20

I sopravvissuti della squadra del sergente Gregorius sono il caporale Bassin Kee e il lanciere Ahranwhal Gaspa K.T. Rettig. Kee è piccolo, tozzo, svelto di riflessi e di mente, mentre Rettig è molto alto, quasi quanto Gregorius, ma tanto magro quanto lui è massiccio. Rettig proviene dai Territori della Fascia di Lambert e ha le cicatrici da radiazioni, la struttura scheletrica e la propensione all’indipendenza tipiche di chi è nato sugli asteroidi. De Soya ha saputo che fino a ventitré anni standard Rettig non ha mai messo piede su di un vero pianeta con gravità normale. Interventi diretti sull’RNA e il pesante addestramento militare della Pax hanno indurito e rafforzato il soldato, tanto da consentirgli di combattere su qualsiasi pianeta. Riservato al punto del mutismo, A.G.K.T. Rettig sa ascoltare, sa eseguire gli ordini e, come ha dimostrato la battaglia su Hyperion, sa sopravvivere.

Il caporale Kee è tanto loquace quanto Rettig è silenzioso. Durante il primo giorno di discussione, con le sue domande e i suoi commenti Kee dimostra intuito e lucidità, malgrado l’annebbiamento mentale dovuto alla risurrezione.

Tutt’e quattro sono scossi dall’esperienza della morte. De Soya tenta di convincere gli altri che con l’esperienza si sopporta meglio il trauma, ma il suo stesso corpo e la sua stessa mente rendono false quelle parole rassicuranti. Sulla nave corriere, senza consigli e terapia e accoglienza dei cappellani addetti alla risurrezione, ciascun soldato della Pax affronta meglio che può il trauma. Durante i primi giorni nel sistema di Parvati, i quattro interrompono di frequente la discussione, sopraffatti dalla stanchezza o dal puro e semplice turbamento. Solo Gregorius dà l’impressione di non essere scosso dall’esperienza.

Il terzo giorno si riuniscono nel piccolo quadrato ufficiali della Raffaele per stabilire la definitiva linea d’azione.

— Fra due mesi e tre settimane la nave traslerà in questo sistema a meno di mille chilometri dal punto dove stazioniamo — dice il Padre Capitano de Soya. — Dobbiamo essere certi di poterla intercettare e di catturare la bambina.

Nessuna delle tre Guardie Svizzere ha domandato perché sia necessario catturare la bambina. Nessuno di loro discuterà la questione, finché l’ufficiale comandante, cioè de Soya, non la solleverà per primo. Ognuno di loro darà la vita, se necessario, per eseguire l’oscuro ordine.

— Non sappiamo chi altri sia a bordo della nave, giusto? — dice il caporale Kee. Ne hanno già discusso, ma nei primi giorni della loro nuova vita hanno ricordi difettosi.

— No — dice de Soya.

— Non sappiamo quale sia l’armamento della nave — continua Kee, come se stia spuntando un elenco mentale.

— Giusto.

— Non sappiamo se Parvati è la destinazione della nave.

— Giusto.

— Potrebbe darsi — conclude il caporale Kee — che la nave abbia qui appuntamento con una seconda nave… oppure che la bambina progetti d’incontrare qualcuno sul pianeta.

De Soya annuisce. — La Raffaele non ha i sensori della mia vecchia nave torcia, ma teniamo sotto controllo tutto ciò che si trova fra la nube di Oort e Parvati stesso. Se un’altra nave traslerà prima di quella della bambina, lo verremo a sapere all’istante.

— Ouster? — dice il sergente Gregorius.

De Soya allarga le braccia. — Sono tutte ipotesi. Posso dirvi che la bambina è considerata una minaccia per la Pax, quindi è ragionevole concludere che gli Ouster… se sono al corrente della sua esistenza… potrebbero volerla. Se ci provano, siamo pronti.

Kee si strofina la guancia. — Ancora non riesco a credere che potremmo saltare a casa in un solo giorno, se volessimo. O andare a chiedere aiuto. — "Casa", per il caporale Kee, è la repubblica Jamnu, su Deneb Drei. Hanno già stabilito che sarebbe inutile chiedere aiuto: la più vicina nave da guerra della Pax è la Sant’Antonio e dovrebbe trovarsi, se gli ordini di de Soya sono stati eseguiti, alle calcagna della nave della bambina.

— Mi sono messo in contatto con il comandante della guarnigione della Pax su Parvati — dice de Soya. — Come mostra l’inventario del nostro computer, la guarnigione ha solo le navi da pattuglia orbitale e un paio di navette. Ho ordinato di schierare in posizione difensiva cislunare tutte le navi spaziali, di tenere in allarme tutti gli avamposti sul pianeta e d’aspettare ulteriori disposizioni. Se la bambina dovesse sgusciarci fra le dita e atterrare su Parvati, la Pax la troverebbe.

— Che tipo di mondo è Parvati? — domanda Gregorius. La sua voce, un brontolio di basso, ottiene sempre l’attenzione di de Soya.

— Pianeta colonizzato da Indù Protestanti, poco dopo l’Egira — dice il Padre Capitano, che si è documentato sul computer della nave. — Mondo desertico. Ossigeno insufficiente a sostenere la vita umana; atmosfera composta soprattutto di C-O-due; mai terraformato con successo, per cui o gli ambienti sono fatti su misura per gli abitanti o viceversa. La popolazione non è mai stata numerosa: alcune decine di milioni, prima della Caduta. Meno di mezzo milione, ora. La maggior parte vive in una sola grande città, Gandhiji.

— Cristiani? — domanda Kee. De Soya ritiene che la domanda non sia dovuta a semplice curiosità: ben di rado Kee fa domande a caso.

— A Gandhiji alcune migliaia di persone si sono convertite — risponde. — C’è una nuova cattedrale, San Malachia. Per la maggior parte i rinati sono esponenti del mondo economico favorevoli all’ingresso nella Pax. Circa cinquant’anni standard fa, hanno convinto il governo planetario, una sorta d’oligarchia elettiva, a invitare sul pianeta la guarnigione della Pax. Distano poco dalla Periferia e quindi si preoccupano degli Ouster.

Kee annuisce. — Mi domandavo se la guarnigione possa contare sul fatto che la gente segnali l’eventuale atterraggio della nave della bambina.

— Non ne sarei tanto sicuro — dice il Padre Capitano de Soya. Tocca un monitor sul piano del tavolo e mostra un grafico da lui preparato. — Questo è il piano d’intercettazione. Ce ne stiamo a sonnecchiare fino a T-meno tre giorni. Non preoccupatevi, la crio-fuga non ha gli strascichi della risurrezione. Basta mezz’ora per togliersi dal cervello le ragnatele. D’accordo… così, a T-meno tre giorni, scatta l’allarme. La Raffaele gira qua fuori… — Batte il dito su un punto del grafico a due terzi della traiettoria ellissoide. — Conosciamo la velocità d’entrata in C-più della loro nave, perciò conosciamo anche la velocità d’uscita… sarà all’incirca tre decimi di quella della luce; per cui, se decelerano verso Parvati alla stessa velocità con cui hanno lasciato Hyperion… — I diagrammi di traiettoria e di linea temporale riempiono lo schermo. — Questa è un’ipotesi, ma il loro punto di traslazione è ben definito… qui. — Tocca con lo stilo un puntino rosso a dieci UA dal pianeta. La loro traiettoria ellissoide palpita e mostra il percorso verso quel punto. — E qui li intercetteremo, a meno di un minuto dal loro punto di traslazione.

Gregorius si sporge sul monitor. — Correremo tutt’e due come anime dannate in fuga dall’inferno… scusi l’espressione, padre.

De Soya sorride. — Assolto, figliolo. Sì, le velocità saranno elevate, al pari del nostro delta-v combinato, se la loro nave inizia la decelerazione verso Parvati; ma la velocità relativa delle due navi sarà prossima a zero.

— Quanto saremo vicini, Capitano? — dice Kee. I capelli neri mandano lucidi riflessi sotto la luce dei riflettori posti sul soffitto.

— Quando faranno la traslazione, ci troveremo a seicento chilometri di distanza e punteremo dritto su di loro. Nel giro di tre minuti saremo a un tiro di sasso.

Kee si acciglia. — Ma loro cosa ci tireranno?

— Non si sa — dice de Soya. — Ma la Raffaele è dura. All’atto pratico sto scommettendo sul fatto che i suoi schermi sopportino qualsiasi cosa la nave identificata ci tiri addosso.

Il lanciere Rettig borbotta: — Brutta scommessa, se la perdiamo.

De Soya gira il sediolo per guardare il soldato. Si è quasi dimenticato della presenza di Rettig. — Sì — ammette. — Ma abbiamo il vantaggio della vicinanza. Qualsiasi cosa scaglino, hanno un tempo limitato per il lancio.

— E noi cosa lanciamo contro di loro? — brontola Gregorius.

De Soya esita. — Ho esaminato con voi l’armamento della Raffaele — dice alla fine. — Se quella fosse una nave da guerra Ouster, potremmo friggerla, infornarla, speronarla o incendiarla. O potremmo far morire tranquillamente l’equipaggio. — L’armamentario della Raffaele comprende anche il raggio della morte. A una distanza di cinquecento chilometri, non ci sarebbero dubbi sulla sua efficacia.

— Ma non useremo nessuna di queste armi — continua il Padre Capitano. — A meno di non essere assolutamente costretti a… disabilitare la nave.

— Può farlo senza correre il rischio di danneggiare la bambina? — domanda Kee.

— Non c’è la matematica certezza di non danneggiare anche lei… e chiunque si trovi a bordo — dice de Soya. Esita di nuovo, trae un sospiro e continua: — Ecco perché andrete all’abbordaggio.

Gregorius sogghigna. Ha denti molto grossi e molto bianchi. — Abbiamo preso armature spaziali per tutti, prima di lasciare la San Tommaso Akira — tuona in tono allegro il gigante. — Ma sarebbe meglio allenarci a usarle, prima dell’abbordaggio vero e proprio.

De Soya annuisce. — Tre giorni bastano?

Gregorius sogghigna ancora. — Preferirei una settimana.

— D’accordo — dice il Padre Capitano. — Ci sveglieremo una settimana prima dell’intercettazione. Ecco un disegno schematico della nave non identificata.

— Credevo che fosse… non identificata — dice Kee, guardando i disegni della nave riempire lo schermo. La nave spaziale è un ago munito di pinne caudali… uno schizzo d’astronave come lo farebbe un bambino.

— Non conosciamo la sua specifica identità né la sua registrazione — dice de Soya. — Ma abbiamo le riprese video fatte dalla Sant’Antonio e dalla San Bonaventura, prima che la nave traslasse. Non è Ouster.

— Non è Ouster, non è della Pax, non è della Mercatoria, non è una spin-nave e neppure una nave torcia… — dice Kee. — Che diavolo è, allora?

De Soya amplia le immagini della sezione trasversale della nave. — Spazionave privata, epoca dell’Egemonia — dice piano. — Ne furono costruite meno di trenta. Almeno quattrocento anni, probabilmente più vecchia.

Il caporale Kee emette un fischio sottovoce. Gregorius si strofina la mascella. Perfino Rettig, dietro la maschera impassibile, pare impressionato. — Non sapevo che esistessero spazionavi private — dice il caporale. — Con motore C-più, intendo.

— L’Egemonia le dava come ricompensa ai pezzi più grossi — dice de Soya. — Il primo ministro Gladstone ne aveva una. Un’altra apparteneva al generale Horace Glennon-Height…

— Lui non l’ha certo avuta in premio dall’Egemonia — ridacchia Kee. Glennon-Height è stato il nemico più infame e leggendario che l’Egemonia abbia avuto agli inizi… l’Annibale della Periferia per la Roma della Rete dei Mondi.

— No — ammette de Soya. — Glennon-Height la rubò al governatore planetario di Sol Draconis Septem. Comunque il computer dice che tutte le spazionavi private furono distrutte prima della Caduta… smantellate o modificate per uso militare nella FORCE e poi poste fuori servizio… ma a quanto pare il computer si sbaglia.

— Non sarebbe la prima volta — brontola Gregorius. — Quelle immagini da lontano mostrano armamenti o sistemi difensivi?

— No, in origine erano navi civili disarmate e i sensori della San Bonaventura non hanno rilevato segnali radar né a impulso, prima che lo Shrike uccidesse la squadra di registrazione. Ma quella nave circola da secoli, quindi dobbiamo presumere che sia stata modificata. Ma se anche avesse un moderno armamento Ouster, la Raffaele dovrebbe riuscire ad avvicinarsi velocemente, mentre teniamo a bada le loro scariche. Una volta affiancata, non può usare armi cinetiche. Appena l’abbordiamo, le armi a energia saranno inutili.

— Corpo a corpo — dice tra sé Gregorius. Studia i disegni. — Ci aspetteranno al portello della camera stagna, perciò apriremo un nuovo ingresso qui… e qui…

De Soya sente un prurito d’allarme. — Non possiamo far uscire l’aria. La bambina…

Gregorius mostra un sorriso da pescecane. — Niente paura, signore. Occorre meno di un minuto per montare con mezzi di fortuna un grosso acchiappa-aria all’esterno dello scafo… ne ho portati alcuni, insieme con le armature. Poi facciamo implodere la sezione dello scafo, entriamo di corsa… — Ingrandisce l’immagine. — L’adatterò per il simulatore, così per qualche giorno possiamo fare prove in 3-D. Sarebbe bene che avessimo un’altra settimana per le simulazioni. — Si gira verso de Soya. — Forse alla fin fine non avremo tempo per ciondolare a letto in crio-fuga, signore.

Kee si tormenta il labbro. — Una domanda, Capitano.

De Soya lo guarda.

— In nessun caso dobbiamo arrecare danno alla bambina, d’accordo, ma se ci troveremo altri fra i piedi?

De Soya sospira. S’aspettava la domanda. — Preferirei, caporale, che nessuno morisse in questa missione.

— Sissignore — dice Kee, attento. — Ma se tentano di fermarci?

Il Padre Capitano de Soya libera il monitor. Il piccolo quadrato ufficiali puzza d’olio e di sudore e d’ozono. — I miei ordini dicono che non bisogna nuocere alla bambina — replica de Soya, lentamente, con cura. — Non parlano di altri. Se nella nave c’è qualcun altro… o qualcos’altro… e se tenta d’interferire, consideratelo sacrificabile. Difendetevi, anche a costo di sparare prima d’essere sicuri di correre pericoli.

— Uccidere tutti — borbotta Gregorius — tranne la bambina… e che Dio rimetta insieme i loro pezzi.

De Soya ha sempre odiato quell’antica battuta dei mercenari.

— Fate ciò che va fatto, senza mettere in pericolo la vita o la salute della bambina — dice.

— E se sulla nave c’è solo un altro che si frappone tra noi e la bambina… — obietta Rettig. Gli altri tre lo fissano. — Ma è lo Shrike? — termina Rettig.

Il quadrato ufficiali è silenzioso, a parte gli onnipresenti rumori della nave: l’espansione e la contrazione metallica dello scafo, il fruscio dei ventilatori, il ronzio dei macchinari, l’occasionale singulto di un propulsore.

— Se è lo Shrike… — comincia il Padre Capitano de Soya. Esita.

— Se è il fottuto Shrike — interviene il sergente Gregorius — gli faremo un paio di sorprese. Forse stavolta non andrà tanto liscia, a quel figlio di puttana tutto punte, scusi l’espressione, Padre.

— In qualità di tuo prete — dice de Soya — ti ammonisco di nuovo a non usare espressioni irriverenti. In qualità di tuo ufficiale comandante, ti ordino di fargli un bel po’ di sorprese, a quel figlio di puttana tutto punte.

Aggiornano la riunione per consumare la cena e per stabilire le rispettive strategie.

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