CAPITOLO QUINDICESIMO

A bordo del Fevre Dream
Agosto 1857

Nel pesante silenzio che seguì il racconto di Joshua, Abner Marsh sentiva distintamente il ritmo regolare del suo respiro ed il laborioso pulsare del suo cuore. Joshua aveva parlato per ore, o almeno così sembrava, ma, nell’oscura immobilità della cabina, non c’era modo di accertarsene. Fuori, forse, era già spuntato il giorno. Toby avrebbe preparato la colazione, i passeggeri si sarebbero dedicati alle loro passeggiate mattutine lungo il ponte di coperta, l’argine avrebbe brulicato di fervida attività. Ma all’interno della cabina di Joshua York, la notte non aveva fine, essa continuava, sarebbe continuata per sempre. Le parole di quella maledetta poesia gli ritornarono in mente e Abner Marsh si sentì declamare, «Il mattino giungeva e se n’andava — e ritornava, senza recar mai giorno.»

«Tenebre,» sussurrò Joshua.

«E voi avete vissuto in esse tutta la vostra maledetta vita», intervenne Marsh. «Nessuna luce. Mai. Dio, Joshua, come avete potuto sopportarlo?». York non rispose. «Assurdo,» continuò Marsh, «è la più stramaledetta storia che mi sia mai capitato di udire. Ma che io sia dannato se non vi credo.»

«Avevo sperato che lo faceste», disse York. «E ora, Abner?»

Quella era la parte più difficile, pensò Abner. «Non lo so,» rispose sinceramente. «Dite di aver ucciso tutta quella gente, eppure quasi mi dispiace per voi. E non so se dovrei. Forse, dovrei cercare di uccidervi, forse questa sarebbe la sola dannata cosa cristiana da fare. O forse dovrei provare ad aiutarvi.» Sbuffò, turbato dal dilemma. «Quello che ho capito è che devo ascoltare la vostra storia fino in fondo, e aspettare prima di prendere una decisione. Perché avete omesso qualcosa nel vostro racconto, Joshua. È vero?»

«E cioè?», proruppe York.

«New Madrid,» disse Abner Marsh con voce ferma.

«Avevo le mani sporche di sangue. Cosa volete che vi dica, Abner? Ho rubato una vita a New Madrid. Ma non è andata come voi sospettate.»

«Ditemi, allora, come è andata in realtà. Suvvia, andate avanti.»

«Simon mi ha raccontato molte cose sulla storia del nostro popolo: segreti, usi, consuetudini. Ma una delle cose che mi ha detto mi ha molto inquietato, Abner. Questo mondo che la vostra gente ha costruito è un mondo diurno e nel quale per noi non è facile vivere. Qualche volta, per facilitare le cose, uno di noi si trasforma in uno di voi. Possiamo utilizzare il potere custodito nei nostri occhi e nella nostra voce. Possiamo far uso della nostra forza, della nostra vitalità, della promessa di una vita eterna. Possiamo servirci, per i nostri scopi, delle molte leggende che voi avete costruito intorno a noi. Con la menzogna, la paura e le promesse, possiamo forgiare a nostro vantaggio uno schiavo umano. Una creatura del genere può esserci molto utile. Può proteggerci di giorno, andare dove noi non possiamo, muoversi tra la gente senza destare sospetti. A New Madrid c’era stato un omicidio. Proprio allo scalo in cui abbiamo fatto tappa. Da quello che avevo letto sui giornali, avevo buone speranze di trovare qualcuno della mia razza. Invece vi trovai — chiamatelo come volete, uno schiavo, un prescelto, un associato. Un servo. Era vecchio, molto vecchio. Un mulatto. Calvo, raggrinzito, ripugnante, con un occhio di vetro e una faccia orribilmente sfregiata da vecchie ustioni. Non era bello a vedersi, e poi — la sua anima, la sua anima era malvagia. Corrotta. Quando mi avvicinai a lui, mi si avventò contro con un’ascia. E poi guardò i miei occhi; mi riconobbe, Abner. Capì all’istante cos’ero. Allora cadde in ginocchio, piangendo e singhiozzando, adorandomi, e strisciò come un cane davanti al suo padrone, supplicandomi di mantenere la promessa “La promessa.”, ripeteva, ‘la promessa, la promessa’.

«Finalmente, gli ordinai di smetterla e lo fece. Subito. Si scostò da me, impaurito e servile. Era stato creato per obbedire alle parole del suo Signore del Sangue, capite. Gli chiesi di raccontarmi la storia della sua vita, sperando che lui potesse condurmi al mio popolo.

«La sua storia era triste quanto la mia. Era un negro libero, nato in un posto chiamato Swamp, che deduco sia un famigerato quartiere di New Orleans. Per vivere faceva il ruffiano, il borseggiatore, fino a diventare addirittura un assassino. Le sue vittime erano i battellieri che arrivavano in città. Uccise due uomini prima di compiere dieci anni. In seguito fu al servizio di Vincent Gambi, il più sanguinario pirata di Barataria. Fu il sorvegliante degli schiavi che Gambi aveva derubato ai mercanti spagnoli per rivenderli a New Orleans. Inoltre faceva parte anche di una setta voodoo ed era già stato al nostro servizio.

«Mi parlò del suo signore del sangue, dell’uomo che lo aveva reso schiavo, che si era preso gioco del suo voodoo e gli aveva promesso di insegnargli una magia più nera ancora, e più potente. ‘Servimi’, gli aveva detto il Signore del Sangue, ‘e ti farò diventare uno di noi. Le tue ferite saranno sanate, il tuo occhio tornerà a vedere, berrai sangue e vivrai per sempre, non invecchierai mai’. Così, quel mulatto era divenuto un nostro servo. Per quasi trent’anni aveva fatto tutto quello gli era stato ordinato. Aveva vissuto per quella promessa. Aveva ucciso per quella promessa, aveva imparato a mangiare carni calde, a bere sangue.

«Fino a quando, infine, il suo padrone non intravide un’oppurtunità migliore di servirsene. Il mulatto, ormai vecchio e malato, era diventato d’ostacolo. Non era più di utilità e così il padrone si sbarazzò di lui. Ucciderlo sarebbe stata un’azione pietosa, invece fu spedito a monte del fiume, abbandonato a se stesso. Uno schiavo non può mettersi contro il suo padrone, anche se sa che la promessa fattagli è una bugia. Così, il vecchio mulatto era divenuto un vagabondo, che viveva di furti e delitti, e risaliva lentamente il fiume. Qualche volta si guadagnava onestamente la paga come manovale o accalappiaschiavi, ma la maggior parte delle volte conduceva un’esistenza solitaria nei boschi, simile ad un recluso che vivesse solo di notte. Quando ne aveva il coraggio, mangiava le carni e beveva il sangue delle sue vittime, illudendosi ancora che questo potesse restituirgli giovinezza e salute. Mi disse che aveva vissuto per un anno intorno a New Madrid. Era solito spaccare legna per il guardiano dello scalo, troppo vecchio e debole per farlo da solo. E sapeva che raramente qualche battello attraccava a quello scalo. Così… bene, il resto lo sapete».

«Abner, la vostra gente può imparare molto dalla mia, ma non quello che ha imparato la persona di cui mi avete parlato. Non quello. Provo pietà per lui. Era vecchio, ripugnante, senza alcuna speranza. E anch’io ero affamato, tanto affamato quanto lo ero stato a Budapest in compagnia della ricca dama che amava lavarsi nel sangue. Nelle leggende della vostra razza, il mio popolo è stato dipinto come la vera essenza del male. Il vampiro non ha anima, né nobiltà, né speranza di redenzione, si dice. Questo non posso accettarlo, Abner. Ho ucciso innumerevoli volte, ho compiuto delle cose orribili, ma non sono malvagio. Non ho scelto io di essere così come sono. Senza possibilità di scelta, non ci può essere né bene né male. Il mio popolo non ha mai potuto scegliere. La Sete, la Sete Rossa, ci ha governato, condannato, derubato di tutto quello che potevamo essere. Ma la vostra gente, Abner, non è sottoposta a questo vincolo. Quell’essere che incontrai nella foresta vicino New Madrid, se non fosse stato dominato dalla Sete, avrebbe potuto diventare qualunque cosa, fare qualunque cosa. Invece, aveva scelto di diventare ciò che era. Oh, senza dubbio, uno della mia razza è colpevole quanto lui — l’uomo che gli aveva mentito, che gli aveva promesso cose che non avrebbe potuto mai ottenere. Tuttavia, posso comprendere la ragione di tutto ciò, anche se mi ripugna profondamente. Un alleato tra la vostra gente può rappresentare la differenza tra la vita e la morte. Tutti noi conosciamo la paura, Abner, la mia gente come la vostra. «Quel che non comprendo è perché uno di voi agognasse così tanto una vita nell’oscurità, desiderasse la sete di sangue. Eppure egli la desiderava, ardentemente. Mi scongiurò di non lasciarlo, come aveva fatto l’altro padrone. Non potevo dargli ciò che voleva. E non avrei voluto, anche se ciò fosse stato possibile. Gli diedi ciò che potevo dargli.»

«Gli strappaste via la sua dannata gola, è vero?» suggerì Abner Marsh all’oscurità.

«Te l’ho detto,» intervenne Valerie. Marsh aveva quasi dimenticato che la donna si trovava lì con loro, tanto era rimasta silenziosa. «Non capisce. Senti quel che dice.»

«L’ho ucciso,» ammise Joshua, «con queste stesse mani. Sì. Il suo sangue colò lungo le mie dita, e bagnò la terra. Ma non sfiorò le mie labbra, Abner. Lo seppellii intatto.»

Un lungo silenzio riempì nuovamente la cabina mentre Abner Marsh si tormentava la barba e meditava. «Avete parlato di scelta. Questa è la differenza tra il bene e il male, avete detto. Sembra che ora sia io a dover fare una scelta.»

«Noi tutti facciamo le nostre scelte, Abner. Ogni giorno.»

«Forse è così,» continuò Marsh. «In fin dei conti quello che mi preoccupa non è questo. Dite di volere il mio aiuto, Joshua. Supponiamo che io ve lo dia, quest’aiuto. Che cosa, dunque, mi renderà diverso da quel dannato vecchio mulatto che avete ucciso? Rispondetemi, di grazia!»

«Non vi ridurrei mai in… in qualcosa del genere,» disse Joshua. «Non ci ho mai provato. Abner, io vivrò per secoli, anche quando voi sarete morto e dimenticato. Ho mai provato a tentarvi con questo?»

«Mi avete tentato con un maledetto battello invece,» replicò Marsh. «E, per l’inferno!, mi avete riempito di menzogne.»

«Anche le mie bugie contenevano un briciolo di verità, Abner. Vi ho detto che davo la caccia ai vampiri per mettere fine alle loro azioni malvagie. Non riuscite a scorgere del vero in questo? Ho bisogno del vostro aiuto, Abner, ma ve lo chiedo da eguale, non come un padrone che ha bisogno del suo schiavo.»

Abner Marsh rifletté su quelle parole. «Va bene,» disse. «Forse vi credo. Forse dovrei fidarmi di voi. Ma se volete che vi aiuti in questa impresa, anche voi dovete fidarvi di me.»

«Vi ho svelato tutto di me. Non è abbastanza?»

«Maledizione, no,» proseguì Abner Marsh. «Mi avete detto la verità e adesso state aspettando una risposta. Solo che se darò la risposta sbagliata non uscirò vivo da questa cabina, è vero? E se non sarete voi ad uccidermi, lo farà la vostra amica».

«Molto perspicace, Capitano Marsh,» commentò Valerie nell’oscurità che avvolgeva la cabina. «Io non vi porto rancore, ma Joshua non può correre pericoli.»

Marsh sbuffò. «Capite cosa voglio dire? Questa non è fiducia. Noi non siamo più soci su questo battello, ora non più. La situazione è maledettamente impari. Voi potete uccidermi in qualsiasi dannato momento lo desideriate. Io devo comportarmi bene o altrimenti sono un uomo morto. Per come la vedo io, ciò mi rende uno schiavo, non un vostro eguale. E sono anche solo. Avete portato su questo battello tutti i vostri dannati amici succhia-sangue perché vi aiutassero in caso di guai. Dio sa cosa state progettando, certo non me lo direte. Non posso parlarne con nessuno, mi dite. Accidenti, Joshua, sarebbe meglio che mi uccideste in quest’istante. Non penso mi vada a genio questo tipo di accordo.»

Joshua York valutò, in silenzio, la situazione per un istante. Poi disse, «Molto bene, capisco il vostro punto di vista. Cosa dovrei fare per dimostrarvi la mia fiducia?»

«Per cominciare, supponiamo che vi voglia uccidere. Quali mezzi potrei usare?»

«No!» gridò allarmata Valerie. Marsh udì i suoi passi mentre si avvicinava a Joshua. «Non puoi dirglielo. Non sai cosa sta progettando, Joshua. Perché dovrebbe chiederti questo se non ha intenzione di…»

«Serve a metterci alla pari», le rispose con voce gentile Joshua. «Comprendo le sue ragioni, Valerie. È un rischio che dobbiamo correre.» La donna fece per protestare nuovamente ma Joshua la zittì. «Il fuoco può uccidermi. Morirei anche per annegamento. Potreste piantarmi una pallottola dritta in testa. Il nostro cervello è vulnerabile. Un colpo che trapassi il cranio mi ucciderebbe, mentre uno al cuore mi metterebbe fuori combattimento fino a quando la ferita non iniziasse a guarire. Le leggende sono accurate al riguardo. Se qualcuno ci taglia di netto la testa e ci pianta un paletto nel cuore, moriamo.» Sogghignò con voce stridula. «Questo vale anche per voi, penso. Anche il sole può essere mortale, come avete constatato. Il resto, l’argento e l’aglio, sono tutte sciocchezze.» Abner Marsh espirò rumorosamente, a malapena consapevole di aver trattenuto il respiro. «Soddisfatto?» chiese York.

«Quasi. Ancora una cosa, però.» Un fiammifero strusciò contro il cuoio di una suola e improvvisamente una fiammella danzante arse nel palmo chiuso a coppa di York. Lo accostò ad una lampada a petrolio, cosicché la fiamma si trasmise allo stoppino, e una luce giallastra si diffuse nella cabina. «Ecco fatto». Joshua spense il fiammifero con un gesto della mano. «Va meglio, Abner? Ancora di più? Un accordo richiede un po’ di luce, non credete? Così possiamo guardarci negli occhi.» Abner Marsh scoprì che stava lacrimando; dopo tanto tempo passato al buio, anche una luce così fioca gli sembrava terribilmente luminosa. Ma, adesso, la cabina pareva più spaziosa, e il terrore e il soffocante senso di oppressione causati dalle sue dimensioni ridotte si dileguarono. Joshua York stava osservando Marsh, perfettamente calmo. Il suo viso era ricoperto di squame di pelle secca, morta. Quando sorrise, una di esse si staccò e fluttuò via. Le sue labbra erano ancora rigonfie e sembrava che avesse due occhi neri, ma le bruciature e le vescichette erano completamente scomparse.

Il cambiamento era sorprendente. «Allora, qual è quest’altra cosa, Abner?»

Marsh lo prese in parola e guardò l’altro dritto negli occhi. «Non farò tutto questo da solo, lo dirò…»

«No», intervenne Valerie, che si trovava a fianco di Joshua. «È già pericoloso che uno soltanto sia al corrente dei nostri affari, non possiamo permettergli di parlarne con altri. Ci uccideranno.»

«Per l’inferno, donna, non penserai mica che voglia mettere un annuncio sul True Delt.»

Joshua si mise una mano sulla fronte e guardò pensoso Marsh. «Allora, a chi stavate pensando, Abner?»

«A una o due persone. Non sono il solo ad aver avuto dei sospetti, lo sapete. E potreste aver bisogno di più aiuto di quanto io possa darvi. Ne parlerò soltanto con gente di cui so di potermi fidare. Mike il Peloso, per esempio. E Mister Jeffers, ha una mente dannatamente acuta e nutre già dei dubbi su di voi. Gli altri, beh, non c’è bisogno che lo sappiano. Mister Albright è un po’ troppo perbene e pio per sentire tutto questo e se lo si dicesse a Mister Framm, in una settimana la voce si spargerebbe lungo tutto il fiume. L’intero ponte del Texas potrebbe andare a fuoco senza che Whithey Blake se ne accorga, purché nessuno tocchi le sue macchine. Ma Jeffers e Mike il Peloso devono saperlo. Sono delle brave persone e potreste averne bisogno.»

«Aver bisogno di loro,» disse Joshua. «Come è possibile, Abner?»

«Cosa succederà se uno dei vostri non apprezzerà quella pozione?» Il sorriso gioviale di Joshua York svanì improvvisamente. Si alzò, attraversò la cabina e si versò da bere: whiskey liscio. Quando si voltò era ancora accigliato. «Forse ho bisogno di pensarci. Se possiamo veramente fidarci di loro… Ho alcuni tristi presentimenti su questo viaggio verso il bayou.» Per una volta, Valerie non lo interruppe con le sue solite proteste. Marsh la guardò e vide che aveva le labbra strettamente serrate e nei suoi occhi c’era qualcosa che poteva proprio somigliare ad un barlume di paura. «Cosa c’è che non va?» Chiese Marsh. «Avete tutti e due una… strana espressione.»

Valerie lo interruppe sgarbatamente. «Si tratta di lui. Vi ho chiesto di invertire la rotta e di risalire il fiume. E ve lo chiederei ancora, se pensassi che uno di voi mi darebbe ascolto. Lui è lì, a Cypress Landing.»

«Chi?», Marsh era sconvolto.

«Un Signore del Sangue,» spiegò Joshua. «Abner, capite che non tutta la mia gente la pensa come me. Perfino tra i miei seguaci, beh, Simon è leale, Smith e Brown sono passivi, ma Katherine — fin dall’inizio, ho sentito in lei del risentimento. Credo che ci sia un lato oscuro nel suo profondo, qualcosa che la spinge a preferire il vecchio modo di fare. Si strugge per la nave che ha mancato e freme sotto il mio dominio. Mi obbedisce perché deve. Io sono il suo Signore del Sangue. Ma questo non le aggrada. E gli altri, quelli che abbiamo preso a bordo lungo il fiume — non sono sicuro di loro. Tranne Valerie e Jean Ardant, non mi fido pienamente di nessuno di essi. Vi ricordate degli avvertimenti che mi avete dato su Raymond Ortega? Nutro i vostri stessi timori su di lui. Non prova alcun interesse per Valerie, dunque vi sbagliavate quando pensavate che la mia fosse gelosia, eppure, in qualche modo, avevate ragione. Per prendere Simon a bordo a Natchez, ho dovuto sottometterlo, come ho sottomesso tanto tempo fa Simon nei Carpazi. Con Clara de Gruy e Vincent Tribaut ci sono stati altri contrasti. Ora sono miei seguaci, perché devono esserlo. È una consuetudine della mia gente. Non mi meraviglierei se qualcuno di loro, alla fine, non vorrà aspettare. Aspettare di vedere cosa accadrà quando il Fevre Dream arriverà nel bayou e mi condurrà faccia a faccia con colui che era il Signore del Sangue di tutti loro. «Valerie mi ha parlato molto di lui. È vecchio, Abner. Più vecchio di Simon o di Katherine, più vecchio di chiunque di noi. Anche soltanto la sua età mi preoccupa. Ora si fa chiamare Damon Julian, ma prima si chiamava Giles Lamont. Lo stesso Giles Lamont che quel disgraziato mulatto ha servito per trenta futili anni. Vi ho raccontato che adesso ha un altro schiavo con sé.»

«Billy Tipton la Serpe» disse disgustata Valerie.

«Valerie ha paura di questo Julian», continuò Joshua York. «Anche gli altri parlano con timore di lui, ma qualche volta intuisco nelle loro parole un barlume di lealtà nei suoi confronti. Come Signore del Sangue, si è preso cura di loro. Ha garantito loro asilo, ricchezza, piaceri. Ha fornito loro schiavi con cui banchettare. Non c’è da meravigliarsi se ha scelto di stabilirsi laggiù.»

Valerie scosse la testa. «Desisti, Joshua, te ne prego. Fallo per me, se non per un’altra ragione. Damon non apprezzerà il tuo arrivo, non approverà la libertà che tu vuoi portare.»

Joshua aggrottò la fronte, irritato. «Con lui ci sono ancora altri della nostra gente. Vorresti che li abbandonassi? No. E poi, su Julian, potresti aver torto. È stato dominato dalla Sete per innumerevoli secoli e io posso lenire quella brama febbrile.»

Valerie incrociò le braccia sul petto; i suoi occhi violetti erano furibondi. «E se non si placherà? Tu non lo conosci, Joshua.»

«È una persona educata, intelligente, istruita, un amante della bellezza,» disse York, ostinato. «Sei stata proprio tu a dirmelo.»

«Ma è anche forte.»

«Lo sono anche Simon, Raymond e Clara. E adesso seguono me.» «Damon è diverso,» insisté Valerie. «Lui è non è come gli altri!»

Joshua York fece un gesto di impazienza. «Non fa alcuna differenza. Sottometterò anche lui».

Abner Marsh li aveva osservati discutere, immerso in un silenzio pensoso, ma ora cominciò a parlare. «Joshua ha ragione,» disse rivolto a Valerie. «Accidenti, l’ho guardato una volta o due negli occhi, e mi ha quasi maciullato la mano la prima volta che me l’ha stretta. Inoltre, com’era che tu lo chiamavi? Il Re?»

«Sì,» ammise Valerie. «Il pallido Re.»

«Beh, se è lui il vostro pallido Re, significa che è destinato a vincere, non è così?»

Valerie fece correre rapidamente il suo sguardo da Marsh a York, poi fissò di nuovo il Capitano. Tremava. «Voi non lo avete mai visto, nessuno di voi due l’ha visto.» Per un attimo esitò, si tirò indietro i capelli neri con una mano pallida ed affusolata e puntò lo sguardo su Abner Marsh. «Forse mi ero sbagliata sul vostro conto, Capitano Marsh, ma io non sono forte come Joshua, né posseggo la sua fiducia. Sono stata governata dalla Sete per mezzo secolo. La vostra gente era la mia preda. Non si può stringere amicizia con le proprie prede. Non si può. Non si può mai avere fiducia in loro. Questo è il motivo per cui ho esortato Joshua ad uccidervi. Non si possono mettere da parte così facilmente le precauzioni osservate per una vita intera. Mi capite?»

Abner Marsh assentì con cautela.

«Sono ancora incerta,» continuò Valerie, «ma Joshua ci ha mostrato tante novità e devo ammettere che di voi ci si può fidare. Forse.» Aggrottò ferocemente le ciglia. «Ma che mi sia sbagliata su di voi, oppure no, per quanto riguarda Damon Julian, ho ragione

Anche Abner Marsh aggrottò la fronte, non sapendo cosa rispondere. Joshua allungò la mano e afferrò quella di Valerie. «Penso che sbagli ad essere così timorosa, ma per il tuo bene mi muoverò con ogni cautela. Abner, fate come volete, ditelo pure a Mister Jeffers e Mister Dunne. Sarà utile avere il loro aiuto, se Valerie ha davvero ragione. Scegliete gli uomini migliori a fate sbarcare gli altri. Quando il Fevre Dream raggiungerà il bayou, voglio che a bordo rimangano soltanto i più affidabili, e che l’equipaggio sia ridotto al minimo indispensabile per far navigare il battello. Niente fanatici religiosi, né gente che si spaventi facilmente, oppure che sia incline all’imprudenza.»

«Saremo Mike il Peloso ed io ad effettuare la selezione,» gli assicurò Marsh.

«Affronterò Julian sul mio battello, quando vorrò, con voi e con il meglio dei vostri uomini alle mie spalle. State attento, quando ne parlerete con Jeffers e Dunne. Non dobbiamo commettere nessun errore». Poi York guardò Valerie. «Soddisfatta?»

«No».

Joshua sorrise. «Non posso fare di più.» Poi si voltò verso Marsh. «Abner, sono felice che non siate mio nemico. Ce l’ho quasi fatta: la realizzazione dei miei sogni è a portata di mano. Sconfiggendo la Sete, ho conquistato il mio primo grande trofeo. Mi piacerebbe pensare che proprio qui, stanotte, voi ed io abbiamo forgiato il secondo dei miei trionfi: l’inizio dell’amicizia e della fiducia tra le nostre razze. Il Fevre Dream navigherà sul filo del rasoio tra la notte e il giorno, bandendo lo spettro della vecchia paura dovunque vada. Compiremo grandi imprese insieme, amico.»

Marsh non amava troppo l’eloquio fiorito, ma, nondimeno, l’entusiasmo di Joshua smosse qualcosa nel suo animo ed il Capitano gli rivolse un incerto sorriso, quasi di malavoglia. «Abbiamo un bel po’ di lavoro da fare prima di ottenere un qualsiasi dannato risultato», disse Marsh, afferrando il suo bastone ed alzandosi in piedi. «Vado, allora.»

«Bene,» disse Joshua sorridendo. «Adesso vado a riposare. Ci rivedremo al crepuscolo. Assicuratevi che la nave sia pronta a partire. Cercheremo di portare a termine tutto questo prima possibile.»

«Il battello sarà pronto,» disse Marsh mentre stava lasciando la cabina. Fuori, era spuntato il giorno. Sembravano circa le nove del mattino, pensò Abner Marsh mentre sbatteva le palpebre, all’esterno della cabina, dopo che Joshua aveva richiuso la porta dietro di lui. Il mattino era lugubre: caldo e afoso, con una pesante coltre grigia che oscurava il sole. Fumo e fuliggine si sollevavano dai battelli che navigavano lungo il fiume. Sta per arrivare una tempesta, pensò Marsh e quella prospettiva lo scoraggiò. Improvvisamente, si rese conto di quanto poco avesse dormito, e si sentì terribilmente stanco. Ma c’erano così tante cose da fare che non osò neppure pensare a schiacciare un pisolino. Scese nel salone principale, immaginando che la colazione gli avrebbe restituito parte delle sue energie. Trangugiò un gallone di caffè nero e bollente mentre Toby gli preparava un pasticcio di carne e delle cialde, con contorno di mirtilli. Mentre stava mangiando, Jonathan Jeffers entrò nel salone, lo vide e si diresse a grandi passi verso il suo tavolo. «Sedetevi e mangiate qualcosa,» disse Marsh. «Voglio avere un lungo colloquio con voi, Mister Jeffers. Non qui, comunque. Sarà meglio che aspettiate che abbia finito e poi andremo nella mia cabina.»

«Va bene,» replicò Jeffers, con un fare distratto. «Capitano, dove siete stato? Vi ho cercato per ore. Non eravate nella vostra cabina.»

«Joshua ed io stavamo chiacchierando. Ma perché mi cercavate…?»

«C’è un uomo che è venuto qui per vedervi, è arrivato nel bel mezzo della notte. Ha molto insistito.»

«Non mi piace che mi si faccia aspettare, come se fossi un’immondizia qualunque,» proruppe lo sconosciuto. Marsh non lo aveva neanche visto entrare. Senza neppure chiedere il permesso, l’uomo prese una sedia e si sedette. Era un tipo sgradevole, macilento, con il lungo viso scavato dalle cicatrici del vaiolo. Sottili e lisci capelli scuri gli ricadevano in ciuffi sulla fronte. Il colorito era quello di una persona malata e tratti di capelli e di pelle erano ricoperti di squame biancastre, come se si fosse imbattuto in una nevicata limitata alla sua persona. Inoltre, indossava un abito di fine e costoso tessuto nero, uno sparato bianco arricciato ed un anello con un cammeo. Abner Marsh non si curò del suo aspetto, del suo tono, delle labbra schiacciate e degli occhi color ghiaccio. «Chi siete voi, dannazione?» chiese con voce aspra. «È meglio che abbiate una ragione dannatamente buona per disturbarmi a colazione, o vi farò gettare fuoribordo.» Bastarono queste parole a far sentir meglio Marsh. Aveva sempre pensato che era inutile essere un capitano di un battello se poi, una volta ogni tanto, non si poteva mandare qualcuno all’inferno. L’espressione acida dello straniero non mutò per nulla, ma i suoi occhi di ghiaccio si misero a fissare Marsh con una specie di malizia beffarda.

«Sto per prendere un passaggio su questa vostra stravagante zattera.»

«Che mi pigli un colpo, se è così», replicò Marsh.

«Devo chiamare Mike il Peloso affinché si occupi di questa canaglia?» intervenne prontamente Jeffers. L’uomo guardò il commissario di bordo con disprezzo. Poi, rivolto a Marsh, disse, «Capitano Marsh, sono venuto la scorsa notte per porgere un invito, a voi e al vostro socio. Immaginavo che almeno uno di voi due fosse pienamente a suo agio, di notte. Bene, adesso è mattina, così dovrà essere per questa notte. Cena al St. Louis, un’ora circa dopo il tramonto, voi e il Capitano York.»

«Non vi conosco e non mi importa di voi,» rispose Marsh. «Sono sicuro che non cenerò con voi. Inoltre, il Fevre Dream prenderà il largo stanotte.»

«Lo so e so anche per dove.» Marsh corrugò la fronte. «Cosa state dicendo?»

«Deduco, da quel che avete appena detto, che voi non conosciate i negri. Un negro non può sentire qualcosa, senza che, poco tempo dopo, tutti i negri di questa città ne vengano a conoscenza. Ed io, io ci sento molto bene. Voi non vorrete di certo condurre questo vecchio e grosso battello nel bayou, dove avete deciso di andare. Sicuramente vi incagliereste e forse provochereste una falla. Io posso risparmiarvi la fatica. Vedete, l’uomo che state cercando è proprio qui che vi aspetta. Così, quando scenderà la notte, avvertite il vostro signore, mi sono spiegato? Ditegli che Damon Julian lo attende all’Hotel St. Louis. Mister Julian è ansioso di fare la sua conoscenza.»

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