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Il Padre Capitano de Soya è svegliato dall’urlo. Solo dopo parecchi minuti si rende conto d’essere lui a urlare.

Col pollice fa scattare il gancio del coperchio-bara e si alza a sedere nella culla. Sul pannello monitor alcune spie luminose palpitano di rosso e di ambra, anche se tutte quelle essenziali sono già verdi. Gemendo per il dolore e per lo stato confusionale, de Soya inizia a uscire dalla culla. Rimane librato a mezz’aria, agita le mani ma non trova appigli. Nota che mani e braccia luccicano di un colore rosso e rosa, come se la pelle avesse subito ustioni.

— Santa madre di Maria… dove sono? — Piange. Le lacrime gli restano sospese davanti agli occhi, come filze di grani di rosario. — Gravità zero… dove sono? Sulla Baldassarre? Cos’è… accaduto? Battaglia spaziale? Ustioni?

No. È a bordo della Raffaele. A poco a poco i prolungamenti dei neuroni del suo cervello violentato dalla morte cominciano a funzionare. De Soya galleggia nel buio illuminato dalle spie degli strumenti. La Raffaele. Dovrebbe trovarsi in orbita intorno a Boschetto Divino. De Soya ha predisposto il ciclo di risurrezione delle culle di Gregorius, di Kee e della propria per un rischioso periodo di sei ore anziché dei soliti tre giorni. "Gioco a fare Dio, con la vita dei soldati" ricorda d’avere pensato. Le possibilità che in sole sei ore la risurrezione non abbia successo sono altissime. De Soya ricorda il secondo corriere che gli ha portato ordini sulla Baldassarre, padre Gawronski (gli pare decenni prima) e la sua risurrezione non riuscita: il cappellano di bordo… come si chiamava, il vecchio bastardo? ah, sì, padre Sapieha… aveva detto che sarebbero occorsi mesi perché padre Gawronski fosse risuscitato, dopo quel fallimento iniziale… un lento, doloroso procedimento, aveva detto in tono d’accusa il cappellano…

Il Padre Capitano de Soya si accorge che la mente gli si schiarisce; galleggia tuttora sopra la culla. In caduta libera, come ha programmato. Ricorda d’avere pensato che forse non sarebbe stato in condizioni di camminare in gravità normale. Infatti non è in condizione di camminare.

Con una spinta si sposta nel cubicolo guardaroba e si controlla allo specchio… il suo corpo luccica, rossastro; pare davvero vittima di ustioni; il crucimorfo è un livido segno in tutta quella carne rosea, scorticata.

De Soya chiude gli occhi, indossa la biancheria e la tonaca. Il cotone sfrega dolorosamente la carne viva, ma lui non vi bada. Vede che il caffè è pronto, come ha programmato. Stacca dal tavolo strategico il bulbo di caffè e torna nella sala comune.

La culla del caporale Kee risplende di verde: gli ultimi secondi prima della risurrezione. Nella culla di Gregorius lampeggiano spie d’allarme. De Soya impreca sottovoce e a braccia si tira sul pannello della culla del sergente. Il ciclo è stato interrotto. La risurrezione accelerata non ha avuto successo.

— Perdio! — mormora de Soya. Recita subito un atto di contrizione perché ha nominato il nome di Dio invano.

Kee comunque si riprende bene, ma soffre ed è in stato confusionale. De Soya lo toglie di peso dalla culla, lo porta nel quadrato ufficiali, con una spugna gli bagna la pelle ardente, gli fa bere una spremuta di arancia. Nel giro di qualche minuto Kee è in grado di capire.

— C’era qualcosa che non quadrava — spiega de Soya. — Ho dovuto correre il rischio, per scoprire che cosa combina il caporale Nemes.

Kee annuisce per indicare che ha capito. Anche rivestito e col riscaldamento al massimo, è scosso da violenti brividi.

De Soya lo precede nel nucleo comando. Ora la culla di Gregorius risplende di luci ambra, mentre il ciclo riconsegna alla morte il sergente. La culla del caporale Rhadamanth Nemes mostra le luci verdi del normale ciclo di tre giorni. I monitor indicano che la donna si trova all’interno, priva di vita, e che riceve il sacramento segreto della risurrezione. De Soya batte il codice d’apertura.

Palpita una spia luminosa d’allarme. «Apertura non consentita durante il ciclo di risurrezione» dice la voce priva d’emozioni della Raffaele. «Ogni tentativo di aprire adesso la culla potrebbe provocare la vera morte.»

De Soya non bada alle spie luminose e ai cicalini d’allarme e tira il coperchio. La culla rimane chiusa. — Dammi quella leva — dice de Soya.

Il caporale Kee gli lancia la sbarra, priva di peso in gravità zero. De Soya trova un interstizio per la punta, recita tra sé una preghiera augurandosi di non sbagliarsi e di non essere diventato paranoico, e forza il coperchio. Cicalini d’allarme risuonano in tutta la nave.

La culla è vuota.

— Dov’è il caporale Nemes? — domanda de Soya alla nave.

«Gli strumenti e i sensori indicano che si trova nella sua culla» risponde il computer.

— Già — sbuffa de Soya, gettando via la leva, che rotola in un angolo, con movimento rallentato dall’assenza di gravità. — Cerchiamola — dice a Kee. Tornano nel quadrato ufficiali. Il cubicolo della doccia è vuoto. Nella sala comune non c’è posto dove nascondersi. Con una spinta de Soya si accomoda nella poltroncina di comando, mentre Kee punta al condotto di collegamento.

Le luci di posizione mostrano che la nave è in orbita geosincrona a trentamila chilometri. De Soya guarda dall’oblò e vede un pianeta di turbinanti banchi di nuvole, a parte l’ampia fascia intorno all’equatore, dove squarci tagliano il terreno verde e marrone. Interrogata a voce, la nave conferma che la navetta è al suo posto, che dall’ultima traslazione nessuno ha aperto la camera stagna. «Caporale Kee?» chiama per intercom de Soya. Deve concentrarsi per impedire che i denti gli battano. Soffre davvero: ha l’impressione d’avere la pelle di fuoco. Prova un tremendo impulso di chiudere gli occhi e dormire. «Rapporto» ordina.

«La navetta è sparita, Capitano» comunica Kee dal tunnel d’accesso. «Tutte le spie del connettore sono verdi, ma se aprissi il portello stagno, respirerei il vuoto. Dal boccaporto vedo benissimo che la navetta non è al suo posto.»

Merde - mormora de Soya tra sé. Poi, nell’intercom: «Va bene. Torna qui». Nell’attesa, esamina gli altri strumenti. Ritrova la traccia delle duplici accensioni dei propulsori… risale a circa tre ore prima. Richiama la mappa della regione equatoriale di Boschetto Divino, ordina alla nave una ricerca con telescopio e con radar di profondità della zona di fiume intorno al ceppo dell’Albero Mondo. — Trova il primo teleporter e mostra ogni tratto del fiume da lì in poi. Riferisci la locazione del radarfaro della navetta.

«La strumentazione mostra che la navetta è ancorata nel braccio del nucleo comando» dice la nave. «Il radarfaro lo conferma.»

— D’accordo — dice de Soya, immaginandosi nell’atto di far saltare a pugni chip di silicio come denti. — Lascia perdere il faro della navetta. Inizia le ricerche radar e telescopiche di quella regione. Riferisci la presenza di qualsiasi forma di vita o di manufatti. Tutti i dati sullo schermo principale.

«Affermativo» dice il computer. De Soya vede lo schermo precipitarsi in avanti per effetto dell’ingrandimento telescopico. Ora guarda un’arcata di teleporter come da un’altezza di qualche centinaio di metri.

— Panoramica lungo il fiume.

«Affermativo.»

Il caporale Kee scivola nella poltroncina del secondo pilota e si aggancia le cinture. — Senza navetta — dice — non possiamo scendere sul pianeta.

— Tute da combattimento — replica de Soya, tra le fitte che lo squassano. — Hanno lo scudo termodispersore… centinaia di microstrati di materiale colorato per disperdere il calore, in caso di scontro a fuoco in luce coerente, giusto?

— Giusto — dice il caporale Kee — ma…

— Il mio piano prevedeva che tu e Gregorius usaste lo scudo termodispersore per il rientro nell’atmosfera — continua de Soya. — Sposterò la Raffaele nell’orbita più bassa possibile. Usa uno zaino di reazione ausiliario per la retropropulsione. Le tute dovrebbero resistere al rientro, no?

— È possibile — dice Kee — ma…

— Allora vai giù su repulsori EM e trova quella… donna — dice de Soya. — La trovi e la blocchi. Dopo, puoi usare la navetta per tornare.

Il caporale Kee si sfrega gli occhi. — Sì, signore. Ma ho controllato le tute. Tutte rivelano carenza d’integrità…

— Carenza… — ripete stupidamente de Soya.

— Qualcuno ha squarciato gli strati termodispersori — dice Kee. — I danni non sono visibili a occhio, ma ho svolto un diagnostico d’integrità di classe Tre. Saremmo morti prima del blackout di ionizzazione.

— Tutte le tute? — domanda debolmente de Soya.

— Tutte, signore.

Il prete-capitano domina l’impulso di imprecare di nuovo. — Comunque, ora porto più in basso la nave, caporale.

— Perché, signore? Qualsiasi cosa accada laggiù, avverrà sempre a parecchie centinaia di chilometri da noi. Non possiamo farci un bel niente.

De Soya annuisce, ma batte ugualmente i parametri per il nucleo di guida. Con la mente intontita, commette diversi errori, almeno uno dei quali li farebbe bruciare nell’atmosfera di Boschetto Divino, ma la nave li rileva. De Soya riformula i parametri.

«Sconsiglio un’orbita così bassa» dice la voce asessuata della nave. «Boschetto Divino ha un’atmosfera superiore volatile e trecento chilometri non soddisfano i margini di sicurezza richiesti dal…»

— Chiudi il becco e ubbidisci — sbotta il Padre Capitano de Soya.

Chiude gli occhi, mentre i propulsori principali si accendono. Il ritorno del peso rende più acuta la sofferenza nella carne e nel corpo. De Soya sente Kee gemere nella poltroncina del secondo pilota.

«L’attivazione del campo di contenimento interno allevierà il disagio dell’accelerazione a 4 g» dice la nave.

— No — dice de Soya. Vuole risparmiare energia.

Il rumore, le vibrazioni e il dolore continuano. Il lembo di Boschetto Divino cresce nello schermo fino a riempire la visuale.

"E se quella… traditrice… avesse programmato la nave per spingerci nell’atmosfera, nel caso che ci fossimo svegliati e avessimo cercato di manovrarla?" pensa all’improvviso de Soya. Ridacchia, malgrado la tortura della trazione gravitazionale. "Se l’avesse fatto, neppure lei tornerebbe a casa!"

La tortura continua.

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