15 Attraverso la soglia

Tenendo in mano la lampada con il paralume di vetro, Mat scrutò nello stretto corridoio che scendeva profondo nel cuore della Pietra. Solo se la mia vita dipende da esso. Questo avevo promesso. Be’, che io sia folgorato se non è così! Pensò Mat.

Prima di poter essere nuovamente colto dal dubbio si affretto oltre le porte marce e sghembe e altre che erano solamente frammenti di legno appesi a cardini arrugginiti. Il pavimento era stato spazzato di recente, ma l’aria ancora odorava di vecchia polvere e muffa. Qualcosa sfrecciò nell’oscurità, e Mat aveva estratto il pugnale prima ancora di rendersi conto che si trattava solamente di un topo che scappava, senza dubbio verso qualche buco a lui noto.

«Mostrami la via d’uscita» bisbigliò Mat appresso al topo «e verrò con te.» Perché sto bisbigliando? Non c’è nessuno qui che possa sentirmi, si disse. Sembrava un luogo dove regnava la calma. Avvertiva il peso dell’intera Pietra che gli premeva sulla testa.

Aveva detto l’ultima porta. Quella sghemba. La aprì con un calcio, e cadde a pezzi. La stanza era punteggiata da sagome fioche, casse, barili e altri oggetti accatastati contro le pareti e sul pavimento. C’era anche polvere. La Grande Proprietà! Assomiglia alla cantina di una fattoria abbandonata, solamente peggiore, pensò Mat. Era sorpreso che Egwene e Nynaeve non avessero spolverato e rimesso in ordine mentre si erano trovate quaggiù. Le donne spolveravano e rassettavano sempre, anche le cose che non ne avevano bisogno. Delle impronte si incrociavano sul pavimento, alcune erano di stivali. Senza dubbio le due ragazze si erano fatte aiutare dagli uomini per spostare i pezzi più pesanti. A Nynaeve piaceva trovare il sistema di far lavorare un uomo; probabilmente avevano deliberatamente dato la caccia a qualche poveraccio e se l’erano goduta.

L’oggetto che cercava si stagliava in mezzo al disordine. Un’alta soglia di granito che si presentava in modo strano nelle ombre gettate dalla lampada. Anche quando si avvicinò sembrava strana. In qualche modo ritorta. Gli occhi non volevano seguirne il contorno; gli angoli non convergevano correttamente. Sembrava che l’alto rettangolo vuoto potesse cadere con un soffio ma quando la spinse per testarla, rimase ben salda. La spinse un po’ più forte, incerto se volerla sollevare, e quel lato strisciò nella polvere. Lungo le braccia gli venne la pelle d’oca. Poteva anche esserci stata una corda legata alla parte superiore che la teneva in sospensione dal soffitto. Sollevò la lampada per guardare. Non c’era nessuna corda. Almeno non si rovescerà mentre mi ci troverò all’interno. Luce, sto davvero entrando in quella cosa, vero? pensò.

Un ammasso di figurine e piccoli oggetti avvolti in panni imputriditi occupava la parte superiore di un alto barile capovolto vicino a lui. Spinse la confusione di oggetti da una parte in modo da poter appoggiare la lampada, e studiò la soglia. Il ter’angreal. Se Egwene sapeva di cosa stava parlando. Probabilmente lo sapeva; senza dubbio aveva scoperto ogni tipo di cose strane alla Torre, per quanto lo negasse. Avrebbe negato adesso, o no? Imparare a diventare Aes Sedai. Questo però non lo negava, giusto? rifletteva Mat. Se strizzava gli occhi assomigliava a una semplice soglia di pietra, poco lucidata e resa opaca dalla povere. Solo una semplice soglia. Be’, non completamente lineare. Tre linee sinuose scolpite a fondo nella pietra correvano giù dall’alto in basso. Ne aveva viste di più ricercate nelle fattorie. Probabilmente dopo averla attraversata si sarebbe ancora trovato in quella stanza polverosa.

Non lo scoprirò fino a quando non proverò, giusto? Fortuna! pensò. Inalando profondamente — e tossendo per la polvere — oltrepassò la soglia con un piede.

Gli sembrò di attraversare un velo di luce bianca splendente, infinitamente luminosa, incredibilmente spessa. Per un momento che durò per sempre fu cieco; un boato gli riempì le orecchie, tutti i suoni del mondo si erano riuniti assieme simultaneamente. Solo per la lunghezza di un passo smisurato.

Inciampando nel fare un altro passo, si guardò attorno stupito. Il ter’angreal si trovava ancora lì, ma non era certo il punto dal quale era partito. La soglia di pietra contorta si trovava al centro di una sala rotonda con il soffitto così alto che si perdeva nelle ombre, circondata da strane colonne gialle a spirale, serpeggianti in alto verso il buio come immensi viticci attorcigliati attorno a pali rimossi. Una luce soffusa proveniva da sfere incandescenti sopra sostegni a spirale di un qualche strano metallo bianco. Non era argento, lo splendore era troppo spento per esserlo. E non c’era un indizio su cosa le facesse brillare; non si trattava di una fiamma, le sfere si limitavano risplendere. Le mattonelle del pavimento si estendevano dal ter’angreal a righe in spirali bianche e gialle. Nell’aria c’era un profumo pesante, duro, asciutto e non particolarmente piacevole. Mat fu sul punto di voltarsi e tornare indietro.

«È passato molto tempo.»

Mat sobbalzò, un pugnale gli spuntò in mano e scrutò fra le colonne cercando la sorgente della voce affannosa che aveva pronunciato quelle parole così duramente.

«Molto tempo, eppure il cercatore torna nuovamente per avere risposte. Colui che chiede torna ancora.» Dietro le colonne una sagoma si mosse; un uomo, pensò Mat. «Bene. Non hai portato lampade, o torce, come l’accordo era, è e sempre sarà. Non hai ferro? Nessuno strumento musicale?»

La figura uscì allo scoperto, alta, scalza, braccia, gambe e corpo avvolte in strati di tessuto giallo, Mat di colpo non era più sicuro che si trattasse di un uomo. O un essere umano. Sembrava umano a prima vista, anche se forse troppo aggraziato e toppo esile per l’altezza, con un sottile viso allungato. La pelle e i capelli neri lisci assorbivano la luce pallida come le scaglie di un serpente. E quegli occhi... le pupille nere erano tagli verticali. No, non umano.

«Ferro. Strumenti musicali. Non ne hai nessuno?»

Mat si chiese cosa pensava fosse il suo pugnale; certamente non ne sembrava preoccupato. Be’, la lama era di ottimo acciaio, non di ferro.

«No. Niente ferro o strumenti... Perché...?» Si interruppe bruscamente. Tre domande, aveva detto Egwene. Non ne avrebbe sprecata una sul ‘ferro’ o sugli ‘strumenti musicali’. Perché dovrebbe importagli se ho dozzine di musicisti in tasca e un fabbro in spalla? si chiese. «Sono venuto qui per avere risposte. Se non sei quello in grado di fornirle, portami da chi può.»

L’uomo — alla fine Mat aveva deciso che era un uomo — sorrise leggermente. Non mostrò alcun dente. «Secondo l’accordo. Vieni.» Fece cenno di seguirlo con una mano dalle dita affusolate. «Seguimi.»

Mat fece scomparire il pugnale su per la manica. «Fammi strada e ti seguirò.» Limitati a stare davanti a me e in bella vista. Questo posto mi fa accapponare la pelle, pensò. Non c’era una sola linea retta da qualsiasi parte se non il pavimento stesso, mentre seguiva quello strano uomo. Anche il soffitto era sempre arcuato e le pareti si incurvavano in fuori. Le stanze erano costantemente incurvate, le soglie stondate, le finestre circoli perfetti. Le mattonelle componevano spirali e curve sinuose, e ciò che sembrava essere un lavoro di bronzo incassato nel soffitto a intervalli regolari era tutta una serie di complicate spirali. Solo e sempre curve.

Non vide nessuno se non la sua silenziosa guida; avrebbe potuto credere quel luogo deserto, a parte loro. Da qualche parte gli giungeva un vago ricordo di camminare in corridoi che non avevano mai visto un piede umano per anni, e adesso provava la stessa sensazione. Eppure ogni tanto coglieva dei movimenti di sfuggita con la coda dell’occhio. Solo che, per quanto si voltasse velocemente, non c’era mai nessuno. Mat fece finta di strofinarsi l’avambraccio, controllando la presenza dei pugnali nella manica della giubba per sicurezza.

Ciò che vedeva attraverso quelle finestre rotonde era anche peggio. Alti alberi con solamente un ombrello di rami incurvati in cima e altri come enormi ventagli di foglie merlettate, un groviglio in crescita identico a un qualsiasi boschetto soffocato da tralci di spine, tutto sotto una tenue luce tetra anche se non sembrava ci fossero nuvole in cielo. C’erano sempre finestre, sempre da un solo lato del corridoio incurvato, ma a volte il lato cambiava e ciò che certamente avrebbe dovuto affacciarsi sul cortile o sulle stanze invece si apriva sulle foreste. Non lanciò mai più di uno sguardo su una qualsiasi parte di quel luogo, o attraverso quelle finestre, o a qualsiasi altro edificio, tranne...

Attraverso una finestra circolare vide tre alte guglie d’argento che si incurvavano l’una verso l’altra in modo che le punte erano tutte orientate verso la stessa direzione. Non erano visibili dalla finestra successiva, a tre passi di distanza, ma alcuni minuti dopo, svoltate abbastanza curve da essere convinto di guardare in un’altra direzione, le vide ancora. Provò a dirsi che queste erano tre diverse guglie, ma in mezzo c’era lo stesso albero a forma di ventaglio con un ramo rotto penzoloni visto poco prima. Dopo il terzo avvistamento identico, stavolta lontano dieci passi ma dal lato opposto del corridoio, cercò di fermarsi per guardare meglio cosa fosse.

La camminata sembrava interminabile.

«Quando...? Saremo...?» Mat digrignò i denti. Tre domande. Era difficile scoprire qualcosa senza porre domande. «Spero che tu mi stia portando da chi può rispondere alle mie domande. Che le mie ossa siano incenerite, lo spero. Per la mia salvezza e la tua, la Luce sa che è vero.»

«Qui» rispose l’insolito tipo vestito di giallo, indicando con quella mano sottile verso una porta arrotondata larga il doppio di qualsiasi altra Mat avesse mai visto fino a quel momento. Con quegli occhi strani lo studiava con attenzione. Spalancò la bocca e inspirò, a lungo e lentamente. Mat lo guardò cupo e lo straniero gli rivolse un contorto cenno con le spalle. «Qui puoi trovare le tue risposte. Entra. Entra e chiedi.»

Anche Mat respirò profondamente, quindi fece una smorfia e si strofinò il naso. Quel forte odore era una seccatura bella e buona. Fece un passo esitante verso l’alta soglia, e si guardò attorno nuovamente alla ricerca della sua guida. Il tizio era sparito. Luce! Non so perché debba sorprendermi più di qualcosa. Be’, che sia folgorato se mi volto indietro adesso, si disse. Cercando di non pensare se sarebbe stato nuovamente in grado di trovare da solo il ter’angreal, entrò.

Un’altra stanza rotonda, con mattonelle a spirali rosse e bianche sotto un soffitto a volta. Non c’erano colonne, o mobilia di qualsiasi tipo, a parte tre spessi piedistalli attorno al centro. Mat non riusciva a vedere un sistema per raggiungerne la cima, se non arrampicandosi sui lati contorti, eppure uomini avvolti in un tessuto rosso, simili alla sua guida, sedevano a gambe conserte sopra ognuna. Non tutti uomini, concluse dopo una seconda occhiata; due di quei visi lunghi con gli strani occhi avevano decisamente un aspetto femminile. Lo fissavano con sguardi intensi e penetranti, respiravano profondamente, quasi affannati. Si chiese se li rendeva in qualche modo nervosi. Non una maledetta possibilità che fosse così. Ma certamente ci stanno riuscendo con me, si disse.

«È passato molto tempo» esordì la donna alla destra.

«Molto tempo» aggiunse la donna alla sinistra.

L’uomo annuì. «Eppure torni nuovamente.»

Tutti e tre avevano la voce affannosa della guida — quasi irriconoscibili fra loro — e lo stesso modo duro di pronunciare le parole. Parlavano all’unisono e le parole sembravano provenire da una sola bocca. «Entra e chiedi, secondo gli antichi accordi.»

Se Mat prima aveva pensato che gli si stesse accapponando la pelle, adesso era sicuro che gli si stesse contorcendo. Si costrinse ad avvicinarsi. Con cautela — cauto nel non dire nulla che anche somigliasse a una domanda — spiegò loro la situazione. I Manti Bianchi, certamente nel suo villaggio natale. Uno dei suoi amici che stava andando ad affrontarli, un altro no. La sua famiglia, probabilmente non in pericolo, ma con i maledetti Figli della maledetta Luce in giro... Un ta’veren che lo attirava tanto che poteva muoversi a malapena. Non vedeva ragione di fornire nomi, o di menzionare il fatto che Rand fosse il Drago Rinato. La sua prima domanda — e le altre due per inciso — le aveva elaborate prima di recarsi giù nella Grande Proprietà. «Dovrei andare a casa ad aiutare la mia gente?» chiese alla fine.

Tre paia di occhi dalle pupille a taglio si sollevarono da lui — sembravano riluttanti — e studiarono l’aria sopra la sua testa. Alla fine la donna alla sinistra disse. «Devi recarti nel Rhuidean.»

Non appena parlò tutti gli occhi ricaddero nuovamente su di lui e si inchinarono in avanti, respirando di nuovo profondamente, ma in quel momento suonò una campana, un sonoro rumore di ottone che echeggiò nella stanza. Le creature ondeggiarono nel tirarsi su, guardandosi l’uno con l’altro, quindi nuovamente portarono gli occhi nell’aria sopra la testa di Mat.

«È un altro» sussurrò la donna alla sinistra. «La tensione. La tensione.»

«Il sapore» aggiunse l’uomo «è passato così tanto tempo.»

«C’è ancora tempo» aggiunse infine l’ultima donna. Sembrava calma — tutti lo sembravano — ma c’era una certa determinazione nella voce quando si rivolse nuovamente a Mat. «Chiedi. Chiedi.»

Mat li guardò furiosamente. Rhuidean? Luce! Un posto in mezzo al deserto, solo la Luce e gli Aiel sapevano dove. Questo era tutto quello che sapeva. Nel deserto! La rabbia fece scappar via le domande su come liberarsi delle Aes Sedai e come recuperare la memoria perduta. «Rhuidean!» sbraitò. «Che la luce mi riduca le ossa in cenere se voglio andare nel Rhuidean! E che sia dissanguato se lo farò! Perché dovrei? Non state rispondendo alle mie domande. Voi dovreste rispondere, non sottopormi degli indovinelli!»

«Se non ti rechi nel Rhuidean» rispose la donna sulla destra «morirai.»

La campana rintoccò nuovamente, stavolta più forte; Mat ne percepì il tremito attraverso gli stivali. Gli sguardi che sì scambiarono i tre erano chiaramente ansiosi. Mat aprì la bocca, ma le creature erano solamente preoccupate una dell’altra.

«La tensione» osservò frettolosamente una delle donne. «È troppo forte.»

«Il suo sapore» aggiunse senza pausa l’altra donna. «È passato così tanto tempo.»

Prima che avesse finito l’uomo parlò. «La tensione è troppo forte. Troppo forte. Chiedi. Chiedi!»

«Che la vostra anima bruci per essere così vigliacchi» gridò Mat. «Lo farò! Perché morirò se non vado nel Rhuidean? È molto probabile che morirò se ci provo. Non ha sen...»

L’uomo lo interruppe e parlò velocemente. «In quel caso avresti evitato il filo del fato, lasciato il tuo destino alla deriva nei venti del tempo e verresti ucciso da quelli che non vogliono che il destino si compia. Adesso vai. Devi andare. Veloce!»

La guida vestita di giallo fu improvvisamente presente al fianco di Mat tirandolo per la manica con le lunghe mani affusolate.

Mat lo scansò. «No! Non andrò via! Mi hai portato qui per le domande che volevo porre e ho ricevuto risposte insensate. Non lascerete tutto così in sospeso. Di che destino state parlando? Avrò almeno una risposta chiara da voi!»

La campana suonò una terza volta dolorosamente, e l’intera stanza tremò.

«Vai!» gridò l’uomo. «Hai avuto le tue risposte. Devi andartene prima che sia troppo tardi!»

Di colpo una dozzina di uomini vestiti di giallo si trovò attorno a Mat, come sbucati dall’aria, e tutti cercavano di tirarlo verso la porta. Mat combatté con i pugni, i gomiti e le ginocchia. «Quale destino? Che i vostri cuori brucino, quale destino?» Fu la stanza stessa stavolta a rimbombare, pareti e pavimento che tremavano, facendo quasi cadere Mat e chi gli stava addosso. «Quale destino?»

I tre si trovavano in piedi sui piedistalli e non riuscì a capire quale di loro gridò e rispose.

«Sposare la Figlia delle Nove Lune!»

«Morire e vivere nuovamente, e vivere ancora una volta una parte di ciò che fu!»

«Rinunciare a metà della luce del mondo per salvarlo!»

Tutti insieme si lamentavano come il vapore rilasciato da una forte pressione. «Vai nel Rhuidean, figlio delle battaglie! Vai nel Rhuidean, imbroglione! Vai, giocatore d’azzardo! Vai!»

Gli uomini in giallo lo afferrarono per le braccia e le gambe e corsero, tenendolo alto sopra le teste. «Lasciatemi, figli di capre smidollati!» gridò dibattendosi. «Che siano bruciati i vostri occhi! Che l’Ombra si prenda le vostre anime, lasciatemi! Userò i vostri intestini per fabbricarmi un sottopancia per il cavallo!» Ma per quanto si dimenasse e imprecasse, la presa di quelle dita affusolate era ferrea.

La campana rintoccò altre due volte, o forse fu il palazzo. Tutto tremava come durante un terremoto; le mura risuonavano con riverberi assordanti, ognuno più forte del precedente. Gli uomini proseguivano inciampando, quasi cadendo ma senza mai fermare quella corsa precipitosa. Mat non vide nemmeno dove lo stessero portando fino a quando si fermarono di colpo sollevandolo in aria. A quel punto vide la soglia ritorta, il ter’angreal, mentre vi volava attraverso.

La luce bianca lo accecò; il boato gli colmò la testa fino a rimuovergli tutti i pensieri.

Cadde pesantemente sul pavimento impolverato, nella luce fioca, e rotolò contro il barile sul quale era appoggiata la lampada all’interno della Grande Proprietà. Il barile ondeggiò, pacchetti e figurine caddero in terra rompendosi fragorosamente e lanciando in giro frammenti di pietra, avorio e porcellana. Rimbalzando in piedi Mat si scagliò verso la soglia di pietra. «Che siate folgorati, non potete lanciarmi come un...!»

Si lanciò precipitosamente attraverso la soglia e ricadde contro i barili e le ceste dall’altro lato. Senza fermarsi, si voltò e lo fece nuovamente. Con lo stesso risultato. Stavolta afferrò il barile sul quale era appoggiata la lampada, che per poco non cadde sugli oggetti rotti che ricoprivano il pavimento. La afferrò bruciandosi le mani e la spostò in un punto più stabile. Che io sia folgorato se voglio restare quaggiù al buio, pensò, succhiandosi le dita. Luce, nel modo in cui sta andando la mia fortuna, probabilmente avrebbe avviato un incendio e sarei morto carbonizzato!

Guardò il ter’angreal pieno di rabbia. Perché non funzionava? Forse la gente dall’altro lato lo aveva in qualche modo chiuso. Non capiva praticamente nulla di quanto era accaduto. Quella campana, e il loro panico. Avresti detto che avevano paura che il tetto gli cadesse in testa. A pensarci bene, era quasi successo. E il Rhuidean e tutto il resto. Il deserto era già abbastanza brutto, ma avevano detto che era destinato a sposare qualcuna chiamata la Figlia delle Nove Lune. Sposare! E una nobile per giunta, da come suonava il nome. Avrebbe sposato un maiale piuttosto che una nobile. E quell’affare di morire e vivere nuovamente. Molto gentile da parte loro aggiungere quell’ultimo dettaglio! pensò. Se qualche Aiel velato di nero lo uccideva mentre si recava nel Rhuidean, avrebbe scoperto quanto era vera la risposta. Niente di tutto ciò aveva senso, e non credeva a una parola. Però... la maledetta soglia lo aveva portato da qualche parte e avevano risposto a tre domande, proprio come aveva detto Egwene.

«Non sposerò nessuna maledetta nobildonna!» gridò rivolgendosi al ter’angreal. «Mi sposerò quando sarò troppo vecchio per divertirmi, ecco! Rhuidean il mio maledetto...!»

Dalla soglia ritorta sbucò uno stivale seguito dal resto di Rand, con quella sua spada fiammeggiante. La spada svanì non appena fu fuori dalla soglia, e mandò un sospiro di sollievo. Anche nella luce fioca Mat poteva vedere che era preoccupato. Rand sobbalzò quando vide Mat. «Stai solamente ficcanasando, Mat, o anche tu lo hai attraversato?»

Mat lo guardò preoccupato per un momento, ma almeno quella spada era sparita. Non sembrava che stesse incanalando — come avrebbe potuto dirlo? — e non assomigliava affatto a un pazzo. Aveva esattamente l’aspetto che Mat si ricordava. Doveva ripetersi che non si trovavano più a casa e Rand non era chi si ricordava. «Oh, sono passato attraverso, ma è andato tutto bene. Un mucchio di maledetti bugiardi, se proprio vuoi saperlo! Cosa sono? Mi fanno pensare a dei serpenti.»

«Non credo che siano bugiardi.» Sembrava che Rand desiderasse che lo fossero. «No. Non quello. Mi temevano, fin dall’inizio. E quando quella campana ha iniziato a suonare... solo la spada li ha tenuti indietro; non volevano nemmeno guardarla. Sfuggivano. Si coprivano gli occhi. Hai ottenuto le risposte?»

«Niente che abbia senso» mormorò Mat. «Cosa mi dici di te?» Di colpo dal ter’angreal apparve Moiraine, sembrò che camminasse graziosamente fuori da un sottile velo d’aria, fluttuante. Sarebbe stata un’ottima ballerina se non fosse stata Aes Sedai. Serrò le labbra non appena li vide.

«Voi! Eravate entrambi là dentro. Ecco perché...!» Moiraine emise un sibilo frustrato. «Uno solo di voi sarebbe già stato abbastanza, ma due ta’veren contemporaneamente... avreste potuto distorcere del tutto la connessione e rimanere intrappolati. Ragazzini sventurati che giocano con cose di cui non conoscono la pericolosità. Perrin! Anche lui è là dentro? Ha condiviso la vostra... prodezza?»

«L’ultima volta che ho visto Perrin» rispose Mat «stava preparandosi per andare a letto.» Forse Perrin lo avrebbe smentito uscendo fuori dalla soglia, ma avrebbe deviato la rabbia dell’Aes Sedai, se avesse potuto. Non c’era bisogno che anche Perrin l’affrontasse. Forse almeno lui saprà liberarsi di lei, se riesce ad andare via prima che Moiraine venga a sapere cosa sta facendo. Maledetta donna! Scommetto che è di nobili natali, pensò Mat.

Sul fatto che Moiraine fosse arrabbiata non c’erano dubbi. Il sangue le era defluito dal viso e gli occhi erano trivelle scure che trapassavano Rand. «Almeno avete salvato la pelle. Chi vi ha parlato di questo? Quale di loro? Le farò desiderare di averle tolto la pelle come un guanto.»

«L’ho scoperto su un libro» rispose Rand con calma. Si sedette lungo il bordo di una cesta che scricchiolò in modo allarmante sotto il suo peso e incrociò le braccia. Tutto molto freddamente; Mat voleva poterlo imitare. «Un paio di libri, per essere preciso. I tesori della Pietra e Trattare i territori di Mayene. Sorprendente cosa puoi scoprire dai libri se leggi abbastanza, vero?»

«E tu?» spostò lo sguardo su Mat. «Anche tu hai letto dei libri? Tu?»

«Anche io leggo a volte» rispose asciutto. Non era particolarmente contrario al fatto che Egwene e Nynaeve ricevessero una lezione per come gli avevano fatto confessare dove aveva nascosto la lettera dell’Amyrlin — legarlo con il Potere era stato orribile, ma il resto! — ma lo divertiva di più prendere Moiraine per il naso. «Tesori. Affari. Molte cose in quei libri.» Fortunatamente Moiraine non aveva insistito affinché ripetesse i titoli non aveva fatto attenzione quando Rand li aveva menzionati.

Invece l’Aes Sedai riportò l’attenzione su Rand. «E le tue risposte?»

«Sono mie» sentenziò Rand, quindi aggrottò le sopracciglia. «Però non è stato facile. Hanno portato una... una donna... per fare da interprete, ma parlava come qualcuno del vecchio sangue. Ho capito solo alcune parole. Non ho mai preso in considerazione che potessero parlare un’altra lingua.»

«La lingua antica» osservò Moiraine. «Usano la lingua antica — un dialetto molto duro — quando hanno a che fare con gli uomini. E tu, Mat? Era facile capire il tuo interprete?»

Mat dovette sforzarsi per riportare la saliva alla bocca. «La lingua antica? Era quella? Non mi hanno fornito un interprete. In realtà non sono andato per porre domande. Quella campana ha incominciato a far tremare le pareti e mi hanno buttato fuori come se stessi lasciando impronte di letame su un tappeto.» Moiraine stava lo fissando con gli occhi che gli scavavano nella testa. Sapeva che di tanto in tanto Mat parlava nella lingua antica. «Ho... quasi capito una parola qua e là, ma non abbastanza. Tu e Rand avete ottenuto risposte. Cosa ne ricavano? I serpenti con le gambe. Non è che adesso risaliamo per scoprire che è trascorso un anno, vero? Come Bili nella storia.»

«Sensazioni» rispose Moiraine con una smorfia. «Sensazioni, emozioni, esperienze. Frugano in esse; puoi sentirli mentre lo fanno, ti fanno accapponare la pelle. Forse si nutrono in qualche modo di esse. L’Aes Sedai che aveva studiato questo ter’angreal quando era a Mayene scrisse di un forte desiderio di fare un bagno dopo averlo usato. Io certamente intendo farlo.»

«Ma le loro risposte sono vere?» chiese Rand mentre iniziava a voltarsi per andare via. «Ne sei certa? Anche i libri lo sostengono, ma forniscono davvero ogni risposta riguardo al futuro?»

«Le risposte sono vere» confermò lentamente Moiraine «se riguardano il tuo futuro. Questo è certo.» Guardò Rand, poi Mat, soppesando l’effetto delle sue parole. «Per quanto riguarda il come, sono solo supposizioni. Quel mondo è... ripiegato... in uno strano modo. Non posso essere più chiara. Può darsi che ciò consenta loro di leggere i fili di una vita umana, leggere i vari modi in cui potrebbero ancora essere intessuti nel Disegno. O forse è un loro talento. Le risposte spesso sono oscure, quasi sempre. Se avete bisogno di aiuto per decifrarne il significato, vi offro i miei servigi.» Gli occhi di Moiraine balenarono dall’uno all’altro, e Mat quasi imprecò. Moiraine non credeva alla storia di non aver ricevuto risposte. A meno che non si trattasse in generale di un semplice sospetto da Aes Sedai.

Rand le rivolse un lento sorriso. «E mi dirai cosa hai chiesto e quali sono state le tue risposte?»

Moiraine restituì un’occhiata indagatrice, quindi si avviò verso la porta. Un piccolo globo di luce, luminoso come una lanterna, fluttuò all’improvviso di fronte a lei, illuminandole la strada.

Mat sapeva che adesso doveva mollare. Lasciarla andare e sperare che dimenticasse che era mai andato laggiù. Ma la rabbia ancora gli bruciava dentro. Tutte quelle cose ridicole che gli avevano detto. Be’, forse erano vere, se anche Moiraine lo sosteneva, ma voleva afferrare quei tizi per il bavero, o qualsiasi cosa facesse da colletto in tutti quei drappeggi, e farsi spiegare alcune cose.

«Perché non puoi entrarci due volte, Moiraine?» le gridò appresso. «Perché no?» Stava quasi per chiedere perché si preoccupassero del ferro e degli strumenti musicali, ma si morse la lingua. Non poteva sapere questo se non aveva capito cosa gli stavano dicendo.

Moiraine si fermò alla porta del corridoio ed era impossibile vedere se stesse guardando il ter’angreal o Rand. «Se sapessi tutto, Matrim, non avrei bisogno di porre domande.» Scrutò nella stanza ancora una volta — stava fissando Rand — quindi se ne andò via senza aggiungere una parola.

Per un po’ Mat e Rand si guardarono in silenzio.

«Hai trovato ciò che stavi cercando?» chiese alla fine Rand.

«E tu?»

Una fiamma splendente comparve all’improvviso, in equilibrio sul palmo di Rand. Non la regolare sfera luminosa dell’Aes Sedai ma una rozza fiamma, come una torcia. Mentre Rand si muoveva per andare via, Mat aggiunse un’altra domanda. «Lascerai davvero che i Manti Bianchi facciano ciò che vogliono giù a casa? Sai che si stanno dirigendo a Emond’s Field, se non sono già lì. Occhi gialli, il maledetto Drago Rinato. A parte ciò, è troppo.»

«Perrin farà... quello che deve per salvare Emond’s Field.» rispose Rand con la voce addolorata. «E io farò quello che devo o ben altro che Emond’s Field cadrà, e in mani peggiori di quelle dei Manti Bianchi.»

Mat rimase in piedi a guardare la luce della fiamma svanire in lontananza nel corridoio fino a quando non si ricordò di dove si trovava. Quindi afferrò la lampada e si affrettò a uscire. Rhuidean! Luce, cosa farò? si chiese.

Загрузка...