Quando il telefono squillò, infrangendo il silenzio della casa, Breton corse a rispondere, ma poi rimase incerto con le dita strette sul ricevitore.
Due ore di solitudine, nella quiete ombrosa del pomeriggio, l’avevano riempito di vaghi presagi, alternati a momenti di eccitante trionfo. Era proprio il tipo di giornata in cui poteva aspettarsi da un attimo all’altro lo scintillio furtivo che precedeva un attacco di emicrania in piena regola. Ma nell’anno passato da quando aveva fatto il primo grande balzo, aveva avuto pochissimi viaggi, come se il potenziale nervoso si fosse scaricato, prosciugato. Adesso, non aveva altro nella testa se non un senso di imminenza, una consapevolezza di vita e di morte in equilibrio sul filo di una lama…
Sollevò il ricevitore, attese, senza parlare.
— Pronto. — La voce maschile aveva un leggero accento inglese. — Sei tu, John?
— Sì — rispose cauto Breton.
— Non ero sicuro che fossi già a casa. Ho chiamato in ufficio e mi hanno detto che te n’eri già andato… ma sono passati solo cinque minuti… Devi aver consumato i copertoni per arrivare a casa così in fretta.
— Ho corso un po’. — Breton cercò di parlare con voce normale. — Ma chi parla?
— Gordon, naturalmente. Gordon Palfrey. Senti, Kate è qui con noi. Miriam e io l’abbiamo incontrata al supermarket… Adesso te la passo.
— Bene.
Con uno sforzo, Breton riuscì a ricordare che i Palfrey erano quei tizi che si occupavano di scrittura automatica e che erano riusciti a entusiasmare anche Kate. Miriam era dotata di facoltà telepatiche, o così almeno pareva, e l’idea di doverle parlare lo metteva a disagio.
— Pronto, John? — Kate ansimava un po’, e dalla sua esitazione, capì che sapeva che non era John.
— Cosa c’è, Kate?
— John, Miriam mi ha detto delle cose fantastiche. In questi giorni sta ottenendo dei risultati meravigliosi. Sono eccitatissima.
“Come può?” pensò seccato Jack Breton. “Come può la mia Kate lasciarsi invischiare da gente simile?”
E ad alta voce disse: — Interessante. È per questo che mi hai chiamato?
— Sì. Miriam vuol dare una dimostrazione a qualche amico intimo, stasera, e mi ha invitato. Ti dispiace se vado direttamente a casa loro? Puoi sbrigartela senza di me per una sera?
Il fatto che Kate non stesse in casa nelle prossime ore si accordava perfettamente coi suoi progetti; tuttavia, la devozione di sua moglie per i Palfrey lo irritò. Solo il timore di comportarsi come l’altro Breton gli impedì di protestare.
— Kate — disse calmo — mi stai evitando?
— Ma no! Solo mi spiacerebbe perdere questa occasione.
— Mi ami?
Seguì un breve silenzio. — Non credevo che avessi bisogno di chiedermelo.
— Va bene. — Breton decise di passare all’azione. — Ma, Kate, ti pare una buona idea non tornare a casa, stasera? Non scherzavo parlando delle intenzioni di John, sai. È in uno stato d’animo per cui non mi stupirei se stasera stessa decidesse di andarsene e di scomparire.
— Sta a lui decidere. Tu avresti qualcosa in contrario?
— No, ma voglio che siate tutti e due sicuri di quel che fate.
— È una cosa a cui non posso pensare — disse Kate, con voce sommessa. — Questa situazione è più forte di me.
— Non. preoccuparti, cara — disse dolcemente Breton. — Va’, e divertiti. Risolveremo la situazione, in un modo o nell’altro.
Depose il ricevitore e pensò alla prossima mossa. Gordon Palfrey aveva detto che John era già uscito dall’ufficio; dunque, sarebbe arrivato a casa da un momento all’altro. Breton salì di corsa in camera a prendere la pistola. Per rendere plausibile l’ipotesi che John Breton avesse piantato in asso moglie e lavoro, bisognava liberarsi anche degli indumenti e di quelle cose che presumibilmente avrebbe dovuto portare con sé. Denaro! Jack Breton guardò l’ora. Ormai le banche erano chiuse. Esitò, domandandosi se Kate non si sarebbe insospettita scoprendo che John se n’era andato senza quattrini. Era probabile che non se ne accorgesse, per qualche giorno e magari per qualche settimana; ma alla fine l’avrebbe scoperto, e avrebbe trovato strana la cosa.
D’altra parte, Kate non aveva mai badato molto al denaro ed era probabile che non avrebbe avuto la voglia né la capacità di indagare a fondo sulle transazioni finanziarie che John avrebbe dovuto fare. Jack decise che l’indomani, per prima cosa, sarebbe andato in banca, fingendosi John, per far trasferire una grossa cifra su una banca di Seattle. In seguito, se necessario, avrebbe ritirato delle somme da quel nuovo conto, per rendere più reale la sua finzione.
Andò a prendere nel ripostiglio due valigie a soffietto, le riempì di abiti, e le portò in anticamera. La pistola gli batteva contro l’anca a ogni passo. Una parte della sua mente continuava a dubitare che sarebbe stato capace di adoperarla contro John Breton, ma l’altra era selvaggiamente esaltata dall’idea che quel gesto avrebbe segnato il culmine di nove anni di appassionata dedizione; e ormai non poteva più tornare indietro. Non era lui che aveva creato John Breton, che gli aveva prestato nove anni di vita non previsti nello schema cosmico? E adesso era venuto il momento di farsi restituire il prestito. “Io do” gli venne spontaneamente fatto di pensare “e io tolgo…”
D’improvviso sentì un freddo mortale. Tremando tutto, rimase a guardarsi nello specchio dell’anticamera, finché il rombo sommesso della Turbo-Lincoln di John Breton non venne a rompere il silenzio della casa. Dopo un minuto, John entrò dalla porta posteriore e si accigliò notando le due valigie.
— Dov’è Kate? — Per tacito accordo, i due Breton avevano deciso di tralasciare le formalità dei saluti.
— È a cena dai Palfrey — rispose a fatica Jack. Avrebbe ucciso John fra pochi istanti, ma il pensiero di vedere quel corpo familiare squarciato dai proiettili lo sconcertava.
— Vedo. — John lo guardava attentamente. — Cosa fai, con le mie valigie?
Jack strinse le dita sul calcio della pistola e scosse la testa, senza riuscire a parlare.
— Hai un’aria strana — osservò John. — Ti senti poco bene?
— Me ne vado — mentì Jack, in lotta con l’intima certezza che non sarebbe mai riuscito a premere il grilletto. — Ti restituirò poi le valigie. Ho preso anche qualche vestito. Ti secca?
— No. — Gli occhi di John tradivano il sollievo. — Ma allora, vuol dire che resti nella nostra corrente temporale?
— Sì… mi basterà sapere che Kate è viva e vicina.
— Oh! — Sulla faccia quadrata di John Breton si dipinse un’espressione delusa, come se si fosse aspettato di sentire parole diverse. — Parti subito? Vuoi che ti chiami un tassi?
Jack assentì e John alzò le spalle e si voltò per andare al telefono. Una gelida paralisi attanagliava i muscoli di Jack, mentre estraeva la pistola. Si avvicinò all’altro se stesso, e gli calò il calcio sulla testa, proprio dietro l’orecchio. Mentre le ginocchia di John si piegavano, Jack inciampò e gli cadde addosso. Si ritrovò a faccia a faccia con lui. John socchiuse gli occhi ottenebrati dal dolore, e Jack vi lesse l’orrore.
— Ah, è così — mormorò John in un soffio, quasi soddisfatto, come un bambino che sta per addormentarsi. Chiuse gli occhi, ma Jack Breton tornò a colpirlo parecchie volte, coi pugni, singhiozzando mentre cercava di distruggere l’immagine della propria colpa.
Quando tornò in sé, rotolò lontano da John e rimase accosciato accanto al corpo inerte, ansimando pesantemente. Poi si alzò, salì in bagno e si piegò sul lavandino. Il metallo dei rubinetti era fresco contro la sua fronte come quella volta da ragazzo, quando aveva fatto la sua prima disastrosa esperienza con i liquori, ed era corso a piegarsi sul lavandino, lasciando liberare il suo stomaco. Ma questa volta non riuscì a ottenere sollievo così a buon prezzo.
Breton si sciacquò la faccia con l’acqua fredda, si asciugò e dedicò una cura particolare alle nocche spellate. Aprì l’armadietto farmaceutico, e gli cadde lo sguardo su una bottiglietta piena di triangoli color verde chiaro, che avevano l’aspetto generico e inconfondibile delle pastiglie di sonnifero. Breton lesse l’etichetta e ne ebbe la conferma.
Andò in cucina a riempire un bicchier d’acqua e lo portò in anticamera, dove John Breton era ancora steso sul tappeto color mostarda. Gli sollevò la testa e cominciò a infilargli le pastiglie in bocca. Il compito risultò più difficile del previsto. La bocca e la gola di John si riempivano d’acqua, e un involontario colpo di tosse faceva scendere le pastiglie nello stomaco. Jack sudava, e gli ci volle molto più tempo del previsto per far inghiottire otto pastiglie all’altro se stesso.
Infine si alzò, mise da parte la bottiglietta del sonnifero, si cacciò la pistola in tasca, e trascinò il corpo in cucina. Una rapida perquisizione nelle tasche di John, fruttò a Jack un portafoglio provvisto di tutti i documenti che gli sarebbero serviti per il futuro, e un mazzo di chiavi, fra cui quella della Lincoln.
Uscì, salì in macchina, e, innestata la retromarcia, risalì il vialetto posteriore in modo da arrivare col paraurti all’altezza del traliccio del patio, coperto d’edera. Il sole pomeridiano era tiepido, e di lontano, oltre le siepi e gli alberi, si sentiva ancora il ronzio della falciatrice.
John era immobile come un morto, e aveva la faccia pallidissima segnata da un rivoletto di sangue che, dal naso, gli solcava una guancia.
Breton trascinò il corpo fuori e lo caricò nel portabagagli dell’auto. Mentre sistemava le gambe, si accorse che John aveva perso un mocassino. Riabbassò il coperchio del portabagagli senza chiuderlo a chiave, e tornò in cucina. La scarpa era caduta sulla soglia.
Breton la raccolse, e stava tornando alla Lincoln, quando s’imbatté nel tenente Convery.
— Mi spiace di dovervi disturbare di nuovo, John. — Gli occhi azzurri del tenente erano vividi, intenti, e avevano una luce maliziosa. — Ma temo di aver dimenticato qui una cosa.
— Non… non ho trovato niente.
Breton sentiva le parole che gli uscivano di bocca e si meravigliò che il suo corpo fosse capace di dominare la situazione comportandosi normalmente, mentre il suo cervello non si era ancora ripreso dal colpo. Che cosa faceva lì, Convery? Era la seconda volta nello stesso giorno che sbucava all’improvviso nel patio, nel momento meno opportuno.
— È il fossile. Il fossile del mio bambino… non l’avevo, quando sono tornato a casa. — Convery sorrideva ironicamente, come se volesse sfidare Breton a eccitare le sue prerogative, scacciando dalla sua casa un poliziotto ficcanaso. — Non avete idea dei fastidi che ho avuto.
— Non credo che sia qui, altrimenti sono sicuro che l’avrei visto… Non è un oggetto che possa passare inosservato.
— È vero — rispose Convery con indifferenza. — L’avrò lasciato da qualche altra parte.
Breton capiva che non si trattava di una coincidenza. Convery era pericoloso… un poliziotto intelligente e tenace, il tipo peggiore. Un uomo che si lasciava guidare dall’istinto e che restava attaccato tenacemente alle idee, anche contro la logica e l’evidenza. Ecco perché, ogni tanto, era tornato da Breton in quei nove anni: nutriva dei sospetti. Quale scherzo vendicativo del destino, pensò Breton, aveva portato quel superpoliziotto ostinato sulla scena che lui aveva preparato con tanta cura in quella notte di ottobre?
— Avete perso una scarpa, John?
— Una scarpa? — Breton seguì la direzione dello sguardo di Convery e si accorse di avere in mano un mocassino nero. — Oh, sì. Ero distratto.
— Capita, quando si ha qualcos’altro per la testa… Pensate un po’ al mio fossile.
— Io non ho niente altro per la testa — si affrettò a dichiarare Breton. — E voi? C’è qualcosa che vi preoccupa?
Convery si era avvicinato alla Lincoln e vi si era appoggiato, con una mano sul coperchio del portabagagli. — Niente… è che cerco di parlare con le mani.
— Non capisco.
— Non ha importanza. A proposito di mani… vedo che avete le nocche sbucciate. Vi siete picchiato con qualcuno?
— E con chi? — rise Breton. — Non posso certo picchiarmi da solo.
— Pensavo a quel tale che vi ha sistemato la macchina. — Convery batté la mano sul coperchio che vibrò rumorosamente. — Certe volte quegli scimmioni sporchi d’olio trattano i clienti in un modo che vien voglia di pestarli… E questo è uno dei motivi per cui bado sempre da solo alla manutenzione della mia auto.
Breton aveva la gola secca. Dunque, Convery aveva notato che la macchina non c’era, quando era venuto la prima volta — No, no — disse. — Non ho mai litigato con gli operai della stazione di servizio.
— Che cosa stavate facendo? — domandò il poliziotto guardando la Lincoln con l’occhio sdegnoso di chi se ne intende.
— I freni vanno registrati.
— Ah sì? Credevo che su questo tipo di macchine la registrazione dei freni fosse automatica.
— Può darsi che lo sia… non ci ho mai guardato. — Breton cominciava a chiedersi se le cose sarebbero andate ancora per le lunghe. — L’unica cosa che so, è che non frena bene.
— Volete un consiglio? Accertatevi che i bulloni delle ruote siano avvitati bene, prima di muovervi. Ho visto macchine che non frenavano bene, e la colpa era delle ruote male assicurate.
— Sono certo che le mie sono a postissimo.
— Non fidatevi troppo, John… Non c’è nulla come una ruota d’auto che riesca a stare a posto pur non essendo assicurata bene.
Poi, prima che lui facesse in tempo a muoversi, con un rapido scatto Convery girò dietro la macchina, afferrò la maniglia del portabagagli e sollevò il coperchio, voltandosi a guardare Breton con aria trionfante. Poi lo riabbassò di colpo, girando la maniglia in posizione di fermo.
— Visto? Avrebbe potuto aprirsi in corsa, e sarebbe stato pericoloso. Ve l’avevo detto, io: bisogna stare molto attenti.
— Grazie — mormorò Breton con un filo di voce.
— Vi sono molto riconoscente.
— Oh, niente… fa parte del servizio ai contribuenti. — Convery si grattò pensosamente un orecchio.
— Be’, adesso devo andare. C’è una festa di compleanno, per i miei bambini, e io non sarei nemmeno dovuto uscire. Arrivederci.
— A presto — rispose Breton. — Venite quando volete.
Aspettò un momento, incerto, poi seguì Convery, girando intorno alla casa, e raggiunse il vialetto anteriore appena in tempo per vedere una berlina verde allontanarsi rombando. Una brezza leggera faceva sollevare le foglie davanti a lui, quando si voltò per tornare alla Lincoln. L’ultima frase del poliziotto era significativa. Gli aveva fatto capire di non essere andato lì per caso, né per fargli una visita amichevole; e inoltre, Convery non era tipo da dare informazioni inutili e non richieste. Breton aveva la netta impressione di aver ricevuto un avvertimento… E questo lo metteva in una posizione ambigua e forse anche pericolosa.
Non poteva correre il rischio di ammazzare John Breton, mentre Convery continuava ancora a girare nei paraggi, in attesa che succedesse qualche cosa.
Eppure non poteva nemmeno lasciar in vita Breton, dopo quanto era accaduto… e aveva pochissimo tempo a disposizione per risolvere il dilemma.