44 Scoppia la tempesta

Perrin aprì gli occhi lentamente fissando il soffitto bianco intonacato. Ci mise un po’ a capire che era in un letto su un materasso, con un cuscino di piume e una bella coperta. Nel naso aveva una miriade di odori; le piume e la lana delle coperte, oca arrosto, pane e dolcetti di miele in cottura. Era una delle stanze della locanda della Fonte del Vino. E dalle finestre con le tendine bianche filtrava l’inconfondibile luce chiara del mattino. Mattina. Si toccò il fianco. Trovò la pelle sana, ma si sentiva più debole che mai da quando era stato colpito. Un piccolo prezzo da pagare per uno scambio equo. Aveva anche la gola secca.

Quando si mosse, Faile balzò da una sedia accanto al piccolo camino di pietra, spingendo di lato una coperta rossa e stirandosi. Adesso indossava un abito per cavalcare più scuro e le pieghe sulla seta grigia dicevano che aveva dormito sulla sedia. «Alanna ha detto che hai bisogno di dormire» esordì. Perrin si protese verso la brocca bianca sul piccolo tavolo accanto al letto e Faile gli riempì subito una tazza d’acqua e gliela tenne davanti al viso per farlo bere. «Devi restare qui per altri due o tre giorni, fino a quando non avrai recuperato le forze.»

Le parole sembravano normali, tranne per un sottofondo che coglieva appena, una tensione agli angoli degli occhi di Faile. «Che cos’è che non va?»

Faile posò con cautela la tazza sul comodino e sistemò il vestito. «Niente.» Adesso il tono teso era anche più chiaro.

«Faile, non mentirmi.»

«Non mento!» scattò. «Ti farò portare la colazione e sei fortunato che lo faccia, chiamarmi...»

«Faile.» Pronunciò il nome con la massima severità e la ragazza esitò, il suo più arrogante sguardo furioso mutò in preoccupazione per tornare arrogante. Perrin sostenne lo sguardo; non se la sarebbe cavata con nessun trucco da lady, stavolta.

Alla fine Faile sospirò. «Immagino che tu abbia il diritto di sapere. Ma rimarrai a letto fino a quando Alanna dirà che puoi alzarti. Loial e Gaul sono andati.»

«Andati via?» Batté le palpebre confuso. «Cosa vuoi dire con andati? Sono andati via?»

«In un certo qual modo. Le sentinelle li hanno visti andare via alle prime luci dell’alba, correndo insieme dentro al Bosco Occidentale. Nessuno ha pensato nulla, certamente non hanno cercato di fermarli, un Ogier e un Aiel. Stavano parlando degli alberi, Perrin. Di come gli Ogier cantano agli alberi.»

«Alberi?» gridò Perrin. «Sono quelle maledette Porte delle Vie! Che io sia folgorato, gli avevo detto di non... Si faranno ammazzare prima di raggiungerle!»

Togliendosi di dosso la coperta lanciò le gambe giù dal letto, alzandosi in piedi barcollante. Si accorse che non aveva nulla addosso, nemmeno la biancheria intima. Ma se si aspettavano di tenerlo imprigionato sotto alle coperte, si sbagliavano di grosso. Vide i suoi abiti piegati per bene sulla sedia dallo schienale alto vicino alla porta, con gli stivali accanto e l’ascia che pendeva dalla cintura appesa a un gancio sul muro. Inciampando per andare verso gli abiti, iniziò a vestirsi il più velocemente possibile.

«Cosa stai facendo?» chiese Faile. «Adesso torni subito a letto!» Con le mani sui fianchi indicò con fare di comando, come se potesse trasportarlo con il dito.

«Non possono essere andati troppo lontano.» protestò Perrin «non a piedi. Gaul non vuole cavalcare e Loial sostiene sempre di fidarsi maggiormente dei propri piedi più che di qualsiasi cavallo. Posso raggiungerli con Stepper al più tardi a metà giornata.» Infilandosi la camicia sopra la testa la lasciò fuori dai pantaloni e si sedette sul letto — vi cadde, per essere precisi — per infilarsi gli stivali.

«Sei pazzo, Perrin Aybara! Che possibilità hai anche solo di trovarli in quella foresta?»

«Sono bravo a seguire le tracce. Posso trovarli.» Le sorrise, ma Faile era impassibile.

«Puoi farti ammazzare, sciocco bue peloso! Guardati. Riesci appena a stare in piedi. Cadresti di sella prima di aver percorso un chilometro!»

Nascondendo lo sforzo richiesto, Perrin si alzò e batté i piedi a terra per sistemare gli stivali. Stepper avrebbe fatto tutto il lavoro, lui doveva solamente resistere. «Non ha senso. Sono forte come un cavallo. Smettila di cercare di fare la prepotente con me.» Infilandosi la giubba, afferrò l’ascia e la cintura. Faile lo prese per il braccio mentre apriva la porta e venne trascinata appresso a lui, nel vano tentativo di trattenerlo.

«A volte hai il cervello di un cavallo» ansimò Faile. «Meno! Perrin, devi ascoltarmi. Devi...»

La stanza si trovava solo a pochi passi lungo lo stretto corridoio che dalle scale portava di sotto nella sala comune vuota e furono le scale a tradirlo. Quando piegò il ginocchio per scendere il primo gradino, continuò a piegarsi. Cadde in avanti, cercando invano di afferrare la ringhiera e trascinandosi appresso una Faile urlante. Rotolando caddero per le scale per concludere con un colpo finale contro il barile, Faile completamente distesa sopra Perrin. Il barile tremò e roteò, facendo traballare le spade all’interno, prima di fermarsi con un ultimo clangore.

Perrin ci mise un po’ a recuperare il fiato per parlare. «Stai bene?» chiese ansioso a Faile, distesa inerme sul suo petto, scuotendola gentilmente. «Faile, stai...?»

Lentamente la ragazza alzò la testa e rimosse alcune ciocche di capelli scuri dal viso, quindi lo fissò con attenzione. «Tu stai bene? Perché se stai bene potrei benissimo farti qualcosa di violento.»

Perrin sbuffò. Probabilmente lei stava meglio di lui. Con cautela si toccò nel punto in cui era stata conficcata la freccia, ma non stava peggio del resto. Naturalmente tutto il corpo sembrava livido. «Levati di dosso, Faile. Ho bisogno di andare a prendere Stepper.»

Faile invece lo prese per il colletto con entrambe le mani e si accostò a Perrin, fino a quando i nasi si toccarono. «Ascoltami, Perrin» disse con urgenza. «Non — puoi — fare — tutto. Se Loial e Gaul sono andati a chiudere le Porte delle Vie, devi lasciarli fare. Il tuo posto è qui. Anche se fossi abbastanza forte — e non lo sei! Mi hai sentito? Non sei abbastanza forte! — ma anche se lo fossi, non dovresti seguirli. Non puoi fare tutto!»

«Be’, cosa state combinando voi due?» chiese Marin al’Vere. Pulendosi le mani sul lungo grembiule bianco, proveniva dalla porta posteriore della sala comune. Sembrava che le sopracciglia le volessero salire fra i capelli. «Mi aspettavo i Trolloc dopo tutto quel fracasso, ma non questo.» Appariva in parte scandalizzata e in parte divertita.

Perrin si accorse che sembravano, con Faile su di lui a quel modo e le teste vicine, una coppia che si sbaciucchiava. Sul pavimento della sala comune.

Le guance di Faile divennero rosse mentre si alzava velocemente, spazzolandosi l’abito. «È testardo come un Trolloc, comare al’Vere. Gli ho detto che era troppo debole per alzarsi. Deve ritornare a letto immediatamente. Deve imparare che non può fare tutto da solo, specialmente quando non riesce nemmeno a scendere una rampa di scale.»

«Oh, mia cara» rispose comare al’Vere scuotendo il capo. «Questo è il modo sbagliato.» Inchinandosi verso la giovane donna, sussurrò qualcosa, ma Perrin sentì ogni parola. «Era un bambino facile da controllare il più delle volte, se lo gestivi come si deve, ma quando cercavi di spingerlo diventava ostinato come un mulo, come chiunque altro nei Fiumi Gemelli. Gli uomini non cambiano molto, diventano solo più alti. Se gli dici cosa deve e non deve fare, certamente si tapperà le orecchie e punterà i piedi. Lascia che ti mostri.» Marin sorrise a Perrin, ignorando lo sguardo furioso del ragazzo. «Perrin, non credi che uno dei miei ottimi materassi di piume d’oca siano meglio di quel pavimento? Ti porterò il tortino di fagioli non appena ti sarai messo a letto. Devi essere affamato, dopo aver saltato la cena ieri sera. Ecco. Perché non lasci che ti aiuti?»

Scansando le mani delle donne si alzò da solo. Be’, con l’aiuto del muro. Probabilmente si era strappato tutti i muscoli del corpo. Ostinato come un mulo? Non era mai stato ostinato in vita sua. «Comare al’Vere, puoi chiedere a Hu o a Tad di sellare Stepper?»

«Quando starai meglio» rispose, cercando di farlo voltare verso le scale. «Non credi che ti servirebbe un altro po’ di riposo?»

Faile lo prese per l’altro braccio.

«Trolloc!» Il grido dall’esterno giunse attutito dalle mura, seguita da una dozzina di voci. «Trolloc! Trolloc!»

«Questo oggi non deve riguardarti» disse comare al’Vere, ferma e dolce allo stesso tempo. Aveva voglia di digrignare i denti. «Le Aes Sedai se ne occuperanno senza problemi. In un giorno o due ti rimetteremo in piedi. Vedrai.»

«Il mio cavallo» disse Perrin cercando di liberarsi. Le due donne avevano una buona presa sulle maniche della giubba e tetto quello che ottenne fu di farle andare avanti e indietro. «Per amore della Luce, volete smettere di tirarmi e lasciarmi andare a prendere il cavallo? Lasciatemi andare.»

Guardandolo in faccia Faile sospirò e gli lasciò il braccio. «Comare al’Vere, potresti far sellare il suo cavallo e farlo condurre qui davanti?»

«Ma, mia cara, ha davvero bisogno...»

«Per favore, comare al’Vere» insisté Faile con fermezza. «E anche il mio.» Le due donne si guardarono come se Perrin non esistesse. Alla fine comare al’Vere annuì.

Perrin la guardò cupo mentre si affrettava ad attraversare la sala comune e svaniva verso la cucina e la stalla. Cosa aveva detto Faile di diverso da quello che aveva detto lui? Rivolgendole l’attenzione le chiese: «Perché hai cambiato idea?»

Mettendogli a posto la camicia Faile borbottò. Senza dubbio in teoria lui non doveva sentire abbastanza bene da capire. «Non posso dire ‘devi’, giusto? Se è troppo ostinato per vedere come stanno le cose, devo guidarlo con miele e sorrisi, devo, no?» Gli lanciò un’occhiata senza dubbio priva di miele, quindi di colpo mutò in un sorriso così dolce che Perrin quasi arretrò. «Cuor mio» stava quasi tubando, sempre sistemandogli la camicia. «Qualsiasi cosa stia accadendo là fuori, spero che resterai in sella e il più lontano possibile dai Trolloc. Non credo che tu possa ancora affrontarne uno, vero? Forse domani. Ti prego di ricordarti che sei un generale, un comandante, e un simbolo per la tua gente come quella bandiera là fuori. Se vai dove la gente può vederti, solleverai il morale di tutti. Ed è molto più facile vedere di cosa c’è bisogno e dare ordini se non sei nella mischia.» Raccogliendo la cintura da terra gliela avvolse attorno alla vita, sistemando con cautela l’ascia sul fianco. Batté addirittura gli occhi! «Ti prego, dimmi che farai almeno quello. Per favore?»

Aveva ragione. Non avrebbe resistito due minuti contro un Trolloc. Probabilmente due secondi contro un Fade. E per quanto odiasse ammetterlo, non avrebbe resistito per tre chilometri in sella inseguendo Loial e Gaul. Sciocco Ogier. Sei uno scrittore, non un eroe, pensò. «Va bene» rispose. Fu pervaso da un impulso malizioso. Il modo in cui lei e comare al’Vere avevano parlato di lui, e battere gli occhi come se fosse stato uno sciocco. «Non posso rifiutarti nulla quando sorridi così graziosamente.»

«Ne sono contenta.» Sempre sorridendo gli spazzolò la giubba, piluccando dei fili che lui non poteva vedere. «Perché se lo fai e riesci a sopravvivere, ti farò quello che mi hai fatto il primo giorno nelle Vie. Non credo che tu sia abbastanza forte per fermarmi.» Quel sorriso si irradiò, primaverile e dolce. «Mi hai capita?»

Perrin rise pur non volendo. «Sembra che sia meglio se lascio che mi uccidano.» A Faile non sembrò così divertente.

Hu e Tad, i magri stallieri, guidarono Stepper e Rondine davanti all’uscita posteriore non appena Perrin e Faile uscirono. Tutti gli altri sembravano riuniti all’altra estremità del villaggio, oltre al prato, pieno di pecore, mucche e oche e quella bandiera bianca e rossa con la testa di lupo che sventolava nella brezza mattutina. Non appena furono a cavallo, gli stallieri corsero in quella direzione, senza una parola.

Qualsiasi cosa stesse accadendo, chiaramente non era un attacco. Poteva vedere donne e bambini fra la folla, e le grida «Trolloc» erano mutate in un mormorio come un’eco delle oche. Perrin cavalcava lentamente, non volendo ondeggiare in sella; Faile manteneva Rondine vicino a lui, guardandolo. Se cambiava idea senza motivo, poteva farlo ancora e lui non voleva discutere sul fatto se doveva o no trovarsi lì.

Tra la folla schiamazzante c’era tutta Emond’s Field, abitanti del villaggio e contadini, tutti spalla a spalla, ma li lasciarono passare quando videro di chi si trattava. Il suo nome entrò nel brusio, di solito unito a ‘Occhidoro’. Sentì anche la parola ‘Trolloc,’ ma in toni più meravigliati che spaventati. In groppa a Stepper aveva una buona visuale delle loro teste.

La massa di gente arrivava fin oltre le ultime case al margine dei pali acuminati. Il limitare della foresta, circa seicento passi oltre un campo di ceppi quasi ad altezza del terreno, era calmo e non c’erano uomini con le asce. Quegli uomini erano raccolti attorno ad Alanna e a Verin, e due di loro a torso nudo e sudati. Jon Thane, il mugnaio, si stava pulendo una macchia di sangue dalle costole e teneva una lanterna davanti al petto in modo da poter vedere cosa stessero facendo le sue mani. Alanna si sollevò dall’altro uomo, un tipo dai capelli grigi che Perrin non conosceva, che saltava e ballava quasi come se non credesse di poterlo fare. Lui e il mugnaio guardavano le Aes Sedai con soggezione.

Il gruppo attorno alle Aes Sedai era troppo fitto per fare largo a Stepper e Rondine, ma c’erano dei piccoli vuoti attorno a Ihvon e Tomas, da entrambi i lati dei cavalli da combattimento. La gente non voleva avvicinarsi troppo a quegli animali dagli occhi selvaggi, che sembravano aspettare solo l’occasione per mordere o travolgere qualcuno.

Perrin riuscì ad avvicinare Tomas senza troppi problemi.

«Cosa è successo?»

«Un Trolloc. Soltanto uno.» Malgrado il tono da conversazione del Custode dai capelli grigi, gli occhi scuri non restavano fermi su Perrin e Faile, ma controllavano anche Verin al margine degli alberi. «Di solito da soli non sono molto intelligenti. Maliziosi, ma non furbi. Il gruppo che stava abbattendo gli alberi lo ha fatto fuori prima che potesse fare troppo danno.

Fra gli alberi apparvero le due donne aiel che correvano con gli shoufa avvolti attorno alle teste e velate, per cui non riusciva a distinguerle fra loro. Rallentarono per infilarsi fra i pali acuminati, quindi passarono con destrezza attraverso la folla, con la gente che si allargava il più possibile pur essendo così schiacciata. Quando raggiunsero Faile si erano tolte il velo, e la ragazza si abbassò per ascoltare.

«Forse cinquecento Trolloc» le riferì Bain «probabilmente non più di due o tre chilometri alle nostre spalle.» La voce era pacata, ma gli occhi azzurri brillavano di impazienza. Come anche quelli grigi di Chiad.

«Come mi aspettavo» osservò con calma Tomas. «Quello probabilmente si era allontanato dal gruppo principale nella speranza di trovare cibo. Il resto penso che giungerà presto.» Le Fanciulle annuirono.

Perrin gesticolò costernato verso il gruppo di gente. «Allora loro non dovrebbero essere qua fuori. Perché non li hai mandati via?»

Fu Ihvon, facendo avanzare il cavallo grigio tra la folla, a rispondere. «Non sembra che la tua gente voglia ascoltare dei forestieri, non quando possono guardare delle Aes Sedai. Suggerisco di provarci tu.»

Perrin era certo che quegli uomini avrebbero potuto imporre l’ordine se ci avessero provato sul serio. Verin e Alanna avrebbero potuto certamente farlo. Allora perché hanno atteso per lasciare a me l’incarico, se si aspettano l’arrivo dei Trolloc? si chiese. Sarebbe stato facile spiegare tutto con il ta’veren — facile e stupido. Ihvon e Tomas non si sarebbero lasciati ammazzare dai Trolloc — o Verin e Alanna — per il desiderio che un ta’veren dicesse loro cosa fare. Le Aes Sedai lo stavano manovrando, mettendo tutti a rischio, forse anche loro stesse. Ma per quale possibile scopo? Perrin incontrò lo sguardo di Faile e la ragazza annuì leggermente, come se sapesse cosa stava pensando.

Non aveva tempo di scoprirlo adesso. Osservando la folla vide Bran al’Vere, che parlava con Tam al’Thor e Abell Cauthon. Il sindaco aveva una lancia appoggiata alla spalla e un elmetto ammaccato in testa. Indossava anche un giustacuore di pelle coperto di dischi di metallo. I tre uomini guardarono in alto quando Perrin fece avanzare Stepper tra la folla per recarsi da loro. «Bain dice che i Trolloc si stanno dirigendo da questa parte e i Custodi ritengono che potremmo essere attaccati presto.» Dovette gridare a causa dell’incessante brusio delle voci. Alcuni di quelli più vicini sentirono e rimasero in silenzio, il silenzio si propagava a onde sulle parole ‘Trolloc’ e ‘attacco’.

Bran batté gli occhi. «Sì. Doveva accadere, no? Sì, be’, sappiamo cosa fare.» Avrebbe dovuto sembrare buffo con il giustacuore pronto a esplodere e l’elmetto che dondolava quando annuiva, ma sembrava solo determinato. Alzando la voce annunciò: «Perrin ci ha comunicato che i Trolloc saranno qui a breve. Conoscete tutti i vostri posti. Veloci adesso, veloci.»

La folla si agitò e si mise in movimento, le donne riportavano i bambini a casa, gli uomini si sparpagliavano in tutte le direzioni. La confusione sembrò aumentare invece di diminuire. «Farò rientrare i pastori» disse Abell a Perrin. quindi si amalgamò con la folla.

Cenn Buie si fece largo nel gruppo, usando un’alabarda per guidare Hari Coplin e il fratello Darl con i visi amareggiati e il vecchio Bili Congar, che ondeggiava come se fosse già pieno di birra alla mattina, cosa che probabilmente era vera. Dei tre, Bili era quello che portava la lancia come se intendesse usarla. Cenn si toccò la fronte guardando Perrin in una specie di saluto. Lo fece anche un certo numero di uomini. Questa cosa lo mise a disagio. Dannil e i ragazzi erano una cosa, ma questi uomini avevano più del doppio dei suoi anni.

«Stai andando bene» lo incoraggiò Faile.

«Vorrei sapere cosa hanno in mente Verin e Alanna» mormorò. «E non intendo dire in questo momento.» Due delle catapulte che avevano costruito i Custodi si trovavano da questo lato del villaggio, oggetti squadrati più alti di un uomo, tutti di legno pesante e spesse corde ritorte. In groppa ai cavalli Ihvon e Tomas stavano supervisionando la manovra di abbassamento degli spessi travi. Le due Aes Sedai erano più interessate alle grandi pietre, fra i cinque e i sette chili ciascuna, che venivano caricate in alcune coppe alle estremità di quei travi.

«Vogliono che tu sia il capo» rispose tranquilla Faile. «Credo sia ciò per cui sei nato.»

Perrin sbuffò. Era nato per essere un fabbro. «Mi sentirei molto più a mio agio se sapessi perché lo vogliono.» Le Aes Sedai lo stavano guardando, Verin con il capo reclinato, come gli uccelli, Alanna con uno sguardo franco e un lieve sorriso. Volevano entrambe la stessa cosa e per lo stesso motivo? Quello era uno dei problemi con le Aes Sedai: c’erano sempre più domande che risposte.

L’ordine giunse con sorprendente velocità. Da questo lato del villaggio un centinaio di uomini inginocchiati su una gamba proprio dietro i pali toccava a disagio lance o alabarde o qualche bastone da combattimento sormontato da un uncino o una falce. Di tanto in tanto qualcuno indossava un elmetto o un’armatura. Alle loro spalle almeno il doppio degli uomini formava due file di arcieri armati con degli ottimi archi lunghi dei Fiumi Gemelli, ognuno con un paio di faretre alle cinture. I ragazzi giovani arrivavano di corsa dalle abitazioni con altre frecce che gli uomini conficcavano nel terreno a punta in giù davanti ai loro piedi. Sembrava che Tam comandasse il gruppo, allineando i ranghi e dicendo qualche parola a ogni uomo, ma Bran marciava al suo fianco, offendo anche il suo incoraggiamento. A Perrin non sembrava che avessero affatto bisogno di lui.

Con sua sorpresa, Dannil, Ban e tutti gli altri ragazzi che avevano cavalcato con lui uscirono correndo dal villaggio per circondare lui e Faile, tutti armati di arco. In un certo senso sembravano strani. Le Aes Sedai dovevano aver guarito i feriti più gravi, lasciando gli altri agli impiastri e agli unguenti di Daise: chi il giorno prima si aggrappava a malapena alla sella adesso camminava pieno di spirito, mentre Dannil, Tell e qualche altro ancora zoppicavano o erano bendati. Se era sorpreso di vederli, fu disgustato da ciò che gli portarono. Leof Torfinn, le bende avvolte attorno al capo come un cappello chiaro sopra gli occhi infossati, l’arco a tracolla, portava una lunga asta con una versione più piccola della bandiera bordata di rosso con la testa di lupo.

«Credo che l’abbia fatta fare una delle Aes Sedai» spiegò Leof quando Perrin chiese da dove provenisse. «Milli Ayellin l’ha data al papà di Wil, ma Wil non voleva portarla.» Wil al’Seen sollevò leggermente le spalle.

«Nemmeno io avrei voluto portarla» disse asciutto Perrin. Dopo un minuto risero tutti come se fosse stata una battuta, anche Wil.

Il recinto di pali sembrava abbastanza crudele, ma anche abbastanza ridicolo per tenere i Trolloc fuori dal villaggio. Forse avrebbe resistito, ma non voleva che Faile rimanesse lì se fossero riusciti a superare lo sbarramento. Quando però la guardò, aveva di nuovo quello sguardo negli occhi come se sapesse cosa stava pensando. E non gli piaceva. Se provava a rimandarla indietro, avrebbe discusso e fatto resistenza, rifiutando di vedere un qualcosa di sensato nelle parole di Perrin. Per come si sentiva debole in quel momento, probabilmente Faile aveva più possibilità di riportarlo alla locanda che non il contrario. Il modo feroce in cui stava seduta in sella indicava che probabilmente era lei che intendeva difenderlo se i Trolloc avessero fatto irruzione. Doveva solo tenerla d’occhio, era tutto quello che c’era da fare.

D’improvviso Faile sorrise e gli grattò la barba. Forse poteva davvero leggergli nella mente.

Il tempo passava e il sole saliva, il giorno riscaldava gli edifici. Di tanto in tanto da una casa una donna gridava per chiedere cosa stesse succedendo. Ognuno era pronto a sedersi ovunque, ma Tam o Bran gli era subito addosso prima che riuscisse a incrociare le gambe, rimandandolo subito fra le linee. A non più di due o tre chilometri, aveva detto Baia. Lei e Chiad stavano sedute vicino ai pali, giocando a qualcosa che comportava conficcare un pugnale a terra fra loro. Certamente se stavano arrivando i Trolloc, ormai sarebbero giunti. Cominciava a trovare difficile restare seduto con la schiena dritta. Consapevole degli occhi attenti di Faile mantenne la schiena rigida.

E suonò un corno, divampante e acuto.

«Trolloc» gridò una mezza dozzina di persone, e delle sagome bestiali vestite di cotta di maglia nera sciamarono fuori dal Bosco Occidentale, ululando mentre correvano sul terreno coperto di ceppi, agitando spade ricurve come falci e asce chiodate, lance e tridenti. Alle loro spalle cavalcavano tre Myrddraal su dei cavalli neri, che andavano avanti e indietro come a voler guidare i Trolloc. I mantelli neri come la morte pendevano immoti, non importava quanto le loro cavalcature caricassero e girassero. Il corno suonava costantemente in alti e pressanti trilli.

Venti frecce partirono non appena apparvero i primi Trolloc, il lancio più forte cadde a un centinaio di passi di distanza.

«Aspettate, cervelli di pecora dementi!» gridò Tam. Bran saltò e gli rivolse un’occhiata stupita, non meno incredula di quelle provenienti dagli amici e vicini di Tam, alcuni si lamentavano che non avrebbero sopportato un tale linguaggio, Trolloc o no. Tam ignorò le proteste. «Aspetterete finché non darò l’ordine, come vi ho mostrato!» Quindi, come se un centinaio di Trolloc urlanti non gli stesse correndo incontro, Tam si rivolse con calma a Perrin. «A trecento passi?»

Perrin annuì velocemente. L’uomo chiedeva il suo parere? Trecento passi. A che velocità un Trolloc avrebbe coperto trecento passi? Allentò l’ascia dal cinturone. Quel corno si lamentava costantemente. I lancieri si accovacciarono dietro il recinto di pali come se si stessero sforzando di non arretrare. Gli Aiel si erano velati i volti.

La marea di grida giunse in avanti, tutte teste cornute e facce munite di becchi e musi, ognuna alta una volta e mezzo un uomo che gridava assetata di sangue. Cinquecento passi. Quattrocento. Alcuni stavano avanzando rispetto al gruppo. Correvano veloci come i cavalli. Gli Aiel avevano ragione? Potevano essere solo cinquecento? Sembravano migliaia.

«Pronti!» gridò Tam, e duecento archi si sollevarono. I giovani uomini con Perrin si misero velocemente in formazione davanti a lui imitando gli adulti, allineandosi con quella stupida bandiera.

Trecento passi. Perrin vedeva chiaramente quelle facce deformi, contorte dalla rabbia e dalla frenesia, come se gli fossero addosso.

«Lanciare!» gridò Tam. Le corde degli archi echeggiarono come un unico schiocco di frusta. Con il doppio fragore di travi contro altre travi coperte di pelle, le catapulte fecero fuoco.

Decine di frecce dalla punta larga piovvero sopra i Trolloc. Le figure mostruose caddero, ma alcune si rialzarono barcollanti e proseguirono, pungolate dai Fade.

Quel corno si fuse con le loro grida gutturali, suonando impaziente per le uccisioni. Le pietre lanciate dalle catapulte caddero sui mostri — ed esplosero in fuoco e frammenti, aprendo varchi fra le masse. Perrin non fu il solo a saltare: allora era quello che stavano facendo le Aes Sedai con le catapulte! Si chiese cosa sarebbe accaduto se avessero fatto cadere una di quelle pietre mentre la caricavano nelle catapulte.

Un’altra serie di frecce ricadde sugli aggressori, poi un’altra e un’altra ancora, ripetutamente, più altre pietre dalle catapulte, anche se più lentamente. Le esplosioni fiammeggianti dilaniavano i Trolloc. Le grandi punte delle frecce grandinavano su di loro. E questi venivano avanti, gridando, ululando, cadendo e morendo, ma sempre correndo avanti. Adesso erano vicini, abbastanza da far sparpagliare gli arcieri, i quali non scagliavano più le frecce a pioggia ma puntavano bersagli precisi. Gli uomini gridavano furiosi in faccia alla morte mentre scagliavano le frecce.

A un certo punto non vi furono più Trolloc in piedi. Solo un Fade, coperto di frecce ma che ancora si agitava alla cieca. Le grida acute del cavallo morente del Myrddraal competevano con i lamenti e le grida dei Trolloc abbattuti e agonizzanti. Finalmente il corno aveva smesso di suonare. Di tanto in tanto nel campo cosparso di ceppi un Trolloc si alzava e ricadeva. Sotto tutto a quel rumore Perrin poteva sentire gli uomini affannati quasi avessero corso per quindici chilometri. Anche il suo cuore sembrava battere all’impazzata.

Di colpo qualcuno gridò «Urrà!» e allora gli uomini incominciarono a fare capriole e a gridare euforici, agitando sopra le teste gli archi o qualsiasi altra cosa avessero in mano e lanciando i cappelli in aria. Le donne uscirono subito da casa, ridendo e acclamando, e i bambini celebravano e danzavano con gli uomini. Alcuni giunsero di corsa per afferrare Perrin per una mano e stringerla.

«Ci hai guidati a una grande vittoria, ragazzo mio» gli disse Bran sorridendo. Aveva l’elmetto di metallo di traverso sulla testa. «Immagino che non dovrei più chiamarti così. Una grande vittoria, Perrin.»

«Non ho fatto nulla» protestò. «Me ne sono semplicemente rimasto seduto a cavallo, siete stati voi.» Bran non lo stava ascoltando, come gli altri.

Imbarazzato Perrin rimase seduto dritto in sella, facendo finta di osservare il campo, e dopo un po’ lo lasciarono da solo.

Tam non si era unito ai festeggiamenti, era rimasto vicino alla staccionata a studiare i Trolloc. Nemmeno i Custodi ridevano. Le sagome vestite di cotta di maglia nera coprivano il suolo fra i bassi ceppi. Potevano essere cinquecento. Forse meno. Alcuni potevano essere scappati fra gli alberi. Nessuno giaceva più vicino di cinquanta passi dal recinto. Perrin trovò gli altri due Fade che si dibattevano a terra. Questo valeva per tutti e tre: prima o poi avrebbero ammesso di essere morti.

La gente dei Fiumi Gemelli acclamò tuonante per lui «Perrin Occhidoro! Urrà! Urrà! Urrà!»

«Dovevano sapere» mormorò. Faile lo guardò con aria interrogativa. «I Mezzi Uomini dovevano sapere che questo attacco non avrebbe funzionato. Guarda. Anche io posso vederlo adesso, devono essersene accorti fin dall’inizio. Se questo era tutto quello che avevano, perché ci hanno provato? E se là fuori ci sono più Trolloc, perché non sono venuti? Se fossero stati il doppio avremmo dovuto combatterli al recinto. Forse sarebbero riusciti a entrare nel villaggio.»

«Hai un buon occhio» gli disse Tomas, avvicinandosi a cavallo. «Questa era una prova. Per vedere se sareste crollati davanti a una carica, forse per vedere con quale velocità reagivate, o come erano organizzate le vostre difese, o forse qualcosa a cui non ho pensato, ma pur sempre una prova. Adesso hanno visto.» Indicò il cielo, dove un corvo solitario volava sopra al campo. Un corvo normale sarebbe atterrato per mangiare dai cadaveri. L’uccello completò un ultimo giro e si diresse verso la foresta. «Il prossimo attacco non sarà immediato. Ho visto due o tre Trolloc raggiungere la foresta, per cui spargeranno parola sull’accaduto. I Mezzi Uomini dovranno riuscire a convincerli che hanno più paura dei Myrddraal che di morire. L’attacco in ogni caso giungerà, e di certo sarà più forte di questo. Dipenderà da quanti Trolloc i Senza Volto si sono portati attraverso le Vie.»

Perrin fece una smorfia. «Luce! Cosa facciamo se sono diecimila?»

«È improbabile» intervenne Verin, facendosi avanti per carezzare il cavallo di Tomas sul collo. Il cavallo da combattimento si lasciò toccare mite. «Almeno non ancora. Nemmeno un Reietto può muovere al sicuro un gruppo così grande attraverso le Vie, almeno penso. Un uomo da solo rischia la morte o la pazzia fra due Porte delle Vie vicine, ma... diciamo... mille uomini, o mille Trolloc, molto probabilmente in pochi minuti attirerebbero Machin Shin, una vespa mostruosa attratta verso un vaso di miele. È molto più probabile che si muovano a gruppi di dieci o venti, al massimo cinquanta, e i gruppi sono distanziati. Naturalmente rimane la domanda di quanti gruppi abbiano portato e con che intervallo. E comunque ne perderebbero alcuni. Può darsi che la progenie dell’Ombra attiri Machin Shin meno degli umani, però... hmmrn. Pensiero affascinante. Mi chiedo se...» Dando qualche colpetto sulla gamba di Tomas come aveva fatto con il cavallo si voltò per andare via, già persa nei suoi studi. Il Custode spronò il cavallo appresso a lei.

«Se cavalchi anche un passo vicino al Bosco Occidentale» gli ingiunse con calma Faile «ti trascino indietro alla locanda per un orecchio e ti infilo nel letto di persona.»

«Non ci stavo pensando» mentì Perrin, facendo girare Stepper per volgere le spalle alla foresta. Un uomo e un Ogier forse potevano passare inosservati e giungere sani e salvi alle montagne. Avrebbero potuto. Le Porte delle Vie dovevano essere bloccate per sempre se volevano dare a Emond’s Field una possibilità. «Mi hai convinto a non farlo, ricordi?» Un altro uomo poteva trovarli, sapendo dov’erano. Tre paia di occhi potevano fare una guardia migliore di due, soprattutto se un paio erano i suoi, e certamente qui non stava combinando nulla. I suoi indumenti pieni di paglia e piazzati in groppa a Stepper avrebbero avuto lo stesso effetto.

Di colpo sopra alle grida e il trambusto che lo circondavano sentì delle grida secche, un clamore proveniente da sud, vicino alla Vecchia strada. «Ha detto che non sarebbero tornati presto!» gridò Perrin, affondando i talloni nei fianchi di Stepper.

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