19.

Una nebbia gelida aveva preso il posto della pioggia, ma torrenti di acqua giallastra precipitavano lungo i fianchi del dirupo, e quando Barbee arrivò tutto fradicio all’automobile dell’Istituto, il crepuscolo e la nebbia bagnata s’erano alleati a immergere il mondo circostante nelle tenebre.

Barbee fu costretto ad accendere i fari, ma nessuna lupa bianca balzò in mezzo alla strada per fermarlo, né la sirena della polizia fece sentire il suo lungo ululato. Erano le otto, quando Barbee fermò l’auto sul viale della gran villa del milionario, a Trojan Hills.

Il giornalista conosceva bene la casa per esservi stato altre volte, in occasio­ne di altri servizi speciali voluti dal Presidente. E lo sollevò notevolmente il notare che la sala da pranzo era al buio. Salì le scale, fino al primo piano, dove Troy aveva lo studio, e picchiò alla porta. La voce aggressiva del milio­nario chiese chi diavolo d’un accidente fosse.

«Presidente, sono Barbee», mormorò il giornalista in tono angosciato. «Ho bisogno di vederla subito... perché non sono stato io a investire la signora Mondrick.»

«No, eh?» Dal tono non si sarebbe detto che Troy gli credesse molto. E dopo una breve pausa: «Avanti».

Lo studio era in realtà un enorme salone, con un gran bar luccicante a un’estremità e le pareti decorate da trofei di caccia e nudi dipinti a olio. L’aria sapeva di sigaro e di cuoio, vi si respirava importanza e denaro, e Preston diceva spesso infatti che s’era fatta più storia in quella stanza che nello stesso palazzo del Governatore.

La prima cosa che Barbee vide fu un cappotto di pelo bianco gettato sulla spalliera d’una sedia, dal quale un minuscolo occhio di giada sembrava guar­darlo maliziosamente sopra una spilla. Barbee ne fu colpito come da una mazzata.

«Dunque, Barbee?» In maniche di camicia, con un sigaro nuovissimo in bocca, Troy stava ritto presso un’enorme scrivania di mogano ingombra di carte, portacenere e bicchieri. Sul volto massiccio, roseo del milionario si vedeva un’espressione di cauta aspettazione. «Non è stata allora la sua mac­china a investire la signora Mondrick?»

«No. Presidente.» Barbee riuscì a distogliere lo sguardo dalla pelliccia di April Bell. «Hanno cercato di invischiarmi in un pasticcio... esattamente come hanno fatto con Sam Quain!»

«Hanno cercato... chi sono questi signori?»

«È tutta una storia tremenda, Presidente... Se lei avesse la pazienza di ascoltarmi...»

Gli occhi di Troy erano pallidi e freddi.

«Lo sceriffo la troverebbe indubbiamente interessante», disse il milionario. «E anche i medici di Glennhaven.»

«Ma io non sono... pazzo!» Barbee stava quasi per singhiozzare. «La prego, Presidente, mi ascolti, prima.»

«E va bene», disse l’altro, la faccia impassibile. «Un momento.» Si diresse con passo deciso al bar, preparò due whisky con soda e li portò sulla scriva­nia. «Sentiamo.»

«Vede, io credevo di stare impazzendo», cominciò Barbee, «fino a quando non ho parlato con Sam Quain. Ora so di essere stato stregato...»

Cercò disperatamente di essere convincente, e intanto cercava di capire che cosa passasse per la testa dell’uomo. Vide, mentre raccontava tutto quello che Sam gli aveva detto, il grosso sigaro spegnersi e il bicchiere col liquore attendere dimenticato sulla scrivania. Ma gli occhi socchiusi di Troy erano impenetrabili.

«E così Mondrick e gli altri scienziati della sua Fondazione sarebbero stati assassinati da queste streghe o stregoni che siano?», disse Troy, succhiando il sigaro con aria riflessiva. «E ora lei vorrebbe che io l’aiutassi a combattere questo Figlio della Notte?»

Barbee, inghiottendo, annuì disperatamente.

Troy lo osservò per un lungo istante con quei suoi occhi neutri e duri.

«No, non credo che lei sia pazzo!» Una specie d’interesse velato si diffuse sul duro tessuto della sua faccia, e Barbee cominciò a sperare. «Forse queste streghe stanno veramente tramando per mettere nei guai lei e Quain... per­ché questa teoria di Mondrick spiega molte cose. Anche il motivo per cui uno sente improvvisamente simpatia per qualcuno e non si fida per niente di un altro... perché ci senti il sangue nero in quelle vene!»

«Mi crede, dunque?», ansimò Barbee. «Ci aiuterà?...»

Il testone di Troy assentì con decisione.

«Voglio assicurarmi di molte cose coi miei propri occhi», disse. «Torneremo insieme in quella grotta stasera, sentirò Quain e forse riuscirò a dare un’oc­chiata alla sua cassa misteriosa. Se Quain saprà essere convincente come lo è stato lei, potrete contare su di me, Barbee... fino al mio ultimo centesimo e al mio ultimo respiro.»

«Grazie, Presidente!», sussurrò Barbee più roco che mai. «Col suo aiuto, possiamo avre molte probabilità dalla nostra!»

«Si capisce!», tuonò aggressivamente la voce di Troy. «Lei è venuto dall’uomo giusto, Barbee. Solo mezz’ora per prepararmi. Dirò a Rhodora che devo uscire per motivi politici e che può anche andare da sola alla festa di Walraven. Il bagno è laggiù, se vuole lavarsi e rinfrescarsi.»

Barbee rimase realmente impressionato dalla faccia che lo specchio del ba­gno gli rimandò: una faccia non solo stanca, barbuta e stravolta come quella di Sam Quain, ma con qualcosa che non aveva ancora visto, qualcosa che gli ricordava gli scheletri sogghignanti dell’Homo lycanthropus che il serpente aveva veduto.

Uno sgradevole sospetto gli attraversò a un tratto la mente: tornò in gran fretta nello studio e con molta cautela staccò il ricevitore. Fece in tempo a sentire la voce di Troy.

«Parker? Ho un uomo per te. È quel Barbee che è scappato dal manicomio e ha investito la Mondrick. Era un mio dipendente, sai, e ora me lo son visto capitare in casa. Non c’è dubbio che questo disgraziato deve tornare subito in manicomio... Non hai idea delle assurdità che mi ha raccontato. Puoi veni­re qui subito?»

«Certo, signor Troy», disse lo sceriffo. «Venti minuti.»

«Stai attento, a ogni modo. Ho l’impressione che sia pericoloso. Cercherò di tenerlo a bada al primo piano, nel mio studio.»

«Bene, signor Troy.»

«Un’altra cosa, Parker. Barbee dice di aver visto Sam Quain... l’uomo che cercate per gli omicidi della Fondazione. Dice che Quain è nascosto in una grotta del Laurei Canyon, sopra Bear Creek. Sapete, Barbee e Quain erano vecchi amici, e potrebbero anche essere d’accordo. Con un po’ di persuasio­ne, Barbee potrebbe anche condurvi alla grotta.»

«Grazie, signor Troy!»

«Parker, figurati, sai bene che lo Star è per la legge e l’ordine. Tutto quello che voglio in cambio è poter dare un’occhiata all’interno di quella cassa. Ma sbrigati: non mi piace la faccia di Barbee.»

Senza far rumóre, Barbee riappese il microfono. Poi restò un attimo vacil­lante, mentre le pareti della stanza gli giravano pazzamente intorno.

Sapeva di aver tradito Sam Quain, di averlo consegnato, forse, al Figlio della Notte.

Perché quel passo terribilmente falso era tutto colpa sua. Sì, certo, era stato Quain a volerlo mandare da Troy: ma perché lui non aveva osato dirgli che April Bell era una strega e Preston Troy il suo più intimo amico? Troppe cose aveva avuto paura di dirgli, e ormai era troppo tardi.

Ma era veramente troppo tardi?

Un nuovo, difficile proposito gli si offrì alla mente. Tendendo l’orecchio, si levò silenziosamente le scarpe e uscì in punta di piedi dallo studio. La porta della camera da letto di Troy era dischiusa, e Barbee poté dare un’occhiata all’interno e vedere la figura tozza dell’affarista voltarsi da un cassetto che aveva aperto: nel pugno grassoccio stringeva una rivoltella.

Il ritratto d’una ragazza stava sul comò, e Barbee vi riconobbe le fattezze di April Bell. Selvaggiamente, per un istante, si augurò d’essere di nuovo il ser­pente gigantesco. Ma no, la sola idea gli dava i brividi. Non voleva tramutarsi più.

Corse silenzioso come un’ombra giù per le scale, fino alla vettura dell’Istitu­to tutta chiazzata di fango, ferma sul viale. Accese il motore il meno rumoro­samente possibile e si diresse verso la strada maestra senza accendere i fari.

Quando fu di nuovo sulla strada, piegò a ovest e premette l’acceleratore fino in fondo. Forse era ancora in tempo per riparare al suo madornale erro­re. Se fosse riuscito a tornare alla grotta prima di Parker, forse Quain gli avrebbe dato retta e insieme avrebbero potuto trasportare via la cassa, cari­carla sull’automobile e scappare insieme da Clarendon.

Perché ormai era chiaro che Preston Troy era il Figlio della Notte.

Non lampeggiava più, ma il vento soffiava sempre violentissimo, portando spruzzi di pioggia gelida. Il tergicristallo rallentò il suo movimento a semicer­chio a mano a mano che la macchina accelerava. Perché Barbee sapeva che April Bell, la strega al servizio di Troy, il Figlio della Notte, lo stava inse­guendo. Lo stava inseguendo per andare con lui a uccidere Sam Quain.

Il Figlio della Notte aveva vinto.

Il gelo della disperazione ancora una volta s’impossessò di Barbee, che or­mai era scosso da un brivido quasi continuo. E quella disperazione era fatta di panico.

Lanciò la macchina verso le colline, spinto da una forza irresistibile. Il con­tachilometri sfiorava i centodieci. Il tergicristallo si fermò quando la mac­china cominciò a salire, e in breve la pioggia appannò completamente il pa­rabrezza. Un autocarro a fari spenti sbucò all’improvviso dalla nebbia, e la macchina lo evitò per miracolo.

L’ago del contachilometri era ora sui centoventi.

Ma la lupa bianca, lunga e sottile, era dietro di lui; Barbee lo sapeva, e i suoi occhi andavano continuamente allo specchietto, per vederla. Ma la neb­bia era da per tutto.

La salita si faceva sempre più ripida e le curve erano sempre più strette ma Barbee non rallentava mai. Era su questa stessa strada che la gran tigre dalle zanne a sciabola aveva dato la caccia a Rex Chittum. Barbee rivide le colline perdute nella notte come gli occhi della tigre le avevano viste, e i suoi incubi ripresero a ossessionarlo.

Ancora una volta fu il grigio Lupo Mannaro, che spezzava la spina dorsale del cagnolino, il serpente gigantesco, che scivolava in cima alla torre a strito­lare Nick Spivak, la tigre, con la strega nuda in groppa, che correva su quelle strade a sgozzare Rex Chittum.

Sempre con l’acceleratore premuto fino in fondo, continuò a tenere la mac­china saettante sulla strada tortuosa, preoccupato solo di fuggire. Alzava gli occhi allo specchietto, e fuggiva.

Perché una morbosa tentazione cominciava ora a tormentarlo: su un angolo dello specchietto c’era un piccolo fermaglio la cui sagoma ricordava uno pte­rosauro, il mostruoso rettile alato di remote età geologiche, e l’immagine di quel serpente alato cominciò a ossessionare Barbee. D’altra parte, glielo ave­va detto Sam Quain: sapere dell’Homo lycanthropus era orrore e follia. E ormai lui non avrebbe potuto riposare mai più, trovare mai più un porto di pace. Sarebbe stato perseguitato per sempre, braccato dai cacciatori del mi­stero, perché conosceva il loro segreto.

L’auto sobbalzò, giungendo sul passo, e rombò poi lanciandosi giù per la discesa. Da un cartello stradale che i suoi fari avevano bruscamente illumina­to, Barbee seppe di essere a Sardis Hill. Sapeva che lo aspettava la terribile curva, dove la tigre s’era servita del circuito di probabilità per sgozzare Rex Chittum. Già sentiva i pneumatici bagnati slittare sull’asfalto; non gli occor­reva nessuna percezione speciale per vedere quanto la sua morte fosse pro­babile ora; ma non cercò nemmeno di rallentare la macchina, lanciata ormai come un sasso da una fionda.

«Maledetta!», sibilò all’indirizzo della lupa, che sapeva d’avere vicinissima, proprio dietro la macchina. «È ben difficile che tu riesca a prendermi, ora!»

Scoppiò a ridere, trionfante; rise del sogghigno di lei che non gli faceva più paura, degli uomini di Parker e delle camicie di forza del manicomio di Stato. Guardò ancora lo specchietto appannato e lanciò un sorriso di sfida al Figlio della Notte. No, i cacciatori misteriosi non lo avrebbero braccato più! Premette ancora sull’acceleratore e vide la curva apparire tra la pioggia.

«Che tu sia maledetta, April!» Sentì le ruote slittare, e non cercò di fermar­le. «Non potrai più tramutarmi, ora!»

Slittando lateralmente, la macchina abbandonò l’asfalto bagnato. Il volante gli girò violentemente tra le mani, e lui lo lasciò girare. L’automobile cozzò con un sobbalzo contro un macigno sul ciglio della strada e infine precipitò per il dirupo. Barbee s’abbandonò contento, in attesa del crollo finale.

«Addio!», sospirò alla lupa bianca.

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