53 Il prezzo di una partenza

Nella sala comune della locanda della Fonte del Vino erano accese solamente tre candele e due lampade, visto che sego e olio scarseggiavano. La lance e le altre armi erano sparite dal muro, il barile in cui erano riposte le vecchie spade era vuoto. Le lampade erano sistemate su due tavoli vicini davanti all’alto camino di pietra, dove Marin al’Vere, Daise Congar e altre donne della Cerchia delle Donne analizzavano la lista dello scarso cibo rimasto a Emond’s Field. Perrin cercava di non ascoltare.

A un altro tavolo sedeva Faile che con la pietra arrotava uno dei suoi pugnali. Davanti a lei era deposto un arco e alla vita aveva una faretra appesa alla cintura. Si era rivelata una discreta arciera, ma Perrin sperava non scoprisse mai che le era stato dato l’arco dei ragazzini; non sarebbe riuscita a tirare con un arco da uomo dei Fiumi Gemelli, anche se si rifiutava di ammetterlo.

Spostando l’ascia in modo che non gli affondasse nel fianco, cercò di ricondurre la mente a quanto aveva discusso con gli uomini seduti al tavolo con lui. Non che tutti mantenessero l’attenzione dove avrebbe dovuto essere.

«Loro hanno le lampade» osservò Cenn «e ci servirebbe anche il sego.» Il vecchio uomo nodoso guardò furioso la coppia di candele nei candelabri di ottone.

«Rassegnati, Cenn» disse Tam stanco, estraendo pipa e tabacco da dietro il cinturone della spada. «Per una volta, rassegnati.»

«Se dovessimo leggere o scrivere» intervenne Abell, la voce meno paziente delle parole «avremmo lampade.» Attorno alle tempie era bendato.

Come per rammentare all’impagliatore che lui era il sindaco, Bran sistemò il medaglione d’argento che gli pendeva davanti al petto, mostrando un paio di placche. «Mantieni l’attenzione sui problemi a portata di mano, Cenn. Non tollererò che sprechi il tempo di Perrin.»

«Penso solo che dovremmo avere qualche lampada» protestò Cenn. «Perrin me lo direbbe se stessi sprecando il suo tempo.»

Perrin sospirò, la notte cercava di fargli calare le palpebre. Desiderava che fosse il turno di qualcun altro a rappresentare il Consiglio del Villaggio, Haral Luhan, Jon Tane o Samel Crawe, o chiunque altro non fosse Cenn con i suoi dettagli. Ma a volte desiderava anche che uno di questi uomini si rivolgesse a lui dicendogli: «Questi sono affari del sindaco e del Consiglio, giovanotto. Ritorna alla forgia. Ti faremo sapere cosa fare.» Invece si preoccupavano di sprecare il suo tempo, erano rispettosi nei suoi confronti. Tempo. Quanti attacchi c’erano stati nei sette giorni trascorsi dal primo? Non ne era più sicuro.

La benda sulla testa di Abell irritava Perrin. Le Aes Sedai guarivano solamente le ferite più serie, se un uomo poteva farcela senza, lo lasciavano stare. Non che ci fossero molti feriti gravi, ma come aveva sarcasticamente osservato Verin, anche un’Aes Sedai aveva un limite alla propria forza. Evidentemente il loro trucchetto con le pietre delle catapulte le stancava tanto quanto la guarigione. Per una volta non voleva che gli venissero rammentati i limiti della forza delle Aes Sedai. Ancora non c’erano feriti gravi.

«Come resistono le frecce?» chiese. Era quello a cui in teoria dovevano pensare.

«Abbastanza bene» rispose Tam, accendendo la pipa da una delle candele. «Riusciamo ancora a raccogliere la maggior parte di quelle che abbiamo scagliato, almeno durante la luce del giorno. La notte portano via molti dei loro morti — foraggio per le loro pentole, immagino — e quelle le perdiamo.» Gli altri uomini stavano estraendo le loro pipe da sacchetti e tasche, Cenn si lamentava perché aveva dimenticato il sacchetto a casa. Lamentandosi Bran gli passò il suo, il cranio calvo lucido per la luce delle candele.

Perrin si grattò la fronte. Cosa voleva chiedere dopo? La palizzata. Adesso la maggior parte dei combattimenti si svolgeva vicino alla palizzata, specialmente di notte. Quante volte ormai i Trolloc erano quasi riusciti a fare irruzione? Tre? Quattro? «Qualcuno di voi ha una lancia o dei bastoni da combattimento? Cosa ci è rimasto per fabbricarne altre?» La risposta fu un silenzio imbarazzato, e Perrin abbassò la mano. Gli altri uomini lo fissavano.

«Lo hai chiesto ieri» puntualizzò Abell gentilmente. «E Haral ti ha risposto che in tutto il villaggio non sono rimasti una falce o un forcone che non siano stati trasformati in un’arma. Abbiamo più armi che mani per usarle.»

«Sì, vero, mi era sfuggito di mente.» All’orecchio gli giunse uno stralcio di conversazione della Cerchia delle Donne.

«... Non dobbiamo lasciare che gli uomini sappiano» stava spiegando Marin a bassa voce, come se stesse ripetendo qualcosa che aveva già detto.

«Chiaro che no» sbuffò Daise, ma non molto più forte. «Se quegli sciocchi scoprono che le donne sono a mezza razione, insisteranno per voler mangiare lo stesso e non possiamo...»

Perrin chiuse gli occhi e cercò di chiudere anche le orecchie. Ma certo. Erano gli uomini a combattere. Gli uomini dovevano mantenere la forza. Semplice. Almeno nessuna delle donne aveva ancora dovuto combattere. Tranne le due Aiel e Faile, ma questa era abbastanza furba da restare indietro quando si trattava di usare le lance attraverso la palizzata. Quello era il motivo per cui le aveva trovato un arco. La ragazza aveva il cuore di un leopardo e più coraggio di due uomini messi insieme.

«Credo sia ora che tu vada a letto, Perrin» suggerì Bran. «Non puoi andare avanti così dormendo un’ora qua e un’ora là.»

Grattandosi vigorosamente la barba Perrin cercò di sembrare sveglio. «Dormirò più tardi.» Quando sarebbe finita. «Gli uomini stanno dormendo abbastanza? Ne ho visti alcuni seduti quando al contrario dovrebbero...»

La porta frontale si spalancò, e dal buio comparve l’ossuto Dannil Lewin, con l’arco in una mano, in piena agitazione. Alla vita aveva una delle spade del barile, Tam aveva dato lezione ogni volta che aveva potuto, aiutato di tanto in tanto dai Custodi.

Prima che Dannil riuscisse ad aprir bocca, Daise scattò: «Sei stato cresciuto in una stalla, Dannil Lewin?»

«Potresti certamente trattare meglio la mia porta.» Maria scoccò un’occhiata significativa prima al ragazzo e poi a Daise, per evidenziare che in ogni caso si trattava della sua porta.

Dannil abbassò il capo schiarendosi la gola. «Chiedo scusa, comare al’Vere» disse velocemente. «Chiedo scusa, Sapiente. Mi dispiace di aver fatto irruzione, ma ho un messaggio per Perrin.» Sì affrettò verso il tavolo degli uomini, temendo forse che le donne lo trattenessero ancora. «I Manti Bianchi hanno preso un uomo che vuole parlarti, Perrin. Non vuole parlare con nessun altro. È ferito gravemente, Perrin. Lo hanno portato ai margini del villaggio, non credo che avrebbe potuto andare oltre la locanda.»

Perrin si alzò in piedi. «Arrivo.» Non un altro attacco. Quelli notturni erano i peggiori.

Faile prese l’arco e lo raggiunse prima che arrivasse alla porta. Anche Aram si alzò esitante, dall’ombra ai piedi delle scale. A volte Perrin si dimenticava che l’uomo era lì, era sempre così fermo. Appariva strano con la spada dietro le spalle, sopra la sudicia giubba a righe gialle da Calderaio, gli occhi così acuti che non sembrava chiuderli mai e il volto inespressivo. Né Raen né Ha avevano parlato al nipote da quando aveva preso la spada. E nemmeno con Perrin.

«Se vuoi venire, vieni» disse Perrin rozzamente e Aram gli andò appresso. L’uomo lo seguiva come un cane ogni volta che non stava assillando Tam, Ihvon o Tomas perché gli insegnassero la scherma. Come se avesse rimpiazzato la sua famiglia e la sua gente con Perrin. Lui dal canto suo avrebbe fatto volentieri a meno di quella responsabilità, ma così stavano le cose.

La luna risplendeva sui tetti di paglia. In poche case si vedeva una luce da più di una finestra. Il villaggio era immobile. Una trentina di Compagni era di guardia fuori dalla locanda con gli archi, la maggior parte con le spade; tutti avevano adottato quel nome e Perrin si accorse con disgusto che aveva preso a usarlo anche lui. Il motivo di avere le guardie davanti alla locanda, o dove si trovava Perrin, era sul prato comune, non più affollato di pecore e mucche. Al di sopra della Fonte del Vino si ammucchiavano i fuochi, dietro a quella stupida bandiera con la testa di lupo che adesso era afflosciata, pozze chiare nell’oscurità circondata da mantelli bianchi che risplendevano sotto la luna.

Nessuno aveva voluto i Manti Bianchi nella propria casa, già affollata, e Bornhald in ogni caso non voleva che i suoi soldati si separassero. L’uomo sembrava pensare che il villaggio si sarebbe rivoltato contro di lui e i suoi uomini in qualsiasi momento. Se seguivano Perrin dovevano essere tutti Amici delle Tenebre. Nemmeno gli occhi di Perrin riuscivano a riconoscere i volti attorno ai fuochi, ma aveva la sensazione di poter sentire lo sguardo di Bornhald, in attesa, colmo di odio.

Dannil fece preparare i Compagni per scortare Perrin, tutti giovani uomini che avrebbero dovuto ridere e fare baldoria con lui, con gli archi pronti per vegliare sulla sua salvezza. Aram non si unì a loro mentre Dannil avanzava lungo le scure strade di terra battuta. Lui era con Perrin e nessun altro. Faile rimaneva dura accanto a Perrin, gli occhi scuri che risplendevano nella notte, scrutando i dintorni come se lei fosse la sua unica difesa.

Dove la Vecchia Strada accedeva a Emond’s Field i carri sistemati per bloccarla erano stati tirati di lato per far entrare i Manti Bianchì di pattuglia, venti uomini armati di lancia con i mantelli candidi come la neve, seduti a cavallo con indosso le armature lucide, non meno impazienti dei cavalli che scalpitavano. Erano fuori nella notte a disposizione di qualsiasi occhio, e la maggior parte dei Trolloc di notte vedeva bene come Perrin, ma i Manti Bianchi insistevano con le loro ricognizioni. A volte erano riusciti a dare l’allarme, e forse il loro fastidio teneva un po’ a bada i Trolloc. Sarebbe stato bello però se avessero saputo cosa stavano facendo, prima di agire.

Un gruppo di abitanti del villaggio e contadini con addosso pezzi di armatura ed elmetti arrugginiti era raccolto attorno all’uomo in giubba da campagnolo riverso sulla strada. Fecero largo a Faile e Perrin, che si inginocchiò accanto all’uomo.

L’odore di sangue era forte, il sudore risplendeva sul viso dell’uomo sotto la luce lunare. Una spessa freccia Trolloc che sembrava una piccola lancia gli spuntava dal petto. «Perrin... Occhidoro» mormorò rauco, respirando a fatica. «Devo... andare... da Perrin... Occhidoro.»

«Qualcuno è andato a cercare le Aes Sedai?» chiese Perrin, sollevando l’uomo con la massima delicatezza possibile e tenendogli il capo. Non attese la risposta, non credeva che quest’uomo sarebbe vissuto abbastanza per attendere un’Aes Sedai. «Io sono Perrin.»

«Occhidoro? Non... posso vedere... molto bene.» Lo sguardo selvaggio dell’uomo era puntato su Perrin, se poteva vedere avrebbe dovuto scorgere gli occhi che risplendevano dorati al buio.

«Sono Perrin Occhidoro» confermò riluttante.

L’uomo lo afferrò per il colletto, avvicinandosi al viso con forza sorprendente. «Stiamo... venendo. Inviato a... dirti. Stiamo ven...» La testa ricadde indietro e l’uomo rimase a fissare nel nulla.

«Che la Luce sia con la sua anima» mormorò Faile, mettendosi l’arco a tracolla.

Dopo un momento Perrin aprì le dita dell’uomo. «Qualcuno di voi lo conosce?» Gli uomini dei Fiumi Gemelli si scambiarono delle occhiate scuotendo le teste. Perrin guardò i Manti Bianchi a cavallo. «Ha detto qualcos’altro mentre lo stavate trasportando? Dove lo avete trovato?»

Jaret Byar lo fissò, con il viso scarno e gli occhi infossati, l’immagine della morte. Gli altri Manti Bianchi distolsero lo sguardo, ma Byar sosteneva sempre quello dagli occhi gialli di Perrin, specialmente di notte, quando risplendevano. Byar ringhiò — Perrin sentì ‘progenie dell’Ombra’ — e spronò il cavallo. La pattuglia galoppò nel villaggio, impaziente di allontanarsi da Perrin quanto dai Trolloc. Aram li fissò, privo di espressione, con una mano sulla spalla per toccare l’elsa della spada.

«Hanno detto di averlo trovato tre o quattro chilometri a sud di qui.» Dannil esitò, quindi aggiunse: «Hanno detto che i Trolloc sono tutti sparpagliati in piccoli gruppi, Perrin. Forse finalmente si stanno arrendendo.»

Perrin distese nuovamente lo straniero in terra. ‘Stiamo venendo’. «Restate all’erta. Forse qualche famiglia che stava cercando di rimanere alla sua fattoria alla fine ha deciso di scappare.» Non credeva che qualcuno fosse sopravvissuto là fuori così a lungo, ma avrebbe potuto essere. «Attenti a non colpire qualcuno per errore.» Perrin barcollò e Faile gli appoggiò una mano sul braccio.

«È giunto il momento che tu vada a letto, Perrin. Prima o poi devi dormire.»

Perrin si limitò a guardarla. Avrebbe dovuto farla rimanere a Tear. In qualche modo avrebbe dovuto farlo. Se solo ci avesse pensato bene, ci sarebbe riuscito.

Una delle staffette, un ragazzino dai capelli ricci che gli arrivava circa al petto, passò fra gli uomini dei Fiumi Gemelli per andare a tirare la manica di Perrin, che non lo guardò. Nel villaggio c’erano molte famiglie giunte dalle campagne. «Qualcosa si muove nel Bosco Occidentale, lord Perrin. Mi hanno mandato ad avvisarti.»

«Non chiamarmi in quel modo» lo apostrofo duro Perrin. Se non fermava i bambini, i Compagni avrebbero incominciato a usare pure quel titolo. «Vai a dire loro che ci sarò.» Il ragazzino scattò.

«Devi andare a letto» insisté Faile con fermezza. «Tomas può benissimo sostenere qualsiasi attacco.»

«Non si tratta di un attacco, altrimenti il ragazzo lo avrebbe detto e qualcuno starebbe suonando la tromba di Cenn.»

Faile lo prese sottobraccio cercando di tirarlo verso la locanda, per cui la trascinò con sé nella direzione opposta. Dopo alcuni vani minuti Faile si arrese e fece finta di stargli solo sottobraccio. Ma borbottava. Sembrava ancora convinta che se parlava a bassa voce Perrin non avrebbe sentito. Aveva iniziato con ‘insensato e testardo’ quindi ‘cervello di bue’ per peggiorare sempre più. Era una piccola processione, lei che borbottava, Aram che lo seguiva, Dannil e i dieci Compagni che lo circondavano come una guardia d’onore. Se non fosse stato così stanco si sarebbe sentito un perfetto idiota.

Lungo tutta la staccionata, a brevi intervalli, erano posizionati gruppi di soldati che scrutavano nella notte, ognuno con un ragazzo come messaggero. Dal lato occidentale del villaggio gli uomini di guardia erano tutti riuniti insieme contro l’interno della grande barriera, con spade e archi alla mano mentre scrutavano nel Bosco Occidentale. Anche con la luce lunare gli alberi per loro dovevano essere totale oscurità.

Il mantello di Tomas sembrava far scomparire parti del suo corpo nella notte. Bain e Chiad erano con lui, per qualche motivo le due Fanciulle avevano trascorso ogni notte da questo lato di Emond’s Field da quando Loial e Gaul erano andati via. «Non ti avrei disturbato» spiegò il Custode «ma sembra che ci sia una sola presenza là fuori, e ho pensato che forse tu eri in grado di...»

Perrin annuì. Tutti erano al corrente della sua vista spettacolare, particolarmente al buio. La gente dei Fiumi Gemelli sembrava considerarla una cosa speciale, che lo marchiava come un eroe. Cosa pensassero i Custodi, o le Aes Sedai, non ne aveva idea. Stanotte era troppo stanco per chiederselo. Sette giorni e quanti attacchi?

Il margine del Bosco Occidentale si trovava a circa cinquecento passi. Anche per i suoi occhi gli alberi erano in ombra. Qualcosa si mosse. Qualcosa di abbastanza grande per essere un Trolloc. Una grande sagoma che trasportava... Il fagotto sollevò un braccio. Un essere umano. Un’ombra alta che trasportava un essere umano.

«Non vi colpiremo!» gridò Perrin. Voleva ridere e si rese conto che di fatto stava ridendo. «Vieni avanti! Vieni avanti, Loial!»

La sagoma vaga si fece avanti più velocemente di quanto potesse correre un uomo, trasformandosi nell’Ogier che si affrettava verso il villaggio trasportando Gaul.

Gli uomini dei Fiumi Gemelli gridavano incoraggiamenti come se si trattasse di una gara. «Corri, Ogier! Corri! Corri!» Forse lo era, poiché più di un assalto era giunto da quella foresta.

A poca distanza dalla staccionata Loial rallentò sbandando, c’era appena spazio per una gamba per attraversare le barriere. Quando fu dal lato del villaggio mise a terra l’Aiel e si afflosciò al suolo, appoggiandosi affannato alla staccionata, con le orecchie pelose abbassate. Gaul zoppicò fino a dove si poté sedere anche lui, con Bain e Chiad che si affannavano attorno alla coscia sinistra, dove i pantaloni erano strappati e anneriti dal sangue rappreso. Gli erano rimaste solo due lance e la faretra era vuota. Anche l’ascia di Loial era scomparsa.

«Stupido Ogier,» rise Perrin con affetto «andare via a quel modo. Dovrei lasciare che Daise Congar ti frusti come un fuggiasco. Almeno siete vivi. Siete tornati.» La voce di Perrin sprofondò. Vivi. E di nuovo a Emond’s Field.

«Ce l’abbiamo fatta, Perrin» ansimò Loial, era il suono di un tamburo stanco. «Quattro giorni fa. Abbiamo chiuso le Porte delle Vie. Ci vorranno gli Anziani o un’Aes Sedai per aprirle di nuovo.»

«Mi ha trasportato per la maggior parte del tragitto di ritorno dalla montagna» intervenne Gaul. «Colui che Percorre la Notte e forse cinquanta Trolloc ci hanno inseguiti per i primi tre giorni, ma Loial li ha battuti.» Stava cercando di allontanare le Fanciulle senza un gran successo.

«Stai fermo, Shaarad,» scattò Chiad «o racconterò di averti toccato armato e ti permetterò di scegliere come condurre il tuo onore.» Faile rise deliziata. Perrin non capiva, ma l’osservazione ridusse l’imperturbabile Aiel a un borbottio. Lasciò che le Fanciulle si occupassero della sua gamba.

«Stai bene, Loial?» chiese Perrin. «Sei ferito?»

L’Ogier si alzò con uno sforzo evidente, ondeggiando per un momento come un albero in procinto di cadere. Le orecchie erano ancora abbassate. «Non sono ferito, Perrin. Solo stanco. Non preoccuparti per me. Ho trascorso molto tempo lontano dallo stedding. Le visite non sono abbastanza.» Scosse la testa quasi avesse divagato. La grande mano coprì le spalle di Perrin. «Starò bene dopo un po’ di sonno.» Abbassò la voce. Per un Ogier, lo aveva fatto, ma era ancora come il ronzio di un grande calabrone. «La situazione là fuori è molto brutta, Perrin. Abbiamo seguito per la maggior parte del tempo le ultime bande che scendevano la montagna. Abbiamo bloccato le porte, ma credo che ci siano diverse migliaia di Trolloc nei Fiumi Gemelli, e forse almeno cinquanta Myrddraal.»

«Non così tanti» annunciò Luc ad alta voce. Aveva galoppato lungo il limitare delle case dalla direzione della strada nord. Fece fermare bruscamente lo stallone nero, che scalpitava con gli zoccoli anteriori. «Senza dubbio sei bravo a cantare agli alberi, Ogier, ma combattere i Trolloc è qualcosa di diverso. Io ritengo che adesso siano meno di mille. Una forza formidabile senza dubbio, ma nulla che queste solide difese e questi uomini coraggiosi non possano tenere a bada. Un altro trofeo per te, lord Perrin Occhidoro.» Ridendo lanciò una sacca a Perrin. Il fondo risplendeva scuro e umido alla luce lunare. Perrin lo prese al volo e lo lanciò oltre la staccionata malgrado il peso. Senza dubbio si trattava di quattro o cinque teste di Trolloc e forse un Myrddraal. L’uomo portava i suoi trofei ogni notte e sembrava si aspettasse che sarebbero stati esposti all’ammirazione di tutti. Un gruppo di Coplin e Congar aveva organizzato per lui una festa la notte che era tornato con due teste di Fade.

«Nemmeno io so nulla di combattimenti?» chiese Gaul alzandosi in piedi a fatica. «Io dico che c’erano alcune migliaia di Trolloc.»

Luc snudò i denti bianchi in qualcosa di simile a un sorriso. «Quanti giorni hai trascorso nella Macchia, Aiel? Io molti.» Forse era più un ringhio che un sorriso. «Molti. Credi quello che vuoi, Occhidoro. Queste giornate senza fine porteranno quello che vogliono, come hanno sempre fatto.» Fece impennare lo stallone per girare e cavalcò fra le case e gli alberi che una volta erano stati il margine del Bosco Occidentale. Gli uomini dei Fiumi Gemelli cambiarono posizione a disagio, guardandolo andare via nella notte.

«Ha torto» insisté Loial. «Gaul e io abbiamo visto quello che abbiamo visto.» Abbassò stancamente il viso, la bocca larga rivolta in basso e le lunghe sopracciglia che gli arrivavano sulle guance. Non c’era da meravigliarsi, avendo trasportato Gaul per tre giorni.

«Hai fatto molto, Loial» rispose Perrin. «Tu e Gaul. Una gran cosa. Temo che adesso nella tua stanza ci sia una mezza dozzina di Calderai. Ma Comare al’Vere ti preparerà un pagliericcio. È tempo che tu abbia un po’ del sonno che desideri.»

«Lo steso vale per te, Perrin Aybara.» Delle nuvole di passaggio crearono un gioco di ombre sul naso pronunciato di Faile e sugli alti zigomi. Era così bella. Ma la voce era molto ferma. «Se non vai adesso ti ci faccio portare da Loial. Riesci appena a stare in piedi.»

Gaul aveva problemi a camminare con la gamba ferita. Bain lo sosteneva da un lato. Cercò di impedire a Chiad di piazzarsi dall’altro lato, ma lei mormorò qualcosa che suonava minacciosamente come gai’shain, Bain rise e l’Aiel permise a entrambe di aiutarlo, furioso con se stesso. Qualsiasi cosa intendessero le Fanciulle, faceva presa su Gaul.

Tomas batté una mano sulle spalle di Perrin. «Vai, uomo. Tutti hanno bisogno di dormire.» Lui però sembrava pronto a trascorrere sveglio altri tre giorni.

Perrin annuì.

Lasciò che Faile lo guidasse alla locanda della Fonte del Vino, seguiti da Loial, l’Aiel, Aram, Dannil e i dieci compagni che lo circondavano. Non era certo di quando gli altri fossero andati via, ma si accorse che lui e Faile erano soli nella sua stanza al secondo piano.

«Intere famiglie sono riunite in uno spazio non più grande di questo» mormorò. Una candela era accesa sulla mensola di pietra del piccolo camino. Altri stavano senza, ma Marin ne accendeva una lì non appena faceva buio così lui non doveva prendersi il disturbo. «Posso dormire fuori con Dannil, Ban e gli altri.»

«Non essere idiota» esclamò Faile, ma in modo affettuoso. «Se Alanna e Verin hanno le loro stanze, anche tu ne hai diritto.»

Perrin si accorse che Faile gli aveva tolto la giacca e stava slacciando la camicia. «Non sono così stanco da non riuscire a svestirmi da solo.» Così dicendo la spinse gentilmente fuori della stanza.

«Levati tutto» ordinò Faile. «Tutto, hai capito? Non puoi dormire bene se resti vestito, come sembri pensare.»

«Lo farò» promise. Quando chiuse la porta si tolse gli stivali prima di spegnere la candela e sdraiarsi sul letto. A Marin non sarebbe piaciuto che le si sporcassero le coperte con gli stivali.

Migliaia, avevano detto Gaul e Loial. Eppure quanti erano riusciti a vederne, nascosti fra le montagne, fuggendo per tornare indietro? Al massimo mille, sosteneva Luc, ma Perrin non riusciva a fidarsi dell’uomo anche se ogni giorno riportava dei trofei. Sparpagliati, secondo i Manti Bianchi. Quanto si erano avvicinati, con le armature e i mantelli che risplendevano nella notte come lanterne?

Però forse poteva controllare per conto suo. Aveva evitato il mondo dei sogni dei lupi dopo l’ultima visita. Il desiderio di dare la caccia a quest’Assassino si ridestava ogni volta che ci pensava e le sue responsabilità erano qui a Emond’s Field. Ma adesso forse... si addormentò mentre prendeva in considerazione la cosa.

Perrin era in piedi nel prato comune inondato dal sole pomeridiano basso nel cielo, dove si stagliavano alcune nuvole bianche. Non c’erano bestie attorno al palo dove la brezza faceva sventolare la bandiera con la testa di lupo, ma una mosca blu gli volò davanti al naso. Non c’erano persone fra le case. Delle piccole pile di legna secca sopra le ceneri indicavano i fuochi dei Manti Bianchi. Raramente aveva visto qualcosa bruciare nel sogno dei lupi, solo cose in procinto di farlo o già carbonizzate. In cielo non c’erano corvi.

Mentre cercava gli uccelli una porzione di cielo si scurì, diventando una finestra su un altro luogo. Egwene era in piedi in mezzo a una folla di donne, gli occhi colmi di paura, le donne si inginocchiavano lentamente attorno a lei. Nynaeve era una di loro, e pensò di aver visto anche i capelli rosso oro di Elayne. Quella finestra sfumò e fu rimpiazzata. Mat era in piedi, nudo e legato, e ringhiava. Una strana lancia con l’asta nera era stata incastrata dietro la sua schiena fra i gomiti e un medaglione d’argento, una testa di volpe, gli pendeva sul petto. Mat svanì e apparve Rand. Perrin pensava che fosse Rand. Indossava degli stracci e un mantello rozzo, aveva gli occhi bendati. La terza finestra scomparve, il cielo era solamente cielo, vuoto a parte le nuvole.

Perrin rabbrividì. Queste visioni del sogno dei lupi non sembravano mai avere una connessione reale con quanto sapeva. Forse qui, dove le cose cambiavano facilmente, la preoccupazione per i suoi amici si trasformava in qualcosa di visibile. Qualunque cosa fossero, stava sprecando tempo a pensarci.

Non fu sorpreso di ritrovarsi con il lungo grembiule di cuoio da fabbro e senza camicia, ma quando portò la mano alla cintura trovò il martello e non l’ascia. Aggrottando le sopracciglia si concentrò sulla lama a mezzaluna con la punta. Quello era ciò di cui aveva bisogno adesso. Il martello si trasformò lentamente, come se opponesse resistenza, ma quando finalmente l’ascia fu appesa al gancio incominciò a brillare pericolosamente. Perché lo combatteva a quel modo? Sapeva quel che voleva. Sull’altro fianco apparve una faretra piena di frecce, un arco in mano e un copribraccio di pelle sull’avambraccio sinistro.

Tre dei lunghi passi che facevano confondere il paesaggio lo portarono dove in teoria doveva trovarsi l’accampamento più vicino di Trolloc, a circa cinque chilometri dal villaggio. L’ultimo passo lo portò fra una dozzina di ceppi di legna piazzati su vecchie ceneri fra l’orzo calpestato, i frammenti di legno misti a sedie rotte, zampe di tavoli e porte di fattorie. Grossi calderoni di ferro neri erano pronti per essere appesi sopra i fuochi. Vuoti, naturalmente, anche se sapeva quale sarebbe stato il contenuto, cosa avrebbero arrostito sugli spiedi di ferro piazzati su alcuni fuochi. Per quanti Trolloc erano questi fuochi? Non c’erano tende e le coperte sparse, sporche e macchiate di sudore vecchio di Trolloc non erano una vera indicazione. Molti Trolloc dormivano come gli animali, scoperti sul terreno, a volte scavando una cuccia per dormirvi dentro.

Dopo alcuni passi da non più di cento metri ciascuno la terra apparve solo nebbiosa. Fece un giro intorno a Emond’s Field, di fattoria in fattoria, dai pascoli ai campi di orzo alle file di tabacco, fra boschi sparsi di alberi, lungo le piste dei carri e i vialetti, trovando altri fuochi dei Trolloc in attesa e lentamente allargò il cerchio. Troppi. Centinaia di fuochi. Quello doveva significare diverse migliaia di Trolloc. Cinquemila, diecimila o forse il doppio, non avrebbe fatto una gran differenza per Emond’s Field se fossero venuti tutti insieme.

Verso sud le tracce di Trolloc scomparvero. Almeno i segni di una loro immediata presenza. Alcune fattorie e stalle erano integre. I campi bruciati erano tutto quello che rimaneva dell’orzo e del tabacco, alcuni raccolti erano devastati. Non c’era ragione per fare tutto questo se non la gioia della distruzione: la gente era andata via molto tempo prima. Una volta atterrò nel centro di una vasta distesa di ceneri, alcune ruote di carro incenerite ancora mostravano i colori brillanti qua e là. La vista dei carri dei Tuatha’an distratti lo addolorava anche più delle fattorie. La Via della Foglia doveva avere una possibilità. Da qualche parte, ma non qui. Senza guardare ulteriormente balzò verso sud per quasi due chilometri o forse più.

Alla fine giunse a Deven Ride, le file di case dal tetto di paglia circondavano un prato e uno stagno alimentato da una fonte delimitata da un muretto di pietra, l’acqua filtrava da spaccature consumate da molto tempo, più profonde di quando erano state create. La locanda in fondo al prato, L’oca e il flauto, aveva il tetto di paglia ma era un po’ più grande della Fonte del Vino, anche se Deven Ride di certo aveva meno visitatori di Emond’s Field. Il villaggio di sicuro non era più grande. Carri e calessi vicino a ogni casa indicavano che c’erano contadini che si erano rifugiati qui con le loro famiglie. Altri carri bloccavano le strade e gli spazi fra le case tutti intorno al villaggio. Queste precauzioni non erano abbastanza per bloccare anche uno solo degli assalti che si erano verificati a Emond’s Field negli ultimi sette giorni.

In tre giri attorno al villaggio Perrin trovò solamente una mezza dozzina di accampamenti Trolloc. Abbastanza da far rimanere la gente in casa. Tenerli fermi fino a quando non avrebbero finito con Emond’s Field. Allora i Trolloc avrebbero potuto attaccare Deven Ride con comodo all’ordine dei Fade. Forse poteva trovare il modo di avvisare questa gente. Se fuggivano verso sud potevano riuscire a guadare il Fiume Bianco. Anche cercare di attraversare la Foresta delle Ombre sotto al fiume era meglio che aspettare di morire.

Il sole dorato non si era mosso di un centimetro. Qui il tempo trascorreva in un modo tutto suo.

Corse verso nord più velocemente possibile, anche Emond’s Field era sfocata. Watch Hill sui rilievi rotondi era circondata come Deven Ride da carri e calessi fra le case. Una bandiera sventolava pigramente nella brezza, appesa a un alto palo davanti alla locanda del Cinghiale bianco in cima alla collina. Un’aquila rossa che volava in campo azzurro. L’aquila rossa era il simbolo del Manetheren. Forse Alanna o Verin avevano raccontato loro le storie antiche quando si trovavano qui.

Anche in questo posto trovò pochi accampamenti Trolloc, ma abbastanza da bloccare gli abitanti. Da qui era più facile fuggire che tentare di guadare il Fiume Bianco, con le sue rapide infinite. Corse ancora più a nord, a Taren Ferry sulle sponde del Tarendrelle che adesso si chiamava Fiume Taren. Alte case strette costruite su fondamenta di pietra per sfuggire alle piene annuali del fiume quando la neve si scioglieva sulle montagne della Nebbia. Almeno la metà di queste fondamenta sosteneva solo ceneri e travi carbonizzate, in quella immutabile luce pomeridiana. Qui non c’erano carri o segni di difesa. E nemmeno accampamenti Trolloc. Forse non c’era rimasto nessuno.

Vicino all’acqua c’era il molo di legno e una grossa corda appesa fra le due rive sull’acqua rapida. La corda scorreva in anelli di ferro su una chiatta attraccata vicino al molo. Era ancora qui e non sembrava danneggiata.

Con un salto oltrepassò il fiume, dove i solchi delle ruote segnavano la riva e c’erano oggetti sparsi in giro. Sedie e specchi, casse, anche alcuni tavoli e armadi lucidi con degli uccelli intagliati sulle ante, tutte cose che la gente in preda al panico aveva cercato di salvare e poi abbandonato per scappare più velocemente. Avrebbero sparso la voce su quanto era accaduto qui e stava accadendo ai Fiumi Gemelli. Forse alcuni ormai avevano raggiunto Baerlon, centosessanta chilometri a nord, e certamente le fattorie e i villaggi fra Baerlon e il fiume. Passare parola. In un altro mese poteva raggiungere Caemlyn e la regina Morgase con le sue guardie e il potere di inviare eserciti. Un mese se erano fortunati. E altrettanto per tornare indietro, se Morgase lo avesse creduto. Troppo tardi per Emond’s Field. Forse troppo tardi per tutti i Fiumi Gemelli.

Eppure non aveva senso che i Trolloc avessero lasciato fuggire tutti. O i Myrddraal. Non sembrava che i Trolloc pensassero molto. Credeva che distruggere il battello sarebbe stata la prima cosa che un Fade avrebbe fatto. Come potevano essere sicuri che a Baerlon non ci fossero abbastanza soldati che avrebbero potuto attaccarli?

Si chinò per raccogliere una bambola con la faccia di legno dipinto e una freccia volò dove un attimo prima si era trovato il suo torace.

Saltando dalla posizione accovacciata risalì la sponda, immagini sfocate che scorsero per cento passi nella foresta per andarsi a piazzare sotto a un’alta ericacea. Cespugli e alberi cagliti coperti di rampicanti nascondevano il suolo della foresta circostante.

L’Assassino. Perrin aveva incoccato una freccia e si chiese se l’avesse estratta dalla faretra o solamente pensato di piazzarla lì. L’Assassino.

Sul punto di balzare via di nuovo, si fermò. L’Assassino avrebbe saputo senza problemi dove si trovava. Perrin aveva seguito con una certa facilità la sagoma sfocata dell’uomo, le scie allungate erano facili da vedere se rimanevi immobile. Aveva già fatto il gioco dell’altro per due volte, rimettendoci quasi la pelle. Stavolta l’Assassino avrebbe giocato secondo le sue regole. Attese.

I corvi volarono in cima agli alberi, cercando e gridando. Perrin rimase perfettamente immobile per non rivelare la sua presenza. Non contrasse neanche un muscolo. Solo gli occhi si muovevano, studiando la foresta che lo circondava. Un soffio di brezza vagante gli portò un odore freddo, umano eppure no, e sorrise. Nessun rumore tranne i corvi. Questo Assassino si appostava bene. Ma non era abituato a essere cacciato. Cos’altro aveva dimenticato l’Assassino oltre agli odori? Certamente non si aspettava che Perrin sarebbe rimasto dove era atterrato. Gli animali fuggivano dal cacciatore, anche i lupi.

Un cenno di movimento, e per un istante un viso apparve sopra a un pino caduto a circa cinquanta passi. La luce obliqua lo illuminò chiaramente. Capelli scuri e occhi azzurri, un volto tutto spigoloso che ricordava molto quello di Lan. Tranne che in quel fugace momento l’Assassino si umettò le labbra due volte. La fronte era increspata e gli occhi sfrecciavano ovunque mentre lo cercava. Lan non avrebbe lasciato che la sua preoccupazione si manifestasse anche se si fosse trovato da solo davanti a mille Trolloc. Solo un istante e poi quel volto sparì di nuovo. I corvi scattarono e rotearono in cielo come se condividessero la preoccupazione dell’Assassino, temendo di scendere più in basso della cima degli alberi.

Perrin attese e guardò, immobile. Silenzio. Solo il freddo odore diceva che non era da solo con i corvi.

Il volto dell’Assassino apparve ancora, scrutando dal tronco spesso di una quercia alla sua sinistra. Trenta passi. Le querce uccidevano quasi tutto ciò che cresceva nelle vicinanze, solo alcuni funghi e dell’erba spuntavano dallo strato protettivo sopra le radici fra i rami. Lentamente l’uomo uscì allo scoperto. I suoi stivali non facevano rumore.

In un unico movimento Perrin tese l’arco e scagliò la freccia. I corvi diedero l’allarme e l’Assassino si voltò. La freccia lo colpì al torace, ma non al cuore. L’uomo gridò afferrando la freccia con entrambe le mani, vi fu una pioggia di piume nere mentre i corvi battevano frenetici le ali. L’Assassino svanì, lui e le grida, diventando un’immagine nebulosa, trasparente, per poi scomparire. Le grida dei corvi cessarono come se fossero state tagliate con un pugnale, la freccia che aveva trapassato l’uomo cadde al suolo. Anche i corvi erano spariti.

Con una seconda freccia mezza tesa Perrin mandò un sospiro, rilasciando la tensione sull’arco. Si moriva così in questo posto? Semplicemente svanendo, via per sempre?

«Almeno l’ho finito» mormorò. E si era lasciato distogliere nel processo. L’Assassino non era parte della sua presenza nel sogno dei lupi. Almeno adesso i lupi erano salvi. I lupi e forse qualcun altro.

Uscì dal sogno...

... e si svegliò fissando il soffitto, col sudore che gli incollava la camicia al corpo. Dalle finestre filtrava una debole luce lunare. Da qualche parte nel villaggio stavano suonando dei violini, un frenetico motivo dei Calderai. Non avrebbero combattuto, ma avevano trovato il modo di aiutare rallegrando gli spiriti. Lentamente Perrin si mise a sedere infilandosi gli stivali nella scarsa luce. Come fare quello che doveva? Sarebbe stato difficile. Doveva essere furbo. Solo che non era sicuro di esserlo mai stato in tutta la sua vita. Batté i piedi in terra per calzare gli stivali.

Delle grida improvvise all’esterno e il clangore di zoccoli lo portarono alla finestra più vicina e la aprì. I Compagni si agitavano. «Cosa sta succedendo?»

Trenta facce si rivolsero in alto e Ban al’Seen gridò: «Era lord Luc, Perrin. Ha quasi investito Wil e Tell. Credo che non li abbia nemmeno visti. Era accasciato sulla sella come se fosse ferito, incitando quello stallone per quanto servisse, lord Perrin.»

Perrin si tirò la barba. Luc certamente non era mai stato ferito. Luc... è l’Assassino? Impossibile. L’assassino dai capelli scuri assomigliava al fratello o al cugino di Lan, mentre se Luc con i suoi capelli rosso dorati, somigliava a qualcuno, forse sarebbe stato Rand. I due uomini non avrebbero potuto essere più diversi. Eppure... quell’odore freddo. Non avevano lo stesso odore, ma entrambi emanavano un aroma freddo, non molto umano. Le orecchie di Perrin colsero il rumore di carri che venivano spostati sulla vecchia strada, accompagnato da grida che incitavano a sbrigarsi. Anche se Ban e i Compagni avessero corso, non lo avrebbero raggiunto. Gli zoccoli si dirigevano velocemente verso sud.

«Ban,» gridò «se Luc si fa vivo deve essere messo sotto controllo e trattenuto.» Fece una lunga pausa poi aggiunse: «E non chiamatemi a quel modo!» Poi richiuse con forza la finestra.

Luc e l’Assassino, l’Assassino e Luc. Come potevano essere la stessa persona? Era impossibile. Eppure meno di due anni fa lui non credeva ai Trolloc e ai Fade. Avrebbe avuto tempo a sufficienza per preoccuparsene se mai gli avesse messo le mani addosso. Adesso c’erano Watch Hill, Deven Ride e... alcuni potevano essere salvati. Non tutti nei Fiumi Gemelli dovevano morire.

Mentre si recava nella sala comune si fermò in cima alle scale. Aram era in piedi in fondo alla scala e lo guardava, aspettando di seguirlo ovunque lo avrebbe guidato. Gaul era sdraiato su un pagliericcio vicino al camino con la gamba fasciata e apparentemente addormentato. Faile e le due Fanciulle sedevano a gambe incrociate vicino a lui e parlottavano sottovoce. Dal lato opposto della stanza c’era un pagliericcio molto più grande, ma Loial era seduto su una panca con le gambe allungate per farle entrare sotto al tavolo, quasi piegato in due per poter scrivere furiosamente con una penna alla luce di una candela. Senza dubbio stava prendendo nota di quanto era accaduto durante il viaggio per chiudere le Porte delle Vie. E se Perrin conosceva Loial, l’Ogier avrebbe attribuito tutto il merito a Gaul, che fosse vero oppure no. Loial non sembrava del parere che le sue azioni fossero coraggiose o che valesse la pena di annotarle. Tranne per la loro presenza la sala comune era vuota. Poteva ancora sentire la musica di quei violini. Pensò di aver riconosciuto il motivo. Adesso non era una canzone dei Calderai. Il mio amore è una rosa selvatica.

Faile guardò Perrin quando scese il primo gradino, alzandosi graziosamente per andargli incontro. Aram tornò a sedersi quando vide che Perrin non andava verso la porta.

«La tua camicia è umida» osservò Faile con tono accusatorio. «Ci hai dormito, vero? E con gli stivali, non mi stupirebbe. Non è passata nemmeno un’ora da quando ti ho lasciato. Adesso te ne torni subito sopra prima di cadere in terra.»

«Hai visto Luc andare via?» chiese Perrin. Faile tese le labbra, ma a volte ignorarla era la sola cosa che poteva fare. La ragazza vinceva troppo spesso quando discutevano.

«È passato correndo alcuni minuti fa ed è uscito dalla cucina» rispose alla fine. Queste furono le sue parole. Il tono di voce diceva che non aveva finito con lui e il letto.

«Sembrava... ferito?»

«Sì» confermò Faile lentamente. «Barcollava e stringeva qualcosa contro il petto sotto la giubba. Forse una benda. Comare Congar è in cucina, ma da quello che ho sentito l’ha quasi travolta. Come fai a saperlo?»

«L’ho sognato.» Gli occhi a mandorla acquisirono una luce pericolosa. Forse non stava pensando. Sapeva del sogno dei lupi. Si aspettava che le fornisse delle spiegazioni dove Bain e Chiad potevano sentire, per non parlare di Aram e Loial? Be’, forse non Loial, era così assorto nei suoi appunti che non avrebbe notato un gregge di pecore nella sala comune. «Gaul?»

«Comare Congar gli ha dato qualcosa per farlo dormire e un impiastro per la gamba. Quando le Aes Sedai si sveglieranno una di loro lo guarirà, se ritengono che la sua ferita sia abbastanza seria.»

«Vieni a sederti, Faile. Voglio che tu faccia qualcosa per me.» La ragazza lo guardò sospettosa ma lasciò che la guidasse verso una sedia. Quando si accomodarono Perrin si sporse sul tavolo cercando di dare alla voce un tono serio, ma non impellente. Non pressante. «Voglio che porti un messaggio per conto mio a Caemlyn. Durante il viaggio fa’ in modo che a Watch Hill siano informati di quanto sta succedendo qui. In realtà sarebbe meglio se oltrepassassero il Taren fino a quando non sarà tutto finito.» Questa ultima osservazione era sembrata accidentale, una cosa che gli era venuta in mente in quel momento. «Vorrei che chiedessi alla regina Morgase di inviare qui alcune delle guardie scelte. So che sto chiedendoti una cosa pericolosa, ma Bain e Chiad possono accompagnarti a Taren Ferry e il battello è ancora lì.» Chiad si alzò guardandolo ansiosa. Perché era ansiosa?

«Non dovrai lasciarlo» le disse Faile. Dopo un momento la donna aiel annuì e tornò a sedersi vicino a Gaul. Chiad e Gaul? Ma erano nemici di sangue. Stanotte non c’era una cosa che avesse senso.

«È un viaggio lungo fino a Caemlyn» proseguì Faile con calma. Gli occhi erano concentrati su quelli di Perrin, ma il viso avrebbe potuto essere di legno per l’espressione che aveva. «Settimane a cavallo, più tutto il tempo che ci vorrà per convincere Morgase, quindi altre settimane per ritornare con le guardie della regina.»

«Possiamo resistere facilmente per questo lasso di tempo» le disse. Che io sia folgorato se non posso mentire bene come Mat! pensò. «Luc aveva ragione. Non possono esserci più di mille Trolloc rimasti là fuori. Il sogno?» Faile annuì. Alla fine aveva capito. «Possiamo resistere a lungo, ma nel frattempo incendieranno i campi e faranno solo la Luce sa cosa. Abbiamo bisogno delle guardie della regina per liberarci di loro completamente. Tu sei quella più indicata per andare. Sai come parlare a una regina, essendone la cugina e tutto il resto. Faile, so che quanto ti sto chiedendo è pericoloso...» Non quanto restare però. «... Ma una volta che avrai raggiunto il battello sarai nella giusta direzione.»

Perrin non aveva sentito arrivare Loial finché l’Ogier non appoggiò il libro degli appunti di fronte a Faile. «Non ho potuto fare a meno di sentire. Faile, se andrai a Caemlyn, porteresti questo? Per tenerlo al sicuro fino a quando andrò a riprenderlo.» Guardando il volume quasi teneramente aggiunse: «Stampano molti bei libri a Caemlyn. Perdonami per averti interrotto, Perrin.» Ma gli occhi grandi di Loial erano su Faile, non su di lui. «Dovresti volare libera, come un falco.» Dando dei buffetti sulla spalla di Perrin, mormoro in un rombo profondo: «Dovrebbe volare libera» quindi andò verso il pagliericcio e si sdraiò con il viso rivolto verso il muro.

«È molto stanco» commentò Perrin, cercando di farlo sembrare solo un commento. Quello sciocco Ogier può rovinare tutto! «Se vai via stanotte potresti essere a Watch Hill per quando sorge il sole. Dovrai dirigerti verso est, ci sono meno Trolloc da quella parte. Questo per me è molto importante... per Emond’s Field, intendo. Lo farai?»

Faile lo fissò in silenzio così a lungo che Perrin si chiese se intendesse rispondere. Gli occhi della ragazza sembravano brillare. Quindi si alzò e si sedette in braccio a Perrin carezzandogli la barba. «Deve essere scorciata. Mi piace su di te ma non voglio che ti arrivi al petto.»

Perrin rimase quasi a bocca aperta. Faile cambiava spesso discorso, di solito però quando stava avendo la peggio in una discussione. «Faile, ti prego. Ho bisogno che porti questo messaggio a Caemlyn.»

Una mano gli strinse la barba e l’altra iniziò a muoversi come se lei stesse discutendo fra sé. «Andrò» rispose alla fine «ma voglio una ricompensa. Mi fai sempre fare le cose nel modo più difficile. In Saldea non dovrei essere io a chiedere. Il mio prezzo è... un matrimonio. Voglio sposarti» concluse velocemente.

«E io voglio sposare te» sorrise Perrin. «Possiamo prestare il giuramento davanti alla Cerchia delle Donne stanotte, ma temo che per il matrimonio dovremo aspettare un anno. Quando tornerai da Caemlyn...» Faile quasi gli strappò un ciuffo di barba.

«Mi sposerai stanotte,» puntualizzò con fierezza, a bassa voce «o non andrò!»

«Se ci fosse modo lo farei» protestò Perrin. «Daise Congar mi spaccherebbe la testa se cercassi di andare contro le usanze. Per amore della Luce, Faile, porta il messaggio e ti sposerò il primo giorno in cui mi sarà permesso.» Lo avrebbe fatto, se quel giorno fosse mai giunto.

Di colpo Faile fu molto concentrata sulla sua barba, lisciandogliela senza guardarlo negli occhi. Iniziò a parlare lentamente ma acquistò velocità come un cavallo in fuga. «Mi... è capitato di menzionare per caso... l’ho solo accennato a comare al’Vere, come abbiamo viaggiato assieme... non so come siamo entrate nel discorso... e lei ha detto... e comare Congar con lei... non che io abbia parlato con tutti! — ha detto che noi probabilmente... certamente... potremmo già essere considerati promessi sposi secondo le vostre usanze e che quell’anno serve solamente per accertarsi che veramente andiamo d’accordo — cosa che facciamo, come tutti possono vedere — e qui ti sto parlando apertamente come una di quelle sgualdrine Domanesi o una di quelle sfacciate Tarenesi... se ti azzardi a pensare a Berelain! Oh, Luce, sto farfugliando e tu non vuoi nemmeno...»

Perrin la interruppe baciandola profondamente come meglio sapeva fare.

«Vuoi sposarmi?» le disse senza fiato quando ebbe finito. «Stanotte?» Doveva aver fatto meglio di quanto credesse con quel bacio perché dovette ripetere la domanda sei volte, con lei che ridacchiava appoggiata al suo petto chiedendogli di ripeterlo prima che sembrasse capire.

Questo è il motivo per cui si ritrovò nemmeno mezz’ora dopo in ginocchio di fronte a lei nella sala comune, davanti a Daise Congar, Marin al’Vere, Alsbet Luhan, Neysa Ayellin e tutte le donne della Cerchia. Loial era stato svegliato per fargli da testimone con Aram, Bain e Chiad lo fecero per Faile. Non c’erano fiori da mettere nei capelli degli sposi, ma Bain, guidata da Marin, sistemò un lungo nastro rosso nuziale attorno al collo di Perrin e Loial fece lo stesso fra i capelli scuri di Faile, le grosse dita furono sorprendentemente agili e gentili. Le mani di Perrin tremavano mentre teneva quelle di Faile.

«Io, Perrin Aybara, ti do in pegno il mio amore, Faile Bashere, per tutta la vita.» Per tutta la vita e anche dopo. «Ciò che possiedo in questo mondo lo dono a te.» Un cavallo, un’ascia e un arco. Un martello. Non molto come dono nuziale. Ti dono la mia vita, amore mio. È tutto ciò che ho, pensò. «Ti terrò e stringerò, ti soccorrerò e mi prenderò cura di te, ti proteggerò e ti offrirò un riparo, per il resto dei miei giorni.» Non posso tenerti, il solo modo in cui posso proteggerti è mandarti via, pensava. «Sono tuo, sempre e per sempre.» Quando finì le mani gli tremavano visibilmente, Faile mosse le sue. «Io, Zarine Bashere...» Questa fu una sorpresa, odiava quel nome «... ti do in pegno il mio amore, Perrin Aybara...» Le mani di Faile non tremarono mai.

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