12

Appena presa la decisione, Jack Breton chiuse a chiave la porta di casa e salì di corsa in macchina.

Non sapeva quanto tempo Kate sarebbe rimasta dai Palfrey, ma doveva rincasare prima di lei, se voleva persuaderla che John se n’era andato di sua spontanea volontà. Il capanno da pesca si trovava a una quarantina di miglia a nord. Non era una gran distanza, disponendo della Turbo-Lincoln, ma una volta arrivato là avrebbe avuto alcune cose da fare e non poteva correre il rischio di attirare l’attenzione della stradale andando a rotta di collo. Si sentiva infatti abbastanza sfortunato da pensare che si sarebbe imbattuto nell’equivalente mobile del tenente Convery.

La macchina fu scossa da un leggero tremito quando lui premette il pulsante che serviva a mettere in moto la turbina; poi seguì un silenzio che pareva carico d’attesa. Solo la posizione degli indici sui quadranti stava a indicare che il motore era avviato. Breton portò l’auto in strada e puntò verso nord, col piede sull’acceleratore. Il balzo della Lincoln in conseguenza del cambio di velocità gli fece sbattere violentemente la testa all’indietro, e Jack sollevò il piede, con un senso di timore per la potenza che aveva tra le mani.

Guidò con cautela, dirigendosi a nord, finché non fu sull’autostrada per Silverstream, dove con un movimento appena accennato del piede la velocità salì a centoventi, senza che il motore cambiasse tono. “Una buona macchina” osservò fra sé. Il pensiero che era già sua gli passò rapido per la mente, ma non ci si soffermò.

Alla periferia della città, Breton si distrasse cercando le differenze percettibili fra il mondo del Tempo B e la stessa zona del Tempo A. Ma non ne trovò nessuna. Ai lati della strada correva lo stesso panorama di magazzini di legname, capannoni, trattorie, depositi di macchine usate, piccole agenzie bancarie, e, di tanto in tanto, qualche gruppo di case che parevano fuori posto. Era lo stesso panorama desolato che conosceva bene e che aveva sempre detestato. Alterando la vita di qualche essere umano, non aveva modificato l’aspetto della città.

Quando la macchina si fu lasciata alle spalle le ultime case della periferia e si trovò a correre in mezzo alle praterie del Montana, Breton aumentò la velocità; gli insetti cominciarono a spiaccicarsi sul parabrezza. Un sole color rame stava tramontando sulla sinistra portando via con sé la luce verde pavone del cielo. Lontanissimo, verso est, un punto luminoso brillava tremulo, appena al di sopra dell’orizzonte. Jack si coprì istintivamente con la mano l’occhio destro, sicuro di essere vittima dei fenomeni di teicopsia che precedevano abitualmente gli attacchi di emicrania. Ma questa volta non si trattava di fenomeni ottici, e quando tolse la mano capì che lo scintillio nel cielo era stato provocato dalla caduta di una meteorite. “Così” pensò “la pioggia di stelle continua. E cos’altro sta succedendo?

“Alcuni individui si sono scoperti doti telepatiche, i satelliti non funzionano ed escono dall’orbita, le radiazioni solari influiscono sulle comunicazioni radio, fanatici religiosi predicano la fine del mondo…”

Breton accese la radio.

“…della NASA ha raccomandato che tutte le aviolinee che effettuano trasporti supersonici abbassino il loro tetto operativo a quindicimila metri fino a nuovo avviso. Questa limitazione è stata imposta dal crescente aumento delle radiazioni cosmiche, che gli scienziati considerano dannose alla salute di chi effettua lunghi voli ad altissima quota. Washington, D.C. Questa mattina…”

Breton si affrettò a spegnere, con la strana sensazione che il suo futuro e quello di Kate fossero minacciati. Il desiderio di lei gli provocò un fremito. Quella notte sarebbero stati soli. Ricordi del primo bacio; la visione dei seni di Kate che sgusciavano vivi e liberi dal reggiseno di nylon, delle sue cosce che avevano la compatta levigatezza dell’avorio… un’ondata di sensualità riempì la mente di Breton, che non fu più capace di pensare ad altro che al supremo miracolo dell’esistenza di Kate.

Con uno sforzo, si costrinse a concentrarsi sulle necessità immediate, facendo attenzione che la linea bianca spartitraffico si mantenesse sempre alla sua sinistra, e ripulendo di tanto in tanto il parabrezza dagli insetti schiacciati. Ma l’immagine di Kate era lì davanti ai suoi occhi, e lui sapeva che non l’avrebbe mai più lasciata andare.

Il sole era sceso sotto l’orizzonte, quando Jack raggiunse le rive del Lago Pasco e svoltò dall’autostrada nell’arteria più stretta che si tuffava in una folta macchia di pini. Calava il crepuscolo, e l’oscurità avvolse la macchina non appena questa si addentrò fra gli alberi. Breton rimase incerto a un bivio, perché erano dodici anni che non tornava in quella zona. Sulla riva meridionale c’era un villino coperto d’edera, che aveva sempre ammirato, anche se, a quei tempi, era molto al di sopra delle sue possibilità finanziarie. Pensava che su quello si sarebbe fermata la scelta di John Breton, una volta arricchito. Ma questa era una delle sfaccettature del Tempo B… E se i gusti di John fossero cambiati?

Imprecando contro se stesso per non aver pensato prima a informarsi con precisione sulla località dove sorgeva il capanno, Breton svoltò in un sentiero appena tracciato e si trovò poco dopo sulla riva del lago. Fece manovra sulla spiaggetta sassosa, e fermò la Lincoln fra il capanno e una darsena dipinta di verde. L’aria fredda e umida del lago gli penetrò nelle ossa attraverso gli abiti non appena fu sceso dalla macchina. Rabbrividendo, tirò fuori dalla tasca le chiavi e andò alla porta del capanno.

La terza chiave era quella giusta. Spalancò la porta e tornò alla macchina, per aprire il portabagagli. John Breton stava rannicchiato su un fianco. Era terreo, e l’odore dolciastro dell’orina si levava intorno a lui. Jack provò un senso di colpa. Aveva privato il suo altro se stesso di tutto, anche della dignità, e se ne vergognava. Tirò fuori l’uomo privo di sensi dalla cavità metallica del portabagagli e, afferrandolo per le ascelle, lo trascinò fino al capanno. Mentre saliva i tre gradini di legno, l’uomo mormorò qualcosa e tentò debolmente di divincolarsi.

— Sta’ tranquillo, non è successo niente — gli mormorò Jack. — Rilassati.

La stanza centrale era ammobiliata con pesanti seggioloni coperti di tweed. Un tavolo da pranzo in stile rustico, circondato da sedie, era sistemato in un angolo, sotto la finestra che guardava sul lago. Nella stanza si aprivano quattro porte. Jack spinse quella che, a suo giudizio, doveva portare in cantina; e, infatti, indovinò. Lasciò John steso sul pavimento e girò l’interruttore in cima alle scale, ma la cantina rimase buia. Una rapida ricerca nella stanza gli permise di trovare l’interruttore principale, nascosto in uno stipo. Abbassò la leva e, dalla porta della cantina, scaturì una vivida luce gialla.

Mentre Jack lo trascinava dabbasso, John riprese a divincolarsi. L’altro accentuò la presa, cercando di mantenere l’equilibrio per tutti e due, ma capì che stava per cadere. Allora lasciò andare John, che rotolò inerte fino in fondo alle scale e cadde con un tonfo sul pavimento di cemento, dove rimase immobile. Aveva sempre una scarpa sola.

Jack Breton lo scavalcò per andare a un banco da officina su cui si trovavano alcune parti di un motore. Aprì il lungo cassetto del bancone e trovò quel che cercava: una spoletta di lenza. L’etichetta gli confermò che era del tipo che gli occorreva, di materia sintetica, a molecole concatenate, di recente invenzione. Pareva un sottilissimo filo di seta, ma era dotato di una resistenza alla trazione che si poteva misurare a migliaia di tonnellate. Ne tagliò due pezzi, servendosi della speciale ghigliottina a pressione inserita nella spola. Con un pezzo, legò i polsi di John dietro la schiena, con il secondo più lungo fece un nodo intorno a una delle travi del soffitto e legò l’altro capo intorno a un braccio di John, sopra al gomito. Infine si mise in tasca la spola, perché John non riuscisse a trovarla, in un secondo tempo, e non potesse tagliare il filo e liberarsi.

— Cosa mi fai? — John aveva la lingua impastata, ma era lucido.

Jack stava stringendo l’ultimo nodo.

— Ti lego, così non c’è pericolo che tu possa darmi fastidio.

— L’avevo immaginato. Ma perché mi hai portato qui? Perché non sono morto?

Malgrado l’intontimento, John riusciva a ragionare con una certa logica.

— Convery è venuto oggi… due volte. Cominciavo a essere preoccupato.

— Ti capisco. — John cercò di ridere. — Specialmente se è venuto due volte, cosa che non aveva mai fatto prima, nemmeno quando voleva a tutti i costi affibbiarmi la colpa della morte di Spiedel. Ti ha letto nell’anima. Convery è capace di leggere nell’anima, sai?… — John s’interruppe, sopraffatto da un conato di vomito. Girò la testa e rigettò sul pavimento polveroso, mentre Jack provava un improvviso senso di sgomento. Un’idea andava prendendo forma nella sua mente; salì di sopra, uscì e andò a prendere le due valigie piene di vestiti di John che erano rimaste in macchina. Ritrovò John accasciato su un fianco, ma ancora in sé, con gli occhi attenti.

— Perché le valigie?

— Te ne sei andato piantando tua moglie.

— E sei convinto che lei ci crederà?

— Ci crederà per forza, quando vedrà che non torni.

— Capisco. — John fece una pausa e poi aggiunse: — Vuoi tenermi qui, finché non sarai sicuro di esserti liberato dagli eventuali sospetti di Convery. Poi…

— Esatto. — Jack depose le valigie. — Poi…

— Questa è grossa. Davvero grossa! — esclamò con amarezza John. — Ma lo sai che sei matto?

— Ti ho già spiegato tutto. Ti ho regalato nove anni di vita.

— Non mi hai regalato un bel niente. È stato… un sottoprodotto dei tuoi progetti.

— Comunque, è avvenuto.

— Se pensi che io possa farmi una ragione di essere ammazzato da te… questa è una prova lampante della tua pazzia. — John chiuse per un istante gli occhi. — Sei malato, Jack. E stai perdendo il tuo tempo. L’unico motivo per cui sei riuscito a metterti fra me e Kate è stato perché eravamo ormai a un punto tale, che solo l’intervento di un terzo poteva risolvere la nostra situazione. Ma Kate imparerà a conoscerti… e allora scapperà, Jack. Se la darà a gambe.

Jack lo guardava. — Cerchi di guadagnare tempo parlando. Non funziona. Questo non è uno di quei vecchi film che ti piacciono.

— Lo so. So che è tutto vero. Ti ricordi com’era nonno Breton, quella mattina che io… che noi… l’abbiamo trovato nel letto?

Jack annuì. La chiamarono propulsione involontaria dei globi oculari. Allora lui aveva otto anni, e la definizione tecnica non gli era stata proprio di alcun conforto.

— Ricordo.

— Quella mattina decisi che non sarei mai morto.

— Lo so. Credi che non lo sappia? — Jack aspirò a fondo. — Ascolta, perché non la pianti?

— Piantare che cosa?

— Tutto… Kate, la casa… Perché non te ne vai e lasci Kate a me?

Dopo aver parlato, Jack si sentì sopraffare da un’ondata di benevolenza per l’altro se stesso. Ecco, questo era il modo migliore per risolvere la situazione… Era sicuro che John sarebbe stato ben felice di accettare la vita, invece della morte in quella cantina. Lo osservò per spiarne le reazioni.

— Accetto! È chiaro che accetto — rispose John in tono più vivace. — Sono disposto ad andare ovunque… Non sono mica stupido.

— Bene, allora.

I due si fissavano, e Jack sentì qualcosa di strano nella testa. La sua mente e quella di John si erano “toccate". Il contatto era lievissimo e fuggevole, tuttavia lo agghiacciò. Era la prima volta che gli capitava qualcosa di sia pur lontanamente simile, ma lo riconosceva con assoluta certezza. E sapeva che John aveva mentito dicendo di essere disposto ad andarsene ovunque.

— Immagino che noi siamo i tipi più naturalmente portati per questi fenomeni di telepatia che, a quanto pare, sono diventati frequenti negli ultimi giorni — disse calmo John. — In fin dei conti, i nostri cervelli devono essere identici.

— Mi spiace.

— A me no. Anzi, te ne sono grato. Non mi ero reso conto di quanto significasse Kate per me. Adesso, invece, lo so… E conta troppo perché possa desiderare di andarmene e lasciarla a un uomo come te.

— Anche se l’alternativa è la morte?

— Anche se l’alternativa è la morte. — John Breton riuscì a sorridere mentre parlava.

— Così sia — disse Jack con voce piatta. — Così sia.

— D’altra parte, tu non mi avresti lasciato andare.

— Non…

— La telepatia funziona da entrambe le parti, Jack. Un momento fa ho avuto modo di leggere nella tua mente tanto bene quanto tu nella mia. Sei convinto di non poter correre il rischio di lasciarmi libero… E poi c’è un’altra cosa.

— Sarebbe? — Jack Breton aveva la sgradevole sensazione di perdere a poco a poco l’iniziativa in un dialogo in cui lui avrebbe dovuto avere il coltello dalla parte del manico.

— Nel tuo intimo, tu vuoi uccidermi. Io sono la personificazione della tua colpa. Tu ti trovi nella posizione, più unica che rara, di espiare con la più terribile delle pene, uccidendo me, pur continuando a vivere.

— Che modo contorto di parlare!

— No. Non so cosa hai provato dentro di te dopo la morte di Kate, ma è chiaro che ti ha fatto impazzire. E quando ti si presenta un problema, tu rifiuti tutte le possibili soluzioni, e ti aggrappi solo a quella che può soddisfare il tuo bisogno di uccidere.

— Quante sciocchezze! — Jack Breton andò ad accertarsi che le tende alle piccole finestre della cantina fossero ben chiuse.

— Lo hai già dimostrato, per tua stessa ammissione. — La voce di John era impastata di sonno.

— Va’ avanti.

— Quando hai fatto quel grande viaggio a ritroso nel tempo, non avevi nessun bisogno di portare il fucile e ammazzare Spiedel. Saresti riuscito lo stesso nel tuo intento: anzi, avresti ottenuto di più tornando sulla scena di quella stupida lite con Kate appena si era guastata la macchina. In quel caso, bastava che tu mi avvertissi di agire diversamente.

— Credevo di averti già spiegato i limiti della fisica cronomotoria — replicò Jack. — Non esiste una scelta consapevole della destinazione… La mente è attratta solo verso i punti chiave.

— È proprio quello che stavo dicendo! Anch’io sono una vittima della “hemicrania sine dolore". In questi ultimi nove anni ho visto per dozzine e dozzine di volte i prismi luminosi e ho fatto dozzine di viaggi… sempre sulla scena della lite, perché sapevo che tutto ha avuto inizio da quel punto, Là io sono stato colpevole, ma tu non puoi deciderti ad affrontare la cosa. Ci hai detto di essere riuscito ad accettarla, allora, per un certo periodo, poi, come ci hai raccontato quando sei arrivato a casa, ti sei concentrato unicamente sulla scena del delitto. Hai cominciato a vedere gli alberi del parco che si proiettavano sulle corsie del traffico. E questo perché quella scena esercitava una potente attrazione su di te. C’era Spiedel, il punto debole a portata di mano su cui trasferire la tua colpa, c’era un momento di grave pericolo per Kate… e non c’era tempo di soppesare il bene e il male. Solo il tempo di uccidere…

— Hai torto — sussurrò Jack. — Guarda le cose in faccia, è la tua unica possibilità. Allora io e te eravamo una sola persona, e so perfettamente che cosa ti passava per la testa. Tu “volevi” che Kate morisse. Quando Convery bussò per la prima volta alla porta, la voce interiore che ti gridava che eri finalmente libero era la stessa che sentivo io. E in fondo non c’è niente di terribile in questo… — Gli occhi di John tornarono a chiudersi e la sua voce si affievolì. — … Non si può amare una donna senza aver voglia di ucciderla, qualche volta… Lei non può essere sempre come la vorresti tu… Qualche volta vuole essere se stessa… tutto sta a sapersi adattare… bisogna sapersi adattare… — John Breton si addormentò, con la faccia tumefatta schiacciata contro il pavimento.

— Pazzo! — mormorò Jack. — Tu sei un povero pazzo!

Risalì la scala e si soffermò con la mano sull’interruttore, per controllare un’ultima volta se John era legato bene. Appena riprendeva i sensi, avrebbe avuto la possibilità di muoversi nella parte centrale della cantina, ma non sarebbe potuto arrivare a prendere gli attrezzi con cui liberarsi. John Breton sarebbe stato scomodissimo, pensò Jack con un certo rimorso; sapeva tuttavia che non sarebbe stata una cosa lunga. Spense la luce e uscì, chiudendo a chiave la porta del capanno.

Intanto era calata la sera, ma il cielo era pieno di luce. Verso nord, stavano sospese sopra l’orizzonte spettrali cortine luminose rosse e verdi che stendevano le loro pieghe scintillanti attraverso il cielo, torcendosi e dispiegandosi sotto la spinta dei terribili venti solari. L’aurora boreale era talmente vivida da offuscare le stelle del nord. Nel resto del cielo brillavano le consuete costellazioni, ma anch’esse offuscate in splendore dall’imponente e silenzioso spettacolo pirotecnico delle meteore. La pace notturna era rotta dal bombardamento di fuoco di un gigante pazzo. Dietro lo schermo dell’atmosfera, i tracciati delle stelle cadenti si intersecavano di continuo in tutte le direzioni con un ritmo disuguale, accentuati a tratti da proiettili più luminosi che attraversavano l’orizzonte disegnando parabole incredibili.

Quella scena fantastica si rifletteva nelle acque del lago, la cui superficie pareva trasformata in uno specchio in ebollizione.

Breton la osservò per un attimo senza vederla, poi salì in macchina. La sua mano sfiorò un oggetto liscio e scuro, posato sul sedile di fianco al suo. Era la scarpa di John; quella stessa su cui si era soffermata alcune ore prima l’attenzione del tenente Convery. Jack aprì il finestrino e la scagliò in direzione del lago ma il tiro era troppo corto e la scarpa cadde in mezzo ai sassi, sulla riva. Jack scrollò le spalle e avviò il motore, facendo compiere all’auto un ampio semicerchio che sollevò nugoli di ciottoli.

Mentre si dirigeva verso sud, sull’autostrada di Silverstream, si ritrovò a sbirciare di continuo nello specchietto con la sensazione di essere seguito, anche se dietro di lui non c’era altro che il pulsante scintillio dell’aurora boreale.

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