46 Fal Dara

Il territorio intorno alla Porta era una serie di colline boscose, ma non c’era traccia di un boschetto Ogier. Gli alberi erano per la maggior parte scheletri grigi che artigliavano il cielo. Pochi sempreverdi punteggiavano le foreste e molti avevano aghi e foglie scuri e secchi. Loial si limitò a scuotere con tristezza la testa, senza fare commenti.

«Morto come le Terre Inaridite» disse Nynaeve, corrugando la fronte. Egwene si strinse nel mantello, con un brivido.

«Almeno siamo fuori» disse Perrin. E Mat aggiunse: «Fuori, dove?»

«Nello Shienar» rispose Lan. «Siamo nelle Marche di Confine.» Nel suo tono duro c’era una nota che parlava di casa, quasi.

Rand si strinse nel mantello per difendersi dal freddo. Le Marche di Confine. Quindi la Macchia era vicina. La Macchia. L’Occhio del Mondo. E lo scopo del loro viaggio.

«Siamo vicino a Fal Dara» disse Moiraine. «Solo alcune miglia.» Al di là degli alberi, a settentrione e a levante si alzavano delle torri, scure contro il cielo mattutino. Fra le alture e i boschi spesso le torri scomparivano, solo per comparire di nuovo, quando il gruppetto arrivava in cima a una collina più alta delle altre.

Rand notò alberi spaccati per il lungo, come colpiti dal fulmine.

«Il freddo» spiegò Lan. «Qui l’inverno a volte è così freddo che la linfa gela e l’albero scoppia. Certe notti li senti scoppiettare come castagnole e l’aria è così cristallina che sembra sul punto di frantumarsi anch’essa. Sono più numerosi del solito, quest’inverno.»

Rand scosse la testa. Alberi che scoppiavano? E durante gli inverni normali. Chissà com’era stato, l’ultimo inverno! Non riusciva proprio a immaginarlo.

«Chi dice che l’inverno è passato?» brontolò Mat, battendo i denti.

«Ah, ma questa è una bella primavera, pastore» rispose Lan. «Una bella primavera per essere vivi. Se ti piace il caldo, be’, farà caldo, nella Macchia.»

Sottovoce, Mat imprecò: «Sangue e ceneri. Sangue e ceneri, maledizione!» Sembrava venire dal cuore.

Adesso oltrepassavano fattorie. Era l’ora in cui si accende il fuoco per preparare il pranzo, ma dagli alti comignoli di pietra non usciva fumo. Nei campi non si vedevano persone né animali, anche se di tanto in tanto si scorgevano un aratro o un carro abbandonati, come se il proprietario dovesse tornare da un momento all’altro.

Nel cortile di una fattoria lungo la strada, una gallina solitaria raspava il terreno. Un battente della porta del fienile dondolava al vento; l’altro pendeva di sghimbescio, perché il cardine inferiore era rotto. La casa, bizzarra per chi come Rand era abituato a quelle dei Fiumi Gemelli, aveva il tetto a punta, rivestito di grosse scandole che arrivavano quasi a terra; non vi si scorgeva movimento, né si udivano rumori. Nessun cane uscì ad abbaiare contro gli intrusi. In mezzo al cortile del granaio c’era una falce; accanto al pozzo, un mucchio di secchi capovolti.

Moiraine diede alla casa colonica un’occhiata sospettosa e mosse le redini di Aldieb, che allungò il passo.

Rand scosse la testa. Non riusciva a immaginare che lì crescesse qualcosa. Ma d’altra parte non riusciva nemmeno a immaginare le Vie, anche ora che le aveva percorse.

«Non credo che lei si aspettasse una scena del genere» disse piano Nynaeve, con un gesto che includeva le fattorie abbandonate viste fino a quel momento.

«Dove sono finiti, tutti quanti?» disse Egwene. «E perché se ne sono andati? Non da molto, sembra.»

«Come mai t’è venuta quest’idea?» domandò Mat. «Dall’aspetto di quella porta di fienile, potrebbero mancare da tutto l’inverno.» Nynaeve e Egwene lo guardarono come se fosse tardo di comprendonio.

«Le tendine alle finestre» spiegò Egwene, paziente. «Sembrano troppo leggere, per l’inverno. Nessuna donna le avrebbe appese da più d’un paio di settimane, forse meno.»

«Tendine» ridacchiò Perrin. Tornò subito serio, quando le due donne lo guardarono di storto. «Oh, sono d’accordo. Sulla falce non c’era ruggine, perciò sarà rimasta all’aperto una settimana al massimo. Avresti dovuto notarlo, Mat. Anche se ti sono sfuggite le tendine.»

Rand lanciò a Perrin un’occhiata di scancio. Lui aveva — o aveva avuto, quando andavano insieme a caccia di conigli — vista più acuta di Perrin, ma non aveva notato se la lama della falce era arrugginita.

«Non m’interessa dove sono andati» brontolò Mat. «Voglio solo trovare un posto con un fuoco. E presto.»

«Ma perché se ne sono andati?» disse Rand, sottovoce. La Macchia non era lontano, da lì. La Macchia, dove c’erano i Fade e i Trolloc, tranne quelli scesi nell’Andor a dare loro la caccia. La Macchia, dove erano diretti.

Alzò un poco la voce. «Nynaeve, forse non è necessario che tu e Egwene veniate con noi all’Occhio.» Le due donne lo guardarono come se straparlasse; ma, con la Macchia a così breve distanza, Rand doveva fare un altro tentativo. «Forse per voi è sufficiente trovarvi nelle vicinanze. Moiraine non ha detto che dovete andarci. Nemmeno tu, Loial. Potete fermarvi a Fal Dara fino al nostro ritorno. O partire per Tar Valon. Forse ci sarà una carovana di mercanti o Moiraine affitterà una carrozza. Ci incontreremo a Tar Valon, quando tutto sarà finito.»

«Ta’veren.» Il sospiro di Loial parve rombo di tuono all’orizzonte. «Tu fai turbinare le vite intorno a te, Rand al’Thor. Tu e i tuoi amici. Il tuo destino coinvolge il nostro.» L’Ogier scrollò le spalle e all’improvviso sorrise. «E poi, sarà un bel colpo, incontrare l’Uomo Verde. L’Anziano Haman parla sempre del suo incontro con lui, e anche mio padre, e gran parte degli Anziani.»

«Tanti così?» disse Perrin. «Secondo le storie, l’Uomo Verde è difficile da trovare e nessuno lo trova due volte.»

«Due volte no» convenne Loial. «Ma io non l’ho mai incontrato e voi neppure. E lui non sembra evitare gli Ogier come evitargli esseri umani. Sa molte cose, sugli alberi. Perfino le Canzoni dell’Albero.»

Rand disse: «Ma io volevo...»

Nynaeve lo interruppe. «Lei dice che Egwene e io facciamo parte del Disegno. Legate a voi tre. Se bisogna crederle, nel modo in cui è intessuto questo pezzo del Disegno c’è qualcosa che potrebbe fermare il Tenebroso. Purtroppo, io le credo: sono accadute troppe cose, per non crederle. Ma se Egwene e io ce ne andiamo, quali cambiamenti apportiamo al Disegno?»

«Cercavo soltanto di...»

Nynaeve lo interruppe di nuovo, bruscamente. «So benissimo cosa cerchi di fare.» Lo guardò, finché Rand non si mosse a disagio sulla sella; poi addolcì l’espressione. «Lo so, Rand. Non ho molta simpatia per le Aes Sedai, meno di tutte per questa qui. E mi piace ancora meno l’idea di andare nella Macchia. Ma ho la massima avversione per il Padre delle Menzogne. Sei voi ragazzi... se voi uomini fate quel che va fatto, per quanto poco vi piaccia, vuoi che io sia da meno? O Egwene?» Mosse le redini e si accigliò guardando l’Aes Sedai più avanti. «Mi domando se arriveremo presto a questa Fal Dara e se lei intende farci passare la notte all’aperto.»

Mentre Nynaeve aumentava l’andatura per avvicinarsi a Moiraine, Mat disse: «Ci ha chiamati uomini. Mi sembra ieri, quando diceva che dovevamo stare attaccati alle sottane di nostra madre.»

«Tu dovresti farlo ancora adesso» disse Egwene, ma senza molta convinzione, secondo Rand. Spostò Bela accanto a Red e abbassò la voce in modo che nessuno udisse, anche se Mat cercò ugualmente di origliare. «Con Aram ho ballato soltanto, Rand» mormorò, senza guardarlo. «Non puoi prendertela con me solo perché ho ballato con uno che non vedrò mai più.»

«No, certo» rispose lui. Che cosa l’aveva spinta a tornare adesso sull’argomento? All’improvviso ricordò una frase di Min, detta quando erano a Baerlon, sembrava cent’anni fa: «Lei non è per te e tu non sei per lei; almeno, non nel modo che entrambi vorreste».

La città di Fal Dara sorgeva su delle alture, ma era assai meno vasta di Caemlyn; però era circondata da mura più alte. Per un miglio intero, tutt’intorno alle mura, il terreno era disboscato e anche l’erba era rasa. Niente poteva avvicinarsi senza essere scorto dalle numerose torri sormontate da una palizzata di legno. Mentre le mura di Caemlyn avevano anche un’intrinseca bellezza, i costruttori di Fal Dara avevano badato solo all’efficienza. La pietra grigia era implacabile, proclamava d’esistere a un unico scopo: impedire l’accesso. In cima alle palizzate, bandiere garrivano al vento; sembrava che il Falco Nero in picchiata, emblema dello Shienar, volasse lungo le mura.

Lan gettò indietro il cappuccio del mantello e, nonostante il freddo, indicò agli altri di imitarlo. Moiraine aveva già abbassato il proprio. «È la legge dello Shienar» spiegò il Custode. «Di tutte le Marche di Confine. Nessuno può nascondere il viso, dentro le mura d’una città.»

«Sono tutti così belli?» rise Mat.

«Un Mezzo Uomo non può nascondersi, se mostra la faccia» rispose il Custode, in tono piatto.

Rand perdette il sorriso. Mat si affrettò a togliersi il cappuccio.

Le porte, alti battenti rivestiti di ferro, erano spalancate; ma dodici uomini in armatura erano di guardia. Indossavano la sopravveste gialla col Falco Nero. Appesa alla schiena portavano la spada, la cui elsa sporgeva sopra la spalla; alla cintura avevano un’altra spada a lama larga, o una mazza, o un’ascia. I cavalli, legati nelle vicinanze, erano resi grotteschi da bardature metalliche che coprivano petto, collo e testa. Le guardie non fecero alcun gesto per fermare Lan e Moiraine e gli altri. Anzi, agitarono il braccio in segno di saluto e lanciarono allegri richiami.

«Dai Shan!» gridò un soldato al loro passaggio, agitando sopra la testa il pugno guantato di maglia metallica. «Dai Shan!»

Altri gridarono: «Gloria ai Costruttori!» e: «Kiserai ti Wansho!» Loial parve sorpreso, poi sorrise e salutò le guardie.

Un uomo, per quanto ingombrato dall’armatura, corse per un breve tratto a fianco del cavallo di Lan. «La Gru Dorata volerà ancora, Dai Shan?»

«Pace, Ragan» fu la risposta del Custode, e l’uomo rimase indietro. Lan restituì alle guardie il saluto, ma divenne più torvo in viso.

Mentre percorrevano le vie lastricate, piene di gente e di carri, Rand corrugò la fronte, preoccupato. Fal Dara scoppiava di gente, ma le persone non erano né l’ansiosa folla di Caemlyn che si godeva anche fra le liti la magnificenza della città, né la folla agitata di Baerlon. Gomito a gomito, questi guardavano passare il gruppetto a cavallo, con occhi privi d’espressione. Carretti e carri ingombravano ogni vicolo e metà delle vie, carichi alla rinfusa di mobilio e di cassapanche intagliate, tanto piene da lasciar uscire lembi di vestiti. In cima sedevano i bambini: gli adulti li tenevano d’occhio e non li lasciavano allontanare nemmeno per giocare. I bambini erano più taciturni degli adulti e avevano occhi più tormentati. Gli spazi fra i carri erano pieni di bestiame irsuto e di maiali a macchie nere, chiusi in recinti di fortuna. Oche e polli, nelle gabbie, compensavano il silenzio delle persone. Adesso era chiaro dov’erano finiti i contadini.

Lan si diresse alla fortezza posta al centro della città, una massiccia costruzione di pietra, sulla collina più alta. Un fossato asciutto, profondo e largo, col fondo tappezzato di aste di ferro acuminate e taglienti, alte come una persona, circondava le mura della fortezza. Il luogo dell’estrema difesa, se la città fosse caduta. Da una delle torri che fiancheggiavano le porte, un uomo in armatura salutò: «Benvenuto, Dai Shan.» Un altro, dall’interno della fortezza, gridò: «La Gru Dorata! La Gru Dorata!»

Gli zoccoli dei cavalli tambureggiarono sull’assito del ponte levatoio, mentre il gruppetto attraversava il fossato e passava sotto le punte acuminate della saracinesca. Varcata la porta, Lan smontò e condusse a mano Mandarb, indicando agli altri di imitarlo.

La prima corte era un ampio quadrato pavimentato con grandi lastre di pietra e circondato da torri e da bastioni robusti come quelli all’esterno. Per quanto vasta, la corte sembrava affollata come le vie e piena di confusione, anche se non mancava un certo ordine. Dovunque c’erano uomini e cavalli in armatura. In cinque o sei fucine poste intorno alla corte i martelli rimbombavano e grossi mantici, azionati ciascuno da due uomini in grembiule di cuoio, facevano ruggire il fuoco delle forge. Un fiume continuo di garzoni portava di corsa ai maniscalchi i ferri di cavallo appena forgiati. I fabbricanti di frecce erano impegnati nel loro mestiere: appena un cesto era pieno, veniva portato via e sostituito con uno vuoto.

Mozzi di stalla in livrea comparvero di corsa, ansiosi e sorridenti, in vesti nero e oro. Rand si affrettò a togliere da dietro la sella le sue poche cose e affidò il baio a uno stalliere, mentre un uomo in armatura di piastre e di maglia s’inchinò formalmente. Sopra l’armatura portava un mantello giallo vivo, orlato di rosso, con il Falco Nero ricamato all’altezza del petto, e una sopravveste gialla con un gufo grigio. Non portava elmo ed era davvero a testa nuda, perché si era rasato i capelli, a parte un ciuffo legato con una cordicella di cuoio. «Manchi da moltissimo tempo, Moiraine Sedai» disse. «E mi fa piacere rivedere anche te, Dai Shan.» Rivolse un inchino anche a Loial e mormorò: «Gloria ai Costruttori. Kiserai ti Wansho.»

«Non ne sono degno» rispose formalmente Loial «e il lavoro è insignificante. Tsingu ma choba.»

«Con la tua presenza, Costruttore, ci onori» disse l’uomo. «Kiserai ti Wansho.» Si rivolse di nuovo a Lan. «Lord Agelmar è stato informato, Dai Shan, appena t’hanno visto giungere. Ti aspetta. Da questa parte, prego.»

Lo seguirono dentro la fortezza, lungo corridoi di pietra pieni di spifferi e adorni di arazzi dai colori vivaci e da grandi tendaggi di seta con scene di caccia e di battaglia. L’uomo continuò: «Sono lieto che il richiamo ti sia giunto, Dai Shan. Innalzerai ancora la bandiera della Gru Dorata?» A parte gli arazzi, i corridoi erano spogli; e anche i tendaggi mostravano il minimo di figure eseguite con la massima parsimonia di tratti, appena sufficiente a dare senso al disegno.

«La situazione è davvero brutta come sembra, Ingtar?» domandò piano Lan.

Ingtar scosse la testa, facendo oscillare il ciuffo di capelli, ma esitò, prima di sorridere. «La situazione non è mai brutta come sembra, Dai Shan. Un po’ peggiore del solito, quest’anno, ecco tutto. Le incursioni si sono susseguite per tutto l’inverno, anche nei periodi di freddo più intenso. Ma qui non sono state peggiori che altrove, lungo il Confine. Vengono sempre di notte, ma non ci si aspetta altro, in primavera, se questa si può chiamare primavera. Esploratori tornano dalla Macchia... quei pochi che tornano... con notizie di accampamenti Trolloc. Sempre notizie di nuovi accampamenti. Ma li affronteremo al passo di Tarwin, Dai Shan, e li ricacceremo come abbiamo sempre fatto.»

«Naturalmente» disse Lan, ma non parve molto convinto.

Per un attimo Ingtar perdette il sorriso. Senza aggiungere altro, li introdusse nello studio di lord Agelmar; si scusò e andò via.

Lo studio era una stanza adatta alla difesa come il resto della fortezza, con feritoie nella parete verso l’esterno e una pesante sbarra per bloccare la robusta porta, munita anch’essa di feritoie per le frecce e rinforzata con strisce di ferro. C’era un solo arazzo, che copriva un’intera parete e mostrava uomini in armatura simili a quelli di Fal Dara, impegnati in uno scontro con Myrddraal e Trolloc, in un passo di montagna.

Un tavolo, una cassapanca e alcune sedie completavano il mobilio, oltre a due rastrelliere a parete, che colpirono l’occhio di Rand quanto l’arazzo. Una conteneva uno spadone dal tipo che s’impugna a due mani, più lungo d’una persona, una spada normale e in basso una mazza chiodata e un lungo scudo romboidale con un emblema raffigurante tre volpi. All’altra era appesa un’armatura completa e disposta come la sì sarebbe indossata. Elmo crestato con visiera a sbarre, sopra un camaglio a maglia doppia. Usbergo di maglia, con lo spacco per consentire di cavalcare, e veste di cuoio reso lucido dall’uso. Pettorale, guanti di ferro, protezioni per gomiti e ginocchia, e mezza piastra per spalle e braccia e gambe. Anche lì, nel cuore della fortezza, armi e armatura sembravano pronte a essere usate da un momento all’altro. Come il mobilio, erano semplici e austeramente decorate in oro.

All’ingresso del gruppetto, Agelmar si alzò dal tavolo ingombro di mappe, fogli, penne e calamai, e venne incontro agli ospiti. Alla prima occhiata pareva un tipo troppo pacifico per quella stanza, con la giubba di velluto azzurro, l’alto colletto bianco, morbidi stivali di pelle; ma una seconda occhiata indusse Rand a cambiare idea. Come gli altri soldati, anche Agelmar aveva la testa rasata, a parte il ciuffo di capelli bianchissimi sulla sommità del cranio. Il viso era duro come quello di Lan, segnato solo da rughe intorno agli occhi, e questi occhi sembravano pietra marrone, anche se ora sorridevano.

«Siamo in pace, ma è bello vederti qui, Dai Shan» disse il signore di Fal Dara. «E forse di più, vedere anche te, Moiraine Sedai. La tua presenza mi scalda il cuore.»

«Ninte calichniye no domashita, Agelmar Dai Shan» rispose Moiraine, formalmente, ma con un tono che rivelava vecchia amicizia. «Il tuo benvenuto mi rallegra, lord Agelmar.»

«Kodome calichnye ga ni Aes Sedai hei. Qui le Aes Sedai sono sempre benvenute.» Agelmar si rivolse a Loial. «Sei lontano dallo stedding, Ogier, ma la tua presenza rende onore a Fal Dara. Sia sempre gloria ai Costruttori. Kiserai ti Wansho hei.»

«Non ne sono degno» rispose Loial, con un inchino. «Sei tu a rendermi onore.» Lanciò un’occhiata all’austerità delle pareti di pietra e parve lottare con se stesso. Rand fu lieto che l’Ogier riuscisse a trattenere ulteriori commenti.

Servitori in livrea nera e oro comparvero senza rumore. Alcuni portavano su vassoi d’argento panni caldi e umidi per togliere la polvere dal viso e dalle mani; altri, vino caldo speziato e ciotole d’argento con prugne e albicocche secche. Lord Agelmar ordinò di preparare per gli ospiti stanze e bagni.

«Il viaggio da Tar Valon è lungo» disse. «Siete certamente stanchi.»

«Breve, per la via che abbiamo seguito» disse Lan «ma ancora più faticoso che per la strada più lunga.»

Agelmar parve perplesso, visto che il Custode non aggiunse altro, ma si limitò a dire: «Qualche giorno di riposo vi rimetterà in sesto.»

«Chiedo ospitalità per una sola notte, lord Agelmar» disse Moiraine. «Per noi e per i cavalli. E provviste fresche, domattina, se puoi privartene. Purtroppo dovremo partire di buon’ora.»

Agelmar si accigliò. «Ma pensavo... Moiraine Sedai, non ho diritto di domandarlo, ma la tua presenza varrebbe mille lance, al passo di Tarwin. E anche la tua, Dai Shan. Mille uomini verranno, quando sapranno che la Gru Dorata sventola di nuovo.»

«Le Sette Torri sono in rovina» disse Lan, brusco. «E Malkier è morta. I pochi che l’hanno lasciata sono sparsi per il mondo. Sono un Custode, Agelmar, giurato alla Fiamma di Tar Valon e diretto nella Macchia.»

«Certo, Dai Sh... Lan. Certo. Ma senza dubbio un ritardo di qualche giorno, al massimo di qualche settimana, non farà differenza. Sei indispensabile. Tu e Moiraine Sedai.»

Moiraine prese da un vassoio un calice d’argento. «Ingtar pare convinto che sconfiggerete questa minaccia come in molte altre occasioni nel corso degli anni.»

«Aes Sedai» disse Agelmar, ironico «se Ingtar dovesse cavalcare da solo fino al passo di Tarwin, lo farebbe proclamando per tutta la strada che i Trolloc saranno sconfitti di nuovo. Ha tanto orgoglio da credere quasi di riuscirci davvero anche da solo.»

«Stavolta non è fiducioso quanto credi, Agelmar.» Lan tenne in mano una coppa, ma non bevve. «Quant’è grave, la situazione?»

Agelmar esitò; poi, dalla confusione di carte sul tavolo, trasse una mappa. Rimase un momento a guardarla, senza vederla, e la lasciò cadere. «Quando cavalcheremo verso il passo» rispose piano «manderemo la gente a meridione, a Fal Moran. Forse la capitale resisterà. Deve resistere!»

«Siamo a questo punto?» disse Lan. Agelmar annuì con aria stanca.

Rand scambiò un’occhiata inquieta con Mat e Perrin. Era facile credere che i Trolloc si radunavano nella Macchia per dare la caccia a lui e ai suoi amici.

«Il Kandor, l’Arafel, la Saldaea...» proseguì Agelmar, in tono sinistro. «I Trolloc vi hanno fatto scorrerie per tutto l’inverno. Non è mai accaduto niente del genere, dai tempi delle Guerre Trolloc: scorrerie così feroci, così numerose, così decise. Ogni monarca e ogni consiglio sono convinti che dalla Macchia stia per arrivare un grande attacco a fondo e ogni Marca di Confine crede d’essere il bersaglio. I loro esploratori e i Custodi non riferiscono che i Trolloc si ammassano alle loro frontiere, come accade qui da noi, eppure le Marche hanno paura d’inviare altrove i loro soldati. La gente mormora che il mondo sta per finire, che il Tenebroso è di nuovo in libertà. Noi dello Shienar andremo da soli al passo di Tarwin e saremo in inferiorità numerica, almeno di uno a dieci. Forse sarà l’ultima Adunanza delle Lance.

«Lan... no, Dai Shan: sei sempre un Lord Incoronato di Malkier, qualsiasi cosa tu dica. Dai Shan, il vessillo con la Gru Dorata, in prima fila, infonderebbe coraggio a uomini che sanno di andare incontro alla morte. La notizia si spargerebbe come incendio: anche se i monarchi hanno ordinato ai loro uomini di non muoversi, altre lance giungeranno dall’Arafel e dal Kandor, anche dalla Saldaea. Non in tempo per combattere al nostro fianco nel passo di Tarwin, ma forse in tempo per salvare lo Shienar.»

Lan abbassò lo sguardo sulla coppa di vino. Non cambiò espressione, ma il vino gli sporcò la mano, quando strinse la coppa d’argento fino ad accartocciarla. Un servitore gli tolse la coppa rovinata e con un panno gli ripulì la mano; un altro gli porse una seconda coppa. Lan parve non accorgersi di niente. «Non posso!» mormorò, rauco. Sollevò la testa: gli occhi ardevano intensamente, ma la voce era di nuovo calma, piatta. «Sono un Custode, Agelmar» disse, con un’occhiata a Moiraine. «Alle prime luci andrò nella Macchia.»

Agelmar sospirò pesantemente. «Moiraine Sedai, non puoi venire tu, almeno? Una Aes Sedai farebbe la differenza.»

«Non posso, lord Agelmar.» Moiraine parve turbata. «C’è davvero una battaglia da combattere e non è per caso che i Trolloc si radunano sopra lo Shienar; ma la nostra battaglia, la vera battaglia contro il Tenebroso, si terrà nella Macchia, all’Occhio del Mondo. Tu devi combattere la tua, e noi la nostra.»

«Vorresti dire che lui è in libertà?» Agelmar parve sconvolto e Moiraine si affrettò a scuotere la testa.

«Non ancora. Se all’Occhio del Mondo vinceremo noi, forse non sarà mai più in libertà.»

«Ma troverai l’Occhio, Aes Sedai? Se da questo dipende la sconfitta del Tenebroso, è come se fossimo tutti morti. Molti l’hanno cercato e tutti hanno fallito.»

«Posso trovarlo, lord Agelmar. C’è ancora speranza.»

Agelmar osservò Moiraine, poi gli altri. Parve perplesso, nel notare Nynaeve e Egwene, perché le loro vesti da contadine contrastavano con quelle di seta di Moiraine, anche se tutte erano sporche per il viaggio. «Anche loro sono Aes Sedai?» domandò, dubbioso. Moiraine scosse la testa e lui parve ancora più confuso. Esaminò i tre giovani di Emond’s Field e si soffermò su Rand, che teneva la mano sull’elsa della spada avvolta nella stoffa rossa. «Sei accompagnata da una scorta insolita, Aes Sedai. Un solo uomo d’arme.» Diede un’occhiata a Perrin e all’ascia appesa alla cintura. «Forse due. Ma poco più che ragazzi. Consentimi di mandare con te dei soldati. Cento lance in più o in meno non faranno differenza, al passo di Tarwin, ma a te serviranno più d’un Custode e di tre ragazzi. E le due donne non ti saranno d’aiuto, a meno che non siano Aiel sotto mentite spoglie. La Macchia è peggiore del solito, quest’anno. Si... si agita.»

«Cento lance sarebbero troppe e mille non basterebbero» disse Lan. «Più il nostro gruppo sarà numeroso, più rischieremo di attirare l’attenzione. Dobbiamo giungere all’Occhio del Mondo evitando scontri, se possibile. Il risultato è prevedibile, quando i Trolloc combattono all’interno della Macchia.»

Agelmar annuì, torvo, ma non cedette. «Un numero minore, allora. Anche dieci uomini validi avrebbero migliori possibilità di questi tre giovanotti, per scortare dall’Uomo Verde Moiraine Sedai e le altre due donne.»

Il signore di Fal Dara, capì allora Rand, presumeva che sarebbero state Nynaeve e Egwene a combattere con Moiraine contro il Tenebroso. Era logico. Uno scontro come quello implicava l’uso dell’Unico Potere, disponibile solo alle donne. Rand infilò nella cintura i pollici e strinse il fermaglio perché le mani non gli tremassero.

«Niente uomini» disse Moiraine. Agelmar aprì di nuovo bocca e lei proseguì, prima che protestasse. «È la natura dell’Occhio e dell’Uomo Verde. Quanti uomini di Fal Dara hanno trovato l’Uomo Verde e l’Occhio?»

Agelmar si strinse nelle spalle. «Dai tempi della Guerra dei Cento Anni, si contano sulle dita d’una mano. Non più di uno in cinque anni, fra tutte le Marche di Confine.»

«Nessuno trova l’Occhio del Mondo, se l’Uomo Verde non vuole» disse Moiraine. «Necessità è la chiave; e l’intenzione. Io so dove andare... ci sono già stata.» Rand girò di scatto la testa, sorpreso; non fu l’unico, ma Moiraine parve non accorgersene. «Ma se uno tra noi cerca gloria, se cerca di aggiungere il proprio nome a quei quattro, rischiamo di non trovarlo mai anche se andrò direttamente al posto che ricordo.»

«Hai visto l’Uomo Verde, Moiraine Sedai?» Il signore di Fal Dara parve impressionato, ma subito dopo si accigliò. «Però, se l’hai già incontrato una volta...»

«Necessità è la chiave» rispose piano Moiraine. «E non può esserci necessità maggiore della mia. Della nostra. E poi, io ho una cosa che gli altri cercatori non hanno.»

Quasi non distolse lo sguardo dal viso di Agelmar, ma Rand fu sicuro che l’avesse spostato un poco verso Loial, solo per un istante. Anche lui incrociò lo sguardo dell’Ogier e Loial si strinse nelle spalle.

«Ta’veren» mormorò.

Agelmar alzò le mani al cielo. «Sarà come vuoi, Aes Sedai. Santa Pace, se la vera battaglia avverrà all’Occhio del Mondo, sono tentato di portare il vessillo del Falco Nero dietro di voi, anziché al passo di Tarwin. Ti aprirei la strada...»

«Sarebbe un disastro, lord Agelmar. Sia al passo di Tarwin, sia all’Occhio. Tu hai la tua battaglia, noi abbiamo la nostra.»

«Santa Pace! Come vuoi, Aes Sedai.»

Raggiunta una decisione, per quanto spiacevole, il signore di Fal Dara parve non pensarci più. Li invitò a tavola con lui e intanto parlò di falchi e di cavalli e di cani, senza mai un accenno ai Trolloc, al passo di Tarwin o all’Occhio del Mondo.

La stanza da pranzo era austera quanto lo studio, con scarso arredamento a parte il tavolo e le sedie, anch’essi severi in linea e forma, per quanto belli. Un grande camino riscaldava la stanza, ma non tanto che una persona, uscendo in fretta, restasse colpita dal freddo esterno. Domestici in livrea servirono minestra, pane, formaggio; i discorsi riguardarono libri e musica, fin quando lord Agelmar non si accorse che i cinque di Emond’s Field non prendevano parte alla conversazione. Da buon ospite, rivolse loro cortesi domande perché non si sentissero esclusi.

Rand si trovò presto a gareggiare con gli altri per parlare di Emond’s Field e dei Fiumi Gemelli. Era uno sforzo, non eccedere nei particolari. Si augurò che anche gli altri non si sbilanciassero, soprattutto Mat. Solo Nynaeve restò sulle sue, pranzando in silenzio.

«Nei Fiumi Gemelli c’è una canzone» disse Mat «intitolata “Tornando a casa dal passo di Tarwin".» Concluse la frase in tono esitante, come se capisse all’improvviso d’introdurre un argomento che fino a quel momento avevano evitato, ma Agelmar fu abile nel girargli attorno.

«Non è sorprendente. Poche terre non hanno mai mandato uomini a tenere a bada la Macchia, nel corso degli anni.»

Rand guardò Mat e Perrin. Mat formò silenziosamente la parola Manetheren.

Agelmar mormorò qualcosa a un domestico; mentre gli altri sparecchiavano, l’uomo si allontanò e tornò poco dopo portando un barattolo e pipe d’argilla per Lan, Loial e Agelmar. «Tabacco dei Fiumi Gemelli» disse il signore di Fal Dara, mentre tutti riempivano la pipa. «Non è facile procurarselo, ma ne vale la pena.»

Mentre Loial e gli altri due fumavano di gusto, Agelmar diede un’occhiata all’Ogier. «Sembri turbato, Costruttore. Non sconvolto dalla Nostalgia, mi auguro. Da quanto tempo manchi dallo stedding

«Non è la Nostalgia. Non manco da molto.» Loial scrollò le spalle e il fumo grigiazzurro che usciva dalla pipa descrisse una spirale, quando lui gesticolò. «Mi aspettavo... mi auguravo... che il boschetto esistesse ancora. Che ci fossero almeno dei resti di Mafal Dadaranell.»

«Kiserai ti Wansho» mormorò Agelmar. «Le Guerre Trolloc hanno lasciato solo ricordi, Loial figlio di Arent, e gente che vi ha costruito sopra. Non poteva imitare l’opera dei Costruttori, più di quanto non possa io. Quei disegni intricati che sa creare il tuo popolo sono al di là delle capacità umane. Forse abbiamo evitato di fare una brutta copia che avrebbe solo ricordato bellezze perdute. C’è una bellezza diversa, nella semplicità, in una singola linea tracciata in un certo modo, in un singolo fiore fra i sassi. La crudezza della pietra rende più prezioso il fiore. Cerchiamo di non pensare troppo alle cose ormai scomparse. Il cuore più forte si spezzerebbe, sotto questa pressione.»

«Il petalo di rosa galleggia sull’acqua» recitò piano Lan. «Il martin pescatore saetta sul laghetto. Vita e bellezza turbinano tra la morte.»

«Sì, certo» disse Agelmar. «Anche per me questa poesia ha sempre simboleggiato la completezza.» I due si rivolsero un inchino.

Lan, un poeta? Quell’uomo era simile a una cipolla: ogni volta che Rand pensava di sapere qualcosa di lui, scopriva un altro strato sotto il precedente.

Loial annuì lentamente. «Forse anch’io mi soffermo troppo su cose ormai svanite. Tuttavia, i boschetti erano belli.» Ma guardava la stanza spoglia, come se la vedesse con occhio nuovo e trovasse a un tratto cose meritevoli d’ammirazione.

Entrò Ingtar e rivolse un inchino a lord Agelmar. «Chiedo scusa, signore, ma volevi essere informato di qualsiasi evento insolito, per quanto di poca importanza.»

«Sì. Di cosa si tratta?»

«Una piccolezza, signore. Un forestiero ha cercato di entrare in città. Dal modo di parlare, si direbbe lugardiano. D’origine, almeno. Quando le guardie della Porta Meridionale hanno provato a interrogarlo, è fuggito. L’hanno visto entrare nei boschi, ma poco dopo l’hanno scoperto a scalare le mura.»

«Una piccolezza!» esclamò Agelmar, alzandosi subito. «Santa Pace! La guardia delle torri è così negligente che un uomo può scalare le mura senza farsi scoprire e tu la chiami una piccolezza?»

«È un pazzo, signore.» Nella voce di Ingtar c’era un tono di timore reverente. «La Luce protegge i pazzi. Forse la Luce ha annebbiato gli occhi della guardia sulla torre e ha permesso all’intruso di arrivare alle mura. Certo un povero pazzo non può nuocere.»

«L’hanno già portato nella fortezza? Bene. Voglio vederlo, subito.» Ingtar uscì e Agelmar si rivolse a Moiraine. «Chiedo scusa, Aes Sedai, ma devo occuparmene. Forse è soltanto un povero sventurato con la mente accecata dalla Luce, però... Due giorni fa, cinque dei nostri sono stati sorpresi mentre cercavano di segare i cardini d’una porta carraia. Piccola, ma sufficiente a far entrare i Trolloc.» Fece una smorfia. «Amici delle Tenebre, immagino, anche se mi ripugna pensare cose del genere di qualsiasi shienariano. Sono stati fatti a pezzi dalla popolazione, prima che le guardie li catturassero, quindi non saprò mai la verità. Se anche gli shienariani diventano Amici delle Tenebre, a maggior ragione devo diffidare dei forestieri, in questi giorni. Se volete ritirarvi, vi farò accompagnare nelle vostre stanze.»

«Gli Amici delle Tenebre non conoscono frontiere né vincoli di sangue» disse Moiraine. «Si trovano in ogni terra e non appartengono a nessuna. Anche a me interessa vedere quest’uomo. Il Disegno forma una Grinza, Agelmar, ma la forma finale della Grinza non è ancora definita. Può ingarbugliare il mondo, oppure dipanarlo e indurre la Ruota a una nuova tessitura. A questo punto, anche le piccole cose possono modificare la forma della Grinza. E anch’io diffido di piccole cose che escono dall’ordinario.»

Agelmar lanciò un’occhiata a Nynaeve e a Egwene. «Come vuoi tu, Aes Sedai.»

Ingtar ritornò in compagnia di due guardie armate d’alabarda, che scortavano un uomo con l’aspetto d’un sacco di stracci rovesciato. La sporcizia gli imbrattava il viso, i capelli ispidi, la barba incolta. L’uomo si accovacciò, muovendo da tutte le parti gli occhi infossati. Emanava un lezzo acre.

Rand lo guardò attentamente, cercando di penetrare gli strati di sporcizia.

«Non avete motivo per trattarmi così» piagnucolò lo sconosciuto. «Sono solo un poveraccio abbandonato dalla Luce, che cerca come tutti un posto dove ripararsi dall’Ombra.»

«Le Marche di Confine sono un luogo insolito dove cercare...» cominciò Agelmar. Mat lo interruppe.

«Il venditore ambulante!» esclamò.

«Padan Fain» convenne Perrin.

«Il mendicante» disse Rand, con voce all’improvviso rauca. Si appoggiò allo schienale, per l’odio improvviso che balenò negli occhi di Fain. «È l’uomo che chiedeva di noi, a Caemlyn.»

«Quindi la cosa ti riguarda, Moiraine Sedai» disse lentamente Agelmar.

Moiraine annuì. «Temo proprio di sì.»

«Non volevo» protestò Fain, mettendosi a piangere. Grosse lacrime tracciarono solchi nella sporcizia che gli copriva le guance, ma non riuscirono a raggiungere la pelle. «È stato lui! Lui e i suoi occhi ardenti.» Rand trasalì. Mat teneva la mano sotto la giubba, stringendo senza dubbio il pugnale di Shadar Logoth. «Mi ha reso il suo cane da caccia! Il suo cane, per cercare le vostre tracce senza un attimo di riposo. Sempre e solo il suo cane, anche dopo avermi buttato via.»

«Riguarda tutti noi» disse Moiraine, truce. «C’è un luogo dove posso parlargli da sola, lord Agelmar?» Serrò le labbra, disgustata. «Ma prima fategli il bagno. Forse dovrò toccarlo.» Agelmar annuì e parlò sottovoce con Ingtar, che gli rivolse un inchino e uscì dalla stanza.

«Non voglio!» La voce era quella di Fain, ma l’ambulante non piangeva più e un tono arrogante aveva sostituito il piagnucolio. Non si tenne più accucciato, ma si eresse in tutta la sua statura. Gettò indietro la testa e gridò al soffitto: «Mai più! Non... lo... farò!» Affrontò Agelmar, come se gli uomini che gli stavano a fianco fossero le sue guardie del corpo e il signore di Fal Dara fosse un suo pari, non colui che l’aveva fatto prigioniero. Il tono divenne viscido, untuoso. «C’è un equivoco, nobile ignore. A volte sono vittima di momenti di malessere, ma passano presto. Sì, presto tornerò normale.» Con aria sprezzante indicò gli stracci che indossava. «Non farti ingannare da questi stracci, nobile signore. Ho dovuto travestirmi, per sfuggire a coloro che hanno cercato di fermarmi e ho fatto un viaggio lungo e duro. Ma finalmente sono arrivato in terre dove gli uomini conoscono ancora i pericoli di Ba’alzamon, dove c’è ancora chi combatte il Tenebroso.»

Rand lo fissava a occhi sbarrati. Era davvero la voce di Fain, ma le parole non sembravano affatto quelle del venditore ambulante.

«Quindi sei venuto qui perché combattiamo i Trolloc» disse Agelmar. «E sei tanto importante che qualcuno vuole fermarti. Queste persone dicono che sei un venditore ambulante di nome Padan Fain e che li segui.»

Fain esitò. Lanciò un’occhiata a Moiraine e distolse frettolosamente lo sguardo. Osservò i cinque di Emond’s Field e poi tornò a guardare Agelmar. Rand sentì l’odio, in quello sguardo, e la paura. Ma quando riprese a parlare, Fain era calmo. «Padan Fain è soltanto uno dei travestimenti che sono stato costretto a usare nel corso degli anni. Le Aes Sedai mi danno la caccia, perché ho imparato a sconfiggere l’Ombra. Posso mostrarti come sconfiggerla, nobile signore.»

«Facciamo tutto il possibile» rispose Agelmar, ironicamente. «La Ruota gira e ordisce come vuole, ma abbiamo combattuto il Tenebroso fin quasi dal tempo della Frattura del Mondo, senza bisogno che venditori ambulanti ci insegnassero il modo.»

«Nobile signore, non metto in dubbio la tua potenza, ma puoi resistere all’infinito contro il Tenebroso? Non ti trovi spesso spinto a trattenerti? Perdona la mia temerarietà, nobile signore: alla fine lui ti schiaccerà. Lo so, credimi. Ma posso mostrarti come scacciare l’Ombra dal paese, nobile signore.» Il tono divenne ancora più untuoso, ma sempre altero. «Se solo provi a mettere in pratica il mio suggerimento, vedrai, nobile signore. Ripulirai il paese. Tu puoi farlo, se indirizzi la tua potenza nella giusta direzione. Evita che Tar Valon ti intrappoli nei suoi lacci e potrai salvare il mondo. Nobile signore, sarai l’uomo ricordato per sempre come colui che portò la vittoria finale alla Luce.» Le due guardie rimasero al proprio posto, ma sfiorarono il manico delle alabarde come se pensassero di doverle usare.

«Ha una grande stima di sé, per essere un venditore ambulante» disse Agelmar a Lan, girando solo la testa. «Penso che Ingtar abbia ragione. È pazzo.»

Fain socchiuse gli occhi, con rabbia, ma continuò in tono untuoso: «Nobile signore, so che le mie parole possono sembrare eccessive, ma se solo sarai disposto a...» S’interruppe di colpo e arretrò, mentre Moiraine si alzava e girava lentamente intorno al tavolo. Solo le alabarde abbassate gli impedirono di indietreggiare fin fuori della stanza.

Moiraine si fermò dietro la sedia di Mat, gli mise una mano sulla spalla e si chinò a mormorargli all’orecchio. Qualsiasi cosa avesse detto, dal viso di Mat scomparve la tensione e lui tolse la mano da sotto la giubba. L’Aes Sedai proseguì fino a trovarsi a fianco di Agelmar, di fronte a Fain. Quando si fermò, l’ambulante riprese la posizione acquattata.

«Lo odio» piagnucolò. «Voglio liberarmi di lui. Voglio camminare di nuovo nella Luce.» Cominciò a scuotere le spalle e le lacrime gli colarono sulle guance, più copiosamente di prima. «Mi ha costretto a farlo.»

«Purtroppo, lord Agelmar, è qualcosa di più d’un semplice venditore ambulante» disse Moiraine. «Men che umano, peggio che abominevole, più pericoloso di quanto non immagini. Il bagno può aspettare: voglio prima parlare con lui. Non oso sprecare un minuto. Vieni, Lan.»

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