gli occhi neri di Rood, canzonatorii, una volta tanto quasi gentili. I suoi ricordi scivolarono sull’espressione tesa di Rood l’ultima volta che s’erano visti, e risentì la sua voce dura, venata di pietà: Se offrirai la tranquillità di Hed a Raederle, sarà un’impostura. Una promessa che non potrai mantenere.

Si alzò a sedere sul letto, finalmente conscio di ciò che lo tormentava. Rood lo aveva saputo fin dall’inizio. Lui non poteva andare ad Anuin a ricevere gli onori, meritati vincendo una gara di enigmi in una torre di Aum, quando tutto intorno a lui stavano prendendo la forma altri enigmi, mortali e coercitivi, per una sfida che egli rifiutava di raccogliere. Poteva voltare le spalle agli altri regni, poteva chiudere dietro di sé le porte di Hed e della sua pace, ma non avrebbe potuto mai volgere lo sguardo a lei senza aver risolto il mistero e l’incertezza legati al suo secondo nome, perché sarebbe stato suo dovere offrirle se stesso interamente, e non di meno.

Scese dal letto, andò a sedersi sul davanzale della finestra e restò lì a lungo, fissando il mondo esterno velarsi di pioggia e di oscurità davanti a lui. Intorno al suo nome gli enigmi si stavano intrecciando in un’impossibile ragnatela; se n’era strappato fuori a forza, ma se avesse appena allungato una mano a sfiorarla ne sarebbe stato nuovamente irretito. Per il momento aveva una scelta: tornare a Hed, vivere serenamente con Raederle, evitare di far domande, attendere il giorno in cui la tempesta che minacciava il continente avrebbe scatenato la sua piena furia anche su Hed… e quel giorno, lo sentiva, sarebbe venuto fin troppo presto. Oppure avrebbe potuto applicare la sua volontà a una gara di enigmi che non aveva speranza di vincere, e il cui premio, in caso di vittoria, era un nome che poteva tagliare d’un colpo ogni legame fra lui e Hed.

Quando si rese conto che la stanza era immersa nel buio si riscosse. Andò a cercare una candela e la accese. Alla luce della fiammella la vista del suo volto, riflesso nel vetro della finestra, lo stupì. La fiamma stessa era una piccola stella fra le sue mani.

Gettò la candela al suolo, schiacciò la fiammella sotto un piede e si gettò disteso sul letto. A notte tarda, quando la pioggia smise di crepitare sul tetto e la voce del vento si abbassò ad un mormorio, cadde in un sonno inquieto. Si svegliò all’alba, scese al piano di sotto e acquistò cibo e una borraccia di vino dal gestore della taverna. Poi sellò il cavallo, lasciò Hlurle senza voltarsi indietro e si diresse a settentrione verso Yrye, per chiedere un enigma al Re di Osterland.

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