L’ufficio era deserto, con quell’aria fredda, ma piena di aspettative, di una redazione deserta. Non vidi nessun portinaio, benché ce ne fossero in servizio. Neanche Fulmine si vedeva in giro. Doveva essere in servizio, a quell’ora, ma certamente aveva scovato un angolo tranquillo per schiacciare un pisolino.
Le poche luci accese non facevano che accrescere l’atmosfera spettrale, come lampioni in lontananza lungo un viale immerso nella nebbia.
Sedetti alla mia scrivania, allungai la mano sulla cornetta del telefono, ma non la alzai. Rimasi lì, immobile e in ascolto, senza la più pallida idea di che cosa stessi ascoltando. Forse solo il silenzio. Nell’open space tutto era tranquillo, non si sentiva volare una mosca. Anche il mondo dava l’impressione di essere così quieto e pacifico, come se il silenzio dell’ufficio si espandesse da quelle quattro mura per avvolgere la Terra.
Sollevai lentamente il ricevitore e chiamai il centralino. Mi rispose una voce sonnolenta, che rimase educatamente sorpresa quando le dissi il nome della persona che volevo al telefono. Sembrava quasi risentita che io chiamassi una personalità importante a quell’ora di notte. Ma riuscì a trattenersi e disse che mi avrebbe richiamato appena avesse avuto la comunicazione.
Rimisi a posto il ricevitore, mi allungai in poltrona, e cominciai a pensare. Ma le ore cominciavano a farsi sentire, e il cervello era intorpidito. Per la prima volta, mi accorsi di essere stanco. Molto.
Mi sembrava di essere seduto nella nebbia, nel più assoluto silenzio, al confuso bagliore di luci lontane. E la mente annebbiata presentava un’immagine della Terra così com’era. Un pianeta silenzioso, stanco, rassegnato alla totale distruzione, senza che nessuno potesse fare qualcosa.
Squillò il telefono.
— La sua chiamata, signor Graves — disse la centralinista.
— Pronto, Rog? — dissi.
— Sei davvero tu, Parker? — rispose la voce lontana. — Che cavolo ti prende, a quest’ora di notte?
— Rog, è della massima importanza — dissi. — Sai che non ti avrei disturbato, in caso contrario.
— Spero che sia così. Sono andato a letto solo un paio d’ore fa…
— Grattacapi? — chiesi.
— Una riunione. Abbiamo discusso di parecchie cose.
— C’era qualcuno preoccupato?
— Preoccupato di che? — chiese con indifferenza.
— Delle somme enormi che affluiscono alle banche, per esempio.
— Ascolta bene, Parker — rispose — se cerchi di cavar fuori qualcosa da me, perdi tempo.
— Non voglio strapparti nessun segreto di Stato. Piuttosto, sono io che ho bisogno di rivelarti delle cose. Sarà un po’ difficile da spiegare, ma desidero che tu mi creda.
— Ti ascolto.
— Ci sono degli alieni sulla Terra — dissi. — Esseri arrivati dalle stelle. Li ho visti, ho anche parlato con loro, e…
— Adesso capisco — mi interruppe il senatore. — È la notte tra venerdì e sabato, e ti sei preso una sbronza.
— Ti sbagli — protestai. — Sono assolutamente lucido.
— Hai preso la paga e sei uscito a divertirti.
— La paga, non l’ho neanche ritirata. Avevo troppe cose per le mani e me ne sono scordato.
— Ora ho la prova che sei ubriaco. Non è mai successo che tu abbia dimenticato di ritirare la paga. Sei sempre il primo a metterti in fila alla cassa…
— Dannazione Rog, ascoltami un momento!
— Tornatene a letto — concluse il senatore — e dormici sopra. Se poi vorrai ancora parlarmi, chiama domani. Di mattina.
— Ma va’ all’inferno! — gridai. Non poté sentirmi, perché aveva già riattaccato.
Avevo una voglia matta di sbattere giù il ricevitore, ma qualcosa me lo impedì. Forse un profondo senso di sconfitta, che ebbe l’effetto di farmi passare la rabbia.
Rimasi a giocherellare con il ricevitore, ascoltando il ronzio che arrivava dal cavo del telefono. Non c’era speranza. Nessuno mi avrebbe dato retta. Come se tutti fossero diventati degli Atwood, dei finti esseri umani, della stessa materia di quegli esseri che avevano invaso la Terra.
A ben pensarci, non era poi così paradossale. Poteva davvero succedere, anzi era proprio la cosa che gli alieni stavano cercando di fare. Ed eccomi qui seduto, con il ricevitore in mano, e con rivoli gelidi che mi attraversavano la schiena: l’ultimo uomo sulla Terra.
Isolato, almeno, lo ero sul serio.
E se il senatore Roger Hill non fosse stato più lo stesso che era, diciamo, cinque anni fa? Se il corpo del vero Roger Hill fosse stato nascosto in qualche angolo, mentre l’uomo con cui avevo appena finito di parlare era un falso senatore Hill? E se il Vecchio non fosse più stato lui ma una cosa orribile, che camminava come lui? E se l’amministratore delegato di qualche grande polo industriale non fosse più stato un essere umano? E se tutti i personaggi chiave, uno dopo l’altro, fossero stati sostituiti con dei falsi, così perfetti da farsi accettare da tutti, inclusi i familiari?
E se la donna che mi aspettava in macchina non fosse…
Follia, follia, mi dissi. Ridicolo. Solo fantasie frustrate di un cervello a pezzi.
Riabbassai il ricevitore e mi alzai tremando. Quindi scesi da Joy che mi aspettava.