33 Le tenebre in attesa

Sotto un cielo plumbeo il carro dalle alte ruote procedette tra i sobbalzi lungo la Strada per Caemlyn. Rand si alzò sul pianale ingombro di paglia e si sporse dalla fiancata. Cominciava a sentirsi meglio. Puntò i gomiti sul bordo e guardò scorrere il paesaggio. Il sole, nascosto da nuvole scure, era ancora alto, e in quel momento il carretto entrava in un villaggio di case di mattoni rossi, coperte di rampicanti. I villaggi erano più ravvicinati, dopo Four Kings.

Alcune persone salutarono con la mano o a voce Hyam Kinch, il padrone del carro. Mastro Kinch, un taciturno contadino dal viso duro come cuoio, rispose senza togliersi di bocca la pipa; le risposte erano quasi incomprensibili, ma suonavano gioviali e parevano soddisfare la gente, che riprendeva il lavoro senza altre occhiate al carro. Nessuno s’interessò ai due passeggeri.

Passarono davanti alla locanda del villaggio, intonacata di bianco, con il tetto d’ardesia grigia. Persone affaccendate entravano e uscivano, salutandosi con noncuranza. Alcuni si fermavano a scambiare qualche parola. Si conoscevano. Quasi tutti paesani, a giudicare dai vestiti: giubbe e brache e stivali non molto diversi da quelli che indossava Rand stesso. Le donne portavano ampie cuffie che nascondevano il viso e grembiuli bianchi guarniti di strisce colorate.

Rand tornò a distendersi sulla paglia e dal fondo del carro guardò il villaggio rimpicciolire in lontananza. Campi recintati e siepi ben curate fiancheggiavano la strada e piccole fattorie dal cui comignolo usciva fumo. Gli unici alberi nei pressi della strada erano quelli di boschi a ceppaia per legna da ardere, ben tenuti come un cortile di fattoria. Ma i rami si stagliavano contro il cielo, spogli come quelli dei boschi selvatici verso ponente.

Una fila di carri coperti, che procedeva in senso opposto, passò rumorosamente nel centro della strada e costrinse il carretto a spostarsi verso il ciglio. Senza togliersi di bocca il cannello della pipa, mastro Kinch sputò di lato. Diede un’occhiata alla ruota esterna, per vedere che non finisse nella siepe, ma non fermò il carretto. Serrò le labbra, guardando la carovana di mercanti.

Né i conducenti, che facevano schioccare le lunghe fruste sul dorso dei tiri a otto, né le arcigne guardie, che cavalcavano a fianco dei carri, guardarono il carretto. Rand seguì col fiato sospeso il passaggio della carovana; tenne la mano sotto il mantello e strinse l’elsa, finché l’ultimo carro non si fu allontanato.

Mentre anch’esso puntava verso il villaggio alle loro spalle, Mat, seduto a cassetta accanto al contadino, si girò a guardare negli occhi Rand. Si era avvolto intorno alla testa la sciarpa e la teneva calata sulla fronte per proteggersi gli occhi, ma anche così era infastidito dalla grigia luce del giorno. «Hai visto niente, su quei carri?» domandò.

Rand scosse la testa. Mastro Kinch li guardò con la coda dell’occhio; cambiò posizione alla pipa e mosse le redini. Il cavallo aumentò l’andatura.

«Gli occhi ti fanno ancora male?» domandò Rand.

Mat si toccò la sciarpa. «No, non molto. Se non guardo contro sole. E tu? Ti senti meglio?»

«Un poco.» A dire il vero, si sentiva molto meglio. Si era ripreso in fretta. Era un miracolo. Anzi, un dono della Luce.

A un tratto un drappello di cavalieri, diretto a ponente come la carovana, incrociò il carretto. Lunghi baveri bianchi ricadevano su cotte di maglia e di piastre; mantelli e vesti erano rossi, come le uniformi dei guardiani delle porte, a Whitebridge, ma di fattura migliore. L’elmo conico di ogni cavaliere risplendeva come argento. I soldati, disposti su due colonne, cavalcavano impettiti. Sottili bandierine rosse svolazzavano sotto la punta delle lance inclinate tutte allo stesso modo.

Nel passare, alcuni di loro guardarono il carretto. Una gabbia di barre d’acciaio mascherava ogni faccia. Rand fu lieto che il mantello gli coprisse la spada. Alcuni rivolsero un cenno a mastro Kinch, non come se lo conoscessero, ma per cortesia. Mastro Kich rispose alla stessa maniera; rimase impassibile, ma nel cenno di risposta c’era una traccia d’approvazione.

I cavalli procedevano al passo, ma anche il carretto si muoveva, quindi il drappello passò in fretta. Rand contò i soldati: dieci... venti... trenta... trentadue. Alzò la testa e li guardò allontanarsi lungo la Strada per Caemlyn.

«Chi erano?» domandò Mat, sospettoso.

«Guardie della Regina» rispose mastro Kinch. Tenne lo sguardo sulla strada. «Non andranno più in là di Breen’s Spring, a meno che non li abbiano chiamati. Ai vecchi tempi era diverso.» Succhiò il cannello della pipa e soggiunse: «Al giorno d’oggi, immagino, ci sono zone del regno che non vedono le Guardie neppure una volta all’anno.»

«Cosa fanno?» domandò Rand.

Il contadino gli lanciò un’occhiata. «Mantengono la pace e fanno rispettare le leggi.» Annuì, come se gli piacesse il suono della frase. «Cercano i malfattori e li portano davanti al magistrato. Uhm.» Emise una nuvola di fumo. «Voi due venite certo da molto lontano, se non riconoscete le Guardie della Regina. Da dove?»

«Da molto lontano» rispose Mat, nello stesso istante in cui Rand diceva: «Dai Fiumi Gemelli» e rimpiangeva d’averlo detto. Ancora non riusciva a pensare chiaramente. Si era lasciato sfuggire un nome che per un Fade sarebbe stato come un rintocco di campana.

Mastro Kinch rivolse a Mat un’occhiata di scancio e per un poco fumò la pipa. «È proprio molto lontano» disse infine. «Quasi ai confini del Regno. Ma la situazione è peggiore di quanto credevo, se ci sono zone in cui la gente non riconosce le Guardie della Regina. Ai vecchi tempi era diverso.»

Rand si domandò come avrebbe reagito mastro al’Vere, se gli avessero detto che i Fiumi Gemelli facevano parte del regno di chissà quale regina. La Regina dell’Andor, immaginò. Ma forse il sindaco lo sapeva... conosceva un mucchio di cose che sorprendevano Rand... e forse anche altri lo sapevano; ma lui non aveva mai udito nessuno che ne parlasse. I Fiumi Gemelli erano i Fiumi Gemelli e basta. Ogni villaggio si gestiva da solo e, se le difficoltà ne coinvolgevano più d’uno, sindaci e consigli le affrontavano insieme.

Mastro Kinch tirò le redini e fermò il carretto. «Sono arrivato» disse. Uno stretto passo carraio portava verso settentrione; diverse fattorie erano visibili nella zona, fra campi arati ma ancora brulli. «In due giorni arriverete a Caemlyn. Meno, se il tuo amico ce la fa.»

Mat saltò giù e ricuperò l’arco e le altre sue cose, poi aiutò Rand a scendere dal fondo del carretto. Rand barcollò sotto il peso dei fagotti, ma scostò la mano dell’amico e provò a fare qualche passo da solo. Era ancora malfermo sulle gambe, ma si reggeva in piedi. Anzi, gli pareva che le gambe diventassero più forti, man mano che le usava.

Il contadino non ripartì subito. Li osservò per qualche momento, succhiando il cannello della pipa. «Potete riposarvi un paio di giorni da me, se volete. Non perderete niente, per così poco. Quale che sia la tua malattia, giovanotto... be’, la mia vecchia e io abbiamo già avuto tutte le malattie che ti vengono in mente, prima che tu nascessi, e le hanno passate anche i nostri figli. Comunque, mi pare che non ci sia più rischio di contagio.»

Mat strinse gli occhi, sospettoso. Rand si scoprì a corrugare la fronte. «Grazie» rispose. «Ma sto bene. Davvero. Quanto dista il primo villaggio?»

«Carysford? Ci arriverete prima di buio, camminando.» Mastro Kinch si tolse di bocca la pipa e sporse le labbra, pensieroso. «All’inizio vi consideravo apprendisti in fuga, ma ora ritengo che scappiate da qualcosa di più grave. Non so cosa. E non m’interessa. Mi fido del mio giudizio e secondo me non siete Amici delle Tenebre. E non mi sembrate tipi da derubare la gente. A differenza di certuni che s’incontrano per strada di questi tempi. Anch’io, alla vostra età, mi sono cacciato nei guai un paio di volte. Vi serve un posto dove starvene nascosti per qualche giorno. La mia fattoria è a cinque miglia, da quella parte.» Mosse la testa verso il sentiero per carri. «Non ci viene mai nessuno. Lì non vi troveranno.» Si schiarì la voce, imbarazzato da un discorso così lungo.

«Come faresti a riconoscere gli Amici delle Tenebre?» domandò Mat. Arretrò dal carretto e infilò la mano sotto la giubba. «Cosa ne sai, di loro?»

Mastro Kinch indurì il viso. «Fate come volete» rispose. Schioccò la lingua per far muovere il cavallo. Il carretto imboccò lo stretto sentiero e mastro Kinch non si guardò indietro.

Mat lasciò perdere l’aria bellicosa. «Scusa, Rand. Hai bisogno di un posto dove riposare. Forse, se lo seguiamo...» Si strinse nelle spalle. «Non riesco a togliermi di mente l’impressione che tutti ci diano la caccia. Luce santa, vorrei sapere perché siamo qui. Vorrei che tutto fosse finito. Vorrei...» Lasciò morire la frase, con aria sconsolata.

«C’è ancora gente perbene» disse Rand. Mat imboccò il sentiero, serrando le labbra come se fosse l’ultima cosa che voleva fare, ma Rand lo fermò. «Non possiamo fermarci solo per riposare. E poi, non credo che esista un posto dove nasconderci.»

Mat annuì, con chiaro sollievo. Cercò di prendere una parte del fagotto di Rand, le bisacce e il mantello di Thom, ma Rand non glieli lasciò. Si sentiva davvero in forze. “No, non ci danno la caccia” pensò, mentre si avviavano di nuovo lungo la strada. “Ci aspettano."

Quando erano fuggiti dal Carrettiere Danzante, la pioggia era continuata per tutta la notte, martellandoli con la stessa forza dei tuoni, sotto un cielo nero squarciato da fulmini. Nel giro di qualche istante erano completamente inzuppati e nel giro di un’ora Rand si sentiva infradiciato anche sotto la pelle, ma si erano lasciati alle spalle il paese. Mat era quasi cieco e chiudeva gli occhi, con una smorfia di dolore, quando i lampi facevano risaltare per un istante le sagome degli alberi. Rand lo guidava per mano, ma Mat procedeva a tastoni. Rand era preoccupato. Se Mat non ritrovava la vista, non sarebbero mai riusciti a fuggire.

Mat parve intuire i pensieri dell’amico. Nonostante il cappuccio, aveva i capelli bagnati e incollati al viso. «Rand» disse «non mi abbandoni, vero? Se non ce la faccio a starti dietro.» La voce gli tremò.

«Non ti lascio.» Rand aumentò la stretta sulla mano di Mat. «Non ti lascio, qualsiasi cosa accada.» Il tuono rumoreggiò e Mat incespicò, rischiando di cadere e di trascinare con sé anche l’amico. «Dobbiamo fermarci» disse Rand. «Se continuiamo, finirai per romperti una gamba.»

«Gode» rispose Mat. Il lampo squarciò il buio proprio sopra di loro e il rombo del tuono soffocò ogni altro rumore.

«È morto» disse Rand.

Condusse Mat fra i cespugli scorti alla luce del lampo. Gli arbusti avevano ancora foglie sufficienti a fornire un certo riparo dalla pioggia battente. Un bell’albero sarebbe stato meglio, ma Rand non voleva rischiare che un altro fulmine li colpisse. Forse la seconda volta non avrebbero avuto altrettanta fortuna.

Si rannicchiarono tra i cespugli e sistemarono i mantelli in modo da formare una sorta di tenda. Si strinsero l’uno all’altro per scaldarsi. Anche inzuppati e scossi dai brividi riuscirono ad addormentarsi.

Rand capì subito che si trattava di un sogno. Era di nuovo a Four Kings, ma il paese era deserto. C’erano i carri, ma non le persone, i cavalli, i cani. Nessuna creatura vivente. Però lui sapeva che qualcuno lo aspettava.

Percorse la strada piena di solchi. Gli edifici parevano confondersi man mano che se li lasciava alle spalle. Se girava la testa, erano tutti al loro posto, ma visti con la coda dell’occhio perdevano consistenza, come se esistessero solo nel momento in cui li guardava. Se si fosse girato di scatto, avrebbe visto... Non sapeva che cosa, ma si sentiva a disagio, pensandoci.

Davanti a lui comparve il Carrettiere Danzante. I colori vistosi parevano grigi e smorti. Rand entrò. Gode era lì, seduto a un tavolo. Rand lo riconobbe solo dagli abiti, seta e velluto scuro. La pelle di Gode era rossa, bruciata e screpolata, stillante siero. Il viso era quasi un teschio, con le labbra raggrinzite tanto da mostrare i denti e le gengive. Quando Gode girò la testa, gli caddero ciuffi di capelli che si ridussero in fuliggine. Gli occhi privi di palpebre fissarono Rand.

«Così, sei morto» disse Rand. Fu sorpreso di non avere paura. Forse sapeva che si trattava di un sogno.

«Sì, è morto» disse la voce di Ba’alzamon. «Ma ti ha trovato per me. L’impresa merita una ricompensa, non ti pare?»

Rand si girò e scoprì che ci si può spaventare anche in sogno. Gli abiti di Ba’alzamon erano del colore del sangue coagulato; sul suo viso si scontravano rabbia e odio e trionfo.

«Vedi, ragazzo, non puoi nasconderti per sempre da me. In un modo o nell’altro, ti trovo. Quel che ti protegge, ti rende anche vulnerabile. Una volta ti nascondi, la volta dopo accendi un falò da segnalazione. Vieni a me, ragazzo.» Tese la mano. «Se i miei segugi devono agguantarti, forse non saranno gentili. Sono gelosi di quel che diventerai, appena ti sarai inginocchiato ai miei piedi. È il tuo destino. Appartieni a me.» La lingua bruciata di Gode emise un verso confuso, di rabbia e di bramosia.

Rand tentò di umettarsi le labbra, ma non aveva saliva. «No» riuscì a dire; e poi le parole gli vennero più facilmente. «Appartengo a me stesso, non a te. Mai. A me stesso. Se i tuoi Amici mi uccidono, non mi avrai mai.»

Il fuoco negli occhi di Ba’alzamon scaldò la stanza fino a far fumare l’aria. «Vivo o morto, ragazzo, sei mio. La tomba mi appartiene. Più facile da morto, ma meglio da vivo. Meglio per te, ragazzo. I vivi hanno maggior potere in molte cose.» Gode emise di nuovo un verso confuso. «Sì, mio buon segugio. Eccoti la ricompensa.»

Rand guardò Gode appena in tempo per vedere il corpo dell’uomo ridursi in polvere. Per un istante il viso bruciato ebbe un’espressione di gioia sublime che si mutò in orrore nel momento finale, come se Gode avesse visto, in attesa, qualcosa che non s’aspettava. Gli abiti di velluto, vuoti, caddero sulla sedia e sul pavimento fra le ceneri.

Quando Rand tornò a girarsi, la mano tesa di Ba’alzamon era diventata un pugno. «Sei mio, ragazzo, vivo o morto. L’Occhio del Mondo non ti servirà. Ti marchio come mio.» Il pugno si aprì e ne schizzò una palla di fuoco, che colpì in viso Rand ed esplose, ustionandolo.

Rand barcollò nel buio, colpito in viso dall’acqua che gocciolava dai mantelli. Con mano tremante si toccò le guance: la pelle gli dava fastidio, come se fosse scottata dal sole.

A un tratto si accorse che Mat gemeva e si agitava nel sonno. Lo scosse e Mat si svegliò con un piagnucolio.

«Gli occhi! Luce santa, gli occhi! Mi ha preso gli occhi!»

Rand lo strinse a sé e lo cullò come un bambino. «Non è niente, Mat. Non può farci del male. Non glielo permetteremo.» Sentiva Mat tremare e singhiozzare. «Non può farci del male» mormorò e avrebbe voluto crederci anche lui. “Quel che ci protegge” pensò “ci rende vulnerabili. Divento pazzo davvero!"

Poco prima dell’alba la pioggia diminuì e l’acquerugiola cessò con l’arrivo della luce. Le nuvole rimasero, minacciose, fino a metà mattino. Allora si alzò il vento e le spinse a meridione, liberando un sole privo di calore e penetrando nei vestiti bagnati. Non avevano più dormito, ma con gesti incerti indossarono il mantello e si diressero a levante: Rand tenne per mano Mat. Dopo un poco Mat si sentì abbastanza bene da lamentarsi del danno provocato dalla pioggia alla corda dell’arco. Però, per il momento, Rand non gli permise di fermarsi a cambiarla con una asciutta.

Poco dopo mezzogiorno giunsero in un altro villaggio. Rand rabbrividì con violenza maggiore alla vista delle tranquille case di mattoni rossi e del fumo che si alzava dai comignoli, ma si tenne alla larga e guidò Mat tra i boschi e i campi, verso meridione. Vide soltanto un contadino solitario che lavorava con la vanga in un campo fangoso e si preoccupò di tenersi fuori vista, rannicchiato fra gli alberi. Il contadino era intento nel lavoro, ma Rand continuò a tenerlo d’occhio finché non fu lontano. Se in quel villaggio nessuno li avesse visti, un eventuale superstite degli uomini di Gode forse avrebbe creduto che avevano preso la strada meridionale per uscire da Four Kings. Oltrepassato il paese, tornarono sulla strada.

A un’ora di strada dal paese, un contadino diede loro un passaggio sul carro del fieno mezzo vuoto. Rand, preoccupato per Mat, era stato colto di sorpresa dall’arrivo del carro. L’amico si schermava gli occhi per proteggerli dal sole, per quanto debole fosse la luce del pomeriggio, e si lamentava in continuazione perché il sole troppo vivido gli dava fastidio. Quando Rand udì il rumore del carro, era ormai troppo tardi. La strada inzuppata smorzava i rumori e il carro tirato da una pariglia era solo a cinquanta passi dietro di loro; il conducente già li scrutava.

Con sorpresa di Rand, l’uomo fermò il carro e offrì un passaggio. Rand esitò, ma ormai erano stati visti e se avessero rifiutato, l’uomo si sarebbe ricordato di loro. Aiutò Mat a sedersi accanto al conducente e si arrampicò nel carro.

Alpert Mull era un tipo flemmatico, con faccia quadrata e mani robuste, raggrinzito dal duro lavoro e dalle preoccupazioni; e aveva voglia di parlare. Le sue mucche avevano perso il latte, le sue galline non deponevano più le uova, non c’erano pascoli degni di questo nome. Per la prima volta in vita sua aveva dovuto comprare il fieno e mezza carrettata era il massimo che il vecchio Bain gli poteva dare. Non sapeva se quest’anno le sue terre avrebbero prodotto fieno, o un qualsiasi raccolto.

«La Regina, che la Luce l’illumini, dovrebbe prendere provvedimenti» brontolò, toccandosi la fronte, con un gesto rispettoso ma distratto.

Guardò appena Rand e Mat, ma quando li scaricò nelle vicinanze dello stretto sentiero fiancheggiato da recinzioni che portava alla sua fattoria, esitò e disse: «Non so da che cosa scappate e non voglio saperlo. Ho moglie e figli, capite? La mia famiglia. Sono tempi duri per dare aiuto a forestieri.»

Mat cercò d’infilare la mano sotto la giubba, ma Rand lo teneva per il polso e glielo impedì. Rimase fermo sulla strada a guardare il contadino, senza dire niente.

«Se fossi un brav’uomo» disse Mull «offrirei a un paio di ragazzi inzuppati fino all’osso un posto dove asciugarsi e scaldarsi davanti al fuoco. Ma sono tempi duri, e i forestieri... Non so da cosa scappate e non voglio saperlo. Ho famiglia, capite?» Poi tolse dalla tasca della giubba due lunghe sciarpe di lana, scure e pesanti. «Non è molto, ma accettatele. Sono dei miei figli. Ne hanno altre. Voi non mi avete mai visto, capito? Sono tempi duri.»

«Non ti abbiamo mai visto» rispose Rand, prendendo le sciarpe. «Sei davvero un brav’uomo. Il migliore che abbiamo incontrato da molto tempo.»

Il contadino parve sorpreso, poi riconoscente. Prese le redini e spinse i cavalli lungo lo stretto sentiero. Prima che terminasse la curva, Rand già conduceva Mat lungo la Strada per Caemlyn.

Con l’avvicinarsi del crepuscolo il vento divenne più freddo. Mat cominciò a chiedere lamentosamente quando si sarebbero fermati, ma Rand continuò a procedere, tirandosi dietro l’amico e cercando un ricovero migliore d’un nascondiglio sotto una siepe. Con gli abiti ancora umidi e col vento sempre più freddo, non sarebbero sopravvissuti a un’altra notte all’aperto. Quando scese il buio, Rand non aveva ancora trovato un rifugio. Il vento gelido prese ad agitare i mantelli. Poi comparvero alcune luci: un villaggio.

Rand infilò la mano in tasca e controllò le monete che possedeva. Sufficienti per un pasto e una stanza per due. Una stanza al riparo dal freddo della notte. Bastava non attirare l’attenzione più del dovuto. Niente spettacolo, anche perché, con lo stato dei suoi occhi, Mat non poteva certo fare giochi di prestigio. Rand afferrò la mano di Mat e si diresse verso le luci invitanti.

«Quando ci fermiamo?» domandò di nuovo Mat. Da come allungava il collo per guardare avanti, Rand non era sicuro che vedesse le luci.

«Appena troviamo un posto caldo» rispose.

Chiazze di luce provenienti dalle finestre illuminavano le vie del paese; incontrarono diverse persone, per niente preoccupate di che cosa potesse nascondersi nel buio. L’unica locanda era un largo edificio a un solo piano: sembrava che nel corso degli anni avessero continuato ad aggiungervi stanze alla rinfusa. La porta principale si aprì e ne uscì un uomo, seguito da un’ondata di risate.

Rand si bloccò. Guardò l’uomo percorrere la via, a passo non troppo fermo. Allora inspirò a fondo e spinse la porta.

Lampade appese all’alto soffitto illuminavano vividamente la stanza. Rand capì subito che la locanda era assai diversa da quella di Saml Hake. Non c’erano ubriachi, tanto per cominciare. La stanza era piena di gente con l’aspetto di contadini e di paesani, se non proprio sobri, al massimo alticci. L’allegria era genuina, anche se non del tutto spontanea. La gente rideva per dimenticare i propri guai, ma era anche allegra. La sala comune era ordinata e pulita, scaldata dal fuoco che scoppiettava nel grosso camino in fondo. Il sorriso delle cameriere era caldo come il fuoco e le loro risa erano spontanee.

Il locandiere indossava un grembiule immacolato. Rand fu lieto di vedere che era un uomo grassoccio: non si sarebbe più fidato di un locandiere pelle e ossa. Si chiamava Rulan Allwine — buon segno, un nome che ricordava quelli di Emond’s Field — e li squadrò per bene, prima di parlare con cortesia di pagamento anticipato.

«Non dico che siate di quello stampo, capitemi, ma di questi tempi c’è in giro gente che la mattina non si ricorda di pagare. Pare che un mucchio di giovani vada a Caemlyn.»

Rand non si offese, visto com’era bagnato e inzaccherato. Ma quando mastro Allwine disse il prezzo, sgranò gli occhi e Mat emise un suono soffocato, come se gli fosse andato di traverso un boccone,

Il locandiere scosse tristemente la testa, come se fosse abituato a quella reazione. «Sono tempi duri» disse, rassegnato. «Quel poco che si trova, costa cinque volte più di prima. E il mese prossimo aumenterà ancora, ci giurerei.»

Rand tirò fuori i soldi e guardò Mat, che serrò le labbra, ostinato. «Vuoi dormire sotto una siepe?» disse Rand. Con un sospiro pieno di riluttanza, Mat vuotò la tasca. Pagato il conto, Rand guardò con una smorfia le poche monete restanti, da dividere con Mat.

Ma dieci minuti più tardi mangiavano un piatto di stufato, al tavolo d’angolo accanto al camino, accompagnando con un pezzo di pane ogni cucchiaiata. Le porzioni non erano abbondanti, ma il cibo era caldo e riempiva lo stomaco. Il calore del camino a poco a poco filtrò dentro di lui. Fingendo di guardare il piatto, Rand continuò a tenere d’occhio la porta. Tutte le persone che entravano o uscivano avevano l’aria di contadini, ma questo non bastava a tranquillizzarlo.

Mat mangiava lentamente, assaporando ogni boccone, ma si lamentava per la luce troppo vivida. Dopo un poco tirò fuori la sciarpa avuta da Alpert Mull e se l’avvolse intorno alla fronte, tirandola giù fin quasi a coprire gli occhi. Così si guadagnò alcune occhiate che Rand avrebbe evitato volentieri. Si sbrigò a ripulire il piatto e incitò Mat a imitarlo; poi chiese a mastro Allwine di mostrargli la stanza.

Il locandiere parve sorpreso che andassero a letto così presto, ma non fece commenti. Prese una candela e li guidò fra una confusione di corridoi fino a una stanzetta con due lettini, in un angolo lontano della locanda. Quando fu uscito, Rand lasciò cadere accanto al letto i fagotti, gettò sulla sedia il mantello e, tutto vestito, si distese sul copriletto. Gli abiti ancora umidi lo infastidivano, ma se dovevano scappare di nuovo, voleva essere pronto. Non si tolse nemmeno il cinturone con la spada e dormì tenendo la mano sull’elsa.

Il canto d’un gallo lo svegliò. Rimase disteso a guardare l’alba illuminare la finestra e si domandò se osava dormire ancora un poco. Dormire di giorno, mentre avrebbero dovuto muoversi. Sbadigliò e sentì crocchiare le mascelle.

«Ehi!» esclamò Mat. «Ci vedo!» Si mise a sedere sul letto e si guardò intorno. «Un poco, insomma. Il tuo viso mi appare ancora un po’ confuso, ma ti distinguo. Sapevo che mi sarebbe passato. Prima di sera ci vedrò di nuovo meglio di te.»

Rand scese dal letto, grattandosi, e riprese il mantello. Gli abiti si erano asciugati e sgualciti, mentre dormiva, e gli davano prurito. «Non sprechiamo le ore di luce» disse. Mat si alzò con la stessa rapidità dell’amico e si grattò anche lui.

Rand si sentiva bene. Erano a un giorno di cammino da Four Kings e nessun uomo di Gode era comparso. Un giorno di meno per Caemlyn, dove avrebbero trovato Moiraine ad aspettarli. Non dovevano più preoccuparsi degli Amici delle Tenebre, una volta con l’Aes Sedai e il Custode. Faceva effetto, non vedere l’ora di essere insieme con una Aes Sedai. “Luce santa, quando rivedo Moiraine, la bacio!" pensò Rand, ridendo al pensiero. Si sentiva abbastanza bene da investire una parte del denaro nella colazione: una grossa fetta di pane e una brocca di latte appena munto.

Mangiavano in fondo alla sala comune, quando entrò un giovanotto, con l’aspetto da paesano e il passo vivace; faceva girare sul dito un berretto di stoffa nel quale era infilata una piuma. Nel locale c’era solo un vecchio intento a spazzare, che non staccò mai lo sguardo dalla scopa. Il giovanotto diede un’occhiata disinvolta alla stanza, ma quando scorse Rand e Mat, lasciò cadere il berretto. Li fissò per un minuto intero, prima di raccogliere da terra il berretto; poi li fissò ancora e si passò le dita fra i ricci scuri e folti. Alla fine si accostò con riluttanza al loro tavolo.

Era più anziano di Rand, ma rimase in piedi a guardarli con diffidenza, «Vi dispiace se mi siedo?» domandò; e subito deglutì come se avesse detto la cosa sbagliata.

Rand pensò che volesse dividere con loro la colazione, anche se sembrava in grado di pagarsela. La camicia a righe azzurre era ricamata intorno al colletto e anche il mantello blu scuro aveva ricami lungo l’orlo. Gli stivali di cuoio davano l’impressione di non avere mai corso il rischio di consumarsi per l’uso. Con un cenno Rand indicò una sedia vuota.

Mat fissò il giovanotto che accostava al tavolo la sedia. Rand non poteva dire se lo guardasse con astio o cercasse solo di vederlo con chiarezza. In ogni caso, la ruga di Mat ottenne una reazione. Il giovanotto si bloccò nell’atto di sedersi e non si accomodò finché Rand non annuì di nuovo.

«Come ti chiami?» domandò Rand.

«Come mi chiamo? Ah... chiamatemi Paitr.» Continuò a guardare da tutte le parti, nervoso. «Ah... non ho avuto io l’idea, sapete. Ho dovuto farlo. Non volevo, ma mi hanno obbligato. Voglio che sia chiaro. Non...»

Rand cominciava a irrigidirsi, quando Mat ringhiò: «Amico delle Tenebre.»

Paitr sobbalzò e si alzò a mezzo, con aria impaurita, come se ci fossero cinquanta persone ad ascoltare. Il vecchio continuava a spazzare e badava solo al pavimento. Paitr tornò a sedersi e girò lo sguardo da Rand a Mat, incerto. Sul labbro aveva goccioline di sudore. Era un’accusa sufficiente a far sudare freddo chiunque, ma lui non accennò nemmeno a protestare.

Rand scosse lentamente la testa. Dopo l’incontro con Gode, aveva capito che gli Amici delle Tenebre non portavano in fronte il segno della Zanna del Drago; ma, a parte l’abbigliamento, quel Paitr poteva benissimo essere uscito da Emond’s Field. Nessuno l’avrebbe notato due volte. Almeno Gode era stato... diverso.

«Lasciaci in pace» disse Rand. «E riferisci ai tuoi amici di lasciarci in pace. Non vogliamo niente, da loro; e non avranno niente, da noi.»

«Altrimenti» aggiunse con ferocia Mat «dirò a tutti chi sei. Pensa come reagiranno i tuoi amici del paese.»

Rand si augurò che Mat volesse solo spaventarlo. Un’accusa del genere avrebbe messo nei guai anche loro, non solo Paitr.

Paitr parve prendere sul serio la minaccia. Impallidì. «Ho... ho udito cos’è accaduto a Four Kings. Una parte, almeno. Le voci girano. Abbiamo le nostre fonti d’informazione. Ma qui nessuno vi tende trappole. Sono da solo e... e voglio solo parlare.»

«Di cosa?» domandò Mat, mentre Rand diceva: «Non c’interessa.» Si scambiarono un’occhiata e Mat scrollò le spalle. «Non c’interessa» confermò.

Rand terminò il latte e si mise in tasca il pezzo di pane rimasto. Senza più quattrini, rischiava d’essere il loro prossimo pasto.

Come lasciare la locanda? Se Paitr scopriva che Mat era quasi cieco, l’avrebbe riferito ad altri... altri Amici delle Tenebre. Una volta Rand aveva visto un lupo separare dal gregge una pecora azzoppata; lui non poteva abbandonare il gregge, perché intorno c’erano altri lupi, né usare l’arco, perché la linea di tiro non era sgombra. Appena la pecora era rimasta da sola, belando di terrore e saltando freneticamente su tre zampe, come per magia al posto del lupo solitario ce n’erano dieci. Il ricordo gli provocò una morsa allo stomaco. Non potevano nemmeno restare lì. Anche se Paitr diceva la verità ed era da solo, per quanto tempo lo sarebbe rimasto?

«È ora d’andarcene, Mat» disse; e trattenne il fiato. Mentre Mat si alzava, Rand si sporse verso Paitr. «Lasciaci in pace, Amico delle Tenebre. Non te lo ripeto più. Lasciaci in pace!»

Paitr arretrò contro la spalliera, pallido come un cencio. A Rand ricordò un Myrddraal.

Intanto Mat si era alzato e non mostrava goffaggine. Rand si mise rapidamente in spalla le bisacce e gli altri fagotti, cercando col mantello di tenere coperta la spada. Forse Paitr ne era già informato: forse Gode l’aveva riferito a Ba’alzamon e questi a Paitr; ma non gli pareva probabile. Secondo lui, Paitr aveva solo un’idea molto vaga di quanto era accaduto a Four Kings. Per questo era così spaventato.

Il riquadro luminoso della porta aiutò Mat a dirigersi da quella parte, a passo non proprio svelto, ma nemmeno tanto lento da sembrare innaturale. Rand lo seguì da presso, pregando che non incespicasse. Per fortuna il percorso era dritto e privo di sedie o tavoli.

Alle loro spalle, Paitr balzò in piedi. «Aspettate» disse disperatamente. «Dovete aspettare.»

«Lasciaci in pace» replicò Rand, senza girarsi. Erano quasi alla porta e Mat non aveva ancora sbagliato un passo.

«Ascoltatemi, almeno» disse Paitr, posando la mano sulla spalla di Rand per fermarlo.

Nella testa di Rand rotearono altre immagini: il Trolloc, Narg, che balzava contro di lui, nella sua stessa casa; il Myrddraal che lo minacciava nel Cervo e Leone, a Baerlon; Mezzi Uomini dappertutto, Fade che li spingevano a Shadar Logoth, che li cercavano a Whitebridge; Amici delle Tenebre dappertutto. Si girò di scatto, stringendo il pugno. «T’ho detto di lasciarci in pace!» Colpì Paitr in pieno viso.

L’Amico delle Tenebre cadde a terra e rimase a fissare Rand; dal naso gli colava un filo di sangue. «Non scapperete» sputò, rabbioso. «Per quanto forti siate, il Signore delle Tenebre è più forte. L’Ombra vi inghiottirà!»

Dal centro della stanza provenne un ansito, seguito dal rumore di un manico di scopa caduto per terra. Alle fine anche il vecchio aveva udito i loro discorsi. Aveva perso colore e muoveva le labbra senza emettere suono. Paitr si girò per un attimo a fissarlo, poi imprecò selvaggiamente e balzò in piedi; uscì come una freccia dalla locanda e corse per la via come se avesse alle calcagna un branco di lupi famelici. Il vecchio guardò Rand e Mat, non meno atterrito di prima.

Rand spinse Mat fuori della locanda e del villaggio, più in fretta possibile, e intanto tese l’orecchio: non ci furono le grida d’allarme che s’aspettava.

«Sangue e ceneri» brontolò Mat. «Li abbiamo sempre alle calcagna. Non ce ne libereremo mai.»

«Non è vero» disse Rand. «Se Ba’alzamon sapeva che eravamo qui, non mandava solo quel tipo. Mandava un altro Gode e venti o trenta scagnozzi. Ci danno ancora la caccia, ma non sapranno dove siamo, finché Paitr non li informerà. E forse lui è davvero da solo. Forse sarà costretto a tornare a Four Kings, per quanto ne sappiamo.»

«Ma lui ha detto...»

«Non m’importa.» Non era sicuro di chi fosse il “lui” al quale Mat si riferiva, ma questo non cambiava niente. «Non resteremo fermi ad aspettare che ci prendano.»

Quel giorno ottennero sei passaggi, tutti brevi. Un contadino raccontò che un vecchio pazzo, alla locanda di Market Sheran, diceva che nel villaggio c’erano Amici delle Tenebre. Quasi non riusciva a parlare, per le risate, e continuò ad asciugarsi gli occhi. Amici delle Tenebre a Market Sheran! La storia migliore che avesse udito da quando Ackley Farren si era ubriacato e aveva passato la notte sul tetto della locanda.

Un altro uomo, un tizio dal viso tondo che aggiustava carretti e teneva gli utensili appesi alla sponda del suo, oltre a due ruote nel retro, raccontò una storia diversa. Venti Amici delle Tenebre avevano tenuto congrega a Market Sheran. Uomini dal corpo deforme e donne ancora più brutte, tutti sporchi e vestiti di stracci. Ti facevano piegare le ginocchia e dare di stomaco solo a guardarti; se ridevano, le loro sporche sghignazzate ti risuonavano nell’orecchio per ore e ti pareva che la testa ti si spaccasse in due. Lui stesso li aveva visti, da distante, quanto bastava per essere al sicuro. Se la Regina non prendeva provvedimenti, allora qualcuno doveva chiedere aiuto ai Figli della Luce. Bisognava fare qualcosa.

Fu un sollievo, quando il carradore li fece scendere.

Con il sole basso alle spalle, entrarono a piedi in un piccolo villaggio assai simile a Market Sheran. La Strada per Caemlyn lo tagliava in due; ai lati dell’ampia strada c’erano file di casette di mattoni col tetto di stoppie. Ragnatele di rampicanti quasi spogli coprivano i muri. Nel villaggio c’era una sola locanda, non più grande della Fonte di Vino; sulla facciata c’era un’insegna appesa a una staffa, che cigolava ondeggiando al vento. L’Uomo della Regina.

Davanti alla locanda Rand esitò; anche se i prezzi non erano alti come quelli di Market Sheran, non potevano permettersi un pasto né una stanza.

Mat vide che cosa guardava e si batté la tasca dove teneva le palle colorate di Thom. «Ci vedo abbastanza, se non cerco di strafare» disse. Ci vedeva meglio, anche se portava ancora intorno alla fronte la sciarpa e socchiudeva le palpebre quando guardava il cielo durante il giorno. Poiché Rand non rispondeva, Mat continuò: «Non possono esserci Amici delle Tenebre in ogni locanda da qui a Caemlyn. E poi, non voglio dormire in un cespuglio, se posso dormire in un letto.» Però non si avviò verso la locanda; restò ad aspettare la decisione di Rand.

Dopo un momento Rand annuì. Si sentiva stanchissimo. Il solo pensiero di una notte all’aperto gli faceva dolere le ossa.

«Non possono essere dappertutto» convenne.

Appena mise piede nella sala comune, si domandò se non avesse fatto un errore. Il locale era pulito, ma affollato. Tutti i tavoli erano occupati e alcuni avventori se ne stavano appoggiati alle pareti perché non c’era posto a sedere. Dal modo come le cameriere si affannavano a correre avanti e indietro con aria preoccupata — condivisa dal locandiere — la folla era più numerosa del consueto. Troppa gente, per un villaggio così piccolo. Era facile distinguere chi non era del posto: gente vestita come gli altri, che però non alzava lo sguardo dal piatto o dal boccale. I locali guardavano, oltre al resto, anche i forestieri.

Un ronzio di conversazione aleggiava nell’aria, quanto bastava perché il locandiere li facesse passare in cucina, quando Rand disse di volergli parlare. Anche lì il rumore era notevole, con la cuoca e le sguattere che sbattevano marmitte e giravano da tutte le parti.

Il locandiere prese un grosso fazzoletto e si asciugò il viso. «Anche voi, immagino, andate a Caemlyn a vedere il falso Drago, come ogni altro sciocco del Regno» esordì. «Bene, sei per una stanza e due o tre a letto; se non vi va, non ho niente per voi.»

Rand recitò il solito discorsetto, ma con una punta di disagio. Con tanta gente in viaggio, chiunque poteva essere un Amico delle Tenebre e non c’era modo di distinguerlo dagli altri. Mat diede una dimostrazione di abilità — solo tre palle, e con prudenza — e Rand tirò fuori il flauto di Thom. Dopo solo una decina di note di “Il vecchio orso nero", il locandiere annuì con impazienza.

«Va bene. Mi serve qualcosa per distrarre quegli idioti da questo Logain. Ci sono già state tre zuffe sul fatto che sia o non sia il vero Drago. Mettete le vostre cose nell’angolo e vi farò un po’ di spazio. Se ce n’è. Sciocchi. Il mondo è pieno di sciocchi che non sanno stare al proprio posto. È questa, la causa di tutti i guai. Gente che non sa stare al proprio posto.» Si asciugò di nuovo il viso e uscì in fretta dalla cucina, borbottando sottovoce.

La cuoca e le sguattere non badarono a Rand e a Mat. Mat continuò ad aggiustarsi la sciarpa intorno alla fronte, spostandola in su, poi battendo le palpebre alla luce e tirandola di nuovo giù. Rand si chiese se Mat ci vedeva abbastanza anche solo per far girare in aria tre palle. In quanto a lui...

Il senso di nausea divenne più forte. Si lasciò cadere su di uno sgabello e si strinse la testa. La cucina gli pareva fredda. Aveva i brividi. Il vapore riempiva l’aria, forni e fornelli scoppiettavano di calore. Scosso da brividi sempre più forti, Rand cominciò a battere i denti. Si strinse nelle braccia, ma non riusciva a scaldarsi. Sentiva il gelo nelle ossa.

Confusamente capì che Mat gli parlava, lo scuoteva per la spalla, mentre un altro imprecava e usciva in fretta. Poi c’era il locandiere, con a fianco la cuoca accigliata, e Mat discuteva ad alta voce con tutt’e due. Rand non distingueva le parole, che gli giungevano come un ronzio confuso, e non riusciva a pensare a niente.

A un tratto Mat lo prese per il braccio e lo tirò in piedi. Portava in spalla le loro cose: bisacce, coperte, il fagotto di Thom e gli astucci con gli strumenti. Il locandiere li osservava, ansioso, e si asciugava il viso. Barcollando, sostenuto da Mat, Rand si lasciò guidare verso la porta posteriore.

«S-scusa, M-mat» riuscì a dire. Batteva i denti. «S-sarà... s-stata... la p-pioggia. U-un’altra... n-notte... a-all’aperto... n-non... m-mi farà... m-male... c-credo.» Il crepuscolo scuriva il cielo punteggiato da una manciata di stelle.

«Nient’affatto» disse Mat. Cercò di mostrarsi allegro. «Aveva paura che la gente scoprisse che c’era un ammalato nella sua locanda. Gli ho detto che se ci sbatteva fuori, ti portavo nella sala comune. In dieci minuti avrebbe perso metà dei clienti. Anche se li considera sciocchi, non vuole che se ne vadano.»

«D-dove... a-allora?»

«Qui» disse Mat. Aprì la porta della stalla, con un forte cigolio di cardini.

Dentro c’era ancora più buio; l’aria odorava di fieno e di granaglie e di cavalli, con un forte sottofondo di letame. Quando Mat lo fece sedere per terra sulla paglia, Rand si rannicchiò con le ginocchia al petto, tremando dalla testa ai piedi. Gli sembrava che le forze gli servissero solo a tremare. Udì Mat inciampare, mandare un’imprecazione, inciampare di nuovo; poi, un acciottolio metallico. All’improvviso ci fu un po’ di luce. Mat reggeva una vecchia lanterna ammaccata.

Se la locanda era piena, la stalla non era da meno. Tutti gli stalli erano occupati; alcuni cavalli alzarono la testa alla luce improvvisa. Mat guardò la scala a pioli che portava al fienile, poi Rand, e scosse la testa.

«Non riuscirò mai a portarti su» brontolò. Appese a un chiodo la lanterna, salì sul fienile e gettò giù bracciate di fieno. Poi preparò un giaciglio in fondo alla stalla e vi fece distendere Rand. Lo coprì con tutt’e due i mantelli, ma Rand li spinse via quasi subito.

«Brucio» mormorò. Sapeva vagamente che solo l’attimo prima aveva freddo, ma ora si sentiva come in un forno. Si allargò il colletto, agitando la testa. «Brucio» ripeté. Sentì sulla fronte la mano di Mat.

«Torno subito» disse Mat e scomparve.

Rand si agitò nel fieno, finché Mat non tornò reggendo un piatto pieno di cibo, una brocca e due tazze.

«Qui non c’è nessuna Sapiente» disse, inginocchiandosi accanto a Rand. Riempì una tazza e gliela portò alla bocca. Rand bevve come se morisse di sete. «Non sanno neppure che cos’è una Sapiente» continuò Mat. «Hanno solo una certa Mamma Brune, ma è fuori ad assistere una partoriente e nessuno sa quando torna. Ho avuto un po’ di pane e formaggio e salsiccia. Il buon mastro Inlow ci darà tutto quello che vogliamo, purché non ci facciamo vedere dai clienti. Tieni, cerca di mangiare.»

Rand girò la testa: la sola vista, il solo pensiero del cibo, gli dava il voltastomaco. Mat sospirò, rassegnato, e si mise a mangiare. Rand distolse lo sguardo e si sforzò di non ascoltarlo.

Gli tornarono i brividi, e poi la febbre, e di nuovo i brividi, e di nuovo la febbre. Mat lo copriva, se tremava, e gli dava da bere, se si lamentava per la sete. La notte divenne più buia e la stalla tremolò alla luce guizzante della lanterna. Le ombre presero forma e si mossero come animate di vita propria. Poi Rand vide Ba’alzamon percorrere la stalla, con occhi ardenti e ai fianchi due Myrddraal con la faccia nascosta dal cappuccio nero.

Cercò a tastoni l’elsa e tentò di tirarsi in piedi, urlando: «Mat! Mat, sono qui! Luce santa, eccoli!»

Mat, seduto a gambe incrociate e appoggiato alla parete, si svegliò di soprassalto. «Cosa? Amici delle Tenebre? Dove?»

Malfermo sulle ginocchia, Rand indicò freneticamente il fondo della stalla... e rimase a bocca aperta. Le ombre guizzavano; un cavallo batté per terra lo zoccolo. Nient’altro. Ricadde sulla paglia.

«Non c’è nessuno, a parte noi» disse Mat. «Su, lascia che la prenda io.» Allungò la mano verso il cinturone, ma Rand serrò la stretta sull’elsa.

«No. No, devo tenerla. Lui è mio padre. Capisci? È m-mio p-padre!» Fu di nuovo assalito dai brividi, ma continuò a stringere la spada come se fosse una gomena di salvataggio. «M-mio p-padre!» Mat rinunciò a togliergli il cinturone e gli rimise addosso i mantelli.

Ci furono altre visitazioni, quella notte, mentre Mat sonnecchiava. Rand non era sicuro se c’erano veramente o le sognava. A volte guardava Mat, che teneva la testa abbassata sul petto, e si domandava se anche lui, svegliandosi, le avrebbe viste.

Egwene uscì dall’ombra, con i capelli riuniti in una treccia scura, come li portava a Emond’s Field, e il viso addolorato e triste. «Perché ci hai lasciati?» disse. «Siamo morti perché ci hai abbandonati.»

Rand scosse debolmente la testa. «No, Egwene. Non volevo abbandonarti. Ti prego.»

«Siamo morti tutti» disse lei, triste. «E la morte è il reame del Tenebroso. Apparteniamo al Tenebroso, poiché ci hai abbandonati.»

«No. Non ho avuto scelta, Egwene. Ti prego. Egwene, non andare via. Torna, Egwene!»

Ma lei si ritirò nelle ombre e fu un’ombra.

L’espressione di Moiraine era serena, ma il viso era esangue e pallido. Il mantello poteva essere benissimo un sudario e la voce era una frusta. «Hai detto bene, Rand al’Thor. Non hai scelta. Devi andare a Tar Valon, altrimenti apparterrai al Tenebroso. Incatenato nell’Ombra per l’eternità. Solo le Aes Sedai possono salvarti, ormai. Solo le Aes Sedai.»

Thom gli sorrise con aria ironica. Gli abiti gli pendevano addosso in stracci bruciacchiati che lasciavano vedere i lampi di luce, mentre il menestrello lottava con il Fade per dare a loro due il tempo di fuggire. Sotto gli stracci, la carne era annerita e bruciata. «Se ti fidi delle Aes Sedai, ragazzo, rimpiangerai di non essere morto. Ricorda, il prezzo dell’aiuto delle Aes Sedai è sempre più piccolo di quanto tu non pensi, sempre più grande di quanto tu non immagini. E quale Ajah ti troverà per prima, eh? Rossa? Forse Nera. Meglio scappare, ragazzo. Scappa.»

Lo sguardo di Lan era duro come granito e il sangue gli ricopriva il viso. «Strano, vedere un marchio dell’airone nelle mani d’un pastore. Ne sei meritevole? Meglio che tu lo sia. Sei da solo, adesso. Niente a cui aggrapparti, dietro di te; niente, davanti; e chiunque può essere un Amico delle Tenebre.» Fece un sorriso da lupo e il sangue gli sgorgò di bocca. «Chiunque.»

Venne Perrin, con aria d’accusa, supplicando aiuto. Comare al’Vere, piangendo per la figlia; e Bayle Domon, imprecando per avere attirato i Fade sulla sua barca; e mastro Fitch, che si torceva le mani sulle ceneri della sua locanda; e Min, che urlava nelle grinfie di un Trolloc: persone che conosceva, persone che aveva solo incontrato. Ma peggio di tutti fu Tam. Tam, con la fronte corrugata, si fermò davanti a lui, scosse la testa e non disse una parola.

«Devi dirmelo» lo supplicò Rand. «Chi sono? Dimmelo, per favore. Chi sono?» E urlò: «Chi sono?»

«Rand, stai calmo.»

Per un attimo Rand pensò che fosse la risposta di Tam, ma poi si accorse che Tam era sparito. Mat si chinò su di lui e gli accostò alle labbra la tazza d’acqua.

«Cerca di riposare. Sei Rand al’Thor, ecco chi sei, con la faccia più brutta e la testa più dura dei Fiumi Gemelli. Ehi, sei marcio di sudore! La febbre è scomparsa.»

Fu un sonno non turbato da sogni — almeno, Rand non ne ricordò — ma tanto leggero che gli si aprivano gli occhi ogni volta che Mat lo controllava. Una volta si domandò se Mat non dormisse per niente, ma piombò subito nel sonno, prima di approfondire il pensiero.

Al cigolio di cardini si svegliò completamente, ma per un istante rimase disteso nel fieno, desiderando d’essere ancora addormentato. Così non sarebbe stato consapevole del proprio corpo. I muscoli gli dolevano come cenci strizzati e avevano la stessa forza. Debolmente cercò di sollevare la testa: ci riuscì al secondo tentativo.

Mat sedeva al solito posto, contro la parete, a portata di braccio. Teneva il mento contro il petto, che si alzava e si abbassava al ritmo regolare del sonno profondo. La fascia gli era caduta sugli occhi.

Rand guardò in direzione della porta.

Una donna la teneva aperta. Per un attimo fu solo una sagoma scura nel buio, messa in risalto dalla fioca luce del primo mattino; poi entrò nella stalla e lasciò che la porta si richiudesse dietro di lei. Alla luce della lanterna Rand la vide più chiaramente. Aveva circa l’età di Nynaeve, ma non era una paesana. La seta verde chiaro della veste scintillava, quando si muoveva. Il mantello era d’un grigio intenso e morbido; una rete di merletto le chiudeva i capelli. La donna si toccò la pesante catena d’oro e guardò, pensierosa, Mat e Rand.

«Mat» disse Rand. E poi, più forte: «Mat!»

Mat sbuffò e quasi cadde, svegliandosi di colpo. Si strofinò gli occhi e fissò la donna.

«Sono venuta a dare un’occhiata al mio cavallo» disse lei, con un gesto vago in direzione degli stalli. Però non distolse lo sguardo dai due ragazzi. «Sei ammalato?»

«Sta bene» rispose Mat, aspro. «Ha solo preso un colpo di freddo sotto la pioggia. Tutto qui.»

«Forse dovrei dargli un’occhiata» disse la donna. «Ho certe conoscenze...»

Rand si domandò se fosse un’Aes Sedai. Ancora più degli abiti, la sicurezza di sé e il portamento della testa erano estranei a quel luogo. E se era un’Aes Sedai, a quale Ajah apparteneva?

«Sto bene, adesso» le disse. «Davvero, non ho bisogno di niente.»

Ma lei attraversò la stalla, tenendo sollevata la veste e posando con cautela i piedi calzati di pantofole grigie. Con una smorfia per la paglia, si inginocchiò accanto a Rand e gli toccò la fronte.

«Febbre non ne hai» disse, esaminandolo, assorta. Aveva un viso grazioso, dai lineamenti affilati, ma privo di calore. Ma anche di freddezza: non mostrava alcun sentimento. «Eri davvero ammalato, però. Sì. Sì. E sei ancora debole come un gattino d’un giorno. Penso...» Frugò sotto il mantello e all’improvviso gli eventi si susseguirono con tale rapidità che Rand riuscì solo a mandare un grido inarticolato.

La donna estrasse di scatto la mano; qualcosa scintillò, mentre lei si tuffava al di sopra di Rand, verso Mat. Mat si gettò di lato, in un movimento rapido e confuso; ci fu il rumore sordo di metallo conficcato nel legno. Accadde tutto in un istante. Poi ogni cosa si fermò.

Mat, quasi disteso sulla schiena, serrava il polso della donna proprio sopra il pugnale che lei aveva conficcato nella parete nel tentativo di colpirlo al petto; con l’altra mano le puntava alla gola il pugnale preso a Shadar Logoth.

Muovendo solo gli occhi, la donna cercò di guardare il pugnale in mano a Mat. Sgranò gli occhi, ansimò e cercò di ritrarsi; ma Mat non spostò la lama. Allora la donna rimase immobile come pietra.

Rand fissò la scena. Anche se non fosse stato così debole, non sarebbe riuscito a muoversi. Poi guardò il pugnale usato dalla donna e si sentì mancare il fiato. Intorno alla lama, il legno si era annerito e sottili riccioli di fumo si levavano dalla bruciatura.

«Mat! Mat, il suo pugnale!»

Mat lanciò un’occhiata rapidissima al pugnale, poi tornò a guardare la donna, ma lei non si era mossa. Si umettava le labbra, nervosa. Con rudezza Mat la costrinse a schiudere le dita dall’elsa e le diede uno spintone; lei cadde all’indietro e allungò le mani dietro di sé per attutire la caduta, ma non distolse lo sguardo dal pugnale di Mat. «Non muoverti» disse lui. «Sono pronto a usarlo, se ti muovi. Credimi, parlo sul serio.» Lei annuì lentamente. «Rand, tienila d’occhio» continuò Mat.

Rand non sapeva che cosa Mat s’aspettava da lui, se la donna si fosse ribellata... un grido d’avvertimento, forse: certo non avrebbe potuto correrle dietro, se lei avesse cercato di fuggire. Ma la donna rimase seduta senza muoversi, mentre Mat strappava dalla parete il pugnale. La macchia annerita smise di allargarsi, anche se ne usciva ancora un filo di fumo.

Mat cercò un posto dove posare il pugnale, poi lo porse a Rand, che lo prese cautamente, come se fosse una vipera viva. Sembrava normale: ben lavorato, con elsa d’avorio, lama stretta e lucente non più lunga d’un palmo. Un semplice pugnale. Ma lui aveva visto cos’era in grado di fare. L’elsa non era neppure calda, ma Rand si sentì sudare la mano. Si augurò di non lasciar cadere nel fieno quel pugnale così insolito.

La donna mantenne la posizione scomposta in cui era caduta e guardò Mat girarsi lentamente verso di lei. Parve chiedersi che cosa avrebbe fatto; ma Rand vide che all’improvviso Mat socchiudeva gli occhi e serrava la stretta sull’elsa. «Mat, no!» gridò.

«Ha cercato di uccidermi, Rand. Avrebbe ucciso anche te. È un Amico delle Tenebre.» Lo disse in tono di disgusto.

«Ma noi no» replicò Rand. La donna ansimò, come se solo allora avesse capito le intenzioni di Mat.

Per un momento Mat rimase immobile e il pugnale scintillò alla luce della lanterna. Poi annuì. «Vai lì» disse alla donna. Col pugnale indicò la porta della selleria.

Lei si alzò lentamente e si soffermò a togliersi dal vestito qualche filo di paglia; anche quando si avviò nella direzione indicata da Mat, si mosse come se non ci fosse motivo d’affrettarsi. Ma Rand notò che teneva d’occhio il pugnale dall’elsa col rubino. «Dovreste veramente smetterla di ribellarvi» disse la donna. «Sarebbe meglio, in fin dei conti. Lo vedrete.»

«Meglio?» replicò Mat, ironico, strofinandosi il petto che il pugnale della donna avrebbe trafitto, se lui non si fosse mosso. «Vai lì.»

Lei scrollò con noncuranza le spalle e ubbidì. «Un errore. C’è stata una notevole... confusione, dopo l’intervento di quello sciocco egoista di Gode. Per non parlare dell’idiota che ha scatenato il panico a Market Sheran. Nessuno sa con certezza che cosa sia successo, lì. Quindi per voi la situazione si fa più pericolosa, non capite? Avrete posti d’onore, se verrete spontaneamente al Signore delle Tenebre; ma finché continuerete a fuggire, sarete inseguiti; e chi può dire che cosa accadrà allora?»

Rand sentì un brivido. Ricordò l’ammonimento di Ba’alzamon. I suoi segugi erano gelosi e forse non si sarebbero mostrati gentili.

«Così un paio di ragazzi di campagna basta a mettervi in difficoltà» rise Mat, torvo. «Mi sa che voi Amici delle Tenebre non siete pericolosi come si sente dire.» Spalancò la porta della selleria e arretrò.

Sulla soglia la donna esitò e lo guardò girando solo la testa. Aveva occhi di ghiaccio e voce anche più gelida. «Scoprirete quanto siamo pericolosi. Quando il Myrddraal arriverà qui...»

Il resto della frase andò perso; Mat sbatté la porta e la bloccò calando la sbarra negli appositi alloggiamenti. Si girò, preoccupato. «Un Fade» disse con voce tesa, riponendo sotto la giubba il pugnale. «Viene qui, ha detto. Come vanno, le gambe?»

«Non posso ballare» brontolò Rand. «Ma se mi aiuti ad alzarmi, a camminare ce la faccio.» Guardò il pugnale che ancora reggeva e rabbrividì. «Sangue e ceneri, ce la faccio anche a correre.»

Mat si mise in spalla i fagotti e tirò in piedi Rand. Con le gambe che gli mancavano, questi fu costretto a sorreggersi all’amico per stare dritto, ma cercò di non impacciarlo nei movimenti. Tenne ben lontano da sé il pugnale della donna. Fuori della porta c’era un secchio d’acqua. Passando, Rand vi gettò il pugnale. L’arma produsse uno sfrigolio e dall’acqua si alzò una nuvoletta di vapore. Con una smorfia Rand cercò di allungare il passo.

Anche a quell’ora del mattino, nelle vie c’era parecchia gente. Però tutti si occupavano delle proprie faccende e nessuno prestò attenzione ai due giovani che uscivano dal villaggio, visto anche l’alto numero di forestieri. Ma Rand tese ugualmente ogni muscolo e cercò di stare dritto. A ogni passo si domandava se fra quella gente frettolosa c’erano Amici delle Tenebre. In attesa della donna col pugnale, o del Fade.

A un miglio dal villaggio le forze smisero di sorreggerlo. L’attimo prima, Rand ansimava aggrappato a Mat; l’attimo dopo, erano tutt’e due lunghi e distesi per terra. Mat lo rimorchiò sul ciglio della strada.

«Dobbiamo andare avanti» disse. Si passò le dita fra i capelli e si calò sugli occhi la sciarpa. «Prima o poi qualcuno la farà uscire. E lei si rimetterà al nostro inseguimento.»

«Lo so» ansimò Rand. «Dammi la mano.»

Mat lo tirò di nuovo in piedi, ma lui barcollò e capì che non ce l’avrebbe fatta. Al primo passo, sarebbe caduto di nuovo.

Mat lo tenne in piedi e aspettò con impazienza che passasse un carretto tirato da cavalli, proveniente dal villaggio. Fu con sorpresa che lo vide rallentare e fermarsi. Dal sedile un uomo dal viso scuro come cuoio li guardò.

«Non sta bene?» domandò, senza togliersi di bocca la pipa.

«Solo stanco» rispose Mat.

Rand capì che non era plausibile, visto come si aggrappava a Mat. Lasciò andare l’amico e mosse un passo. Le gambe gli tremarono, ma si costrinse a reggersi. «Non dormo da due giorni» disse. «Ho mangiato qualcosa che mi ha fatto vomitare. Ora mi sento meglio, ma muoio di sonno.»

L’uomo soffiò una nuvola di fumo dall’angolo della bocca. «Andate a Caemlyn, eh? Avessi la vostra età, forse andrei anch’io a vedere il falso Drago.»

«Sì» annuì Mat. «Andiamo a vedere il falso Drago.»

«Salite, allora. Il tuo amico, dietro. Se vomita di nuovo, meglio che sia sulla paglia e non sul sedile. Mi chiamo Hyam Kinch.»

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