CAPITOLO OTTAVO

A bordo del Fevre Dream
FIUME MISSISSIPPI
Luglio 1857

Abner Marsh tagliò una fetta di formaggio dalla pezza sul tavolo, la sistemò con modi accorti in cima a quanto rimaneva della sua torta di mele, ed inforchettò entrambe con un lesto movimento della grassa mano rubiconda. Ruttò, si pulì la bocca col tovagliolo e scrollò via dalla barba qualche briciola impigliatasi, poi si abbandonò sullo schienale della sedia con un gran sorriso stampato sulla faccia.

«È buona la torta?» chiese Joshua York, sorridendo a Marsh sopra un bicchiere da brandy.

«Toby non sa cucinarne di cattive,» replicò Marsh. «Avreste dovuto assaggiarne un pezzo.» Si scostò dal tavolo e si alzò in piedi. «Bene, finite il vostro brandy, Joshua. È ora.»

«Ora?»

«Volevate imparare a conoscere il fiume, no? Non imparerete di certo standovene seduto a tavola, lasciatevelo dire.»

York finì il brandy, ed insieme salirono alla cabina di pilotaggio. Karl Framm era di turno. Sdraiato sul divano, col fumo che si levava in riccioli dalla sua pipa, si beava nell’ozio mentre il suo apprendista — un giovane alto e con i capelli biondi e lisci che gli ricadevano sul colletto — stava alla ruota del timone. «Capitano Marsh,» disse Framm, annuendo. «E voi dovete essere il misterioso Capitan York. Lieto di fare la vostra conoscenza. Prima d’ora non ero mai stato su di un battello con due capitani.» Sorrise, un largo sorriso obliquo dal quale baluginò il lampo giallo di un dente d’oro. «I capitani di questo battello sono quasi tanti quante le mogli che ho io. Naturalmente, ve ne sono buone ragioni. Su questo legno ci sono più caldaie, più specchi e più argenti che in qualsiasi altro battello che abbia mai visto, perciò, suppongo che sia giusto che abbia anche più capitani.» L’allampanato pilota cadetto si sporse in avanti e lasciò cadere una pioggerella di cenere dalla sua pipa nella pancia della grande stufa di ferro. Questa era fredda e oscura essendo la notte calda e afosa. «Cosa posso fare per voi, signori?» chiese Framm.

«Insegnateci il fiume,» rispose Marsh.

Le sopracciglia di Framm si sollevarono. «Insegnarvi il fiume? Ho già un allievo. Giusto, Jody?»

«Certamente, Mister Framm.»

Framm sorrise e si strinse nelle spalle. «Vedete, sto insegnando il mestiere a Jody, ed è già tutto concordato, riceverò seicento dollari dai primi stipendi che si guadagnerà quando lo avrò istruito e sarà entrato a far parte dell’associazione. Se gli ho fatto questo prezzo così economico è perché conosco la sua famiglia. Quanto a voi, però, non posso dire di conoscere le vostre famiglie, non posso dirlo affatto.»

Joshua York si sbottonò il panciotto grigio scuro. Indossava una cintura portasoldi. Ne tirò fuori un pezzo d’oro da venti dollari e lo depose in cima alla stufa, l’oro luccicò fievolmente sul ferro nero. «Venti,» disse York, e depose un’altra moneta sopra la prima. «Quaranta,» disse. Una terza. «Sessanta.» Quando ebbe raggiunto la somma di trecento dollari, York si riabbottonò il gilet. «Temo che questo sia tutto ciò che ho con me al momento, Mister Framm, ma vi assicuro che non sono a corto di fondi. Fissiamo un compenso di settecendo dollari per voi, ed un eguale ammontare per Mister Albright, se entrambi mi istruirete nei rudimenti del pilotaggio, e rinverdirete le conoscenze del Capitano Marsh mettendolo in grado di pilotare il suo battello. Pagamento immediato, beninteso; non dovrete aspettare di detrarlo da futuri compensi. Cosa ne dite?»

A Marsh parve che Framm fosse rimasto un po’ freddo a quell’offerta. Lo vide aspirare pensosamente fumo dalla pipa per qualche istante, come se stesse valutando a dovere la proposta, ed infine allungare una mano sulla pila di monete d’oro. «Non posso parlare per conto di Mister Albright, ma per conto mio, ho sempre apprezzato il colore dell’oro. Vi istruirò. Che ne dite di venir su domani con la luce del giorno, quando inizio il turno?»

«Sarà forse una buona soluzione per il Capitano Marsh,» disse York, «ma io preferisco iniziare immediatamente.»

Framm lanciò occhiate intorno. «Diavolo,» disse. «Ma non vedete? È notte. È quasi un anno che sto insegnando a Jody, e soltanto da un mese lo lascio pilotare di notte. Guidare un battello di notte non è mai facile. No.» Il suo tono era fermo. «Cominceremo di giorno, quando un uomo vede dove sta andando.»

«Io imparerò di notte. Oh, i miei orari sono un po’ strani, Mister Framm. Ma non dovete preoccuparvi, ho un’ottima vista notturna, e sospetto che sia migliore della vostra.»

Il pilota distese le lunghe gambe, si alzò, fece alcuni passi e prese il timone. «Va’ di sotto, Jody,» disse al suo apprendista. E quando il ragazzo se ne fu andato, Framm disse, «Nessun uomo vede abbastanza bene per pilotare al buio in un tratto impervio del fiume.» Stava ritto in piedi e volgeva loro le spalle, mentre gli occhi studiavano le nere acque rischiarate dalle stelle. Le luci lontane di un altro battello si scorgevano avanti. «Stanotte il cielo è sereno, non ci sono nuvole, c’è una buona mezza luna ed il livello del fiume è sicuro. Guardate l’acqua laggiù. Una lastra di vetro nero. Guardate le rive. Davvero facile individuarle, non è così?»

«Sì,» confermò York. Marsh, sorridendo, non disse parola.

«Bene,» riattaccò Framm, «non è sempre così. Certe volte non c’è la luna, e le nuvole coprono ogni cosa. Allora diventa tutto nero, terribilmente. Tanto che un uomo non riesce a vedere più nulla. Le rive scompaiono, come risucchiate, e se uno non sa bene il fatto suo c’è il rischio di andarci a sbattere contro. Altre volte ci si trova di fronte ad ombre torreggianti che ti danno l’illusione d’esser fatte di solida terra, cosicché è necessario conoscerne l’autentica natura se non si vuole passare metà della nottata a scansare ostacoli che non esistono. A parer vostro, Capitan York, come fa un pilota a sapere queste cose?» Framm non gli diede il tempo di replicare che subito incalzò rispondendo egli stesso, «Grazie alla sua memoria,» disse picchiettandosi sulla tempia. «Ecco come. Vedendo il fiume alla luce del giorno e ricordandolo, imprimendoselo tutto nella memoria, ogni ansa ed ogni casa lungo la riva, ogni deposito di legna, ogni punto in cui l’acqua è profonda ed ogni punto in cui il livello si abbassa, ed ancora ogni punto in cui bisogna traversare. Un battello si guida sulla scorta di ciò che si conosce, Capitan York, e non sulla scorta di ciò che si vede. Ma per poter sapere è necessario prima vedere, e ciò che si può vedere di notte non è sufficiente a tale scopo.»

«È la verità, Joshua,» confermò Abner Marsh, posando una mano sulla spalla di York.

Al che York replicò senza scomporsi, «Il battello che ci precede ha le ruote laterali, e tra i fumaioli c’è una grossa K decorata; la cabina di pilotaggio ha il tetto a cupola. In questo momento sta passando accanto ad un deposito di legna. C’è una vecchia scialuppa fradicia laggiù, e un uomo di colore vi sta seduto ad un’estremità, guarda verso il fiume.»

Marsh sollevò la mano dalla spalla di York e si portò alla finestra, socchiuse gli occhi per aguzzar la vista. L’altro battello li precedeva di molte lunghezze. Non gli costò fatica individuare le due ruote laterali, ma il fregio tra i fumaioli… i fumaioli erano neri sopra un cielo nero, riusciva appena ad intravederli, e solo grazie alle scintille che baluginavano da essi. «Dannazione,» mugugnò.

Framm si girò a guardare York con occhi stupefatti. «Io non riesco a vedere nemmeno la metà di quella roba,» ammise, «ma non dubito che siate nel giusto.» Poco dopo il Fevre Dream passò davanti al deposito di legname e vi scorsero il vecchio di colore, proprio come aveva descritto York. «Sta fumando la pipa,» disse Framm, sogghignando, «questo non lo avevate detto.»

«Vogliate scusarmi,» disse Joshua York.

«Bene,» disse Framm con aria meditabonda, «bene.» Trasse una lunga boccata dalla pipa, gli occhi fissi sul fiume che si allungava davanti a loro. «Indubbiamente siete dotato di un’eccezionale vista notturna, ve lo riconosco. Tuttavia, continuo ad avere qualche perplessità. Non è poi un’impresa tanto strabiliante riuscire a vedere un capanno di legna in una notte chiara. Scorgere un vecchio negro, beh, questo è già un po’ più difficile, per come si fondono con l’oscurità che li circonda, ciò nondimeno, avere la vista lunga è una cosa e conoscere il fiume è un’altra. Ci sono tanti piccoli particolari che un pilota deve vedere e che un passeggero non noterebbe mai e poi mai. Per esempio, l’aspetto che assume l’acqua quando un tronco o qualche altro ostacolo si nasconde al di sotto. Vecchi alberi morti che rivelano quale sarà il livello del fiume cento miglia più avanti. Il modo in cui si può distinguere uno spuntone di roccia da un cumulo di sabbia. Bisogna esser capaci di leggere il fiume come se fosse un libro, e le parole sono piccole onde e mulinelli, parole talora così sbiadite da non riuscire a distinguerle per quello che sono, ed allora è necessario affidarsi a ciò che si ricorda dall’ultima volta che si è letta quella stessa pagina. Ora ditemi, voi non ci provereste a leggere un libro al buio, è così?»

York eluse la domanda. «Io riesco a vedere un’onda che increspa l’acqua con la stessa facilità con la quale riesco a distinguere un deposito di legname se i miei occhi sanno cosa cercare. Mister Framm, se voi non siete in grado di insegnarmi il fiume, troverò un pilota all’altezza del compito. Vi rammento che sono il proprietario e il comandante del Fevre Dream.»

Framm lanciò nuovamente occhiate intorno, stavolta aggrottando le sopracciglia. «Di notte si fatica di più,» disse. «Se volete imparare di notte, vi costerà ottocento dollari.»

L’espressione di York si sciolse in un lento sorriso. «Affare fatto,» disse. «Ed ora, cominciamo la lezione.»

Karl Framm sospinse all’indietro il cappello floscio fino a poggiarselo sulla nuca, e mandò un lungo sospiro come uno che fosse stato forzato a far qualcosa suo malgrado. «D’accordo,» disse, «i soldi sono vostri, e pure il battello. Però non venite a lamentarvi con me quando sfonderete lo scafo. Ora prestatemi attenzione. Da St. Louis giù fino a Cairo, il fiume scorre dritto fino alla confluenza con l’Ohio. Un corso così regolare non significa che non dobbiate conoscerlo a dovere. Di tanto in tanto, questa fettuccia d’acqua viene indicata come il cimitero perché un mucchio di battelli vi sono colati a picco. Di alcuni, si vedono ancora i fumaioli che affiorano sul pelo dell’acqua, o anche il relitto tutto intero affondato nel fango quando il fiume è basso — però, per quelli che si trovano sotto la superficie dell’acqua, le cose si complicano perché bisogna sapere con precisione in quale punto giacciono, o altrimenti saranno gli altri battelli a dover sapere dove si trova il nostro. Poi, dovete imparare i punti di riferimento e il modo di manovrare il timone. Avanti, avvicinatevi e prendete la ruota tra le mani, sentitela. Non preoccupatevi, non correte alcun rischio, in questo tratto non tocchereste il fondo neppure con la guglia di un campanile.» York e Framm si scambiarono il posto. «Ora, il primo punto sotto St. Louis…» incominciò Framm. Abner Marsh si sedette sul divano, ascoltando, mentre il pilota parlava e parlava, senza posa, divagando dai punti di riferimento ai trucchi del mestiere, alle lunghe storie di battelli che giacevano sepolti nel cimitero d’acqua che stavano attraversando. Era un narratore accattivante, abile nel colorire a tinte forti le sue storie pittoresche, ma alla fine di ogni racconto, ritornava immancabilmente al suo compito di maestro proponendo all’allievo nuovi segnali di riferimento utili per la navigazione. York assimilò placidamente tutte le informazioni che quello gli somministrava. Sembrava impossessarsi istantaneamente dell’arte di pilotare, e di fatto, ogniqualvolta Framm si fermava e gli chiedeva di ripetere una delle informazioni dategli, York rispondeva prontamente con estrema precisione.

Trascorso così un po’ di tempo, dopo che ebbero raggiunto e superato il battello che navigava davanti a loro, Marsh si scoprì a sbadigliare. Ma la notte era così bella che proprio non se la sentiva di andare a coricarsi. Si tirò su a fatica e scese dall’addetto alla manutenzione degli alloggi degli ufficiali, ritornando poco dopo con un bricco di caffè caldo ed un piatto di pasticcini. Quando fu di nuovo nella timoniera, Karl Framm stava sciogliendo la matassa sul naufragio del Drennan Whyte, andato perduto poco a nord di Natchez nel ’50 con un tesoro a bordo. L’Evermonde tentò di recuperarlo, prese fuoco e colò a picco. L’Ellen Adams, un battello di salvataggio venne a cercare il tesoro nel ’51, s’imbatté in una secca e mancò poco che affondasse. «Il tesoro è maledetto, capite,» stava dicendo Framm, «oppure, se non è così, allora è quel vecchio diavolo d’un fiume che non vuole cederlo.»

Marsh sorrise e versò il caffè. «Joshua,» disse, «c’è del vero in questa storia, ma non credete a tutto quello che vi dice. Quest’uomo è noto per essere il più grande bugiardo sull’intero corso del fiume.»

«Ehi, Capitano!» disse Framm, sghignazzando. Si girò quindi verso il fiume. «Vedete quella baracca laggiù, con la veranda mezza squassata?» disse. «Bene, fissatela in mente perché dovrete ricordarvela…» e ciò detto, s’inoltrò in una nuova digressione. Ci vollero buoni venti minuti perché svicolasse dal racconto dell’E. Jenkins, il battello lungo trenta miglia, con dei cardini nel mezzo perché potesse seguire le curve del fiume. A ciò persino Joshua York rivolse a Framm uno sguardo incredulo. Stava sorridendo, però.

Marsh si ritirò circa un’ora dopo che ebbe mangiato l’ultimo pasticcino. Framm si stava divertendo abbastanza, tuttavia avrebbe preferito dare le sue lezioni durante il giorno, quando avrebbe potuto vedere dannatamente bene le marche di cui stava parlando.

Quando il Capitano Marsh si svegliò, era mattina e il Fevre Dream si trovava a Cape Girardeau, dove stava imbarcando un carico di cereali da macina. Ad un certo momento della notte, Framm aveva deciso di farvi una sosta, apprese poi il Capitano, quando il battello era stato completamente inghiottito da un banco di nebbia. Cape Girardeau era una città altera, arroccata sulle sue rupi, 150 miglia a sud di St. Louis; il Capitano fece un po’ di calcoli e fu soddisfatto del tempo impiegato. Non era certo un tempo da primato, ma lo si poteva considerare un buon tempo.

Entro un’ora il Fevre Dream era di nuovo in navigazione, diretto a valle. Il sole di luglio si accaniva con ferocia sopra di loro, l’aria afosa era densa d’umidità e d’insetti, ma sul ponte che ospitava gli alloggi degli ufficiali l’aria era fresca e gradevole. Vi furono soste frequenti. Con diciotto caldaie da sfamare continuamente, il battello divorava legna con voracità insaziabile, ma il carburante non costituiva mai un problema; i depositi di legname punteggiavano le sponde del fiume, succedendosi ad intervalli regolari. Ogniqualvolta la scorta si esauriva, il secondo lo segnalava al pilota e il battello si accostava ad una baracca sgangherata circondata da enormi cataste di ceppi di faggio, di quercia o di castagno, e allora Marsh o Jonathan Jeffers scendevano sulla riva a contrattare con l’uomo del legname. Quando davano il segnale, i manovali sciamavano a terra, pronti a caricare il legname affastellato, e in un batter d’occhio i ceppi non c’erano più, stivati a bordo del battello. Ai passeggeri delle cabine piaceva sempre osservare le operazioni di rifornimento del legno; ai passeggeri del ponte di coperta piaceva sempre intralciarle, comparendo tra i piedi dei lavoranti.

Sostarono presso ogni genere di città, suscitando una continua eccitazione. Si fermarono ad uno scalo non contrassegnato da alcuna indicazione per far sbarcare un passeggero, ne presero a bordo un altro da un pontile privato. Verso mezzogiorno si fermarono per imbarcare una donna con un bambino che avevano fatto loro cenno di fermarsi agitando le braccia dalla riva, e mancava poco alle quattro quando dovettero rallentare e invertire la direzione delle ruote per consentire a tre uomini su una barca a remi di raggiungerli e salire bordo. Quel giorno, insomma, il Fevre Dream non andò lontano, né andò veloce. Nell’ora in cui il sole di ponente stava imporporando le vaste acque del Mississippi, giunsero in vista di Cairo, e Dan Albright decise di sostarvi per la notte.

A sud di Cairo l’Ohio confluiva nel Mississippi, e il congiungersi dei due fiumi offriva alla vista uno strano scenario. Essi non si fondevano immediatamente in una sola acqua, ma ciascuno serbava il suo flusso, quello limpido e azzurro dell’Ohio si dipanava come un nastro brillante lungo la sponda orientale, e si distingueva nettamente dalle acque brune e tenebrose del Mississippi. E da questo punto in poi il basso fiume assumeva il suo carattere così peculiare; da Cairo a New Orleans e fino a Gulfport, per una distanza di circa 1.100 miglia, il Mississippi si arrotolava, si arrorcigliava, si ripiegava su se stesso come un sinuoso serpente mutando il suo corso capricciosamente, insinuandosi nel soffice suolo imprevedibilmente, lasciando talvolta bacini alti e asciutti, o sommergendo intere città. I piloti affermavano che il fiume non era mai uguale due volte di seguito. L’alto Mississippi, dove Abner Marsh era nato e aveva imparato il suo mestiere, era completamente diverso, imprigionato com’era da alti spuntoni rocciosi in mezzo ai quali fluiva quasi sempre in linea retta. Marsh stette a lungo in piedi sul ponte di passeggiata ad osservare lo scenario che gli sfilava davanti agli occhi e cercando di percepire la differenza di esso, e la differenza che avrebbe segnato per il suo futuro. Dall’alto fiume egli era passato al basso fiume, considerò, e così facendo era entrato in una nuova fase della sua vita.

Poco dopo, Marsh stava chiacchierando con Jeffers nell’ufficio di bordo quando sentì la campana squillare tre volte, il segnale di attracco. Aggrottò le sopracciglia e guardò fuori dalla finestra di Jeffers. Oltre alle rive fittamente tappezzate di vegetazione, non vi scorse alcunché. «Mi chiedo come mai ci stiamo fermando,» disse Marsh. «Il prossimo scalo è a New Madrid. Non conoscerò questa parte del fiume, ma questa di sicuro non è New Madrid.»

Jeffers si strinse nelle spalle. «Forse qualcuno ci ha fatto cenno di fermarci.»

Marsh si allontanò scusandosi e raggiunse la cabina di pilotaggio. Al timone c’era Dan Albright. «Qualcuno ci ha fermati?» gli chiese Marsh.

«No, signore,» rispose il pilota. Era un tipo laconico, rispondeva a ciò che gli veniva chiesto senza aggiungere altro.

«Dove ci stiamo fermando?»

«A un deposito di legna, Capitano.»

Marsh vide che effettivamente c’era un deposito di legna poco avanti, sulla sponda occidentale. «Mister Albright, so di non sbagliarmi dicendo che abbiamo fatto rifornimento meno di un’ora fa. Non possiamo aver già consumato tutto quel legno. È stato Mike il Peloso a chiedervi di fermarvi?» Era compito del capitano in seconda controllare il fabbisogno di combustibile.

«No, signore. È un ordine del Capitano York. Mi è stato riferito di fermarmi a questo deposito di legname sia che avessimo bisogno di rifornirci sia che non ne avessimo.» Albright alzò gli occhi. Era un piccoletto sempre impeccabile nel presentarsi al prossimo, con i suoi sottili baffetti scuri, la cravatta rossa di seta e gli stivaletti di vernice. «Mi state dicendo di passar oltre?»

«No,» si affrettò a rispondere Abner Marsh. York avrebbe potuto avvertirlo, pensò, tuttavia il loro accordo consentiva a York di impartire ogni sorta di ordini, anche i più bizzarri. «Sapete quanto tempo sosteremo qui?»

«Ho sentito che York ha una commissione da sbrigare a terra. Se non si alza fino al tramonto, allora ci resteremo tutto il giorno.»

«Maledizione. Il nostro orario di viaggio — i passeggeri ci assilleranno con un’infinità di domande.» Marsh si rabbuiò. «Beh, credo che non vi siano alternative. Giacché ci siamo, ci conviene far rifornimento di legna. Vado giù ad occuparmene.»

Marsh si accordò per l’acquisto col ragazzo che gestiva il deposito, un negro snello con una sottile camicia di cotone. Il ragazzo non era abile nelle contrattazioni; Marsh ottenne da lui legno di faggio al prezzo del legno di pioppo nero, e vi si fece aggiungere anche qualche ramo di pino. Mentre gli scaricatori e i lavoranti si davano da fare a caricare la legna, Marsh guardò il ragazzo di colore dritto negli occhi, sorrise, e disse, «Sei nuovo del mestiere, eh?»

Il ragazzo annuì. «Sissignore, Capitano.» Anche Marsh annuì, e stava per girare sui tacchi per ritornare al battello, ma il ragazzo soggiunse, «Sto qui solo da una settimana. Il vecchio bianco che c’era prima è stato mangiato dai lupi.»

Marsh guardò il ragazzo intensamente. «Siamo solo un paio di miglia a nord di New Madrid, vero, ragazzo?»

«Esatto, Capitano.»

Quando Abner Marsh ritornò a bordo del Fevre Dream, era turbato da una profonda agitazione. Dannato Joshua York, pensava. Cosa diavolo aveva in mente, e perché dovevano sprecare un’intera giornata fermi vicino a quella stupida baracca? Marsh fu colto dall’impulso di precipitarsi nella cabina di York per dirgliene quattro. Considerò l’idea ma subito desistette. Il motivo di quella sosta non era affar suo — Marsh se lo rammentò coercitivamente. E si rassegnò all’attesa.

Le ore scivolarono lentamente mentre il Fevre Dream giaceva senza vita al largo del deposito di legname. Una dozzina di altri battelli gli passarono accanto proseguendo verso sud e irritando non poco il Capitano Marsh. Altrettanti risalirono faticosamente controcorrente. Un breve scontro a colpi di coltello tra due passeggeri del ponte di coperta, senza che nessuno riportasse ferite, ravvivò il tedioso pomeriggio. La maggior parte dei passeggeri e dell’equipaggio del Fevre Dream trascorsero le ore oziando sui ponti, le sedie reclinate verso il sole, a fumare o a masticar tabacco, oppure a discutere di politica. Jeffers e Albright giocarono agli scacchi nella timoniera. Framm raccontò storie impetuose nel salone. Alcune tra le signore presero a parlottare sull’eventualità di organizzare un ballo. E Abner Marsh divenne sempre più impaziente.

All’imbrunire, Marsh era seduto sul ponte di comando a bere caffè e schiacciare zanzare, quando volse casualmente lo sguardo verso la riva giusto in tempo per scorgere Joshua York scendere dal battello. C’era Simon con lui. Si fermarono presso la baracca e scambiarono poche battute con il ragazzo di colore, poi scomparvero tra i solchi di una strada fangosa che s’inoltrava nei boschi. «Ma tu guarda che roba,» disse Marsh a se stesso, alzandosi, «Se ne va senza neppure un arrivederci.» Aggrottò le sopracciglia. «Non ha neppure cenato.» Quel pensiero gli rammentò che neppure lui aveva mangiato, e pensò bene di rimediare subito scendendo nel salone.

Le ore notturne scorsero tra l’irrequietezza crescente dei passeggeri e dell’equipaggio. I gomiti si alzarono più del solito intorno al bar. Un piantatore diede inizio ad una partita di brag ed altri si misero a cantare; un giovanotto ostinato finì per buscarsi qualche bastonata per aver appoggiato il proibizionismo.

Poco prima di mezzanotte Simon ritornò da solo. Abner Marsh si trovava nel salone quando Mike il Peloso gli diede dei colpetti sulla spalla; Marsh aveva dato ordine che lo avvertissero non appena York fosse ritornato sul battello. «Chiamate a bordo gli scaricatori e dite a Whitey di accendere le caldaie,» comandò senza indugio al suo secondo, «abbiamo del tempo da recuperare.» Poi si avviò da York. Solo che York non c’era.

«Joshua vuole che proseguiate,» gli riferì Simon. «Lui viaggerà via terra e vi ricongiungerete a New Madrid. Aspettatelo.» La raffica di accalorate domande non valse a cavargli altre informazioni; Simon si limitò a fissare Marsh con i suoi occhi piccoli e freddi e ripeté il messaggio: il Fevre Dream doveva aspettare York a New Madrid.

Una volta partiti, il viaggio fu breve e piacevole. New Madrid distava solo poche miglia dal deposito di legname dove erano rimasti bloccati tutto il giorno. Marsh fu più che felice di dire addio a quel posto desolato mentre scivolavano sulle acque oscure, via nella notte. «Dannato Joshua,» borbottò.

A New Madrid persero quasi due intere giornate.

«È morto,» opinò Jonathan Jeffers dopo che aspettavano da un giorno e mezzo. New Madrid straripava di alberghi, sale da biliardo, chiese e diverse altre possibilità di svago che un deposito di legname non offriva, sicché il tempo trascorso all’attracco non fu altrettanto noioso, ciò nondimeno erano tutti ansiosi di ripartire. Una mezza dozzina di passeggeri, impazienti per il ritardo, considerarono che il tempo era buono, il battello sembrava in perfette condizioni ed il livello del fiume era alto, e, non giustificando il ritardo, si rivolsero a Marsh per ottenere il rimborso della somma pagata per il viaggio. Rimborso che fu rifiutato con indignazione, malgrado lo stesso Marsh ribollisse dalla rabbia e si domandasse ad alta voce dove diavolo fosse andato a ficcarsi Joshua York.

«York non è morto,» disse Marsh. «Non dico che non desidererà di morire quando lo avrò tra le mani, ma non è morto ancora.»

Dietro gli occhiali d’oro le sopracciglia di Jeffers si arcuarono. «No? Come fate ad esserne sicuro, Capitano? Era solo, a piedi, e si è inoltrato nei boschi di notte. Si possono fare brutti incontri in quei boschi, furfanti, animali… Negli ultimi anni ci sono state numerose morti nei dintorni di New Madrid.»

Marsh lo fissò. «Che state dicendo?» domandò. «Come fate a saperlo?»

«Leggo i giornali,» replicò Jeffers.

Marsh si accigliò. «Beh, questo non cambia proprio niente. York non è morto. Lo so, Mister Jeffers. Lo so per certo.»

«Si è perso, allora?» suggerì il commissario di bordo, con un sorriso freddo. «Non sarà il caso di radunare una squadra per cercarlo, Capitano?»

«Ci penserò,» rispose Abner Marsh.

Ma non ce ne fu bisogno. Quella sera, un’ora dopo il tramonto, Joshua York arrivò al pontile camminando di buon passo. Non aveva l’aspetto di un uomo che avesse trascorso due giorni da solo nel folto di una bosco. Aveva sì i calzoni e gli stivali impolverati, ma oltre a ciò il suo abbigliamento conservava l’ordine e l’eleganza che possedeva quando si era allontanato dal battello. La sua andatura era sì frettolosa, ma non per questo goffa o priva della consueta grazia. Salì sulla passerella d’imbarco e sorrise quando vide Jack Ely, il secondo macchinista. «Trovate Whitey e fate accendere i motori,» disse York a Ely. «Si parte.» Poi, prima che qualcuno potesse fargli delle domande, era già a metà della scalinata.

Marsh, seppur roso dall’ira e dall’impazienza, si sentì decisamente risollevato al ritorno di Joshua. «Fate suonare quella maledetta campana così quelli che sono scesi a terra sapranno che stiamo partendo,» disse a Mike il Peloso. «Voglio che riprendiamo la navigazione il più presto possibile.»

York era nella sua cabina, si stava lavando le mani nel catino d’acqua poggiato sul cassettone. «Abner,» disse in tono cortese quando Marsh entrò impetuosamente dopo un colpo sulla porta, breve quanto rimbombante. «Credete che possa importunare Toby perché mi prepari una cena tardiva?»

«Io importunerò voi chiedendovi perché abbiamo sprecato tutto questo tempo,» attaccò Marsh. «Dannazione, Joshua, lo so, me lo avevate detto che vi sareste comportato in modo strano, ma due giorni ! Lasciatevelo dire, non si può comandare un battello in questa maniera!»

York si asciugò accuratamente le mani lunghe e bianche, poi si voltò. «Era importante. Vi avverto, potrà accadere ancora. Dovrete abituarvi al mio modo di fare, Abner, e far sì che non mi vengano rivolte domande.»

«Abbiamo merci da consegnare, e passeggeri che hanno pagato per viaggiare, non per ciondolare intorno ai depositi di legname. Cosa dico io a questa gente, Joshua?»

«Quel che volete. L’ingegno non vi fa difetto, Abner. In questa nostra società io ho provveduto ai soldi, e mi aspetto che voi provvediate a trovare buone scuse.» Il suo tono era cordiale ma risoluto. «Se può esservi di conforto, sappiate che il primo viaggio sarà il peggiore. Per i viaggi futuri prevedo poche escursioni misteriose, seppur vi saranno. Otterrete il vostro tempo da primato senza ch’io vi causi altri problemi.» Sorrise. «Spero che ciò possa bastarvi. Tenete a freno la vostra impazienza, amico mio. Alla fine giungeremo a New Orleans, ed allora le cose saranno più facili. Accettate questa mia promessa, Abner? Abner? C’è qualcosa che non va?»

Abner Marsh aveva a stento ascoltato le parole di York, impegnato com’era ad aguzzare la vista. Doveva aver fatto una strana faccia, se ne rese conto e si affrettò a dire, «No. I due giorni perduti, solo questo. Ma non ha importanza. Nessuna importanza. Faremo come dite voi, Joshua.»

York annuì, apparentemente soddisfatto. «Ora devo cambiarmi, poi infastidirò Toby perché mi prepari un pasto, dopodiché andrò su alla timoniera ad imparare altri segreti del vostro fiume. A chi tocca il turno di notte?»

«Mister Framm,» rispose Marsh.

«Bene,» disse York. «Karl sa essere molto divertente.»

«Infatti,» convenne Marsh. «Scusatemi, Joshua. Devo andare di sotto a controllare alcune cose, se stanotte vogliamo riprendere la navigazione.» Si voltò bruscamente ed uscì dalla cabina. Ma quando fu fuori di lì, nel caldo della notte, Abner Marsh si appoggiò pesantemente al suo bastone da passeggio e lanciò lontano il suo sguardo, all’oscurità punteggiata di stelle, sforzandosi di richiamare alla mente le cose che gli era parso di vedere nella cabina.

Se solo i suoi occhi fossero stati più potenti. Se solo York avesse acceso tutte e due le lampade ad olio invece che una. Se solo avesse osato avvicinarsi di più. Non era stato facile distinguere con chiarezza da quella distanza fino al cassettone. Ma Marsh non riusciva a togliersi quell’immagine dalla mente. Il telo con cui York si era asciugato le mani aveva delle macchie. Macchie scure. Rossastre.

Ed erano maledettamente simili a macchie di sangue.

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