13 Scelte

Prima che si mettessero a dormire, Moiraine si accostò a ognuno di loro e gli posò sulla testa le mani. Lan brontolò di non averne bisogno, era inutile che sprecasse energie per lui, ma non cercò di fermarla. Egwene non vedeva l’ora di provare l’esperienza; Mat e Perrin, chiaramente spaventati, avevano paura di opporsi. Thom si ritrasse di scatto dalle mani dell’Aes Sedai, ma lei gli afferrò la testa, con un’occhiata che non ammetteva comportamenti da stupido. Il menestrello la guardò di storto per tutto il tempo. Nel togliere le mani, Moiraine gli rivolse un sorriso beffardo. Thom accentuò il cipiglio, ma parve davvero rinvigorito, come tutti gli altri.

Rand si era ritirato in una nicchia della parete, con la speranza che lei lo trascurasse. Avrebbe voluto chiudere gli occhi, ma si costrinse a guardare. Soffocò uno sbadiglio. Gli sarebbe bastato un paio d’ore di sonno. Ma Moiraine non si dimenticò di lui.

Al tocco freddo delle sue dita sul viso, Rand trasalì. Disse: «Non...» e sgranò gli occhi per la meraviglia. La stanchezza fluiva via come acqua che scorresse a valle; dolori e indolenzimenti divennero un ricordo confuso e svanirono. Rand fissò a bocca aperta l’Aes Sedai. Moiraine si limitò a sorridere e ritrasse le mani.

«Fatto» disse, alzandosi con un sospiro; e Rand ricordò che lei non poteva fare la stessa cosa per sé. A dire il vero, Moiraine bevve soltanto un po’ di tè e, nonostante l’insistenza di Lan, rifiutò il pane e formaggio; si rannicchiò accanto al fuoco, si avvolse nel mantello e parve addormentarsi all’istante.

Gli altri, tranne Lan, si distesero e chiusero gli occhi, ma Rand non capiva perché avessero sonno. Lui si sentiva come se avesse avuto una notte intera di riposo in un comodo letto. Però, appena si appoggiò alla parete, anche lui si addormentò di colpo. Quando, un’ora dopo, Lan lo svegliò, si sentiva come se avesse dormito tre giorni filati.

Il Custode svegliò tutti, tranne Moiraine, e disse di non fare rumore per non destarla. Ma concesse loro solo una breve permanenza nella comoda grotta. Prima che il sole salisse all’orizzonte, non c’era più traccia che qualcuno si fosse fermato lì e il gruppetto, rimontato a cavallo, si muoveva verso settentrione, alla volta di Baerlon, ad andatura moderata, per risparmiare i cavalli. Gli occhi dell’Aes Sedai erano velati, ma la donna sedeva dritta in sella.

Dietro di loro, sopra il fiume, la nebbia era ancora fitta: una muraglia grigia che resisteva ai deboli sforzi del sole per disperderla e che nascondeva i Fiumi Gemelli. Mente cavalcava, Rand si guardò indietro, con la speranza di dare un’ultima occhiata anche solo a Taren Ferry, quando il banco di nebbia fosse svanito.

«Non avrei mai creduto di essere tanto lontano da casa» commentò, quando infine gli alberi nascosero il fiume e il banco di nebbia. «Vi ricordate di quando Watch Hill sembrava lontanissimo?» E pensò: “Due giorni fa, lo era davvero. Un’eternità".

«In un paio di mesi torneremo» disse Perrin, con voce tesa. «Pensa a quante cose avremo da raccontare.»

«Neppure i Trolloc possono darci la caccia per sempre» disse Mat. «Prima o poi la smetteranno.» Drizzò le spalle, con un profondo sospiro, poi tornò ad abbassarle, come se neanche lui ci credesse.

«Ah, gli uomini!» sbuffò Egwene. «Hanno l’avventura da sempre sognata e già parlano di tornare a casa.» Teneva alta la testa, ma Rand notò un tremito nella voce, ora che il territorio dei Fiumi Gemelli era fuori vista.

Moiraine e Lan non dissero una parola per tranquillizzarli, per assicurare che sarebbero tornati. Rand cercò di non trarre conclusioni avventate. Aveva già abbastanza dubbi, per cercarne di nuovi. Ingobbito sulla sella, iniziò a fantasticare: insieme con Tam, badava alle pecore in un pascolo d’erba alta e rigogliosa, mentre le allodole cantavano nel mattino di primavera; e andava a Emond’s Field, festeggiava Bel Tine come una volta, ballava nel Parco senza altra preoccupazione se non quella di non sbagliare passo. Per un bel pezzo riuscì a perdersi in questo sogno a occhi aperti.

Il viaggio fino a Baerlon richiese quasi una settimana. Lan brontolò per la lentezza con cui procedevano, ma era lui a stabilire l’andatura e costringere gli altri a mantenerla. Verso se stesso e il suo cavallo, Mandarb (significava “Spada", nella Lingua Antica) non era molto tenero: percorreva il doppio di strada degli altri, andava al galoppo in avanscoperta, col mantello dai colori mutevoli che svolazzava al vento, per esaminare il terreno, oppure restava indietro a controllare le tracce. Chi tentava d’allungare il passo, però, riceveva rimproveri taglienti perché non si prendeva cura del cavallo, o commenti mordaci su come se la sarebbero cavata a piedi, se fossero comparsi i Trolloc. Nemmeno Moiraine sfuggiva alle sue frecciate, se si azzardava a far aumentare l’andatura alla giumenta bianca. Quest’ultima si chiamava Aldieb, che nella Lingua Antica significava “Vento di Ponente", il vento che porta le piogge di primavera.

Le esplorazioni del Custode non rivelarono mai segni d’inseguimento né pericoli d’imboscate. Lan riferiva solo a Moiraine quel che aveva visto, e sottovoce, in modo che gli altri non udissero; e l’Aes Sedai diceva ai compagni di viaggio quel che riteneva dovessero sapere. All’inizio Rand si guardava di frequente alle spalle. Non era il solo: Perrin sfiorava spesso l’ascia e Mat teneva una freccia incoccata. Ma il territorio era privo di Trolloc o di cavalieri dal mantello nero e nel cielo non volava alcun Draghkar. A poco a poco Rand cominciò a pensare che la fuga fosse riuscita davvero.

I boschi non offrivano gran riparo, nemmeno nei tratti dov’erano più fitti. A settentrione del Taren l’inverno perdurava come nei Fiumi Gemelli. Boschetti di pini, di abeti, di rododendri e qua e là un folto di benzoino o di alloro, punteggiavano una distesa di rami grigi e spogli. Nemmeno i sambuchi avevano foglie. Solo qualche nuovo germoglio risaltava, verde, contro il marrone di campi appiattiti dalle nevi dell’inverno.

Anche qui, però, gran parte delle piante era costituita di ortiche pungenti, di cardi spinosi e d’assafetida. Sul terreno brullo della foresta c’erano ancora chiazze dell’ultima neve, nei punti assai ombreggiati e sotto i rami più bassi dei sempreverdi. Ciascuno si teneva ben avvolto nel mantello, perché il sole non scaldava e di notte il freddo era pungente. Gli uccelli erano scarsi come nei Fiumi Gemelli, corvi compresi.

Il viaggio era lento, ma non meno faticoso. La Strada Settentrionale (Rand continuava a chiamarla così, anche se immaginava che cambiasse nome, al di là del Taren) correva quasi dritta, ma Lan insisteva per non seguire la strada di terra battuta e faceva frequenti deviazioni qua e là nella foresta. Un villaggio, una fattoria, un segno qualsiasi della presenza di gente, li induceva a compiere un largo giro di diverse miglia, ma questo accadde poche volte. Per tutto il primo giorno Rand non vide segno, strada a parte, che l’uomo fosse mai stato in quei boschi. Nemmeno ai piedi delle Montagne di Nebbia sarebbero stati così lontano da luoghi abitati.

La prima fattoria che incontrarono — un’ampia casa di legno con un’alta stalla, tetto a punta coperto di stoppie e un ricciolo di fumo che s’alzava dal camino di pietra — fu una vera sorpresa.

«Non è per niente diversa dalle nostre» disse Perrin, scrutando da lontano la fattoria appena visibile tra gli alberi. Alcune persone si muovevano nell’aia, ignare per il momento della presenza di viandanti.

«Certo che è diversa» disse Mat. «Solo, da questa distanza non vediamo le differenze.»

«È uguale alle nostre, ti dico» insistette Perrin.

«Non può. Siamo a settentrione del Taren, in fin dei conti.»

«Zitti, voi due» brontolò Lan. «Nessuno deve vederci, l’avete dimenticato? Da questa parte.» Deviò verso ponente, per girare intorno alla casa sfruttando il riparo dei boschi.

Rand pensò che Perrin aveva ragione. La fattoria sembrava identica a quelle intorno a Emond’s Field. Un bambino tirava acqua dal pozzo e ragazzi più grandicelli badavano alle pecore chiuse in un recinto. C’era perfino un essiccatoio per il tabacco. Ma anche Mat aveva ragione: avevano attraversato il Taren, quindi c’erano di sicuro delle diversità.

Si fermavano sempre prima che la luce fosse scomparsa, per scegliere un luogo in pendenza per il drenaggio e riparato dal vento che di rado cessava completamente, ma in genere cambiava direzione. Il fuoco era sempre piccolo e nascosto; fatto il tè, lo spegnevano e ricoprivano di terriccio le braci.

Alla prima sosta, al calar del sole, Lan iniziò a insegnare ai tre ragazzi l’uso delle armi che portavano. Iniziò con l’arco. Dopo avere visto Mat infilare tre frecce in un nodo grosso quanto una testa, nel tronco spaccato di un rododendro morto, da cento passi di distanza, Lan disse agli altri due di provare. Perrin uguagliò l’impresa di Mat; Rand, evocando la fiamma e il vuoto, la calma che rendeva l’arco parte di lui stesso, piantò le tre frecce quasi l’una sull’altra. Mat si congratulò con lui dandogli una pacca sulla schiena.

«Ora, se tutt’e tre aveste un arco» disse il Custode, asciutto, quando loro iniziarono a ridacchiare «e se i Trolloc fossero d’accordo a non venire troppo vicino, in modo da lasciarvelo usare...» I sorrisi svanirono di colpo. «Vediamo cosa posso insegnarvi, nell’eventualità che si avvicinino troppo.»

Mostrò a Perrin come adoperare l’ascia: colpire un avversario armato era ben diverso che spaccare legna o farla roteare per finta. Gli diede da fare una serie di esercizi, schivate, parate, attacchi. E insegnò a Rand la scherma: non saltelli scomposti e colpi all’impazzata, ma movimenti sciolti che fluivano l’uno nell’altro, quasi simili a una danza.

«Non basta muovere la spada» disse Lan. «Bisogna usare la mente. È la parte più importante. Svuota la mente, pastore. Dimentica odio e paura, qualsiasi emozione. Lo stesso discorso vale anche se si usa ascia o arco, lancia o bastone dalla punta ferrata, perfino le mani nude.»

Rand lo fissò. «La fiamma e il vuoto» disse, stupito. «Intendi questo, vero? Mio padre me l’ha insegnato.»

Il Custode gli restituì un’occhiata insondabile. «Tieni la spada come ti ho insegnato, pastore. In un’ora non posso mutare in spadaccino provetto un paesano dai piedi sporchi di fango, ma forse riuscirò a fare in modo che non ti tagli un piede da solo.»

Con un sospiro Rand modificò la posizione della spada impugnata a due mani, tenendola verticalmente davanti a sé. Moiraine li guardò con indifferenza, ma la sera seguente disse a Lan di continuare le lezioni.

La cena era uguale al pranzo e alla colazione: pane, formaggio e carne secca; ma la sera bevevano tè caldo, invece di semplice acqua. E Thom teneva spettacolo. Lan non gli permise di suonare l’arpa o il flauto — non c’era bisogno di svegliare tutta la campagna, disse — ma il menestrello faceva giochi di prestigio e raccontava storie: “Mara e i tre re sciocchi", oppure una delle cento storie su Asla la Saggia, o un’epopea splendida e avventurosa come La grande Cerca del Corno, ma tutte a lieto fine, concluse con il ritorno a casa del protagonista.

Eppure, anche se il territorio era pacifico, se fra gli alberi non comparivano Trolloc e fra le nubi non volavano Draghkar, a Rand pareva che loro stessi trovavano il modo di far aumentare la tensione, appena correva il rischio di svanire.

Ogni sera, spento il fuoco, ciascuno si avvolgeva nelle coperte, tranne Egwene e l’Aes Sedai che si allontanavano dagli altri e restavano a parlottare per un paio d’ore. Un mattino Egwene, appena sveglia, iniziò a sciogliersi la treccia. Mentre arrotolava le coperte, Rand la osservò con la coda dell’occhio. Egwene si pettinò i capelli... cento colpi di pettine, contò Rand, passando a sellare Cloud e a legare dietro la sella le bisacce e il rotolo di coperte. Poi Egwene ripose il pettine, si tirò sulla spalla i capelli sciolti e abbassò il cappuccio del mantello.

Sorpreso, Rand le domandò: «Cosa combini?» Lei gli lanciò un’occhiata di sbieco, senza rispondere. Era la prima volta che Rand le parlava, in due giorni, dalla notte nella grotta di tronchi sulla riva del Taren, ma non per questo si lasciò fermare. «Per tutta la vita non hai visto l’ora di portare la treccia e adesso la sciogli? Come mai? Perché lei non la porta?»

«In genere le Aes Sedai non portano la treccia» rispose Egwene, semplicemente.

«Non sei una Aes Sedai. Sei Egwene al’Vere di Emond’s Field. La Cerchia delle Donne darebbe in escandescenze, se ti vedesse.»

«Gli affari della Cerchia non ti riguardano, Rand al’Thor. E diventerò Aes Sedai. Appena arrivo a Tar Valon.»

Rand sbuffò. «Appena arrivi a Tar Valon. Perché? Santa Luce, spiegamelo. Non sei Amica delle Tenebre.»

«Credi che Moiraine Sedai sia Amica delle Tenebre? Davvero?» Si girò per affrontarlo, a pugni chiusi, e Rand quasi pensò che stesse per colpirlo. «Dopo che ha salvato il villaggio? Dopo che ha salvato tuo padre?»

«Non so che cos’è lei, ma in ogni caso non rappresenta tutte le altre Aes Sedai. Le storie...»

«Non fare il bambino, Rand! Dimentica le storie e usa gli occhi.»

«I miei occhi l’hanno vista affondare il traghetto! Negalo! Se ti metti in testa un’idea, non la cambi neppure se ti dicono che cerchi di camminare sull’acqua. Se non fossi così cieca, vedresti...»

«Cieca, io? Lascia che ti dica un paio di cose, Rand al’Thor! Sei la testa di rapa più cocciuta che...»

«Avete intenzione di svegliare tutti nel raggio di dieci miglia?» intervenne il Custode.

A bocca aperta, solo allora Rand si rese conto d’avere alzato la voce per avere la meglio nella discussione. Anzi, si erano messi a gridare tutt’e due.

Egwene arrossì fino alla punta dei capelli e si girò di scatto, brontolando un: «Uomini!» che parve rivolto tanto a Rand quanto al Custode.

Rand si accorse che tutti lo fissavano, non solo il Custode. Mat e Perrin, bianchi in viso. Thom, teso come se si preparasse a scappare o a combattere. Moiraine. Il viso dell’Aes Sedai era inespressivo, ma gli occhi sembravano scavare nel cervello di Rand. Disperato, il ragazzo cercò di ricordare quello che aveva detto esattamente a proposito di Aes Sedai e di Amici delle Tenebre.

«È ora di andare» disse Moiraine. Si girò verso Aldieb e Rand rabbrividì come se l’avessero lasciato sgusciare via da una trappola. E si domandò se ne era uscito davvero.

Due sere dopo, mentre il fuoco si consumava, Mat si leccò dalle dita le ultime briciole di formaggio e disse: «Sapete, penso che ce ne siamo liberati per sempre.» Lan si era allontanato per un ultimo giro d’ispezione. Moiraine e Egwene si tenevano in disparte per la solita chiacchierata serale. Thom dormicchiava con la pipa in bocca e i tre ragazzi avevano il fuoco tutto per loro.

Con uno stecco Perrin agitò pigramente le braci. «Allora perché Lan continua a fare ricognizioni?» replicò. Rand, quasi addormentato, si girò con la schiena al fuoco.

«Ce ne siamo liberati a Taren Ferry» disse Mat. Si distese sul dorso, dita intrecciate sulla nuca, a fissare il cielo illuminato dalla luna. «Se davvero ci inseguivano.»

«Credi che quel Draghkar ci desse la caccia perché gli eravamo simpatici?» disse Perrin.

«Smettiamo di preoccuparci di Trolloc e cose del genere» continuò Mat, come se Perrin non avesse parlato. «Pensiamo a vedere il mondo. Come sarà, una città vera?»

«Siamo già diretti a Baerlon» disse Rand, assonnato.

Mat sbuffò. «Baerlon va bene, ma ho visto quell’antica mappa di mastro al’Vere. Se, giunti a Caemlyn, deviamo a meridione, la strada porta fino a Illian e oltre.»

«Cosa c’è di tanto speciale, a Illian?» domandò Perrin, con uno sbadiglio.

«Tanto per cominciare, Illian non è piena di Aes Se...»

Mat si bloccò e all’improvviso Rand fu ben sveglio. Moiraine e Egwene erano tornate prima del solito. Mat, ancora a bocca aperta, fissava l’Aes Sedai, ferma al limitare della zona illuminata dal fuoco. Gli occhi di Moiraine riflettevano la luce come pietre scure e lucide. Rand si domandò da quanto tempo fosse lì.

«I ragazzi stavano solo...» cominciò Thom; ma Moiraine lo interruppe.

«Un paio di giorni di tregua, e siete pronti a cedere.» La voce, calma e uniforme, contrastava con lo splendore degli occhi. «Avete già dimenticato la Notte d’Inverno.»

«Non l’abbiamo dimenticata» disse Perrin. «Solo...» Sempre senza alzare la voce, l’Aes Sedai interruppe anche lui.

«La pensate così, tutti quanti? Siete ansiosi di correre a Illian e dimenticare Trolloc, Mezzi Uomini e Draghkar?» Girò lo sguardo su di loro (il luccichio di pietra, confrontato col tono di voce di tutti i giorni, mise a disagio Rand), ma non diede a nessuno l’occasione di parlare. «Il Tenebroso vi cerca, uno solo o tutti e tre; se vi lascio andare, vi prenderà. Se il Tenebroso vuole una cosa, io mi oppongo. Perciò, ascoltatemi bene: non permetterò che il Tenebroso metta le mani su di voi, a costo di distruggervi io stessa.»

Fu il suo tono, così concreto, a convincere Rand. L’Aes Sedai avrebbe fatto esattamente quel che aveva dichiarato, se l’avesse ritenuto necessario. Rand dormì assai male, quella notte, e non fu l’unico. Perfino il menestrello cominciò a russare solo molto dopo che le braci si spensero. Una volta tanto, Moiraine non offrì alcun aiuto.

Quelle chiacchierate serali fra Egwene e l’Aes Sedai erano un punto dolente, per Rand. Ogni volta che le due donne sparivano nel buio, si domandava che cosa dicessero, che cosa facessero.

Una sera attese che gli altri si fossero addormentati e che Thom cominciasse a russare come una sega che tagli un nodo di quercia. Allora entrò in azione di soppiatto, stringendosi addosso la coperta.

Mettendo in pratica l’abilità nel dare la caccia ai conigli selvatici, si mosse sfruttando le ombre della luna, finché non si acquattò alla base di un rododendro ricco di foglie larghe e coriacee, abbastanza vicino da udire Moiraine e Egwene, sedute su un tronco caduto, alla luce di una piccola lanterna.

«Chiedi pure» diceva in quel momento Moiraine «e se posso, ti risponderò ora stesso. Vedi, ci sono molte cose per cui non sei ancora pronta, cose che non puoi imparare finché non ne avrai apprese altre che richiedono anch’esse altre nozioni preliminari. Ma domanda pure quel che vuoi.»

«I Cinque Poteri» disse lentamente Egwene. «Terra, Aria, Fuoco, Acqua e Spirito. Non mi sembra giusto che fossero gli uomini a usare Terra e Fuoco, i Poteri più forti.»

Moiraine rise. «Credi, bambina? C’è una roccia così dura che aria e acqua non possano consumare? Un fuoco così forte che acqua e aria non possano estinguere?»

Egwene rimase in silenzio per un poco, grattando con l’alluce il terriccio della foresta. «Erano... erano quelli che... che cercarono di liberare il Tenebroso e i Reietti, vero? La controparte maschile delle Aes Sedai?» Trasse un respiro profondo e continuò d’un fiato. «Le donne non ne ebbero colpa. Furono gli uomini, a impazzire e a distruggere il mondo.»

«Tu hai paura» disse Moiraine, cupa. «Se rimanevi a Emond’s Field, col tempo saresti diventata la Sapiente del villaggio. Era il piano di Nynaeve, vero? Oppure saresti entrata nella Cerchia delle Donne e avresti manovrato gli affari di Emond’s Field, mentre il Consiglio del Villaggio pensava di essere autonomo. Invece hai fatto l’impensabile. Hai lasciato Emond’s Field e i Fiumi Gemelli per cercare l’avventura. Volevi farlo, ma nello stesso tempo hai paura. E ti ostini a cercare di vincerla. Altrimenti non mi avresti domandato come si diventa Aes Sedai. Non avresti gettato alle ortiche consuetudini e convenzioni.»

«No» protestò Egwene «non ho paura. Voglio diventare Aes Sedai.»

«Sarebbe meglio se tu avessi paura, ma mi auguro che tu mantenga questa convinzione. Al giorno d’oggi, poche donne hanno la capacità, oltre che il desiderio, di diventare iniziate.» A giudicare dalla voce, sembrava che Moiraine meditasse ad alta voce. «Certo, mai prima d’ora ce ne sono state due in un solo villaggio. L’antico sangue è davvero ancora forte, nei Fiumi Gemelli.»

Nell’ombra, Rand cambiò posizione; senza volerlo, spezzò col piede un rametto. S’immobilizzò di colpo, sudando e trattenendo il fiato, ma parve che nessuno avesse udito.

«Due?» esclamò Egwene. «Chi è l’altra? Kari Thane? Lara Ayellan?»

«Dimentica quel che ho detto» rispose Moiraine, in tono severo. «La sua strada porta in un’altra direzione, purtroppo. Pensa invece a te stessa. Non hai scelto una strada agevole.»

«Non mi tirerò indietro.»

«Sia come sia. Però vuoi ancora essere rassicurata e io non posso farlo, non come desideri.»

«Non capisco.»

«Vorresti sentirti dire che le Aes Sedai sono buone e pure, che furono quegli uomini malvagi e non le donne, a causare la Frattura del Mondo. Be’, furono gli uomini, ma non erano più malvagi degli uomini in generale. Erano pazzi. Le Aes Sedai che troverai a Tar Valon sono creature umane, non diverse dalle altre donne, tranne per il talento che ci distingue. Sono coraggiose e pusillanimi, forti e deboli, gentili e crudeli, calorose e gelide. Diventare Aes Sedai non cambierà la tua personalità.»

Egwene inspirò a fondo. «Proprio questo mi spaventava, credo. Che il Potere mi cambiasse. E anche i Trolloc. E il Fade. E... in nome della Luce, Moiraine Sedai, perché i Trolloc sono venuti a Emond’s Field?»

L’Aes Sedai girò la testa e fissò proprio il punto in cui Rand si teneva nascosto, con occhi duri come quando li aveva minacciati. Rand trattenne il fiato: aveva la sensazione che quegli occhi penetrassero fra i fitti rami del rododendro.

Cercò di confondersi con le ombre più fitte. Con lo sguardo sulle donne, inciampò in una radice e riuscì a malapena a non ruzzolare nei cespugli secchi che avrebbero rivelato la sua presenza con uno scoppiettio di rami spezzati simile a un fuoco d’artificio. Ansimando, si allontanò carponi, senza fare rumore più che altro per fortuna. Il cuore gli batteva così forte che da solo avrebbe potuto rivelare la sua presenza. Che pazzia, origliare i discorsi di una Aes Sedai!

Tornò accanto agli altri e riprese posto fra loro. Lan si mosse, quando Rand si distese sul terreno e si avvolse nella coperta, ma si era solo rigirato nel sonno. Rand emise un lungo, muto sospiro.

L’attimo dopo, Moiraine emerse dal buio e si fermò a osservare le figure addormentate. La luce della luna formava un alone intorno a lei. Rand chiuse gli occhi e respirò a ritmo regolare, ma tese le orecchie per scoprire se i passi si avvicinavano. Non udì niente. Quando riaprì gli occhi, Moiraine era scomparsa.

Alla fine si addormentò, ma ebbe un sonno inquieto, pieno di brutti sogni in cui tutti gli uomini di Emond’s Field sostenevano d’essere il Drago Rinato e tutte le donne avevano nei capelli una gemma azzurra come quella di Moiraine. Da quella volta, non cercò più di ascoltare di nascosto le conversazioni fra Moiraine e Egwene.

Il lento viaggio arrivò al sesto giorno. Il sole privo di calore scivolava lentamente verso le cime degli alberi e una manciata di nuvole rade si muoveva in alto verso settentrione. Per un momento il vento soffiò più forte e Rand si strinse nel mantello, brontolando. Chissà se sarebbero mai arrivati a Baerlon. Avevano già percorso strada sufficiente ad andare da Taren Ferry al fiume Bianco; ma Lan diceva, ogni volta che glielo chiedevano, che era un viaggio breve, nemmeno degno di questo nome. E Rand si sentiva smarrito.

Lan comparve nei boschi davanti a loro, di ritorno da un giro d’esplorazione. Si accostò a Moiraine e chinò la testa a parlarle nell’orecchio.

Rand storse la bocca, ma non disse niente. Lan si rifiutava di rispondere a quel tipo di domande.

Degli altri, solo Egwene parve notare il ritorno di Lan, ma anche lei restò zitta. L’Aes Sedai aveva iniziato a comportarsi come se Egwene avesse la responsabilità dei tre di Emond’s Field, ma questo non le dava voce in capitolo, quando il Custode faceva rapporto. Perrin in quel momento portava l’arco di Mat ed era immerso nel silenzio assorto che sembrava impadronirsi sempre più di loro mentre si allontanavano dai Fiumi Gemelli. L’andatura al passo permetteva a Mat di allenarsi a fare un gioco di prestigio con tre ciottoli, sotto l’occhio attento di Thom Merrilin. Anche il menestrello, come Lan, dava lezioni serali.

Moiraine ascoltò il rapporto del Custode e si girò sulla sella per guardare gli altri. Rand cercò di non irrigidirsi, quando gli occhi dell’Aes Sedai si posarono su di lui. Si erano trattenuti un momento di più che sugli altri? Ebbe la sconvolgente impressione che lei sapesse chi aveva origliato nel buio.

«Ehi, Rand» lo chiamò Mat. «Riesco a farlo con quattro! Lo sapevo che ci sarei riuscito prima di te. Ora... Guarda laggiù!»

Erano arrivati in cima a un’altura; in basso, a meno d’un miglio di strada fra alberi spogli e le ombre della sera, c’era Baerlon. Rand rimase a bocca aperta.

Un muro di tronchi, alto quasi venti piedi e intervallato da torri di guardia, circondava la città. All’interno, tetti d’ardesia e di tegole scintillavano agli ultimi raggi di sole e pennacchi di fumo si alzavano dai comignoli. Centinaia di comignoli. Non si vedeva nemmeno un tetto di stoppie. Un’ampia strada correva a levante della città, e un’altra a ponente, ciascuna percorsa da una decina di carri e da un numero doppio di carretti tirati da buoi, diretti alla palizzata. Intorno alla città c’erano diverse fattorie, più raggruppate verso settentrione, mentre un numero inferiore interrompeva la foresta a meridione: ma Rand non le notò nemmeno. “È più vasta di Emond’s Field e Watch Hill e Deven Ride messi insieme!" pensò. “Con l’aggiunta di Taren Ferry, forse."

«Così questa è una città» mormorò Mat, sporgendosi sul collo del cavallo per guardare meglio.

Perrin scosse la testa. «Come fa tanta gente a vivere nello stesso posto?»

Egwene si limitò a fissare la scena.

Thom Merrilin diede un’occhiata a Mat, poi roteò gli occhi e sbuffò sotto i baffi. «Città!» esclamò, beffardo.

«E tu, Rand?» disse Moiraine. «Che te ne pare, della prima occhiata a Baerlon?»

«Che è molto lontano da casa» rispose lui lentamente, provocando la risata di Mat.

«E dovete andare ancora più lontano» disse Moiraine. «Molto più lontano. Ma non avete altra scelta, tranne scappare e nascondervi e scappare di nuovo per il resto della vita. E sarebbe una vita breve. Ricordatevene, quando il viaggio diventerà duro. Non avete scelta.»

Rand guardò Mat e Perrin. A giudicare dall’espressione, pensavano la stessa cosa che pensava lui. Come poteva parlare di scelte, Moiraine? L’Aes Sedai aveva scelto per loro.

«Qui cominciano di nuovo i pericoli» continuò Moiraine, come se i loro pensieri non fossero evidenti. «Fate attenzione a quel che dite, dentro quelle mura. Soprattutto, non parlate di Trolloc, di Mezzi Uomini né cose del genere. Ed evitate anche di pensare al Tenebroso. A Baerlon c’è gente che non può soffrire le Aes Sedai, peggio che a Emond’s Field. E forse ci sono anche Amici delle Tenebre.» Egwene ansimò e Perrin borbottò sottovoce. Mat impallidì, ma Moiraine continuò con calma: «Dobbiamo attirare l’attenzione il meno possibile.» Intanto Lan cambiava il mantello cangiante con un altro marrone scuro, più ordinario, anche se di buon taglio e di buona stoffa. Il mantello grigio e verde, dai colori mutevoli, finì in una delle bisacce. «Non useremo il nostro nome» continuò Moiraine. «Qui mi conoscono come Alys, e Lan è Andra. Ricordatelo. Bene. Entriamo in città, prima che la notte ci sorprenda. Le porte di Baerlon restano chiuse dal tramonto all’alba.»

Lan li guidò giù dalla collina, tra i boschi, fino alle mura di tronchi. La strada oltrepassò a distanza una decina di fattorie e terminò davanti alle porte di legno rinforzato da ampie strisce di ferro nero, già chiuse, anche se il sole non era ancora calato.

Lan si accostò alle mura e diede uno strattone alla fune sfilacciata che pendeva a lato del battente. Dall’altra parte del muro provenne un rintocco di campana. Una faccia avvizzita, sotto un malconcio berretto di tela, si sporse a scrutare sospettosamente dalle mura, fra le estremità mozzate di due tronchi, tre buone braccia sopra di loro.

«Cosa c’è? È troppo tardi per aprire questa porta. Troppo tardi, ho detto. Fate il giro fino alla Porta del Ponte Bianco, se volete entrare.» Moiraine si spostò in modo che l’uomo in cima alle mura potesse vederla chiaramente. Le rughe del vecchio si infittirono in un sorriso sdentato e l’uomo parve tentennare. «Oh, Lady, non sapevo che fossi tu. Scendo subito. Aspetta solo un momento. Vengo, vengo.»

La testa scomparve, ma Rand udì ancora la voce soffocata che diceva di restare lì, che lui arrivava. Con grandi gemiti di protesta, a dimostrare quanto poco fosse usato, il battente di destra si aprì lentamente verso l’esterno. Lasciò spazio sufficiente al passaggio di un cavallo per volta; il guardiano sporse la testa nel varco, sorrise di nuovo e si ritirò per non intralciare. Moiraine seguì Lan, con Egwene subito dietro di lei.

Rand spinse Cloud dietro Bela e si ritrovò in una viuzza, di fronte ad alte staccionate e a magazzini privi di finestre, con porte ampie e ben chiuse. Moiraine e Lan erano già smontati e parlavano al guardiano; anche Rand scese di sella.

L’ometto, in mantello e giubba pieni di rammendi, reggeva in mano il berretto di tela e chinava la testa a ogni frase. Scrutò quelli che smontavano dietro Lan e Moiraine e scosse la testa. «Gente di campagna» disse e sorrise. «Come mai, lady Alys, ti metti a raccattare bifolchi che hanno ancora fieno nei capelli?» Guardò Thom Merrilin. «Tu non sei un pecoraio. Ricordo d’averti fatto uscire, qualche giorno fa. In campagna non hanno apprezzato i tuoi trucchi, eh, menestrello?»

«Mi auguro che tu abbia dimenticato d’averci fatto uscire, mastro Avin» disse Lan, mettendogli nella mano libera una moneta. «E che dimentichi anche d’averci fatto rientrare.»

«Non ce n’è bisogno, mastro Andra. Non ce n’è bisogno. Mi hai dato abbastanza, quando siete usciti. Fin troppo.» Nonostante la protesta, Avin fece scomparire con destrezza la moneta, come se fosse anche lui un giocoliere. «Non ho parlato con nessuno, né parlerò. Soprattutto coi Manti Bianchi» terminò, torvo. Sporse le labbra per sputare, guardò Moiraine e invece deglutì.

Rand, sorpreso, tenne la bocca chiusa e gli altri lo imitarono, anche se a Mat costò un certo sforzo. I Figli della Luce! Le storie che li riguardavano, raccontante da venditori e mercanti e guardie di mercanti, andavano dall’ammirazione all’odio, ma concordavano sul fatto che i Figli odiavano tanto le Aes Sedai quanto gli Amici delle Tenebre. Forse altri guai erano già in vista.

«I Figli sono a Baerlon?» domandò Lan.

«Oh, certo! Se ricordo bene, sono giunti il giorno stesso in cui ve ne siete andati. Qui nessuno li può soffrire. Ma non lo dà a vedere, è ovvio.»

«Hanno detto perché sono venuti?» domandò Moiraine, pensierosa.

«Perché sono venuti, Lady?» Per lo stupore, Avin dimenticò perfino di abbassare la testa. «Certo che l’hanno detto... Oh, dimenticavo, siete stati giù nelle campagne. Da quelle parti avrete udito solo belati di pecore. Sono venuti a causa degli avvenimenti nel Ghealdan. Il Drago, sapete... be’, quello che si definisce Drago. Dicono che questo tizio scatena il male e che loro sono qui per soffocarlo, solo che lui è nel Ghealdan, non qui. Una scusa per immischiarsi negli affari della gente, secondo me. Sulla porta di qualcuno si è già vista la Zanna del Drago.» Questa volta sputò.

«Allora hanno già provocato molti guai?» domandò Lan. Avin scosse con vigore la testa.

«No. Ma non per mancanza di volontà, secondo me» precisò. «Nemmeno il Governatore si fida di loro. Ne lascia entrare una decina per volta. Sono furibondi, per questo. Ho sentito dire che si sono accampati poco lontano, verso settentrione. Scommetto che i contadini non fanno che guardarsi alle spalle. Quelli in città si limitano a girare per le vie, con il loro mantello bianco, guardando dall’alto in basso i galantuomini. Camminate nella Luce, dicono, ed è un ordine. Più d’una volta hanno rischiato di venire alle mani con i carrettieri e i minatori e i fonditori e tutti gli altri, perfino con le Guardie, ma il Governatore vuole che ci sia pace e per ora così è stato. Se danno la caccia al male, dico io, perché non sono nella Saldaea? Lassù ci sono disordini, ho sentito dire. Oppure nel Ghealdan? Laggiù c’è stata una grande battaglia, dicono. Grande davvero.»

Moiraine trasse un sospiro. «Ho saputo che le Aes Sedai andavano nel Ghealdan.»

«Sì, Lady, ci sono andate.» Avin ricominciò a muovere a scatti la testa. «Sono andate nel Ghealdan, d’accordo, e proprio questo ha scatenato la battaglia. Alcune Aes Sedai sono morte, si dice. Forse tutte. So che a certuni le Aes Sedai non piacciono, ma chi altri può fermare un falso Drago? E quei maledetti pazzi che credono di poter essere Aes Sedai maschi. E loro? Certo, dicono alcuni... non i Manti Bianchi, bada bene, e neppure io, ma alcune persone... che forse quel tizio è davvero il Drago Rinato. Fa cose straordinarie, dicono. Adopera l’Unico Potere. Lo seguono a migliaia.»

«Non dire sciocchezze» intervenne bruscamente Lan e Avin mostrò un’espressione ferita.

«Dico solo quel che ho udito, no? Solo le voci che girano, mastro Andra. Pare che muova l’esercito a oriente e a meridione, verso Tear.» Il tono era carico di significato. «L’ha chiamato il Popolo del Drago.»

«I nomi significano poco» disse Moiraine, con calma. Se era rimasta turbata dalle notizie, non lo dava a vedere. «Potresti chiamare Popolo del Drago il tuo mulo, se te ne venisse voglia.»

«Oh, non credo, Lady» ridacchiò Avin. «Non certo con i Manti Bianchi qui in giro. E nemmeno gli altri vedrebbero di buon occhio un nome simile. Capisco cosa vuoi dire, ma... no, Lady, non il mio mulo.»

«Saggia decisione. Ma ora dobbiamo andare.»

«E stai tranquilla, Lady» disse Avin, con un profondo inchino. «Io non ho visto nessuno.» Corse alla porta e cominciò a richiuderla, con rapidi strattoni. «Non ho visto nessuno e non ho visto niente.» La porta si chiuse con un tonfo e lui tirò giù la sbarra, servendosi dell’apposita fune. «Sono parecchi giorni, Lady, che questa porta non viene aperta.»

«La Luce t’illumini, Avin.»

Moiraine si allontanò dalla porta. Rand si guardò indietro: Avin sembrava intento a lucidare una moneta, con un angolo del mantello, e a ridacchiare.

Seguirono vie polverose larghe appena quanto due carri, deserte, costeggiate di magazzini e qualche alta staccionata. Per un poco Rand camminò accanto al menestrello. «Thom, cos’erano quei discorsi su Tear e il Popolo del Drago? Tear non è una città sul mare delle Tempeste?»

«Il ciclo di Karaethon» rispose Thom, concisamente.

Rand rimase sorpreso. Le profezie del Drago. «Nessuno racconta il... queste storie, nei Fiumi Gemelli. Non certo a Emond’s Field, in ogni caso. La Sapiente li spellerebbe vivi, se li udisse.»

«Penso proprio di sì» disse Thom, caustico. Lanciò un’occhiata a Moiraine, più avanti insieme con Lan, capì che non poteva udirlo e continuò: «Tear è il più grande porto sul mare delle Tempeste e la Pietra di Tear è la fortezza che lo protegge. Si dice che la Pietra sia la prima fortezza costruita dopo la Frattura del Mondo; da quando esiste, non è mai caduta, anche se più d’un esercito ha provato ad assalirla. Una Profezia dice che la Pietra di Tear non cadrà mai, finché non vi arriverà il Popolo del Drago. Un’altra dice che la Pietra non cadrà finché la mano del Drago non impugnerà la Spada Intoccabile.» Thom fece una smorfia. «La caduta della Pietra sarà una delle prove più significative della rinascita del Drago. Possa restare in piedi finché non sarò polvere!»

«La spada intoccabile?»

«Proprio così. Non so se sia realmente una spada. Comunque si trova nel Cuore della Pietra, la cittadella centrale della fortezza. Solo i Sommi Signori di Tear posso entrarvi e non parlano mai di quel che c’è all’interno. Non ai menestrelli, di sicuro.»

Rand corrugò la fronte. «La Pietra non può cadere finché il Drago non impugna la spada, ma come può impugnarla, se la Pietra non è già caduta? Il Drago è forse un Sommo Signore di Tear?»

«Non credo proprio. Tear odia qualsiasi cosa abbia a che fare col Potere, anche più di Amador; e Amador è la fortezza dei Figli della Luce.»

«Allora come può avverarsi la Profezia? Mi piacerebbe che il Drago non rinascesse mai, ma una profezia che non possa verificarsi non ha senso. Sembra una storia intesa a far credere alla gente che il Drago non rinascerà mai. È così?»

«Fai un mucchio di domande, ragazzo. Una profezia che si verifichi facilmente non varrebbe molto, eh?» A un tratto il tono di voce divenne più vivace. «Bene, siamo arrivati a destinazione. Quale che sia.»

Lan si era fermato in una zona di alte staccionate che parevano identiche alle altre già viste. Infilò fra due assi la lama del pugnale. Poi borbottò, soddisfatto: diede uno strattone e un pezzo di staccionata si spalancò come una porta. Era proprio una porta, vide Rand, anche se fatta per essere aperta solo dall’altro lato. Lo dimostrava il chiavistello di ferro che Lan aveva sollevato usando la punta del pugnale.

Moiraine la varcò immediatamente, tirandosi dietro Aldieb. Lan indicò agli altri di seguirla e restò indietro per chiudere la porta.

Rand si trovò nelle stalle di una locanda. Dalla cucina proveniva un acciottolio di stoviglie, ma Rand fu colpito soprattutto dalla grandezza dell’edificio: aveva un’estensione almeno doppia della Fonte di Vino e si alzava su quattro piani. Almeno metà delle finestre era già illuminata, nel crepuscolo che s’infittiva. Rand si meravigliò che in quella città ci fosse un numero così alto di forestieri.

Si erano appena inoltrati nella stalla, quando sulla soglia dell’ampia porta ad arco comparvero tre uomini in grembiule di tela. L’unico che non avesse in mano un forcone per lo strame, un tipo robusto, avanzò agitando le braccia.

«Ehi! Ehi! Non potete entrare da questa parte! Dovete fare il giro e passare dal davanti!»

Lan portò la mano al borsello, ma nello stesso istante un uomo panciuto quanto mastro al’Vere uscì in fretta dalla locanda; ciuffi di capelli gli ricadevano sulle orecchie; il grembiule bianco e pulito lo proclamava il padrone della locanda.

«Tutto a posto, Mutch» disse il nuovo venuto. «Tutto a posto. Sono gli ospiti che aspettavo. Bada ai loro cavalli, adesso, e trattali bene.»

Accigliato, Mutch chiamò in aiuto gli altri due. Rand e i suoi compagni si affrettarono a togliere ai cavalli sella e rotolo di coperte, mentre il locandiere si rivolgeva a Moiraine. Eseguì un profondo inchino e parlò con un sorriso sincero.

«Benvenuta, lady Alys. Benvenuta. Sono lieto di rivederti, e di rivedere anche mastro Andra. Ho sentito la mancanza della tua piacevole conversazione. Sì, davvero. E mi sono preoccupato, sapendo che andavi giù nelle campagne. Be’, voglio dire, in giorni come questi, con il tempo che pare impazzito e i lupi che di notte ululano fin sotto le mura.» A un tratto si batté le mani sul ventre rotondo e scosse la testa. «Ecco che mi perdo in chiacchiere, invece di farvi accomodare. Venite, venite. Un pasto e un letto caldi, ecco cosa vi occorre. E i migliori di tutta Baerlon sono qui. I migliori.»

«E anche un bagno caldo, spero, mastro Fitch» disse Moiraine.

«Bagno? Certo, il migliore e il più caldo di tutta Baerlon. Venite. Benvenuti al Cervo e Leone. Benvenuti a Baerlon.»

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