50 Incontri all’Occhio

Guidando il baio, Rand seguì l’Uomo Verde; come gli altri quattro di Emond’s Field, anche lui sgranava gli occhi e non sapeva decidere se fissare la guida o la foresta. L’Uomo Verde era una leggenda, certo; si narravano storie, su di lui e sull’Albero della Vita, davanti a ogni caminetto dei Fiumi Gemelli, e non soltanto per i bambini. Però, dopo la Macchia, alberi e fiori sarebbero stati una meraviglia anche se il resto del mondo non fosse stato ancora avvolto nell’inverno.

Perrin rimase in fondo al gruppetto, discosto: aveva l’aria di non voler udire altro, dall’Uomo Verde. Rand capiva benissimo la reazione dell’amico. Figlio del Drago. Con cautela osservò l’Uomo Verde fare strada, con Moiraine e Lan, circondato da farfalle che formavano una nuvola di chiazze gialle e rosse. “Cosa avrà voluto dire, con quelle parole?" si domandò Rand. “No, non voglio saperlo."

Comunque, si sentiva il passo più leggero, le gambe più scattanti. Il disagio gli restava ancora nelle viscere, gli rodeva lo stomaco; ma la paura si era rarefatta, pareva quasi svanita. Non poteva aspettarsi di più, a meno di mezzo miglio dalla Macchia, anche se le sue creature non potevano entrare in quel luogo. I mille puntini luminosi che gli avevano forato le ossa si erano spenti nel momento stesso in cui era entrato nel dominio dell’Uomo Verde. Era stato lui a spegnerli, si disse; l’Uomo Verde e quel luogo.

Anche Egwene e Nynaeve percepivano la pace e la consolazione, la calma della bellezza. Mostravano un sorriso sereno e accarezzavano i fiori, si soffermavano ad annusarli, inspiravano a fondo il profumo.

L’Uomo Verde se ne accorse. «I fiori sono fatti per servire da ornamento» disse. «Piante ed esseri umani, è la stessa cosa. Nessuno ci fa caso, se non se ne colgono troppi.» E si mise a raccogliere un fiore qui, uno là, mai più di due dalla stessa pianta. In breve Nynaeve e Egwene avevano sui capelli una corona di rose selvatiche, campanule gialle, bianche stelle del mattino. La treccia della Sapiente sembrava un giardino rosa e bianco, lungo fino alla cintola. Anche Moiraine ricevette una candida ghirlanda di stelle del mattino, intrecciata con tanta abilità che i fiori sembravano crescere ancora.

E Rand non era sicuro che non crescessero davvero. Mentre camminava e parlava sottovoce con Moiraine, l’Uomo Verde si prendeva cura della foresta giardino, quasi senza pensarci. Gli occhi di nocciola notarono un rametto storto di una rosa rampicante, che il ramo fiorito d’un melo costringeva a una goffa piegatura; e lui, sempre parlando, si soffermò a passarvi sopra la mano. Rand non fu sicuro se gli occhi gli avessero giocato uno scherzo, oppure le spine si fossero davvero scostate per non pungere quelle dita verdi. Quando la figura torreggiante dell’Uomo Verde riprese il cammino, il ramoscello era dritto e schiudeva petali rossi tra i fiori bianchi del melo. L’Uomo Verde si chinò a mettere la mano a coppa intorno a un minuscolo seme che giaceva su un letto di ciottoli; quando si raddrizzò, un piccolo germoglio aveva messo radici tra le pietre, fino a raggiungere il buon terriccio.

«Ogni cosa deve crescere dove si trova, secondo il Disegno» spiegò l’Uomo Verde, senza girarsi, quasi in tono di scusa. «E affrontare il giro della Ruota. Ma al Creatore non importerà, se intervengo per un piccolo aiuto.»

Rand guidò Red attorno al germoglio, badando che gli zoccoli del baio non lo calpestassero: non gli pareva giusto disfare l’opera dell’Uomo Verde solo per evitare un passo in più. Egwene gli sorrise, uno dei suoi sorrisi segreti, e gli toccò il braccio. Era così graziosa, con i capelli sciolti pieni di fiori, che Rand ricambiò il sorriso finché lei non arrossì e abbassò lo sguardo.

L’Uomo Verde li portò nel cuore della foresta primaverile, davanti a un’arcata che si apriva nelle pendici d’una collina. Era un semplice e alto arco di pietra bianca; sulla chiave di volta aveva un cerchio diviso in due da una linea sinuosa, metà scabro, metà liscio. L’antico simbolo Aes Sedai. L’apertura era in ombra.

Per un momento tutti si limitarono a guardare in silenzio. Poi Moiraine si tolse dai capelli la ghirlanda e l’appese ai rami d’un cespuglio di biancospino che cresceva accanto all’arcata. Fu come se il suo gesto autorizzasse a parlare di nuovo.

«Non è qui?» domandò Nynaeve. «Quello per cui siamo venuti.»

«Mi piacerebbe davvero vedere l’Albero della Vita» disse Mat, senza staccare lo sguardo dal simbolo in alto. «Possiamo aspettare un poco, vero?»

L’Uomo Verde diede a Rand un’occhiata bizzarra, poi scosse la testa. «L’Avendesora non è qui. Da duemila anni non ho più riposato fra i suoi ruvidi rami.»

«L’Albero della Vita non è il motivo della nostra venuta» disse con fermezza Moiraine. Indicò l’arco. «Il nostro motivo è lì.»

«Non entrerò con voi» disse l’Uomo Verde. Le farfalle svolazzarono come se condividessero una certa agitazione. «Molto, moltissimo tempo fa, sono stato posto di guardia all’Occhio, ma provo disagio ad avvicinarmi troppo. Mi sento come se mi disfacessero: la mia fine in qualche modo è legata a esso. Ricordo quando lo fabbricarono. In parte.» Parve fissare il vuoto, perduto nei ricordi, e si toccò la cicatrice. «Fu il primo giorno della Frattura del Mondo, quando la gioia per la vittoria sul Tenebroso divenne amara, alla scoperta che ogni cosa poteva andare in frantumi sotto il peso dell’Ombra. Cento di loro lo fabbricarono, uomini e donne insieme. Le maggiori opere Aes Sedai erano sempre fatte in questo modo, attingendo al Saidin e al Saidar, come si attinge alla Vera Fonte. Morirono tutti, per renderlo puro, mentre intorno a loro il mondo era lacerato. Sapendo di morire, m’incaricarono di sorvegliarlo in previsione dei futuri bisogni. Non ero stato fatto per questo, ma tutto andava a pezzi, e loro erano soli e non avevano altro. Non ero stato fatto per questo, ma ho mantenuto la parola.» Guardò Moiraine e annuì. «Ho mantenuto la parola, fino al momento del bisogno. E ora è la fine.»

«Hai mantenuto la parola meglio della maggior parte di noi che ti diede l’incarico» disse l’Aes Sedai. «Forse non sarà così brutto come pensi.»

La testa segnata dalla cicatrice si mosse lentamente da parte a parte. «So distinguere la fine, quando la vedo, Aes Sedai. Troverò un altro luogo dove far crescere le cose.» Con sguardo rattristato accarezzò la foresta verdeggiante. «Un altro luogo, forse. Quando uscirete, vi rivedrò, se ci sarà tempo.» Con queste parole si allontanò, fra un turbine di farfalle, e divenne tutt’uno con la foresta, più di quanto non potesse fare Lan grazie al mantello.

«Cosa significa, se ci sarà tempo?» domandò Mat.

«Andiamo» disse Moiraine. Varcò l’arcata. Lan la seguì da presso.

Rand non sapeva che cosa aspettarsi, seguendoli. Si sentì rizzare i capelli. Ma si trovò in un corridoio le cui pareti lucide si univano ad arco. C’era spazio più che sufficiente per Loial e sarebbe bastato anche per l’Uomo Verde. Il pavimento era liscio e lucido come ardesia passata a cera, ma dava appoggio sicuro ai piedi. Pareti bianche e prive di commessure scintillavano d’innumerevoli puntini di colori indicibili ed emanavano una luce fioca e riposante, anche quando una curva nascose l’ingresso. Rand era sicuro che quella luce non fosse naturale, ma percepì anche che era benigna. Eppure, lui aveva ancora la pelle d’oca. Procedettero in discesa, per parecchio tempo.

«Là» disse infine Moiraine, segnando a dito. «Più avanti.»

Il corridoio si apriva in un vasto ambiente a cupola, la cui nuda e scabra roccia del soffitto era punteggiata di agglomerati cristallini in formazione. In basso, un laghetto occupava l’intera caverna, a parte la passerella che girava intorno, larga forse cinque braccia. Di forma ovale come un occhio, il laghetto era rivestito lungo il bordo da urla bassa e piatta guarnizione di cristalli che brillavano di luce più opaca eppure più intensa di quelli in alto. La superficie era liscia come vetro e chiara come l’acqua della Fonte di Vino. Rand provò l’impressione di poterla sondare con lo sguardo per sempre, senza mai scorgere il fondo.

«L’Occhio del Mondo» disse piano Moiraine, accanto a lui.

Guardandosi intorno pieno di stupore, Rand capì che i lunghi anni da quando era stato fatto — tremila — avevano avuto il loro peso. Nella cupola, non tutti i cristalli brillavano con la stessa intensità. Alcuni erano più vividi, altri più fiochi; alcuni tremolavano, altri erano solo grumi sfaccettati che riflettevano la luce. Se tutti avessero brillato, la cupola sarebbe stata luminosa come il cielo a mezzogiorno; ma ora sembrava solo tardo pomeriggio. La polvere ricopriva il vialetto, mista a frammenti di roccia e perfino di cristallo. Lunghi anni d’attesa, mentre la Ruota girava e macinava.

«Ma cos’è veramente?» domandò Mat, a disagio. «Non ho mai visto acqua come questa.» Diede un calcio a un grumo di pietra nera, grosso quanto un pugno, gettandolo in acqua. «Si direbbe...»

La pietra colpì la superficie liscia come vetro e scivolò nel laghetto senza il minimo tonfo né la minima increspatura. Mentre affondava, iniziò a gonfiarsi e a rarefarsi, una chiazza grande quanto una testa, quasi trasparente, una macchia confusa larga un braccio.

«Cos’è?» domandò Rand. Fu sorpreso, nell’udire il tono rauco della propria voce.

«Lo si potrebbe chiamare l’essenza Saidin.» Le parole dell’Aes Sedai echeggiarono sotto la cupola. «L’essenza della metà maschile della Vera Fonte, la pura essenza del Potere manipolato dagli uomini prima del Tempo di Follia. Il Potere di riparare il sigillo sulla prigione del Tenebroso, o di spezzarlo completamente.»

«La Luce splenda su di noi e ci protegga» mormorò Nynaeve. Egwene si strinse a lei come se volesse nascondersi. Perfino Lan si mosse a disagio, anche se nel suo sguardo non c’era sorpresa.

Rand sentì contro la schiena la roccia e si rese conto d’essere arretrato fino alla parete, il più lontano possibile dall’Occhio del Mondo. Anche Mat era appiattito contro la roccia. Perrin fissava il laghetto e aveva estratto a metà l’ascia. Gli occhi gli brillavano, gialli e feroci.

«Leggendo dell’Occhio, mi ero sempre domandato cosa fosse» disse Loial. «Perché l’hanno creato? E come?»

«Nessuno lo sa.» Moiraine non guardava più il laghetto: osservava Rand e gli altri due, li esaminava, li soppesava. «Né come, né perché sarebbe stato necessario un giorno, nel momento del bisogno più disperato.

«Molte Aes Sedai, a Tar Valon, hanno cercato un modo di usare questo Potere, ma esso è intoccabile per una donna quanto lo è la luna per un gatto. Solo un uomo può incanalarlo, ma l’ultimo Aes Sedai è scomparso da quasi tremila anni. Eppure il bisogno che previdero era disperato. Per creare L’Occhio e renderlo puro, hanno operato nella contaminazione del Tenebroso sul Saidin, sapendo che questo li avrebbe uccisi tutti. Le più grandi meraviglie dell’Epoca Leggendaria furono realizzate in questo modo, con l’unione di Saidin e Saidar. Tutte le donne di Tar Valon, tutte le Aes Sedai in ogni corte e in ogni città, comprese le terre al di là del Deserto, contando perfino quelle che forse ancora vivono al di là dell’oceano Aryth, non potrebbero attingere un cucchiaio di questo Potere, perché mancano gli uomini che lavorino con loro.»

«Perché ci hai condotti qui?» disse Rand, con voce rauca, come se gridasse.

«Perché siete ta’veren» rispose l’Aes Sedai. I suoi occhi erano indecifrabili; brillavano e parevano attirarlo. «Perché il potere del Tenebroso colpirà qui. E dovrà essere controbattuto e bloccato, altrimenti l’Ombra ricoprirà il mondo. Non c’è bisogno maggiore di questo. Torniamo di nuovo alla luce del sole, finché c’è tempo.» Senza aspettare di vedere se la seguivano, risalì il corridoio, accompagnata da Lan, il cui passo era forse un po’ più rapido del solito. Egwene e Nynaeve si affrettarono a seguirli.

Rand strisciò lungo la parete — gli riusciva impossibile accostarsi anche solamente d’un passo al laghetto — e imboccò il corridoio insieme con Mat e Perrin. Si sarebbe messo a correre, se la via fosse stata sgombra. Non smise di tremare neppure quando fu all’esterno.

«Questa storia non mi piace, Moiraine» disse con rabbia Nynaeve, quando su di loro brillò di nuovo il sole. «Sono convinta che il pericolo sia grande come dici, altrimenti non sarei qui, ma questa storia...»

«Finalmente vi ho trovati.»

Rand si girò di scatto, come se gli avessero stretto un cappio al collo. Le parole, la voce... per un istante credette che fosse Ba’alzamon. Ma i due uomini che sbucarono dagli alberi, col viso nascosto dal cappuccio, non portavano un mantello del colore del sangue secco. Uno era grigio scuro, l’altro d’un verde quasi altrettanto scuro, e tutt’e due parevano ammuffiti anche all’aria aperta. E i due uomini non erano Fade: i mantelli si muovevano, alla brezza.

«Chi siete?» L’atteggiamento di Lan, mano sull’elsa, era prudente. «Come siete giunti qui? Se cercate l’Uomo Verde...»

«Lui ci ha guidati.» La mano che indicava Mat era vecchia e rinsecchita, tanto da non sembrare nemmeno umana, priva di un’unghia e con nocche sporgenti come nodi in un pezzo di fune. Mat arretrò d’un passo e sgranò gli occhi. «Un antico oggetto, un vecchio amico, un vecchio nemico. Ma non è lui, colui che cerchiamo» concluse l’uomo dal mantello verde scuro. L’altro pareva intenzionato a non aprire mai bocca.

Moiraine si erse in tutta la sua statura: per quanto arrivasse appena alla spalla degli uomini presenti, all’improvviso parve alta quanto una montagna. La voce risuonò come rintocco di campana. «Chi siete?»

I due gettarono indietro il cappuccio. Il primo era incredibilmente vecchio: al confronto, Cenn Buie sarebbe parso un fanciullo in piena salute. La pelle sembrava pergamena stirata sopra un teschio. Ciuffi di capelli ispidi spuntavano qua e là sul cranio rugoso. Le orecchie erano frammenti rinsecchiti, simili a pezzetti di cuoio vecchio. Gli occhi infossati scrutavano come dal fondo di un tunnel. Eppure l’altro era uno spettacolo peggiore. Una guaina di cuoio nero gli copriva la testa e il viso, ma la parte frontale era fatta a immagine d’una faccia perfetta, la faccia d’un giovane che rideva come un folle, impietrito per l’eternità. “Cosa nasconde, se l’altro si mostra com’è?" pensò Rand. Poi perdette anche la capacità di pensare, ridotta in polvere e soffiata via.

«Mi chiamo Aginor» disse il più anziano. «E lui è Balthamel. Da tempo ha smesso di parlare. La Ruota macina polvere finissima, in tremila anni di prigionia.» Lasciò scivolare lo sguardo verso l’arco di pietra; Balthamel si sporse, fissando con gli occhi della maschera l’apertura, quasi volesse varcarla direttamente. «Tanto tempo senza Potere» disse piano Aginor. «Tanto tempo.»

«La Luce ci prote...» iniziò Loial, con voce tremante, ma s’interruppe di colpo, quando Aginor lo guardò.

«I Reietti» disse Mat, rauco «sono imprigionati a Shayol Ghul...»

«Lo erano.» Aginor sorrise: i denti ingialliti parevano zanne. «Alcuni di noi sono liberi. I sigilli s’indeboliscono, Aes Sedai. Come Ishamael, camminiamo di nuovo nel mondo, e presto gli altri verranno. Eravamo troppo vicino a questo mondo, nella prigionia, io e Balthamel, troppo vicino al macinio della Ruota; ma presto il Sommo Signore delle Tenebre sarà libero e ci darà nuova carne e il mondo sarà nostro ancora una volta. Stavolta per voi non ci sarà nessun Lews Therin Kinslayer, nessun Signore del Mattino, a salvarvi. Sappiamo ora chi è colui che cerchiamo e non ci serve altro.»

La spada di Lan saettò dal fodero, con un movimento troppo rapido perché Rand riuscisse a seguirlo. Eppure il Custode esitò, con lo sguardo che guizzava su Moiraine, su Nynaeve. Le due donne erano assai distanziate fra loro: se si fosse frapposto tra un Reietto e una donna, si sarebbe allontanato dall’altra. L’esitazione durò solo un istante, ma quando il Custode si mosse, Aginor sollevò la mano. Fu un gesto sprezzante, uno schiocco delle dita nodose, come per scacciare una mosca, ma il Custode volò all’indietro, come colpito da un pugno gigantesco. Con un tonfo sordo urtò l’arco di pietra e rimase sospeso a mezz’aria per un istante, prima di cadere in un mucchio, con la spada abbandonata vicino alla mano protesa.

«No!» gridò Nynaeve.

«Ferma!» ordinò Moiraine.

Ma, prima che chiunque potesse muoversi, Nynaeve aveva estratto il pugnale e si era lanciata verso il Reietto. «La Luce t’incenerisca!» gridò, vibrando un colpo al petto di Aginor.

L’altro Reietto si mosse con la rapidità d’una vipera. Mentre il colpo ricadeva, Balthamel protese fulmineamente la mano rivestita di cuoio e afferrò Nynaeve per il mento, le conficcò il pollice nella guancia e le dita nell’altra, strinse fino a farla sbiancare e provocò un livido nella carne pallida. Nynaeve fu scossa da convulsioni, come colpita da una frustata. Lasciò cadere dalle dita inerti il pugnale, mentre Balthamel la sollevava a mezz’aria e accostava al viso ancora tremante la maschera di cuoio. Nynaeve agitò i piedi a un palmo da terra; dai capelli le cadde una pioggia di fiori.

«Avevo quasi dimenticato i piaceri della carne» disse Aginor; la lingua gli saettò fra le labbra avvizzite, con rumore di pietra sfregata contro cuoio indurito. «Ma Balthamel ricorda molte cose.» L’ilarità della maschera parve aumentare follemente e il gemito di Nynaeve bruciò le orecchie di Rand.

A un tratto Egwene si mosse in aiuto di Nynaeve. «No, Egwene!» gridò Rand, ma lei non si fermò. Già al grido di Nynaeve Rand aveva portato la mano alla spada, ma ora si lanciò verso Egwene. La urtò prima che lei facesse tre passi e caddero insieme a terra. Egwene finì con un ansito sotto di lui e subito dimenò le braccia per liberarsi.

Anche altri si muovevano. Perrin impugnò l’ascia, con un lampo di ferocia negli occhi gialli. «Sapiente!» ringhiò Mat, stringendo il pugnale preso a Shadar Logoth.

«No!» gridò Rand. «Non potete combattere i Reietti!» Ma gli altri due lo sorpassarono di corsa come se non avessero udito, con lo sguardo fisso su Nynaeve e sui Reietti.

Aginor li guardò con indifferenza... e sorrise.

Rand sentì intorno a sé l’aria muoversi come per lo schiocco d’una frusta gigantesca. Mat e Perrin si bloccarono come se avessero urtato una muraglia, rimbalzarono e caddero a gambe levate.

«Bene» disse Aginor. «Siete finiti al posto giusto. Se imparerete a umiliarvi come si deve e ad adorarci, forse vi lascerò vivere.»

Rand si tirò rapidamente in piedi. Forse non poteva combatterli, ma nemmeno per un istante avrebbe dato l’impressione di prostrarsi davanti a loro. Aiutò Egwene ad alzarsi, ma lei gli scostò la mano e si alzò da sola, spazzolandosi con rabbia la veste. Anche Mat e Perrin, ostinati ma incerti sulle gambe, si erano tirati in piedi.

«Imparerete» disse Aginor «se volete vivere. Ormai ho trovato quel che mi occorre» e guardò l’arco di pietra «perciò ho tempo d’insegnarvi.»

«Mai!» Dagli alberi avanzò l’Uomo Verde. Il suo grido parve un fulmine che colpisse una vecchia quercia. «Questo non è posto per voi!»

Aginor gli scoccò una occhiata sprezzante. «Sparisci! Il tuo tempo è terminato. Da un pezzo quelli della tua razza sono soltanto polvere. Vivi quel poco di vita che ti rimane e ritieniti fortunato che non ci accorgiamo nemmeno di te.»

«Questa è casa mia» disse l’Uomo Verde «e qui non farete male a nessuna creatura vivente.»

Balthamel gettò da parte Nynaeve, quasi fosse uno straccio; e come uno straccio spiegazzato la Sapiente cadde a terra, inerte, quasi fosse priva d’ossa. Una mano coperta di cuoio si alzò e l’Uomo Verde ruggì, mentre il fumo si levava dai tralci di cui era intessuto. Il vento tra gli alberi fu l’eco della sua sofferenza.

Aginor si girò verso Rand e gli altri, come se ormai avesse sistemato l’Uomo Verde; ma braccia fronzute si strinsero intorno a Balthamel, sollevandolo in aria e stringendolo contro un petto di fitti rampicanti: la maschera ridente si trovò a fissare occhi di nocciola, ardenti di collera. Come serpenti, le braccia di Balthamel si sciolsero dalla stretta; le mani guantate afferrarono la testa dell’Uomo Verde, come se volessero strapparla. Dovunque quelle mani toccavano, scaturivano fiamme, tralci avvizzivano, foglie cadevano. L’Uomo Verde mugghiò, mentre un fumo denso scaturiva dal suo corpo. E continuò a ruggire, come se tutto se stesso fuoruscisse dalla bocca insieme con le volute di fumo.

All’improvviso Balthamel sussultò nella stretta dell’Uomo Verde. Le mani del Reietto cercarono di spingerlo via, anziché afferrarlo. Una mano guantata si protese... e dal cuoio nero scaturì un minuscolo viticcio. Una sorta di fungo, come quelli che circondano gli alberi nel cuore delle foreste, gli circondò il braccio: scaturito dal nulla, era ormai pienamente cresciuto e s’ingrossava per ricoprire tutto l’arto. Balthamel si dimenò e un germoglio d’assafetida gli squarciò il torace, licheni conficcarono radici e provocarono piccole fessure nella maschera di cuoio, ortiche spuntarono dagli occhi, funghi velenosi spalancarono la bocca.

L’Uomo Verde gettò a terra il Reietto. Balthamel sussultò fra le convulsioni, mentre tutte le cose che crescono nei luoghi bui, tutte le cose che producono spore, tutte le cose che amano l’umidità, si gonfiavano e crescevano, strappavano stoffa e cuoio e carne — era carne, quella intravista nel breve attimo di furia rigogliosa? — riducendoli in brandelli e lo ricoprivano fino a lasciare solo un cumulo indistinguibile dai molti cumuli di terriccio nelle profondità ombreggiate della foresta, e altrettanto immobile.

Con uno schianto simile a quello d’un ramo che si spezzi sotto un peso troppo grande, l’Uomo Verde crollò a terra. Metà della testa era carbonizzata. Riccioli di fumo si alzavano ancora dal corpo, simili a rampicanti grigi. Foglie bruciate gli caddero dal braccio, mentre lui tendeva penosamente la mano annerita a stringere una ghianda.

La terra rombò e una pianticella di quercia si aprì la strada fra le dita. L’Uomo Verde reclinò la testa, ma la pianticella si allungò verso il sole. Radici si protesero e s’ingrossarono, si conficcarono nel terreno e si risollevarono, sempre più grosse man mano che ricadevano. Il tronco si allargò e si protese verso l’alto, la corteccia divenne grigia, screpolata, annosa. Rami si allungarono, divennero pesanti, grossi come braccia, grossi come persone, e si levarono ad accarezzare il cielo, fitti di foglie verdi, ricchi di ghiande. La massiccia rete di radici si allargò e, simile a un aratro, rivoltò il terreno; il tronco già grosso ebbe un tremito, crebbe ancora, grande come una casa. Scese il silenzio. E una quercia che avrebbe potuto avere cinquecento anni occupò il punto dove era caduto l’Uomo Verde, segnando la tomba d’un essere leggendario. Nynaeve giacque sopra le radici nodose, che si erano curvate per adattarsi alla sua figura e formare un letto su cui potesse riposare. Il vento sospirò tra i rami della quercia: parve un mormorio di saluto.

Perfino Aginor sembrava attonito. Ma sollevò la testa e l’odio gli ardeva negli occhi cavernosi. «Basta! È già passato il tempo di porre fine a questa storia!»

«Sì, Reietto» replicò Moiraine, con voce fredda come il ghiaccio del profondo inverno. «È già passato!»

L’Aes Sedai alzò la mano e il terreno si aprì sotto i piedi di Aginor. Fiamme ruggirono dal baratro, alimentate da un vento che soffiava da ogni direzione, e risucchiarono nel fuoco un turbine di foglie che parve solidificarsi in una gelatina gialla striata di rosso, composta di puro calore. Nel centro c’era Aginor, sostenuto solo dall’aria. Il Reietto parve sorpreso, ma poi sorrise e avanzò d’un passo. Fu un passo lento, come se il fuoco cercasse di tenerlo fermo sul posto; ma lui lo portò a termine e avanzò ancora.

«Scappate!» ordinò Moiraine. Aveva il viso cereo per la tensione. «Scappate tutti!» Aginor avanzò a mezz’aria, verso il bordo delle fiamme.

Rand si accorse del movimento di altri, Mat e Perrin che correvano ai margini del suo campo visivo, Loial che si rifugiava tra gli alberi; ma in realtà vedeva solo Egwene, irrigidita, col viso bianco come un cencio e gli occhi chiusi. Non era trattenuta dal terrore, capì Rand: pur priva d’addestramento, cercava di scagliare contro il Reietto il misero Potere che riusciva a manipolare.

Con gesto rude l’afferrò per il braccio e la costrinse a girarsi. «Scappa!» le gridò. Egwene aprì gli occhi e lo fissò, in collera perché aveva interferito, ma piena di odio e di terrore per Aginor. «Scappa!» disse ancora Rand, spingendola verso gli alberi. «Scappa!» Una volta in movimento, Egwene si mise a correre.

Ma Aginor girò il viso rinsecchito verso Rand, verso Egwene che correva alle spalle di Rand, e camminò tra le fiamme, verso Egwene, come se l’operato dell’Aes Sedai non lo riguardasse minimamente.

«Lei no!» urlò Rand. «La Luce ti fulmini, lei no!» Afferrò una pietra e la scagliò, con l’intento di attirare l’attenzione di Aginor. Prima di colpire il viso del Reietto, la pietra si mutò in polvere.

Rand esitò solo un istante, quanto bastava a lanciarsi un’occhiata alle spalle e vedere che Egwene si era nascosta tra gli alberi. Le fiamme circondavano ancora Aginor, e il mantello aveva preso fuoco in vari punti; ma il Reietto camminava come se avesse a disposizione tutto il tempo del mondo e il bordo del baratro ardente era sempre più vicino. Rand si girò e si lanciò di corsa. Dietro di lui, Moiraine cominciò a urlare.

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