17.

Con l’orecchio teso alle eventuali sirene di auto lanciate alla sua ricerca, Barbee si recò nel bagno per cambiare le pantofole e la vestaglia della clinica con un paio di scarpe e un costume kaki di Sam, infilandosi due paia di calze, perché le scarpe erano troppo larghe. Frattanto Nora aveva messo insieme provviste, coperte, indumenti, altre cose di prima necessità. Poi, mentre la donna scriveva il biglietto per il marito, Barbee fece un gran pacco di tutte le robe.

«Non dire ai poliziotti che mi hai visto», ricordò a Nora con un roco sussur­ro. «Non dir nulla... per quello che ne so, la stessa polizia potrebbe operare d’accordo coi nemici di Sam.»

Poi, cogliendo un istante in cui la tranquilla viuzza era deserta, saltò in macchina e si avviò, sorridendo a Nora sulla porta con una speranza che non sentiva.

Percorreva Pine Street alla velocità regolamentare di quaranta chilometri all’ora, quando udì una sirena alle sue spalle; si costrinse a mantenere la velocità legale, e dopo qualche istante respirò di nuovo. Una decina di chilo­metri più innanzi, piegò a nord e imboccò una strada secondaria, piena di fosse, verso le colline.

Mentre guidava, analizzò l’intuizione che aveva avuto sul nascondiglio di Sam. Quain era cresciuto fra quelle colline. Non c’era dubbio che fosse scap­pato dall’Istituto con la cassa, e Barbee era certo di conoscere dove Sam avrebbe cercato di nasconderla.

Durante le vacanze natalizie, tanti anni prima, lui aveva fatto una corsa a cavallo con Sam e Rex su per un viottolo che serpeggiava tra le colline fino a una vecchia segheria abbandonata. A un tratto, Sam aveva tirato le redini del suo cavallino scozzese per indicare agli altri una striscia fumosa sul dirupo roccioso, ossidato, che strapiombava sul Laurei Canyon. Quella striscia, disse Sam, indicava la presenza in quei paraggi d’una grotta indiana.

Barbee sapeva che Sam doveva avere scelto quella grotta. Lontanissima dal­le strade comunemente usate, era tuttavia accessibile a un guidatore come Sam. C’era abbastanza vegetazione per nascondere la macchina, anche a un ricognitore aereo.

Con l’acqua vicina del Laurei Creek, legna a volontà per scaldarsi e un rico­vero abbastanza capace e comodo per chiunque non andasse troppo per il sottile, quella grotta era una fortezza naturale, come lo era stata per migliaia di anni.

Per due volte, Barbee fermò la macchina là dove la vegetazione la nascon­deva a qualunque occhio indiscreto, e si arrampicò su un’altura a guardare la strada percorsa. Era deserta, segno che nessuno lo seguiva, ma le tracce fre­sche di pneumatici sul terreno gli indicarono che Sam doveva essere passato di là.

Erano le dodici e mezzo quando il giornalista raggiunse il Bear Canyon. La giornata s’era fatta calda, ma pesanti nuvoloni nascondevano il sole, e aveva cominciato a soffiare dal sud un vento caldo che prometteva la pioggia.

Sotto il poggio rossastro che dominava il Laurei Canyon, scoprì la giardinet­ta di Sam, abilmente nascosta tra la vegetazione, là dove la strada di monta­gna serpeggiava fra un enorme masso di granito e una pianta che vi si piega­va sopra. Barbee lasciò la sua macchina accanto alla giardinetta, e iniziò la marcia, curvo sotto l’enorme fagotto delle provviste per Sam.

Si teneva bene in vista, salendo, perché conosceva Sam Quain, e cercar di seguirlo furtivamente equivaleva a un suicidio. E aveva la sensazione precisa che Sam tenesse la sua vita in sospeso.

«Sam!», chiamò con voce resa tremante dall’apprensione. «Sono Barbee, con le provviste!»

Ansimò di sorpresa e di sollievo quando vide la testa del fuggitivo apparire dietro il tronco di un’enorme quercia. La testa abbronzata di Sam era nuda, la camicia lacera e sporca di terra. Il corpo ossuto dell’esploratore sembrava piegato in due dalla spossatezza, ma la rivoltella che stringeva in mano era minacciosa come la dura voce che chiedeva:

«Barbee... che diavolo stai facendo qui?».

Barbee rispose informandolo succintamente della situazione e annuncian­dogli un biglietto di Nora. Ma la faccia minacciosa di Sam non si addolcì.

«Dovrei ammazzarti, Barbee.» La sua voce era cambiata, suonava atona e dura. «Avrei dovuto ammazzarti molto tempo fa... io o Mondrick avremmo dovuto farlo. Ma ritengo che tu non sia del tutto perduto... il tuo avvertimen­to a Nora mi ha salvato dalla polizia, questa notte, e io ho un gran bisogno di quanto mi hai portato.»

Barbee poté farsi avanti, curvo sotto il sacco, le mani alzate, fino a quando la rivoltella di Sam non gli fece segno di fermarsi.

«Sam, puoi fidarti di me ora?» La voce di Barbee aveva un’intonazione di tremula preghiera. «Io voglio aiutarti, se tu volessi soltanto dirmi che cosa diavolo sta succedendo. Ieri sono andato a Glennhaven, dubitavo della mia ragione, forse è così, ma sento che si tratta di ben altro!...»

Gli occhi arrossati di Quain si socchiusero per osservarlo meglio. «C’è ben altro è vero, molto di più», ribatté la voce aspra di Quain.

Si udì un tuono rotolare brontolando in lontananza e le prime gocce di pioggia cominciarono a cadere, mentre il vento s’era fatto bruscamente fred­do e umido.

«Su, prendi il sacco delle provviste», disse Barbee, «leggi il biglietto di Nora e lascia che ti aiuti come posso.»

Alla fine, con un gesto della rivoltella sempre stretta nella destra, Sam lo invitò a farsi innanzi.

«Togliti da sotto la pioggia», mormorò. «Non ho idea di quale e quanta possa essere stata la tua parte, conscia o inconscia che sia, in tutto questo complotto demoniaco. Non so fino a che punto posso fidarmi di te. Ma im­magino che non peggiorerà certo la situazione dirti quello che so.»

La caverna era invisibile dal basso, anche se quella sottile striscia di fumo la tradiva. Facendosi precedere da Barbee barcollante sotto il sacco su per la salita, Quain, sempre con la rivoltella in pugno, prese ad arrampicarsi su gradini rocciosi in quello ch’era stato il letto d’un ruscello, dove un solo uomo armato avrebbe potuto tenere a bada un centinaio d’inseguitori.

Simile a una fessura orizzontale alla fine di quell’angusta scaletta naturale, la grotta era stata scavata dallo scalpello del tempo fra due strati di durissima arenaria. Il soffitto era annerito dal fumo di fuochi antichissimi. Na­scosta nell’angolo più tenebroso, là dove il tetto si abbassava fino a toccare il soffitto, Barbee vide la cassa venuta dall’Asia. Lasciò cadere l’enorme fagot­to, guardando la cassa con aria significativa.

«Non ancora», disse Sam, con rabbia. «Prima devo mangiare!»

Barbee disfece la sacca e si mise a preparare il caffè; su un piccolo fornello, fece arrostire la pancetta, e aprì una scatola di fagioli.

Servendosi d’una pietra piatta come di tavola, Quain mangiò e bevve avida­mente. S’era posto tra Barbee e la cassa, e mangiava con la rivoltella a porta­ta di mano. I suoi occhi iniettati di sangue, gonfi di stanchezza, andavano senza posa da Barbee a una curva della strada, visibile ai piedi della parete rocciosa.

Il temporale si andava addensando sempre più minaccioso. I tuoni si face­vano ancora più fragorosi e frequenti, e raffiche di vento rabbiose portavano fin dentro la caverna gelide gocce di pioggia. Fra poco una pioggia dirotta, si disse Barbee, avrebbe sommerso le piste chiudendoli in trappola in quella caverna. Finalmente Quain ripulì il suo piatto di stagno e Barbee disse ansio­so:

«Bene, Sam... dimmi, dunque».

«Lo vuoi proprio sapere?» I febbrili occhi di Quain continuavano a scrutar­lo. «Quando avrai saputo, ne sarai ossessionato, Barbee. Il mondo si trasfor­merà anche per te in un coacervo di orrori. Finirai per nutrire innominabili sospetti per ogni amico che hai... se sei innocente come sostieni di essere. Sapere quello di cui sei curioso potrà forse ucciderti.»

«Voglio sapere», disse Barbee.

«Sarà il tuo funerale.» Quain aveva ripreso la rivoltella. «Ricordi che cosa disse Mondrick lunedì sera all’aeroporto, quando fu assassinato?»

«Dunque, Mondrick fu assassinato?», osservò Barbee dolcemente. «Me­diante un gattino nero... strangolato, vero?»

La faccia non rasata di Quain divenne ancora più livida. I suoi occhi si dilatarono in un’espressione di orrore, fissando Barbee, e la sua mano puntò la grossa rivoltella verso il giornalista, mentre con voce rauca Sam chiedeva:

«Come l’hai saputo?».

«Ho visto il gattino. Molte cose orribili sono accadute, che non riesco a capire... ecco perché ho dubitato di avere perduto la ragione.» Guardò la cassa alle spalle di Quain, forse perché il lucchetto scintillava nell’ombra come se fosse d’argento. «Ricordo le ultime parole di Mondrick: “Fu centomila anni fa...”.»

Un’altra raffica di vento e pioggia penetrò nella grotta, facendo rabbrividere Barbee nel vecchio maglione di Sam che Nora gli aveva dato. E quando il tuono si fu calmato, Quain disse: «Ci fu un tempo in cui gli uomini vivevano tutti in caverne come questa. Un tempo in cui gli uomini erano dominati da un terrore così ossessionante da riflettersi ancor oggi nei miti e nelle super­stizioni di ogni terra e nei sogni segreti di ogni uomo. Perché quei nostri lontanissimi antenati erano perseguitati e ossessionati da un’altra e più anti­ca razza semi-umana, che Mondrick volle chiamare Homo lycanthropus».

«Uomo-lupo mannaro?»

«Sì, o uomo lupo. Mondrick volle chiamarli così, per certe particolari carat­teristiche delle ossa, del cranio, dei denti... caratteristiche che si possono no­tare ogni giorno.»

Barbee ripensò agli strani scheletri che il serpente e la lupa avevano visto in quella strana camera della torre. Ma si guardò bene dal farne cenno: sapeva che Sam Quain lo avrebbe ucciso.

L’acqua entrava ora nella caverna, e Sam trascinò la sua preziosa cassa in un angolo più riparato.

«Ma quella razza rivale non aveva nulla di scimmiesco», riprese. «Il sentiero dell’evoluzione non procede sempre salendo: i Cromagnon, per esempio, erano esemplari umani migliori di quelli che si possono trovare oggi. L’albe­ro della famiglia umana ha sviluppato bizzarre diramazioni... e quella razza di stregoni», Barbee non poté fare a meno di sussultare, «devono essere stati i nostri più strani cugini.»

La pioggia ora cadeva con un’intensità diluviale con una specie di rombo ininterrotto.

«Per risalire alle vere origini di quella tragedia razziale, bisogna andare an­cora più lontano nel tempo, ad almeno mezzo milione di anni fa e anche più... alla prima delle due più importanti ere glaciali del Pleistocene. La pri­ma era glaciale con i suoi intermezzi di clima meno rigido durò quasi centomila anni, e creò il popolo degli stregoni.»

«E avete trovato le prove di ciò nell’Ala-shan?», mormorò Barbee.

«Parzialmente. Sebbene l’altopiano del Gobi non fosse mai stato completa­mente invaso dai ghiacci... le sue zone desertiche divennero umide e fertili durante le epoche glaciali ed è là che i nostri antenati neolitici ebbero la loro rapida evoluzione. La razza degli stregoni discendeva da un tipo affine di ominidi rimasti prigionieri dei ghiacci nelle regioni più elevate a sud-ovest, verso il Tibet. Mondrick ne trovò resti in una caverna, che aveva scavato prima della guerra, oltre la catena dei Nan-shan. Quello che noi trovammo sotto quei tumuli funebri del deserto, durante l’ultima spedizione, completa la storia, costituendone inoltre un capitolo piuttosto impressionante.»

Barbee fissava come distratto i pesanti fili della pioggia.

«Quelle tribù rimaste prigioniere dei ghiacci seppero affrontare la sfida del ghiacciaio. Ogni secondo i ghiacciai si facevano più alti e minacciosi e la selvaggina era sempre meno numerosa e gli inverni divenivano sempre più duri. O adattarsi alle mutate condizioni o morire. Le tribù seppero sviluppa­re, col lento passar dei millenni, nuovi poteri mentali.»

Barbee ripensò al Principio di Indeterminazione di Heisenberg, e al circuito che collegava la mente alla materia attraverso il controllo delle probabilità.

«Davvero?», disse. «Quali poteri?»

«Non è facile precisare. Cervelli morti non lasciano fossili nel terreno, capi­sci. Ma Mondrick era convinto che avessero lasciato tracce nei miti, nel lin­guaggio e nelle superstizioni. Studiò per molti anni questi ricordi razziali e ha potuto ottenere maggiori prove dopo che ebbero inizio gli esperimenti della Duke University in parapsicologia e metapsichica.»

Barbee si sbalordì talmente che rimase a guardare Quain a bocca aperta.

«Quei nomadi intrappolati dai ghiacci sopravvissero», continuò Quain, «avendo sviluppato poteri che permisero loro di predare i loro più fortunati cugini della zona del Gobi. Telepatia, chiaroveggenza, virtù profetiche... tutti questi poteri certamente. Mondrick tuttavia era convinto che essi possedes­sero un dono più sinistro.»

Barbee si accorse di respirare a stento.

«Le prove in questo senso sono quasi universali. Quasi ogni popolo primiti­vo è ancora ossessionato dalla paura del loup garou,in un aspetto o nell’al­tro: di una creatura, cioè, apparentemente umana che può assumere la forma della belva più feroce della località, per assalire e predare l’uomo. Questi stregoni, secondo Mondrick, appresero a lasciare i loro corpi ibernanti nelle caverne elette a domicilio, correndo le distese ricoperte di ghiacci, come lupi, orsi o tigri... per andare a caccia di selvaggina umana.»

Barbee fu lieto di non avergli parlato dei suoi sogni.

«E così, in questo loro modo diabolico, quegli ominidi circondati dal gelo risposero alla sfida della natura e conquistarono il ghiacciaio. Verso la fine della glaciazione di Mindel — 400.000 anni fa, come tutto tende a provare — avevano praticamente conquistato il mondo. In qualche migliaio di anni i loro terribili poteri avevano sopraffatto ogni altra specie del genere Homo. Tuttavia l’Homo lycanthropus non sterminò le razze conquistate, meno che nelle Americhe. Solitamente lasciavano vivere i superstiti, come loro schiavi e loro cibo. Avevano imparato ad amare il gusto del sangue umano, senza il quale non potevano più vivere.»

Barbee ricordò la gioia con cui la tigre aveva affondato le zanne terribili nella gola di Rex Chittum e l’orrore che lo colse fu tale che temette di non poterlo nascondere a Quain.

«Per centinaia di migliaia di anni», continuò Quain, «per tutto il principale periodo interglaciale, la razza degli stregoni fu la nemica e la crudele padro­na del genere umano. Furono gli scaltri sacerdoti e le divinità malefiche. Furono gli spietati genitori d’ogni orco, demone, mostro divoratore di uomi­ni delle leggende popolari di tutti i continenti. Fu una incredibile, degradante oppressione cannibalistica. Se ti sei mai domandato perché la nascita di ogni vera civiltà umana abbia richiesto tanto tempo, ora hai la risposta. Il loro mostruoso potere durò fino al ritorno del freddo durante le glaciazioni di Riss e di Wurm della seconda età glaciale. Ma non erano mai stati molto numerosi; i predatori, infatti, non possono mai essere così numerosi come gli animali di cui si nutrono. Forse il tempo aveva finito per minare il loro vigo­re razziale.

«A ogni modo, quasi centomila anni fa, i tipi atavici dell’Homo sapiens si rivoltarono. Il cane era stato addomesticato, probabilmente da tribù che ave­vano seguito la ritirata dei ghiacciai per sottrarsi al dominio degli stregoni. Il cane si rivelò un alleato sicuro. Abbiamo trovato le prove di quella strana guerra sotto i tumuli sepolcrali dell’Ala-shan. I veri uomini sembrano avere imparato a portare amuleti di argento alluvionale contro i poteri degli stre­goni e poi veri e propri gioielli di quel metallo. Mondrick riteneva che doves­se esserci una base scientifica all’opinione che solo un’arma d’argento potes­se uccidere un Lupo Mannaro, ma non riuscì mai stabilirlo. Noi abbiamo letto la storia di quella rivolta e riportato oggetti sufficienti a dimostrarla.» Quain indicò con la testa la cassa alle sue spalle. «Perline d’argento, lame e punte di freccia di argento puro. Ma lo stesso argento non era sufficiente: streghe e stregoni erano scaltri e forti. Gli uomini dell’Ala-shan inventarono allora un’altra arma, più potente ed efficace, che trovammo sepolta sotto quegli antichissimi tumuli con le ossa delle streghe morte... senza dubbio per­ché restassero morte. Gli uomini vinsero», concluse Quain con voce stanca, «non subito e tutt’altro che facilmente. Il popolo delle streghe era forte e restava tenacemente attaccato al suo antico dominio. La terribile guerra durò per tutto il periodo achelleano e quello musteriano. Gli uomini di Neanderthal e di Cromagnon morirono... vittime delle streghe, secondo Mondrick. Ma i progenitori dell’Homo sapiens sopravvissero, e portarono avanti la guerra. L’uso dei cani si diffuse, insieme con la conoscenza dell’ar­gento e il potere di quell’altra arma. Prima che sorgesse l’alba della storia scritta, la specie delle streghe era stata quasi sterminata.»

«Quasi?», disse Barbee.

«Fu una razza durissima a morire. Uno dei loro ultimi clan dovette essere quello dei primi sacerdoti e dominatori dell’antico Egitto: la prova sembre­rebbe abbastanza evidente nelle divinità animali e semianimali che gli Egizi adoravano, e i generi di demoni e di magia nera che temevano. Ho visto eccellenti riproduzioni di tipi di Homo lycanthropus,dal caratteristico cranio allungato, sulle pareti di tombe egizie. Ma anche quel clan fu finalmente conquistato — o assorbito — durante il periodo di Imhotep.»

Un gran lampo illuminò la sinistra tensione dei lineamenti di Quain. «Per­ché il sangue dei conquistatori non era più puro.» I suoi duri occhi guardaro­no scintillando Barbee. «Fu questa la terribile scoperta di Mondrick. Noi siamo degli ibridi.»

Barbee attese, col fiato sospeso.

«La cosa non è facile a capirsi. Le due specie sono sempre state profonda­mente nemiche, pure l’incrocio ha avuto luogo. Secondo Mondrick, messe nere e sabba di streghe sono residui di bestiali cerimonie a cui le figlie degli uomini furono costrette a partecipare. Ci sono altri indizi, forse, nella super­stizione degli incubi e in tutti i miti sulle unioni di divinità e di donne uma­ne... quella razza di stregoni doveva essere stranamente passionale! A ogni modo, il connubio è avvenuto!»

Nel rombo dei tuoni che echeggiavano nella cupa caverna, la stanca voce di Quain aveva assunto un lento e roco tono cantilenante.

«Dalle profondità di un passato spaventoso, la nera fiumana di quel sangue mostruoso scorre nelle vene dell’Homo sapiens. Noi non siamo del tutto umani... e quell’eredità straniera ossessiona il nostro subcosciente coi cupi conflitti e gli intollerabili stimoli che Freud ha scoperto e cercato di spiegare. E ora quel sangue perverso è in rivolta. Mondrick ha scoperto che l’Homo lycanthropus sta per vincere questa antichissima, feroce guerra delle specie, dopo tutto!»

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