Distesa sul lettino, Egwene guardò, accigliata, le guizzanti ombre lanciate contro il soffitto dall’unica lampada. Avrebbe voluto progettare un piano o prevedere che cosa sarebbe accaduto, ma non ci riusciva. Le ombre erano più variegate dei suoi pensieri. Non riusciva neppure a preoccuparsi per Mat e non se ne vergognava, così schiacciata dalle pareti.
Era una stanzetta severa, priva di finestre, identica a tutte quelle delle novizie: quadrata, intonacata di bianco, con pioli a una parete, il letto contro l’altra, un piccolo scaffale dove in altri giorni lei teneva i pochi libri presi in prestito dalla biblioteca della Torre. Un lavabo e uno sgabello a tre gambe completavano l’arredamento. L’assito era quasi bianco, a furia di pulirlo. L’aveva sfregato ogni giorno, oltre a seguire le lezioni e a fare gli altri lavori. Le novizie vivevano semplicemente, fossero figlie d’un locandiere o Eredi dell’Andor.
Egwene indossava di nuovo la comune veste bianca delle novizie (anche cintura e borsello erano bianchi) ma non provava alcuna gioia per essersi liberata dell’odiato grigio. La stanzetta le pareva ora assai simile a una cella. E se avessero avuto intenzione di tenerla lì? In quella stanza. Come in cella. Come se le avessero messo un collare e...
Diede un’occhiata alla porta — l’Ammessa dalla pelle scura era sempre di guardia dall’altra parte, lo sapeva — e rotolò più vicino alla parete intonacata di bianco. Proprio a livello del materasso c’era un foro, quasi invisibile per chi non sapesse dove guardare, comunicante con la stanza contigua, praticato dalle novizie, molto tempo prima. Egwene mantenne bassa la voce, appena un bisbiglio.
«Elayne?» chiamò. Non udì niente. «Elayne? Sei sveglia?»
«Come potrei dormire?» rispose Elayne, in un bisbiglio stridulo. «Pensavo che ci saremmo cacciate nei guai, ma questo non me l’aspettavo. Cosa ci faranno?»
Egwene aveva solo sospetti che non voleva esprimere a voce. «A dire il vero, Elayne, pensavo che saremmo diventate eroine. Abbiamo riportato il Corno di Valere. Abbiamo smascherato Liandrin e l’Ajah Nera.» Le mancò la voce. Le Aes Sedai negavano l’esistenza di un’Ajah al servizio del Tenebroso e s’infuriavano con chi ne insinuava l’esistenza. Ma loro sapevano che quell’Ajah era reale. «Dovremmo essere eroine, Elayne.»
«"Con i se e con i ma non si costruiscono ponti"» replicò Elayne, citando un proverbio. «Luce santa, ci rimanevo male, quando mia madre ne parlava, invece è vero. Verin ha detto che non dobbiamo parlare con nessuno del Corno né di Liandrin, a parte lei stessa e l’Amyrlin Seat. Non credo che le cose andranno come pensavamo noi. Non è giusto. Abbiamo affrontato un mare di pericoli, tu più di tutte. Non è giusto e basta.»
«Verin dice. Moiraine dice. Ecco perché la gente ritiene che le Aes Sedai tirino i fili di noi burattini. Quasi me li sento, attaccati alle braccia e alle gambe. Qualsiasi cosa faranno, sarà ciò che riterranno meglio per la Torre Bianca, non ciò che è giusto nei nostri confronti.»
«Ma tu vuoi ancora diventare Aes Sedai, no?»
Egwene esitò, anche se in realtà la risposta non era mai stata in discussione. «Sì» disse. «Lo voglio ancora. Ma non mi lascerò quietare.» Rinunciare alla Vera Fonte? Ne sentiva la presenza, anche in quel momento: il bagliore appena al di là delle proprie spalle, lo splendore appena fuori vista. Dominò il desiderio di protendersi verso di essa. Rinunciare a sentirsi riempire dell’Unico Potere, a sentirsi più viva di quanto non si fosse mai sentita? Mai! «Mi opporrò con tutte le mie forze» soggiunse.
Seguì un lungo silenzio. «Come potresti impedirlo?» domandò infine Elayne. «Forse sei forte come loro, ma non abbiamo le cognizioni necessarie. Per schermarci dalla Fonte basterebbe una sola Aes Sedai; e qui ce ne sono decine.»
Egwene rifletté. «Potrei fuggire» disse infine. «Fuggire davvero, stavolta.»
«Ci inseguirebbero, sono sicura. Appena mostri un minimo di talento, non ti lasciano più andare, finché non hai imparato quanto basta a non ucciderti da sola. O a non morire a causa del Potere.»
«Non sono più una semplice ragazza di villaggio. Ho visto un po’ di mondo. Posso tenermi alla larga dalle Aes Sedai, se voglio.» Cercava di convincere se stessa, non solo Elayne.
«Mia madre potrebbe proteggerci» disse Elayne. «Se quel Manto Bianco ha detto il vero. Altrimenti, è probabile che ci rimandi qui in catene. M’insegnerai a vivere in un villaggio?»
Egwene batté le palpebre. «Verrai con me? Se si arriva a questo?»
Seguì un altro lungo silenzio, poi un debole bisbiglio. «Non voglio essere quietata, Egwene. Non voglio!»
La porta si spalancò, urtò rumorosamente la parete. Egwene si alzò a sedere di soprassalto e udì sbattere la porta della stanza accanto. Faolain entrò e con un sorriso fissò il forellino nella parete. Fori simili esistevano in quasi tutte le stanze delle novizie: chiunque fosse stata novizia lo sapeva.
«Bisbigliavi con la tua amica, eh?» disse Faolain, con calore sorprendete. «Be’, la solitudine cresce, ad aspettare da sola. Hai fatto una bella chiacchierata?»
Egwene aprì bocca, la richiuse in fretta: rispondere alle Aes Sedai, aveva detto Sheriam, e a nessun’altra. Guardò impassibile l’Ammessa e attese.
La falsa simpatia scivolò dal viso di Faolain come acqua da un tetto. «In piedi. L’Amyrlin non deve aspettare, per gente come te. Sei fortunata che non sono giunta in tempo per udirti. Muoviti!»
In teoria le novizie dovevano ubbidire alle Ammesse, con la stessa prontezza con cui ubbidivano alle Aes Sedai; Egwene invece si alzò lentamente e prese tempo a lisciarsi la veste. Rivolse a Faolain una piccola riverenza e un accenno di sorriso. Nel vedere il cipiglio che aggrondava l’Ammessa, Egwene allargò il sorriso, ma si frenò: non aveva senso stuzzicare troppo Faolain. Tenendosi ben dritta, fingendo che le ginocchia non le tremassero, le precedette fuori della stanza.
Elayne aspettava già nel corridoio, insieme con l’Ammessa dalle guance rosate, e pareva fieramente decisa a essere coraggiosa. Riusciva chissà come a dare l’impressione che l’Ammessa fosse una cameriera che le portasse i guanti. Egwene si augurò di fare almeno la metà della figura di Elayne.
Le balconate provviste di ringhiera dei quartieri delle novizie salivano ai piani superiori, formando una colonna cava, e scendevano fino alla Corte delle Novizie. Non c’erano altre donne in vista. Ma anche se ogni novizia della Torre fosse stata lì, nemmeno un quarto delle stanze sarebbe stato occupato. Egwene e le altre percorsero in silenzio le balconate deserte e scesero le rampe a spirale; nessuna di loro sopportava che il suono di voci sottolineasse quel vuoto.
Egwene non era mai stata nella parte della Torre dove l’Amyrlin alloggiava. Lì i corridoi erano tanto larghi e alti da consentire senza difficoltà il passaggio di un carro. Arazzi variopinti coprivano le pareti: arazzi intessuti in stili diversi, motivi floreali, scene di foresta, imprese eroiche, disegni intricati... alcuni così antichi da far pensare che si sarebbero sbriciolati al solo toccarli. Le scarpe ticchettavano sulle piastrelle romboidali che ripetevano i colori delle sette Ajah.
C’erano poche donne in circolazione: un’Aes Sedai di tanto in tanto, che procedeva con aria maestosa senza notare Ammesse o novizie; cinque o sei Ammesse che camminavano in fretta, con aria d’importanza, per eseguire commissioni o recarsi allo studio; qualche cameriera con un vassoio o stracci o una bracciata di lenzuola e di asciugamani; poche novizie che si muovevano ancora più rapidamente delle cameriere.
Egwene e le altre furono raggiunte da Nynaeve e dalla sua guardiana dal collo sottile, Theodrin. Nessuna delle due aprì bocca. Ora Nynaeve indossava una veste da Ammessa, bianca, con le sette strisce colorate sull’orlo, ma aveva tenuto cintura e borsello; rivolse a Egwene e a Elayne un sorriso rassicurante e un’alzata di spalle, ma, continuando a camminare, si diede anche un paio di strattoni alla treccia.
Ben pochi uomini venivano in quella parte della Torre; Egwene ne vide solo due, Custodi che procedevano affiancati e conversavano: uno portava al fianco la spada, l’altro la portava sulla schiena; uno era basso e snello, addirittura magro, l’altro alto e grasso, ma tutt’e due si movevano con grazia pericolosa. I mantelli cangianti davano un senso di nausea a chi li fissava a lungo, perché parevano confondersi con le pareti. Egwene notò che Nynaeve guardava i due Custodi e scosse la testa. “Dovrebbe risolvere in qualche modo la faccenda di Lan” pensò. “Se una di noi, da domani, sarà in grado di fare qualcosa."
L’anticamera dello studio dell’Amyrlin Seat era tanto imponente da non sfigurare in un palazzo, anche se le sedie per chi doveva attendere erano ordinarie, ma Egwene aveva occhi solo per Leane Sedai. La Custode degli Annali portava la stola del proprio ufficio, azzurra per mostrare l’Ajah cui era appartenuta, e il viso poteva essere stato intagliato in lucida pietra marrone. Non c’erano altri.
«Vi hanno causato fastidi?» domandò Leane, senza tradire né collera né simpatia.
«No, Aes Sedai» risposero insieme Theodrin e l’Ammessa dalle guance rosate.
«Ho dovuto tirarla per la collottola, Aes Sedai» disse Faolain, indicando Egwene. Pareva indignata. «È recalcitrante come se avesse dimenticato qual è la disciplina della Torre Bianca.»
«Condurre non significa spingere né tirare» disse Leane. «Vai da Marris Sedai, Faolain, e chiedile che ti lasci meditare su queste parole, mentre rastrelli i viali del Giardino di Primavera.» Congedò Faolain e le altre due Ammesse, che eseguirono una profonda riverenza. Faolain scoccò a Egwene un’occhiata inferocita.
La Custode non badò all’uscita delle Ammesse. Esaminò invece le tre che erano rimaste, battendosi l’indice sul labbro. Egwene ebbe l’impressione d’essere minuziosamente misurata e soppesata. Nynaeve si stringeva la treccia e aveva negli occhi un pericoloso scintillio.
Finalmente Leane indicò la porta dello studio dell’Amyrlin: intagliato nel legno scuro dei battenti, il Gran Serpente si mordeva la coda. «Entrate» disse.
Nynaeve avanzò subito e spinse un battente. A quel gesto, anche Egwene si mosse. Elayne le strinse la mano e lei ricambiò con uguale forza. Leane le seguì e si mise di lato, a metà fra loro e il tavolo al centro della stanza.
L’Amyrlin Seat, seduta al tavolo, esaminava alcuni documenti. Non alzò lo sguardo. Nynaeve aprì bocca, ma la richiuse all’aspra occhiata della Custode. Le tre rimasero in riga davanti al tavolo dell’Amyrlin e attesero. Egwene cercò di non agitarsi. Passarono minuti lunghi come ore, prima che l’Amyrlin alzasse la testa; ma quando puntò a turno su di loro gli occhi azzurri, Egwene si disse che avrebbe preferito aspettare ancora. Lo sguardo dell’Amyrlin era come ghiacciolo che scavasse nel cuore. Nella stanza faceva freddo, ma Egwene si sentì colare lungo la schiena un rivolo di sudore.
«Ah» disse infine l’Amyrlin. «Le nostre fuggiasche sono tornate.»
«Non siamo fuggite, Madre» replicò Nynaeve; si sforzava di mantenere la calma, ma la voce le tremava. Di collera, capì Egwene. A Nynaeve accadeva spesso. «Liandrin ci disse che dovevamo andare con lei e...» Fu interrotta dalla rumorosa manata dell’Amyrlin contro il piano del tavolo.
«Non fare qui il nome di Liandrin, bambina!» proclamò, brusca, l’Amyrlin. Leane guardava, serena e severa.
«Madre, Liandrin è dell’Ajah Nera» sbottò Elayne.
«Questo è noto, bambina. Sospettato, almeno; e buono quanto noto. Alcuni mesi fa Liandrin ha lasciato la Torre e dodici altre... donne... l’hanno seguita. Da allora, nessuna è stata rivista. Prima di andarsene, hanno tentato di fare irruzione nel magazzino dove sono conservati gli angreal e i sa’angreal; sono riuscite a entrare nel deposito dei ter’angreal più piccoli. Hanno rubato un certo numero di questi ultimi, compresi alcuni di cui non si conosce l’uso.»
Nynaeve fissò, inorridita, l’Amyrlin; Elayne si strofinò le braccia come se a un tratto avesse freddo. Anche Egwene si accorse d’avere i brividi. Molte volte aveva immaginato di tornare, affrontare Liandrin, accusarla, farla condannare... ma non aveva mai trovato un castigo adatto ai crimini di quell’Aes Sedai dal viso da bambola. Aveva anche immaginato di tornare e di scoprire che Liandrin era già fuggita... per paura del suo ritorno, di solito. Ma non aveva mai immaginato niente di simile: se Liandrin e le altre (in realtà, lei non aveva mai voluto credere che ci fossero delle altre) avevano rubato quelle reliquie dell’Epoca Leggendaria, nessuno poteva sapere che cosa ne avrebbero fatto. Per fortuna, si disse, non avevano rubato i sa’angreal. Era già brutto che avessero rubato i ter’angreal.
I sa’angreal erano simili agli angreal, in quanto permettevano a un’Aes Sedai di manipolare l’Unico Potere in quantità superiore a quella utilizzabile in piena sicurezza e senza aiuti, ma erano molto più potenti e rari. I ter’angreal erano diversi e, per quanto poco comuni, molto più numerosi degli angreal e dei sa’angreal: utilizzavano l’Unico Potere, anziché aiutare a incanalarlo, e nessuno sapeva veramente come funzionassero. Molti di essi funzionavano soltanto con chi era in grado d’incanalare il Potere; altri, con chiunque. Mentre angreal e sa’angreal erano di piccole dimensioni, i ter’angreal potevano avere qualsiasi formato. Ognuno era stato costruito per uno scopo ben preciso e da tremila anni molte Aes Sedai erano morte per scoprire quale fosse. Oppure avevano perduto la capacità d’incanalare il Potere. C’erano Sorelle dell’Ajah Marrone che avevano dedicato la vita allo studio dei ter’angreal.
Alcuni erano tuttora utilizzati, ma forse per scopi diversi da quelli originari. La robusta verga bianca che le Ammesse reggevano durante la cerimonia dei Tre Giuramenti per diventare Aes Sedai era un ter’angreal che le legava ai voti in maniera quasi fisica. Un altro ter’angreal era il luogo della prova mediante il quale una novizia diventava Ammessa. Ne esistevano altri, inclusi parecchi che nessuno riusciva a far funzionare, e molti che parevano privi di uso pratico.
Egwene si domandò perché l’Ajah Nera avesse preso cose che nessuno sapeva usare... a meno che non sapesse usarle davvero. Si sentì sconvolgere da questa possibilità: era come mettere un sa’angreal in mano agli Amici delle Tenebre.
«Il furto» continuò l’Amyrlin, con tono gelido quanto lo sguardo «è stato il minore dei loro crimini. Quella notte sono morte tre Sorelle; e due Custodi, sette guardie, nove cameriere. Tutta gente assassinata per nascondere il furto e la fuga. Forse non è una prova che Liandrin e le altre appartengano all’Ajah Nera...» le due ultime parole parvero raschiarle la gola «ma poche ne dubitano. E io ne sono sicura: se nell’acqua ci sono teste di pesce e sangue, non occorre vedere le lucci per sapere che ci sono.»
«Allora perché siamo trattate come criminali?» domandò Nynaeve. «Siamo state ingannate da una donna dell’Ajah Nera. Dovrebbe bastare a farci assolvere da ogni imputazione.»
L’Amyrlin latrò una risata priva d’allegria. «Lo credi davvero, bambina?» replicò. «Forse è la vostra salvezza, che nessuno nella Torre, a parte Verin, Leane e me stessa, sappia che abbiate avuto a che fare con Liandrin. Se si sapesse anche questo, per non parlare della piccola dimostrazione da voi inscenata a beneficio dei Manti Bianchi... non sorprendetevi, Verin mi ha raccontato tutto .. il Consiglio potrebbe decidere che tutt’e tre siate quietate senza perdere tempo.»
«Non è giusto!» protestò Nynaeve. Leane si agitò, ma Nynaeve proseguì: «Non è giusto...»
L’Amyrlin si alzò. Non disse niente, ma Nynaeve si zittì di colpo.
Egwene si congratulò con se stessa per non avere aperto bocca e tra sé supplicò Nynaeve di mantenete la calma: loro erano come bambine di fronte alla madre, ma quella Madre avrebbe dato loro ben altro che un paio di sculaccioni.
Le pareva che le parole dell’Amyrlin avessero offerto una via d’uscita, ma non era sicura di scorgerla. «Madre» disse «chiedo scusa se m’intrometto, ma cosa intendi farci?»
«Punire te e Elayne per esservi allontanate senza permesso dalla Torre e Nynaeve per essersi allontanata senza permesso dalla città. Per prima cosa, sarete convocate nello studio di Sheriam Sedai, alla quale ho detto di frustarvi tanto da farvi desiderare di stare sedute sopra un cuscino per tutta la prossima settimana. Ho già fatto sapere ad Ammesse e novizie che riceverete questa punizione.»
Egwene batté le palpebre, sorpresa. Elayne emise un gemito, irrigidì la schiena e borbottò qualcosa sottovoce. Nynaeve fu l’unica a non mostrarsi sconvolta. Le punizioni, fossero lavori straordinari o altro, erano sempre una faccenda tra la Signora delle Novizie e chi doveva presentarsi a lei. Sheriam la considerava sempre una faccenda privata, si disse Egwene, tetra. Non era possibile che l’Amyrlin l’avesse resa pubblica. Ma era sempre meglio che essere rinchiusa in cella. Meglio che essere quietata.
«L’annuncio pubblico, ovviamente, è parte della punizione» proseguì l’Amyrlin, quasi avesse letto nella mente di Egwene. «Ho anche annunciato che voi tre siete destinate alle cucine, dove lavorerete con le sguattere, fino a nuovo avviso. E ho sparso la voce che “nuovo avviso” potrebbe significare tutta la vita. Ci sono obiezioni?»
«No, Madre» rispose in fretta Egwene. Nynaeve odiava pulire le pentole, più della frusta: dilatò le narici, ma annui, rigida.
«E tu, Elayne?» disse l’Amyrlin. «L’Erede dell’Andor è avvezza a trattamenti più gentili.»
«Voglio diventare Aes Sedai, Madre» rispose Elayne, con voce ferma.
L’Amyrlin toccò un documento e lo esaminò per qualche istante. Poi alzò la testa, con un sorriso tutt’altro che piacevole. «Se una di voi fosse stata tanto sciocca da rispondere diversamente, avrei aggiunto al conto qualcosa che vi avrebbe fatto maledire il momento in cui vostra madre permise a vostro padre di rubarle il primo bacio. Farvi portare fuori della Torre come bambine irresponsabili! Nemmeno una neonata sarebbe caduta nella trappola. V’insegnerò a pensare prima d’agire, altrimenti vi userò per tappare le fessure nelle saracinesche delle chiuse!»
Egwene si ritrovò a ringraziarla in silenzio. Un prurito le corse su tutto il corpo, mentre l’Amyrlin proseguiva.
«Ora, vediamo quali altre intenzioni ho su di voi. Pare che, da quando vi siete allontanate dalla Torre, abbiate sviluppato notevolmente la capacità d’incanalare il Potere. Avete imparato molto. Comprese alcune cose» soggiunse, brusca «che intendo farvi disimparare!»
«So che abbiamo fatto... certe cose... che non avremmo dovuto fare, Madre» disse Nynaeve, con sorpresa di Egwene. «Ti assicuro che faremo del nostro meglio per vivere come se avessimo pronunciato i Tre, Giuramenti.»
«Sarà meglio» brontolò l’Amyrlin, fredda. «Se potessi, stanotte stessa vi farei impugnare la Verga del Giuramento; ma è riservata alla nomina a Aes Sedai e quindi devo confidare nel vostro buonsenso... se ne avete un briciolo... perché non ci lasciate la pelle. Comunque, voi due sarete promosse Ammesse.»
Elayne ansimò; Egwene, sorpresa, balbettò: «Grazie, Madre.»
Leane cambiò posizione, a disagio. Egwene pensò che la Custode non fosse molto contenta. Non sorpresa... chiaramente sapeva già tutto... ma neppure soddisfatta.
«Non ringraziarmi. Le vostre capacità si sono sviluppate troppo, per delle novizie. Alcune pensano che non dovreste avere l’anello, dopo quel che avete fatto; ma stare immerse fino ai gomiti nel grasso delle pentole dovrebbe tacitare le critiche. E perché non pensiate che si tratti d’una sorta di ricompensa, ricordate che per le prime settimane le Ammesse devono togliere i pesci marci dalla cesta dei buoni. Nelle prossime settimane di studio, il vostro peggiore giorno da novizia vi sembrerà un piacevole sogno, al confronto: alcune Sorelle, sospetto, renderanno peggiori dello stretto necessario le vostre prove, ma non credo che ve ne lamenterete. Giusto?»
"Posso imparare” pensò Egwene. “Scegliere i miei studi. Posso imparare, per quanto riguarda i sogni; imparare come..."
Il sorriso dell’Amyrlin interruppe il corso dei suoi pensieri. Quel sorriso diceva che nessuna ripicca delle Sorelle sarebbe stata peggiore del necessario, se permetteva di continuare a vivere. Il viso di Nynaeve era un misto di profonda simpatia e di orrore al ricordo delle prime settimane da Ammessa. Nel vedere la sua espressione, Egwene deglutì a vuoto. «Certo, Madre» rispose debolmente. La risposta di Elayne fu un bisbiglio rauco.
«Allora è sistemato. Tua madre, Elayne, non era affatto contenta della tua scomparsa.»
«L’ha saputo?» gemette Elayne.
Leane tirò su col naso. L’Amyrlin inarcò il sopracciglio. «Non potevo tenerglielo nascosto» disse. «L’hai mancata per meno d’un mese e forse t’è andata bene. Forse non saresti sopravvissuta all’incontro. Era così furibonda da rosicchiare un remo: ce l’aveva con te, con me, con la Torre Bianca.»
«Lo immagino, Madre» disse debolmente Elayne.
«Non credo che tu possa, bambina. Forse hai posto termine a una tradizione iniziata prima che esistesse l’Andor. Un’usanza più forte di molte leggi. Morgase ha rifiutato di riportare con sé Elaida. Per la prima volta in assoluto, la regina dell’Andor rinuncia ai consigli di una Aes Sedai. Ha preteso il tuo immediato ritorno a Caemlyn, appena ti avessimo ritrovata. L’ho convinta che per te era più sicuro un altro periodo d’addestramento qui. Era anche pronta a richiamare i tuoi fratelli. Loro stessi l’hanno convinta a lasciarli a scuola dai Custodi, ancora non so come.»
Elayne represse un brivido, quasi immaginasse Morgase in tutta la sua collera. «Gawyn è mio fratello» disse, con voce atona. «Galad, no.»
«Non essere infantile» replicò l’Amyrlin. «Galad ha lo stesso tuo padre, quindi è tuo fratello, ti piaccia o non ti piaccia. Non tollero bambinate da te, ragazza. Una certa stupidità è tollerabile nelle novizie, non nelle Ammesse.»
«Sì, Madre» rispose Elayne, cupa.
«La regina ha lasciato a Sheriam una lettera per te. Oltre a sgridarti, credo che esprima l’intenzione di farti tornare a casa appena non correrai pericoli. Morgase è sicura che nel giro di qualche mese sarai in grado d’incanalare il Potere senza rischi.»
«Ma io voglio imparare, Madre» replicò Elayne. Aveva ripreso il tono ferreo. «Voglio diventare Aes Sedai.»
L’Amyrlin le rivolse un sorriso, ancora più sinistro del precedente. «Ed è un bene che tu lo voglia, bambina: non ho intenzione di lasciarti a Morgase. Hai il potenziale per superare qualsiasi Aes Sedai degli ultimi mille anni. Non ti lascerò andare, finché non avrai ottenuto anche lo scialle, non solo l’anello. A costo di ridurti a polpetta. Non ti lascerò andare! Sono stata chiara?»
«Sì, Madre» rispose Elayne. Pareva a disagio e Egwene non la biasimò. Presa in mezzo, come straccio fra due cani, tra Morgase e la Torre Bianca, la Regina dell’Andor e l’Amyrlin Seat. Se mai aveva invidiato a Elayne la ricchezza e il trono futuro, in quel momento non l’invidiava affatto.
«Leane» disse vivacemente l’Amyrlin «accompagna Elayne nello studio di Sheriam. Devo dire ancora qualcosa a queste due. Ma non credo che ne saranno contente.»
Egwene scambiò con Nynaeve un’occhiata di sorpresa; per un momento, preoccupata, non badò alla tensione fra loro. Si domandò che cosa avesse da dire, l’Amyrlin, a loro e non a Elayne. Non aveva importanza, purché non le impedisse l’apprendimento. Ma perché Elayne non poteva ascoltare?
Elayne reagì con una smorfia alla menzione dello studio della Maestra delle Novizie, ma si raddrizzò, mentre Leane le si accostava. «Come ordini, Madre, così ubbidisco» disse formalmente, chinandosi in una perfetta riverenza con ampio spiegamento di sottane. A testa alta, seguì Leane fuori della stanza.