47 La verità di una visione

Per Siuan Sanche le carte sparpagliate sulla scrivania erano poco interessanti, ma insisteva a controllarle. Altre si occupavano dell’ordinaria amministrazione quotidiana della Torre Bianca, al fine di lasciare libera l’Amyrlin Seat per le decisioni importanti, ma era sua abitudine controllare a caso una o due carte quotidianamente senza preavviso e non l’avrebbe interrotta adesso. Non avrebbe permesso alle preoccupazioni di distrarla. Tutto procedeva secondo i piani prestabiliti. Sistemando la stola striata, intinse con attenzione la penna nell’inchiostro e fece un segno vicino a un altro totale corretto.

Quel giorno stava esaminando le liste degli acquisti per la cucina e il resoconto del muratore per un lavoro nella biblioteca. Il numero totale di gretti speculatori che pensavano di farla franca la sorprendeva sempre. Come anche il numero di quelli che sfuggivano all’attenzione delle donne che avrebbero dovuto controllarli. Per esempio, Laras sembrava pensare che la revisione dei conti non fosse di sua competenza, visto che il suo titolo era stato cambiato ufficialmente da semplice capocuoca a responsabile delle cucine. Dal canto suo Danelle, la giovane Sorella Marrone che in teoria doveva controllare mastro Jovarin, il muratore, molto probabilmente lasciava che i libri che il tizio continuava a procurarle la distraessero. Solo così poteva spiegarsi il fatto che non avesse fatto domande sul numero di aiutanti che Jovarin sosteneva di aver assunto, con il primo carico di pietre appena arrivate al molo nord da Kandor. Con tutti quegli uomini avrebbe potuto ricostruire l’intera biblioteca. Danelle sognava troppo, anche per una Marrone. Forse un po’ di tempo trascorso in una fattoria a scontare una punizione l’avrebbe svegliata. Imporre disciplina a Laras sarebbe stato più difficile. Non era un’Aes Sedai, per cui la sua autorità con aiutocuoche, sguattere e aiutanti poteva essere annientata facilmente. Ma forse anche lei poteva essere mandata a ‘riposare’ in campagna. Ciò avrebbe...

Sbuffando disgustata, Siuan abbassò la penna guardando la macchia che aveva fatto su una pagina di somme. «Sprecare il mio tempo a decidere se è il caso di mandare Laras a estirpare erbacce» borbottò. «La donna è troppo grassa per chinarsi fino a terra!»

Non era il peso di Laras che le aveva fatto perdere la pazienza e lo sapeva, la donna non era più pesante di quanto non fosse sempre stata, o sembrata, e non aveva mai interferito con la sua efficienza in cucina. Non c’erano notizie nuove. Questa era la ragione che la faceva scattare come un martin pescatore al quale avevano rubato la preda. Un messaggio da Moiraine che il ragazzo al’Thor aveva Callandor, quindi niente altro, anche se le voci per strada iniziavano già a pronunciare correttamente il suo nome. Nulla.

Sollevò il coperchio della scatola decorata di legno nero dove custodiva le carte più segrete, e vi frugò dentro. Una piccola tessitura di protezione attorno alla scatola assicurava che nessuna mano tranne la sua potesse aprirla con sicurezza.

La prima carta che estrasse era un rapporto secondo cui la novizia che aveva assistito all’arrivo di Min era scomparsa dalla fattoria dove era stata mandata, insieme alla donna che possedeva la fattoria. Non si era quasi mai sentito di una novizia che fuggiva, ma che anche la fattrice se ne fosse andata era preoccupante. Sahra doveva essere trovata — non aveva fatto abbastanza progressi nell’addestramento per essere lasciata libera — ma non c’era un vero motivo per custodire il rapporto nella scatola. Non menzionava il nome di Min o il motivo per cui la ragazza era stata mandata a zappare i cavoli, ma lo ripose in ogni caso. Questi erano giorni in cui bisognava prestare attenzione a cose che in un altro momento sarebbero sembrate illogiche.

Una descrizione di una riunione nel Ghealdan per ascoltare questo uomo che si definiva il Profeta del lord Drago. Pareva si chiamasse Masema. Strano. Quello era un nome shienarese. Quasi diecimila persone erano venute ad ascoltarlo parlare da una collina mentre proclamava il ritorno del Drago, un discorso seguito da una battaglia con i soldati che avevano cercato di disperdere la folla. A parte il fatto che i soldati sembravano aver avuto la peggio, la cosa interessante era che questo Masema conosceva il nome di Rand al’Thor. Quel documento ritornò senza esitazioni nella scatola.

Un rapporto riferiva che nulla era stato trovato di Mazrim Taim. Anche questo non aveva motivo di essere lì. Un altro sulle condizioni dell’Arad Doman e Tarabon che peggioravano. Navi che scomparivano lungo le coste dell’oceano Aryth. Voci di incursioni di Tairen a Cairhien. Aveva preso l’abitudine di mettere tutto in questa scatola, ma nessuna di quelle carte aveva bisogno di essere mantenuta segreta. Due Sorelle erano scomparse a Illian e un’altra a Caemlyn. Rabbrividì, chiedendosi dove fossero i Reietti. Troppe delle sue agenti tacevano. Là fuori c’erano pesci leone e lei nuotava nell’oscurità. L’aveva trovato. Il foglio di carta era sottile come seta e crepitò mentre lo srotolava.

La fionda è stata usata. Il pastore ha la spada.

Il Consiglio della Torre aveva votato come si aspettava, all’unanimità, e senza bisogno di andare attraverso un braccio di ferro e ancor meno del suo intervento. Se un uomo aveva sguainato Callandor doveva essere il Drago Rinato e quell’uomo doveva essere guidato dalla Torre Bianca. Tre Adunanti di tre Ajah differenti avevano proposto di tenere tutti i piani limitati al Consiglio prima che venissero proposti. La sorpresa era che una di loro fosse Elaida, ma in fondo le Rosse avrebbero voluto mantenere le corde il più stretto possibile su un uomo che poteva incanalare. L’unico problema era stato evitare che venisse mandata una delegazione a Tear a prelevarlo; non era stato particolarmente difficile, non quando fu in grado di annunciare che la notizia giungeva da un’Aes Sedai che era già riuscita ad avvicinarsi all’uomo.

Ma cosa stava facendo ora Rand? Perché Moiraine non aveva inviato altre notizie? L’impazienza adesso era così forte nel Consiglio che quasi si aspettava di vedere l’aria sfavillare. Siuan mantenne un controllo severo sulla sua ira. Che la donna sia folgorata! Perché non ha inviato altre notizie? si chiedeva.

La porta fu spalancata e Siuan si drizzò furiosa mentre più di una dozzina di donne entrava nel suo studio, con Elaida in testa. Tutte indossavano gli scialli di appartenenza, la maggior parte con le frange rosse, ma c’era Alviarin dal viso freddo, una Bianca, al fianco di Elaida, Joline Maza, una snella Verde, la paffuta Shemerin delle Gialle e Danelle, i grandi occhi azzurri per nulla sognanti. In realtà c’era almeno una donna per ogni Ajah tranne quella Azzurra. Alcune sembravano nervose, ma la maggior parte aveva un’espressione di risoluta determinazione; negli occhi scuri di Elaida si leggeva una severa sicurezza, addirittura trionfo.

«Cosa significa tutto ciò?» scattò Siuan chiudendo la scatola nera con un forte schianto. Balzò in piedi e oltrepassò la scrivania. Prima Moiraine e adesso questo! «Se la vostra incursione riguarda la faccenda di Tairen, Elaida, sai bene cosa fare invece di coinvolgere altre persone. E sai anche bene che non dovresti entrare qui come se questa fosse la cucina di tua madre! Scusati e vai via prima che ti faccia desiderare di tornare a essere una novizia ignorante!»

La sua rabbia fredda avrebbe dovuto allontanarle tutte, ma anche se alcune cambiarono posizione a disagio, nessuna si diresse verso la porta. La minuta Danelle addirittura rideva compiaciuta. Elaida allungò tranquilla un braccio e rimosse la stola a strisce dalle spalle di Siuan. «Non avrai più bisogno di questa» la ammonì. «Non sei mai stata idonea, Siuan.»

Lo stupore pietrificò la lingua di Siuan. Questa era follia. Era impossibile. Furiosa si protese verso saidar e... subì il secondo colpo. Fra lei e la Vera Fonte c’era una barriera, come una parete di spesso vetro. Fissò incredula Elaida.

Come per prenderla in giro, il bagliore di saidar si diffuse attorno a Elaida. Siuan era in piedi indifesa mentre la Sorella Rossa intesseva flussi di Aria attorno a lei, dalle spalle alla vita, bloccandole le braccia lungo i fianchi. Riusciva appena a respirare. «Devi essere pazza!» gridò con voce stridula. «Tutte voi! Vi farò scorticare per questo! Rilasciatemi!» Nessuna rispose, sembravano quasi ignorarla.

Alviarin frugò le carte sul tavolo, velocemente ma senza fretta. Joline, Danelle e le altre iniziarono a inclinare i libri sui leggii, scuotendoli per vedere se qualcosa cadeva dalle pagine. La Sorella Bianca emise un sibilo di irritazione nel non trovare ciò che stava cercando, quindi aprì il coperchio della scatola di legno nero. Istantaneamente la scatola esplose in una palla di fuoco.

Alviarin balzò indietro gridando, scuotendo la mano sulla quale stavano già formandosi le vesciche. «Uno schermo» mormorò, vicina alla rabbia pura quanto poteva una Bianca. «Così piccolo che non l’ho sentito finché non è stato troppo tardi.» Nulla rimaneva della scatola e del suo contenuto se non un mucchietto di ceneri grigie nella traccia quadrata carbonizzata sulla scrivania. Sul viso di Elaida non vi era alcun disappunto. «Ti garantisco, Siuan, che mi rivelerai ogni parola che si è incendiata, a chi erano rivolte e per quale scopo.»

«Devi essere posseduta dal Drago!» scattò Siuan. «Avrò la tua pelle per questo, Elaida! Sarai fortunata se il Consiglio della Torre non voterà per farti quietare!»

Il flebile sorriso di Elaida non le raggiungeva gli occhi. «Il Consiglio si è riunito nemmeno un’ora fa — un numero sufficiente di Adunanti secondo le regole — e per voto unanime, come richiesto, non sei più l’Amyrlin. È cosa fatta, e adesso siamo qui per vedere che venga rispettato.»

Lo stomaco di Siuan divenne di ghiaccio e una vocina in fondo alla testa gridò. Cosa sanno? Luce, quanto sanno? Sciocca! Cieca, sciocca donna! pensava, mantenendo però il viso inespressivo. Questa non era la prima situazione difficile in cui si trovava. Una ragazzina di quindici anni con solo il coltello per l’esca, trascinata in un corridoio da quattro zoticoni dagli occhi duri con gli stomaci pieni di vino scadente... era stato più difficile fuggire da quella situazione che da questa. Almeno così si diceva.

«Un numero sufficiente secondo la legge?» ghignò. «Giusto il minimo, composto da tue amiche e quelle che hai potuto costringere o influenzare.» Che Elaida fosse stata in grado di influenzare anche un piccolo numero di Adunanti era già abbastanza da seccarle la gola, ma non lo avrebbe mostrato. «Quando tutto il Consiglio si riunirà, con tutte le Adunanti, scoprirai il tuo errore. Troppo tardi! Non c’è mai stata una ribellione nella Torre; fra mille anni il tuo destino verrà usato per insegnare alle novizie cosa accade alle ribelli.» Su alcuni volti apparvero tracce di dubbio, sembrava che Elaida non avesse sulle cospiratrici una presa forte come pensava. «È il momento di smettere di cercare di aprire una falla nello scafo e iniziare a scusarsi. Anche tu puoi ancora ridurre la tua offesa, Elaida.»

Elaida attese con fredda calma che Siuan finisse. Quindi la schiaffeggiò con la massima forza. Siuan barcollò vedendo davanti agli occhi dei puntini argentati.

«Sei finita» le rispose Elaida. «Pensavi che io — noi — ti avremmo permesso di distruggere la Torre? Prendetela!»

Siuan inciampò mentre due Rosse la spingevano avanti. Riuscendo appena a tenersi in piedi le guardò furiosa, ma fece quello che le ordinarono. Con chi aveva bisogno di parlare? Qualsiasi accusa fosse stata elevata, poteva opporsi a ognuna, se le avessero dato il tempo. Anche le accuse che coinvolgevano Rand. Non potevano legarla ad altro che a voci, e aveva giocato al Grande Gioco troppo a lungo per essere battuta da semplici dicerie. A meno che non avessero Min; Min poteva rivestire le voci di verità. Digrignò i denti. Che la mia anima sia folgorata! Userò questo gruppo come esca per pescare! pensò.

Nell’anticamera inciampò ancora, ma stavolta non perché era stata spinta. Aveva quasi sperato che Leane fosse lontana dalla sua postazione, ma la Custode era immobilizzata come Siuan, con le braccia rigide lungo i fianchi, furiosa, la bocca che si muoveva silenziosamente, attorno a un bavaglio di Aria. Certamente aveva percepito che Leane veniva legata senza rendersene conto. Nella Torre c’era sempre la sensazione di donne che incanalavano.

Eppure non fu la vista di Leane che la fece inciampare, ma l’alto uomo dai capelli grigi disteso in terra con un pugnale che gli spuntava in mezzo alla schiena. Alric era stato il suo Custode per quasi vent’anni, senza mai lamentarsi quando la sua strada l’aveva portata nella Torre, senza mai protestare quando il fatto di essere il Custode dell’Amyrlin lo mandava a centinaia di leghe da lei, una cosa che non piaceva a nessuno dei Gaidin.

Siuan si schiarì la gola, ma la voce era ancora secca quando parlò. «Farò salare e distendere al sole la tua pelle per questo, Elaida. Lo giuro!»

«Pensa alla tua di pelle, Siuan» le rispose Elaida, avvicinandosi per fissarla negli occhi. «C’è più di quanto è stato rivelato sino a ora. Lo so. E mi dirai tutto. Ogni minimo dettaglio.» La calma improvvisa nella voce della donna era più inquietante di tutti quegli sguardi duri. «Te lo prometto, Siuan. Portatela giù!»

Tenendo in mano dei rotoli di seta azzurra Min attraversava il Cancello Nord quasi verso mezzogiorno, la gonna leggermente sollevata, pronta a esibirsi nel sorriso e nella riverenza che Elmindreda avrebbe offerto alle guardie con la Fiamma di Tar Valon ricamata sul petto. Iniziò prima ancora di accorgersi che non c’erano guardie. La porta del corpo di guardia, con la pesante chiusura in ferro a forma di stella, era aperta, e la stanza sembrava vuota. Era impossibile. Nessun cancello che immetteva nel territorio della Torre veniva mai lasciato incustodito. A metà strada dal fusto bianco che era la Torre, un pennacchio di fumo saliva sopra agli alberi. Sembrava vicino alle residenze dei giovani uomini che studiavano sotto le direttive dei Custodi. Forse era stato il fuoco a far allontanare le guardie.

Sempre sentendosi a disagio si incamminò lungo il sentiero di terra battuta nella parte alberata del terreno, muovendo tra le mani i rotoli di seta. Non voleva davvero un altro vestito, ma come poteva rifiutarsi quando Laras le aveva infilato un sacchetto d’argento fra le mani e le aveva detto di usarlo per questa seta che aveva visto? Sosteneva che era esattamente il colore che avrebbe esaltato la carnagione di Elmindreda. Che volesse o no, era meno importante che mantenersi buona Laras.

Le giunse all’orecchio il clangore delle spade fra gli alberi. Probabilmente i Custodi stavano facendo studiare gli apprendesti più duramente del solito.

Era tutto molto irritante. Laras e i suoi consigli di bellezza, Gawyn con le sue battute, Galad che le faceva i complimenti senza mai accorgersi delle conseguenze che provocava sul cuore di una donna. Era così che Rand la voleva? L’avrebbe davvero vista se avesse indossato abiti e sorriso come una smorfiosa senza cervello?

Non ha il diritto di aspettarselo, pensò furiosa. Era tutta colpa sua. Adesso lei non si troverebbe qui, indossando uno stupido vestito e sorridendo come un’idiota, se non fosse stato per lui. Io indosso giubba e brache e questo è tutto! Forse indosserò un vestito ogni tanto — forse! — ma non per far sì che gli uomini mi guardino! Scommetto che sta fissando qualche donna di Tairen con metà del seno di fuori proprio in questo minuto. Anche io posso indossare un abito come quelli. Vedremo cosa penserà quando mi vedrà con questa seta azzurra indosso. Mi farò fare una scollatura fino... ma cosa stava pensando? L’uomo l’aveva derubata della sua intelligenza! L’Amyrlin Seat la stava trattenendo qui rendendola inutile e Rand al’Thor le stava confondendo il cervello! Che sia folgorato! Che sia folgorato per avermi fatto tutto questo!

Il clangore delle spade giunse nuovamente da lontano e Min si fermò quando un’orda di giovani uomini sbucò fra gli alberi davanti a lei portando lance e spade, con Gawyn in testa. Ne aveva riconosciuti altri, fra quelli che erano venuti a studiare con i Custodi. Poi giunsero nuove grida e un boato di uomini furiosi.

«Gawyn! Cosa sta succedendo?»

Il ragazzo roteò al suono della sua voce. La preoccupazione e la paura gli colmavano gli occhi azzurri e il viso era una maschera di determinazione a non cedere a quelle emozioni. «Min. Cosa stai facendo...? Vai via, Min. È pericoloso.» Un gruppo di giovani uomini corse avanti, ma la maggior parte lo aspettò impazientemente. A Min sembrava che quasi tutti gli studenti dei Custodi fossero presenti.

«Dimmi cosa sta accadendo, Gawyn!»

«L’Amyrlin è stata deposta stamattina. Vai via, Min!»

I rotoli di seta le caddero dalle mani. «Deposta? Non può essere! Come? Perché? Nel nome della Luce, perché?»

«Gawyn!» gridò uno dei giovani uomini e altri si aggiunsero brandendo le spade. «Gawyn! Il Cinghiale Bianco! Gawyn!»

«Non ho tempo» le disse pressante. «Ci sono combattimenti ovunque. Si dice che Hammar stia cercando di liberare Siuan Sanche. Devo andare alla Torre, Min. Vai via! Per favore!»

Quindi si voltò e si diresse verso la Torre. Gli altri lo seguirono agitando le armi sollevate, alcuni ancora gridando «Gawyn! Il Cinghiale Bianco! Gawyn! Avanti i Cuccioli!»

Min li fissò. «Non mi hai detto da quale parte stai, Gawyn» sussurrò.

Il rumore della battaglia era più forte, più chiaro, adesso che vi prestava attenzione, come le grida e gli urli, il clangore dell’acciaio contro l’acciaio, che sembravano provenire da ogni direzione. Il clamore le fece accapponare la pelle e tremare le ginocchia. Non stava succedendo, non qui. Gawyn aveva ragione. Sarebbe stata la cosa più sicura e più furba allontanarsi immediatamente dalla Torre. Solo che non c’era modo di dire quando e se le sarebbe stato consentito di tornare, e non riusciva a pensare che sarebbe riuscita a fare qualcosa di buono da fuori.

Di conseguenza non si voltò verso il cancello. Lasciando la seta in terra si affrettò tra gli alberi, alla ricerca di un nascondiglio. Non credeva che qualcuno avrebbe infilzato Elmindreda come un’oca — rabbrividendo desiderò di non aver avuto quel pensiero — ma non aveva senso correre rischi cretini. Prima o poi la battaglia doveva finire e allora avrebbe dovuto decidere la mossa successiva.

Nell’oscurità profonda della sua cella. Siuan aprì gli occhi, si mosse e trasalì, quindi rimase immobile. Era mattina, fuori? L’interrogatorio era andato avanti per molto tempo. Cercò di dimenticare il dolore nella lussuosa consapevolezza che ancora respirava. La pietra rozza sotto il corpo le graffiava il corpo percosso e livido sulla schiena. Il sudore bruciava nelle ferite — sentiva una massa unica di dolore dalle ginocchia alle spalle — e la faceva tremare nell’aria fredda. Potevano almeno avermi lasciato la sottoveste, pensò. L’aria odorava di vecchia polvere e muffa secca, di vecchio. Una delle celle profonde. Nessuno era stato rinchiuso qui fin dai tempi di Artur Hawkwing. Non dopo Bonwhin.

Fece una smorfia nel buio, non poteva dimenticare. Stringendo i denti si spinse su per sedersi sul pavimento di pietra e toccò il muro per appoggiarvisi. La pietra era fredda contro la schiena. Cose semplici, si disse. Pensa a cose semplici. Caldo. Freddo. Mi chiedo se mi porteranno dell’acqua. Se lo faranno.

Non poté fare a meno di cercare l’anello con il Gran Serpente. Non era più al dito. Non che se lo aspettasse, credeva di ricordare quando glielo avevano tolto. Dopo un po’ i ricordi erano diventati nebulosi. Per fortuna. Ma si ricordava di aver detto loro tutto. Quasi tutto. Godeva del piccolo trionfo di aver trattenuto qualcosa qua e là. Fra le risposte gridate, impaziente di rispondere se solo avessero smesso, anche solo per un po’, se solo... si strinse fra le braccia per smettere di rabbrividire. Non funzionava molto bene. Rimarrò calma. Non sono morta. Devo ricordarmi di questo prima di ogni altra cosa. Non sono morta, si disse. «Madre?» La voce incerta di Leane provenne dall’oscurità.

«Sei sveglia, madre?»

«Sono sveglia» sospirò Siuan. Aveva sperato che avessero rilasciato Leane, cacciandola dalla città. Si sentì in colpa nel provare conforto dalla presenza dell’altra donna nella cella. «Mi dispiace di averti coinvolta in tutto questo, figl...» No. Adesso non aveva il diritto di chiamarla a quel modo. «Mi dispiace, Leane.»

Vi fu un lungo momento di silenzio. «Stai bene... Madre?»

«Siuan, Leane. Solamente Siuan.» Pur non volendo cercò di abbracciare saidar. Non c’era nulla qui. Non per lei. Solo un gran vuoto interiore. Mai più. Una vita di intenti e adesso era senza rotta, alla deriva in un mare più scuro della sua cella. Si asciugò una lacrima dal viso, arrabbiata per averla lasciata sgorgare. «Non sono più l’Amyrlin Seat, Leane.» Parte della rabbia filtrò nella voce. «Immagino che Elaida prenderà il mio posto, se non l’ha già fatto. Lo giuro, un giorno darò quella donna in pasto ai lucci!»

La sola risposta di Leane fu un lungo sospiro disperato.

Il rumore di una chiave infilata nel lucchetto arrugginito fece sollevare la testa di Siuan, nessuno aveva pensato di oliarla prima di gettarle in quella cella, e delle parti consumate non volevano girare. Torva, si costrinse ad alzarsi. «Alzati, Leane. Alzati.» Dopo un momento sentì l’altra donna assentire e borbottare fra i lamenti.

Con voce leggermente più alta Leane disse: «Per quale motivo?»

«Almeno non ci troveranno contorte e piangenti sul pavimento.» Cercò di rendere ferma la voce. «Possiamo lottare, Leane. Fino a che saremo vive, potremo lottare.» O Luce, mi hanno quietata! Mi hanno quietata! si disse in preda al panico.

Costringendosi a svuotare la mente strinse i pugni e cercò di affondare le dita dei piedi nel pavimento di pietre irregolari. Desiderava che il rumore che le sgorgava dalla gola non somigliasse così tanto a un piagnucolio.

Min appoggiò il fagotto in terra e riversò indietro il mantello per poter usare entrambe le mani sulla chiave. Lunga il doppio dei suoi palmi, era arrugginita come il lucchetto, proprio come le altre chiavi nel grande anello di ferro. L’aria era fredda e umida, come se l’estate non raggiungesse mai queste profondità.

«Sbrigati, bambina» la incitò Laras tenendo la lanterna per farle luce, scrutando da entrambi i lati del corridoio di pietra altrimenti buio. Era difficile credere che quella donna, con tutti quei menti, fosse mai stata bella, ma Min di certo la riteneva meravigliosa in questo momento.

Lottando con la chiave scosse il capo. Aveva incontrato Laras mentre si intrufolava nella sua stanza per indossare il semplice abito grigio da cavallo che indossava adesso e per altre cose. In realtà la grossa donna la stava cercando, eccitata dalla preoccupazione per Elmindreda, esclamando quanto fosse fortunata Min a essere sana e salva e proponendo di chiudersi a chiave nella stanza fino a quando non fosse tutto finito per mantenerla in vita. Non era ancora certa di come Laras fosse riuscita a estorcerle le sue vere intenzioni e ancora non riusciva a superare lo stupore di quando la donna con riluttanza aveva annunciato che l’avrebbe aiutata. Una ragazza avventurosa che segue il proprio cuore. Be’, spero che possa — come aveva detto? — spero che mi lasci fuori dalla pentola della salamoia, si rammentò Min. La maledetta chiave non voleva girare, impegnò tutto il peso del corpo in un altro tentativo.

Per la verità era grata a Laras per più di una ragione. Dubitava che sarebbe riuscita a preparare tutto da sola o anche a trovare ogni cosa, certamente non così in fretta. Inoltre... inoltre quando aveva incontrato Laras aveva già iniziato a dirsi che era sciocca anche solamente a pensare a quest’impresa, che avrebbe dovuto essere su un cavallo al galoppo verso Tear quando ancora ne aveva la possibilità, prima che qualcuno decidesse di aggiungere la sua testa a quelle che decoravano l’ingresso della Torre. Fuggire, sospettava, era il tipo di cosa che non sarebbe mai stata in grado di dimenticare. Solo quel pensiero era bastato a renderla grata al punto da non obbiettare quando Laras aggiunse qualche abito grazioso al bagaglio. Il trucco poteva sempre andare perduto da qualche parte. Perché questa maledetta chiave non vuole girare? Forse Laras può...

La chiave si spostò di colpo, con uno schiocco così forte che Min temette si fosse spezzata. Ma quando spinse, la rozza porta di legno si aprì. Raccolse il fagotto da terra ed entrò nella cella spoglia, fermandosi confusa.

La luce della lanterna rivelò due donne vestite solo di lividi e frustate rosse che si protessero gli occhi dalla luce improvvisa, ma per un attimo Min non fu certa che fossero le due donne giuste. Una era alta e con la pelle ramata, l’altra più bassa e robusta, più chiara. I visi sembravano quelli giusti — quasi giusti — e non toccati da qualsiasi cosa fosse stata fatta loro, per cui avrebbe dovuto esserne certa. Ma la mancanza di età che contrassegnava le Aes Sedai sembrava essere svanita, avrebbe dato a queste donne al massimo sei o sette anni più di lei. Arrossì per l’imbarazzo al pensiero. Non vedeva immagini, o aloni attorno alle due, c’erano sempre stati attorno alle Aes Sedai. Smettila, si disse.

«Dove...?» incominciò a chiedersi una delle due, quindi si interruppe per schiarirsi la gola. «Come avete preso quelle chiavi?» Era la voce di Siuan Sanche.

«È lei.» Laras sembrava incredula. Pungolò Min con un grosso dito. «Sbrigati, bambina! Sono troppo vecchia e lenta per avere avventure.»

Min le rivolse uno sguardo stupito, la donna aveva insistito per venire, non voleva essere lasciata fuori, aveva detto. Min voleva chiedere a Siuan perché le due sembravano improvvisamente molto più giovani, ma non c’era tempo per le domande stupide. Sono troppo maledettamente abituata a essere Elmindreda! Pensò.

Passando un fagotto a ogni donna nuda, parlò velocemente. «Abiti. Vestitevi più velocemente possibile. Non so quanto tempo abbiamo. Ho lasciato credere alla guardia che gli avrei dato qualche bacio in cambio di una visita, e quando era distratto, Laras è giunta alle sue spalle e lo ha colpito in testa con un matterello. Non so per quanto tempo resterà svenuto.» Si chinò per affacciarsi oltre la porta e osservare preoccupata nel corridoio verso la guardina. «Dobbiamo sbrigarci.»

Siuan aveva già disfatto il fagotto e iniziato a indossare gli abiti che conteneva. Tranne per la sottoveste di lino, erano tutti indumenti di semplice lana marrone, adatti per una contadina venuta alla Torre Bianca per consultarsi con le Aes Sedai, anche se le gonne divise per cavalcare erano un po’ insolite. Laras aveva fatto la maggior parte del lavoro, Min si era prevalentemente punta. Anche Leane si era vestita, ma sembrava più interessata alla corta lama di pugnale che pendeva dalla cintura che agli abiti.

Tre donne in abiti semplici avevano almeno una possibilità di lasciare la Torre senza attirare l’attenzione. Un numero di questuanti e persone che cercavano aiuto era rimasto nella Torre sorpreso dal combattimento, tre in più che lasciavano il nascondiglio al massimo sarebbero state ammucchiate nelle strade. A meno che non venissero riconosciute. I visi delle altre donne avrebbero potuto essere d’aiuto. Nessuno probabilmente avrebbe scambiato un paio di giovani donne — almeno dall’aspetto giovanile — per l’Amyrlin Seat e la Custode degli Annali. La ex Amyrlin Seat e la ex Custode degli Annali, si rammentò.

«Solo una guardia?» chiese Siuan, sussultando mentre tirava su una calza. «Strano. Un tagliaborse verrebbe maggiormente controllato.» Lanciando un’occhiata a Laras, infilò i piedi nelle robuste scarpe. «È bello vedere che qualcuna non crede alle accuse elevate contro di me. Qualsiasi fossero.»

La grossa donna aggrottò le sopracciglia e abbassò i menti, creandone un quarto. «Io sono fedele alla Torre» rispose rigida. «Certe cose non sono per me. Sono una cuoca. Questa sciocca ragazza mi ha fatto ricordare fin troppo di quando ero anch’io una sciocca ragazza. Credo — vedendovi — che sia giunto il momento di ricordarmi che non sono più una ragazzina magra.» Infilò la lanterna fra le mani di Min, la quale la prese per un braccio robusto mentre si voltava per andare via.

«Laras, non farai la spia? Non adesso dopo tutto quello che hai fatto.»

Il grande viso della donna si aprì in un sorriso tra il nostalgico e l’addolorato. «Oh Elmindreda, mi ricordi di quando avevo la tua età. Ho fatto cose sciocche e fui quasi impiccata, più di una volta. Non vi tradirò, bambina, ma devo vivere qui. Quando suonerà l’ora seconda, manderò una ragazza con un po’ di vino per la guardia. Se non si è svegliato o verrà scoperto per allora, vi darà più di un’ora.» Rivolgendosi verso le altre due donne di colpo ebbe l’espressione severa che Min l’aveva vista rivolgere alle aiutocuoche e simili. «Usate bene quell’ora, capito? Intendono infilarvi nel retrocucina, per potervi usare come esempio. A me non interessa — certe cose sono per le Aes Sedai, non per le cuoche. Un’Amyrlin vale l’altra per me — ma se fate prendere questa bambina potrete aspettarvi che vi scuoierò dall’alba al tramonto ogni volta che non starete a testa bassa nelle pentole unte o a buttare l’acqua sporca! Desidererete di essere state decapitato prima che abbia finito. E non pensate che crederanno che vi ho aiutate. Tutti sanno che mi limito alle mie cucine. Ricordatevelo e scattate!» Le ritornò il sorriso di colpo mentre pizzicava Min sulle guance. «Falle sbrigare, bambina. Oh, mi mancherà sceglierti i vestiti. Una ragazza così carina.» Con un ultimo pizzico vigoroso, ondeggiò fuori dalla cella quasi di corsa.

Min si strofinò irritata la guancia, odiava quando Laras faceva così. La donna era forte come un cavallo. Quasi impiccata? Che tipo di ‘ragazza vivace’ era stata Laras?

Infilandosi con cautela il vestito, Leane tirò sonoramente su con il naso. «Pensare che si sia rivolta a te in quel modo, Madre!» La testa spuntò dal vestito con un cipiglio. «Mi sorprende che abbia aiutato se questo è ciò che prova.»

«Però ha aiutato» rispose Min. «Ricordatelo. E credo che manterrà la parola di non fare la spia. Ne sono certa.» Leane tirò ancora su con il naso.

Siuan si avvolse il mantello sulle spalle. «Fa la differenza, Leane, il fatto che io non abbia più diritto a quel titolo. Farà differenza domani quando tu e io potremmo essere delle sguattere.» Leane si prese le mani per evitare che tremassero e non volle guardarla. Siuan proseguì con calma, anche se con un tono di voce asciutto. «Sospetto pure che Laras manterrà la parola su... altre cose... per cui, anche se non ti importa se Elaida ci impicca come una coppia di squali rimasti impigliati nella rete per metterci in mostra davanti a tutte, suggerisco che ti dia una mossa. Io personalmente odiavo le pentole unte quando era una ragazza e non ho dubbio che sia lo stesso.»

Leane incominciò imbronciata a chiudere il vestito da campagna. Siuan rivolse l’attenzione a Min. «Potresti non essere così impaziente di aiutarci quando ti dirò che siamo state entrambe... quietate.» La voce non tremò, ma era rigida per lo sforzo di pronunciare quelle parole e gli occhi sembravano addolorati e persi. Fu un colpo rendersi conto che la calma era solo superficiale. «Qualsiasi Ammessa potrebbe legarci come pecore in fuga, Min. Anche la maggior parte delle novizie.»

«Lo so» rispose Min, facendo attenzione a escludere dal tono di voce ogni accenno di simpatia. La simpatia adesso poteva spezzare ciò che era rimasto dell’autocontrollo delle donne e aveva bisogno che lo mantenessero. «È stato annunciato su ogni piazza della città, e affisso ovunque potessero inchiodare un avviso. Ma siete ancora vive.» Leane rise amaramente, cosa che Min ignorò. «È meglio se andiamo. Quella guardia potrebbe svegliarsi, o qualcuno potrebbe scendere a controllare.»

«Facci strada, Min» disse Siuan. «Siamo nelle tue mani.» Dopo un momento Leane annuì brevemente indossando il mantello.

Nella guardina in fondo allo scuro corridoio la guardia solitaria era distesa in terra, a faccia in giù nella polvere. L’elmetto che le avrebbe risparmiato un mal di testa era appoggiato sul rozzo tavolo di assi vicino all’unica lanterna che illuminava la stanza. Min non rivolse all’uomo più di un’occhiata, anche se sperava che non fosse malamente ferito: non aveva cercato di approfittare di lei.

Fece correre Siuan e Leane verso la porta lontana di spesse assi e listelli di ferro, poi su per le strette scale. Dovevano continuare a muoversi. Passare da questuanti non le avrebbe salvate dagli interrogatori se venivano viste evadere dalle celle.

Non videro guardie o altri mentre uscivano dai sotterranei della Torre, ma Min trattenne il respiro finché non raggiunsero la piccola porta che immetteva nella Torre vera e propria. Aprendola quel poco che serviva a infilarci la testa, guardò da entrambi i lati del corridoio.

Lampade dorate erano davanti a pareti con fasce di fregi di marmo bianco. A destra due donne si tolsero velocemente dalla visuale senza voltarsi indietro. La sicurezza con cui si muovevano le identificava come Aes Sedai anche se non poteva vedere i loro volti. Nella Torre anche una regina camminava con esitazione. Una mezza dozzina di uomini si stava allontanando nell’altro senso, chiaramente dei Custodi, con la loro grazia lupesca e i mantelli che si confondevano con l’ambiente.

Min attese fino a quando i Custodi scomparvero prima di uscire dalla porta. «Strada libera. Venite. Tenete i cappucci tirati su e le teste basse. Comportatevi come se aveste paura.» Dal canto suo non avrebbe dovuto fingere. Dal modo silenzioso in cui le due donne la seguirono non credeva che anche loro dovessero simulare.

I corridoi della Torre di rado erano trafficati, eppure adesso sembravano del tutto vuoti. Ogni tanto appariva qualcuno per un attimo davanti a loro, o in un corridoio laterale, ma che fossero Aes Sedai, Custodi o inservienti, tutti correvano, troppo intenti nei propri affari per notare la presenza di altre persone. La Torre era silenziosa.

A un certo punto si trovarono a un incrocio di corridoi dove del sangue rappreso macchiava le mattonelle verde chiaro del pavimento. Due macchie larghe che lasciavano una scia, come se dei corpi fossero stati trascinati.

Siuan si fermò a osservarle. «Cosa è successo?» chiese. «Dimmelo, Min!» Leane afferrò l’impugnatura del pugnale e si guardò intorno come se si aspettasse un attacco.

«Un combattimento» rispose Min con riluttanza. Sperava che le due donne fossero fuori dal territorio della Torre, anche dalla città, prima che lo scoprissero. Le spinse oltre le macchie scure e le incitò a proseguire quando cercarono di voltarsi indietro. «È iniziato ieri, proprio dopo che siete state imprigionate e non è cessato che due ore fa.»

«Ti riferisci ai Gaidin?» esclamò Leane. «Custodi che si sono combattuti fra loro

«I Custodi, i soldati, tutti. È iniziato quando degli uomini che dichiaravano di essere muratori — due o trecento — hanno cercato di prendere la Torre proprio dopo l’annuncio del vostro arresto.»

Siuan divenne torva. «Danelle! Dovevo accorgermi che c’era dell’altro oltre la mancanza di attenzione.» Il viso si contorse anche di più: Min credette che avrebbe pianto. «Artur Hawkwing non ha potuto farlo, ma ci siamo riuscite noi.» Sull’orlo delle lacrime o no, la sua voce era fiera. «Che la Luce ci aiuti, abbiamo diviso la Torre.» Il lungo sospiro sembrò toglierle il fiato, e anche la rabbia. «Immagino» disse dopo un momento «che dovrei essere contenta che qualcuna della Torre mi supporti, ma desidero quasi che non lo avessero fatto.» Min cercò di rimanere inespressiva ma quegli occhi azzurri e acuti sembravano interpretare ogni battito delle ciglia. «Qualcuna lo ha fatto, Min?»

«Qualcuna.» Non aveva intenzione di dirle quanto erano poche, non ancora. Ma doveva evitare che Siuan pensasse di avere dei partigiani all’interno della Torre. «Elaida non voleva scoprire se l’Ajah Azzurra sarebbe stata dalla tua parte oppure no. Nella Torre non c’è una sola Sorella Azzurra, e nemmeno in città, che io sappia.»

«Sheriam» chiese ansiosamente Leane. «Anaiya?»

«Non lo so. Non sono rimaste nemmeno molte Verdi. Non nella Torre. Le altre Ajah si sono divise in un modo o nell’altro. La maggior parte delle Rosse è ancora qui. Per quanto ne so, chiunque si opponeva a Elaida o è fuggita o è morta. Siuan...» Sembrava strano chiamarla in quel modo — Leane borbottò adirata — ma chiamarla Madre adesso sarebbe stata solo una presa in giro. «Siuan, le accuse contro di te sostengono che tu e Leane abbiate organizzato la fuga di Mazrim Taim. Logain è fuggito durante il combattimento e ti incolpano anche di questo. Non ti dichiarano apertamente Amica delle Tenebre — immagino che sarebbe troppo vicino all’Ajah Nera — ma non ci sono lontane. Credo che sia sottinteso per tutti.»

«Non vogliono nemmeno ammettere la verità» mormorò Siuan «che intendono fare esattamente ciò per cui mi hanno deposta.»

«Amiche delle Tenebre?» mormorò Leane perplessa. «Ci hanno dichiarate...?»

«Perché non avrebbero dovuto?» sibilò Siuan. «Cosa non oserebbero, quando hanno già osato così tanto?»

Sollevarono le spalle sotto ai mantelli e lasciarono che Min le guidasse a modo suo. Voleva solo che i loro visi non sembrassero tanto privi di speranza.

Mentre si avvicinavano alla porta esterna, iniziò a respirare più facilmente. Aveva dei cavalli nascosti in una parte boscosa dell’area, non lontano da uno dei cancelli occidentali. Non sapeva ancora quanto sarebbe stato facile uscire di lì a cavallo, ma una volta raggiunti gli animali si sarebbe sentita vicina alla libertà. Di certo i soldati non avrebbero fermato tre donne che se ne andavano. Continuava a ripeterselo.

La porta che cercava apparve davanti a loro — una piccola porta a pannelli che introduceva su un sentiero non molto usato, e il cui ingresso si incontrava con un ampio corridoio che girava tutto intorno alla Torre — e la sua attenzione fu attirata dal viso di Elaida, che passava nel corridoio esterno dirigendosi verso di lei.

Min cadde in ginocchio sul pavimento di mattonelle e si piegò in avanti, testa bassa e viso nascosto dal cappuccio, con il cuore che cercava di saltarle fuori dalle costole. Una questuante, ecco cosa sono. Solo una semplice donna che non ha nulla a che fare con quanto è accaduto. Oh, Luce, ti prego! pensava Min. Sollevò la testa quel tanto che bastava per guardare da sotto al cappuccio, quasi aspettandosi di vedere la maligna Elaida che la fissava.

Elaida invece passò senza nemmeno rivolgerle uno sguardo, con l’ampia stola a righe dell’Amyrlin Seat sulle spalle. Alviarin la seguiva con indosso la stola della Custode degli Annali, bianca come la sua Ajah di appartenenza. Una dozzina o più di Aes Sedai venne dietro Alviarin, prevalentemente Rosse, anche se a Min sembrò di vedere uno scialle con le frange gialle, uno verde e uno marrone. Sei Custodi affiancavano la processione, con le mani sulle else delle spade e gli occhi attenti. Quegli occhi passarono sulle tre donne inginocchiate e le congedarono.

Min si accorse che erano tutte e tre in ginocchio e si rese conto di essersi aspettata che Siuan e Leane si avventassero contro la gola di Elaida. Entrambe le donne aveva sollevato la testa abbastanza per guardare la processione avanzare lungo il corridoio.

«Poche donne sono state quietate,» spiegò Siuan parlando quasi a se stessa «e nessuna è sopravvissuta a lungo, ma si dice che un modo per sopravvivere sia trovare qualcosa che desideri tanto quanto desideravi incanalare.» Lo sguardo perso era scomparso dai suoi occhi. «All’inizio pensavo di voler sbudellare Elaida e appenderla al sole a essiccare. Adesso so che non voglio nulla — nulla! — più del giorno in cui potrò dire a quella sanguisuga di una donna che vivrà a lungo per mostrare alle altre cosa accade a chiunque dichiari che io sono un’Amica delle Tenebre!»

«E Alviarin» aggiunse Leane con voce tesa. «Alviarin!»

«Avevo paura che mi percepissero,» proseguì Siuan «ma adesso non c’è nulla che loro possano percepire. A quanto pare, uno dei vantaggi nell’essere stata... quietata.» Leane scosse il capo furiosa e Siuan aggiunse: «Dobbiamo avvalerci di qualsiasi vantaggio riusciamo a trovare. E ne sarò felice.» L’ultima frase sembrava diretta a convincere se stessa.

L’ultimo Custode scomparve dietro la curva distante e Min ingoiò il nodo che aveva in gola. «Potremo parlare dei vantaggi più tardi» gracchiò e si fermò per deglutire nuovamente. «Per ora andiamo ai cavalli. Il peggio deve essere passato.»

Mentre correvano fuori dalla Torre nel sole pomeridiano sembrava effettivamente che il peggio fosse passato. Una colonna di fumo che si alzava verso un cielo privo di nuvole a est della Torre era l’unico segno di problemi. In lontananza si muovevano dei gruppi di uomini, ma nessuno rivolgeva un secondo sguardo alle tre donne mentre oltrepassavano la biblioteca, costruita a foggia di onde torreggianti immortalate nella pietra. Un viottolo guidava nel profondo del territorio e verso occidente, in una foresta di querce e sempreverdi come quelle che si sarebbero potute vedere fuori da ogni città. I passi di Min divennero più leggeri quando trovò i tre cavalli sellati ancora legati dove lei e Laras li avevano lasciati, in una piccola macchia circondata da ericacee e alberi della carta.

Siuan si diresse subito verso una robusta e irsuta giumenta grigia più piccola degli altri. «Un cavallo idoneo alla mia attuale circostanza. E sembra più placida degli altri due, non sono mai stata una brava cavallerizza.» Accarezzò il muso della giumenta. «Come si chiama, Min? Lo sai?»

«Bela. Appartiene a...»

«Il suo cavallo.» Gawyn spuntò da dietro al tronco di un grosso albero della carta, con una mano sull’elsa della spada. Il sangue sul viso del ragazzo era esattamente come quello che aveva visto in una delle sue visioni il primo giorno a Tar Valon. «Sapevo che stavi combinando qualcosa, Min, quando ho visto il suo cavallo.» I capelli rosso oro erano intrisi di sangue, gli occhi azzurri mezzi intontiti, ma camminò verso di loro leggiadro, un uomo alto con la grazia di un gatto. Un gatto che stava puntando dei topolini.

«Gawyn,» iniziò Min «noi...»

Il ragazzo estrasse la spada e tolse il cappuccio a Siuan, appoggiando il lato affilato sulla gola della donna, molto più velocemente di quanto Min potesse seguire. Siuan trattene il respiro e rimase immobile, guardandolo, esteriormente serena come se ancora indossasse la stola.

«Non farlo, Gawyn!» rantolò Min. «Non devi!» Fece un passo verso di lui, ma Gawyn sollevò la mano libera senza guardarla e Min si fermò. Era teso come un filo di acciaio, pronto a scattare in qualsiasi direzione. Notò che Leane aveva spostato il mantello per nascondere una mano e pregò che la donna non fosse così stupida da estrarre il pugnale.

Gawyn studiò il viso di Siuan, quindi annuì lentamente. «Sei tu. Non ne ero certo, ma è così. Questo... travestimento non può...» Non sembrò che si fosse mosso, ma lo sgranarsi improvviso degli occhi di Siuan suggerì che la pressione sulla gola era aumentata. «Dove sono mia sorella ed Egwene? Che ne hai fatto di loro?» La cosa che spaventava maggiormente Min, con quel viso coperto di sangue e gli occhi storditi, il corpo teso quasi fino a tremare e la mano sollevata come se l’avesse dimenticata, fu che non alzò mai la voce, né vi mise alcuna emozione. Sembrava solo stanco, più stanco di chiunque avesse mai sentito parlare in vita sua.

La voce di Siuan era quasi neutra. «L’ultima volta che ho avuto loro notizie, erano al sicuro e stavano bene. Non ho idea di dove si trovino adesso. Preferiresti che fossero qui, nel mezzo di questa frenesia?»

«Nessun gioco di parole da Aes Sedai» sussurrò Gawyn. «Dimmi dove sono, direttamente, affinché io sappia che stai dicendo la verità.»

«Illian» rispose Siuan senza esitazione. «Nella città. Stanno studiando con un’Aes Sedai che si chiama Mara Tomanes. Dovrebbero essere ancora lì.»

«Non a Tear» mormorò Gawyn. Per un momento sembrò pensarci sopra. Improvvisamente chiese: «Si dice che sei un’Amica delle Tenebre. Si tratterebbe dell’Ajah Nera, giusto?»

«Se lo credi davvero» rispose Siuan con calma «allora tagliami la testa.»

Min quasi gridò nel vedere le nocche diventare bianche attorno all’elsa della spada. Lentamente allungò una mano e l’appoggiò sul polso dell’altra mano tesa, facendo attenzione a non fargli credere che volesse tentare di fare altro se non toccarlo. Era come aver appoggiato la mano su una roccia. «Gawyn, mi conosci. Non puoi credere che aiuterei l’Ajah Nera.» Gawyn non distolse mai lo sguardo dal viso di Siuan e non batté gli occhi. «Gawyn, Elayne è dalla sua parte e approva tutto ciò che ha fatto. Tua sorella, Gawyn.» La carne del ragazzo era ancora pietrificata. «Anche Egwene crede in lei, Gawyn.» Il polso tremò. «Lo giuro, Gawyn. Egwene le crede.»

Gli occhi del ragazzo si spostarono su Min per tornare su Siuan. «Perché non dovrei riportarti indietro per la collottola? Dammi un motivo.»

Siuan incontrò lo sguardo di Gawyn con molta più calma di quanta ne provasse Min. «Potresti farlo, e immagino che ti creerebbe più problemi la resistenza di un gattino. Ieri ero una delle donne più potenti del mondo. Forse la più potente. Re e regine sarebbero venuti al mio cospetto se li avessi convocati, anche se avessero odiato la Torre e tutto quello che rappresentava. Oggi temo che non avrò nulla da mangiare stasera e che dovrò dormire in un cespuglio. Nell’arco di un giorno sono stata ridotta dalla donna più potente del mondo a una creatura speranzosa di trovare una fattoria dove potersi mantenere lavorando nei campi. Qualsiasi cosa pensi abbia fatto, non ti sembra una punizione sufficiente?»

«Forse» rispose Gawyn dopo un momento. Min esalò un respiro di sollievo mentre il ragazzo ritirava la spada con un movimento fluido. «Ma non è il motivo per cui vi lascerò andare. Elaida potrebbe avere la tua testa e io non posso permetterlo. Voglio le informazioni che contiene, se ne avessi bisogno.»

«Gawyn,» intervenne Min «vieni con noi.» Uno spadaccino addestrato da Custode poteva tornare utile in futuro. «In quel modo l’avrai a portata di mano per ottenere le tue risposte.» Lo sguardo di Siuan si spostò su Min, senza mai lasciare del tutto il viso di Gawyn, non più indignato, e Min proseguì. «Gawyn, Egwene ed Elayne credono in lei. Non puoi farlo anche tu?»

«Non chiedermi più di quanto possa dare» rispose tranquillo. «Vi accompagnerò al cancello più vicino. Non riuscireste mai a uscire senza di me. Questo è tutto quello che posso fare, Min, ed è più di ciò che dovrei. È stato ordinato il tuo arresto, lo sapevi?» Gli occhi di Gawyn tornarono su Siuan. «Se dovesse accadere loro qualcosa,» minacciò con quella voce inespressiva «a Egwene o a mia sorella, ti troverò ovunque ti nasconderai e mi accerterò che ti accada lo stesso.» Di colpo si allontanò di una dozzina di passi e rimase in piedi a braccia conserte, a testa bassa come se non potesse più guardarle.

Siuan portò una mano verso la gola, una sottile linea rossa aveva sostituito la lama. «Sono stata troppo a lungo con il Potere» osservò un po’ instabile. «Ho dimenticato cosa significhi fronteggiare qualcuno che può prenderti e spezzarti come un filo.» A quel punto guardò Leane, come se la vedesse per la prima volta, e si toccò in viso come se non fosse sicura di quale aspetto avesse. «Da quello che ho letto immagino che ci voglia di più per svanire, ma forse il trattamento duro di Elaida ha qualcosa a che fare con tutto questo. Un travestimento, lo hai chiamato, e forse ci servirà come tale.» Salì circospetta in groppa a Bela tenendo le redini come se la giumenta fosse uno stallone impetuoso. «Apparentemente un altro vantaggio nell’essere... devo imparare a dirlo senza trasalire. Sono stata quietata.» Pronunciò le parole lentamente e deliberatamente, quindi annuì. «Ecco. Se Leane è una buona indicazione ho perso almeno quindici anni, forse di più. Conosco donne che pagherebbero qualsiasi prezzo per una simile cosa. Un terzo vantaggio.» Lanciò un’occhiata a Gawyn. Ancora voltava loro le spalle, ma abbassò comunque la voce. «Assieme a una certa scioltezza di lingua, per così dire. Erano anni che non pensavo a Mara. Un’amica d’infanzia.»

«Adesso invecchierete come tutte noi?» chiese Min mentre montava in sella. Meglio che commentare quella bugia. Meglio che rammentarsi che adesso poteva mentire. Leane montò in groppa alla terza giumenta con destrezza e la fece muovere in cerchio per provarne il passo, certamente era già stata a cavallo.

Siuan scosse il capo. «Davvero non so. Nessuna donna quietata è vissuta abbastanza a lungo per scoprirlo. Io voglio farlo.»

«Volete muovervi» chiese duro Gawyn «o rimanere qui a parlare?» Senza attendere una risposta, si allontanò fra gli alberi.

Le donne spronarono le giumente a seguirlo, Siuan stava tirando giù il cappuccio per nascondere il viso. Camuffate o no, non voleva correre alcun rischio. Leane era già sprofondata al massimo sotto al suo. Dopo un momento Min le imitò. Elaida voleva farla arrestare? Doveva significare che sapeva. ‘Elmindreda’ era Min. Per quanto tempo la donna lo aveva saputo? Per quanto tempo Min se ne era andata in giro pensando di essere nascosta mentre Elaida la guardava ridendo compiaciuta per quanto era sciocca? Era un pensiero raccapricciante.

Quando raggiunsero Gawyn su un vialetto di ghiaia, apparvero venti o più uomini che gli andarono incontro, alcuni forse con qualche anno più di lui, altri poco più che ragazzini. Min sospettava che alcuni di questi ultimi ancora non si radessero regolarmente. Tutti avevano delle spade in vita o dietro le spalle e tre o quattro anche dei pettorali di metallo. Più di uno mostrava una benda insanguinata e la maggior parte aveva macchie di sangue sugli abiti. Ognuno aveva lo stesso sguardo fisso di Gawyn. Alla sua vista si fermarono, battendosi il pugno sinistro sul petto. Senza rallentare Gawyn rispose al saluto con un cenno del capo, e i giovani uomini seguirono i cavalli delle donne.

«Gli studenti?» mormorò Siuan. «Anche loro hanno preso parte al combattimento?»

Min annuì, mantenendosi inespressiva. «Si sono nominati i Cuccioli.»

«Un nome appropriato» sospirò Siuan.

«Alcuni sono poco più che bambini» mormorò Leane.

Min non avrebbe detto loro che i Custodi delle Ajah Azzurra e Verde avevano progettato di liberarle prima che venissero quietate, e avrebbero avuto successo se Gawyn non avesse sollevato gli studenti ‘bambini’ guidandoli nella Torre per fermarli. Quel combattimento era stato fra i più mortali, studenti contro insegnanti, senza pietà e senza quartiere.

Gli alti cancelli bronzei di Alindrelle erano aperti, ma ben controllati. Alcuni soldati avevano la Fiamma di Tar Valon sul petto, altri giubbe da lavoro, pettorali ed elmetti scompagnati. Soldati e persone che si erano camuffate da muratori. Entrambi sembravano duri e pieni di risorse, abituati a usare le armi, ma si mantennero da parte, guardandosi a vicenda circospetti. Un ufficiale dai capelli grigi si fece avanti dalla guardina della Torre con le braccia conserte e scrutò Gawyn e gli altri che si avvicinavano.

«La roba per scrivere!» scattò Gawyn. «Rapidi!»

«Bene, dovete essere quei Cuccioli di cui ho sentito parlare» osservò l’uomo con i capelli grigi. «Un bel gruppo di giovani galletti, ma ho ricevuto ordine di non permettere a nessuno di lasciare la Torre. Firmato dall’Amyrlin Seat in persona. Chi credete di essere per modificare quegli ordini?»

Gawyn sollevò lentamente la testa. «Sono Gawyn Trakand di Andor» sussurrò. «E ho intenzione di vedere queste donne andare via, o te morto.» Gli altri Cuccioli si strinsero attorno a lui, disponendosi per affrontare i soldati con le spade in mano senza battere ciglio, forse senza nemmeno curarsi di essere in minoranza.

L’uomo dai capelli grigi cambiò posizione a disagio e uno degli altri mormorò: «È quello che si dice abbia ucciso Hammar e Coulin.»

Dopo un momento l’ufficiale voltò bruscamente il capo verso la guardina e uno dei soldati corse all’interno, tornando con una scrivania portatile; un piccolo bastoncino di cera per i sigilli bruciava in un contenitore di bronzo su un lato. Gawyn lasciò che l’uomo sostenesse la scrivania mentre scriveva furiosamente.

«Questo vi permetterà di oltrepassare le guardie sul ponte» si rivolse alle donne, lasciando cadere una goccia di cera sotto alla firma, quindi vi premette il sigillo con fermezza.

«Hai ucciso Coulin?» chiese Siuan con un tono freddo consono alla sua precedente carica. «E Hammar?»

Il cuore di Min sprofondò. Stai tranquilla, Siuan! Ricordati chi sei adesso e resta in silenzio! pensò.

Gawyn si voltò di scatto per guardare le tre donne, gli occhi assomigliavano a fuoco azzurro: «Sì» rispose rauco. «Erano miei amici e li rispettavo, ma erano dalla parte di... di Siuan Sanche e ho dovuto...»

Improvvisamente infilò il documento che aveva sigillato in mano a Min. «Andate! Andate prima che cambi idea!» Colpì su un fianco la sua giumenta quindi fece lo stesso con le altre due mentre quella di Min balzava attraverso i cancelli aperti. «Andate!»

Min lasciò che il suo cavallo attraversasse la grande piazza che circondava la Torre al trotto, con Siuan e Leane subito dietro di lei. La piazza era vuota, come anche le strade oltre di essa. L’acciottolio degli zoccoli dei cavalli sul lastricato echeggiava ingannevole. Chiunque non avesse già abbandonato la città stava nascondendosi.

Studiò il documento di Gawyn mentre cavalcava. La cera rossa aveva il marchio di un cinghiale all’attacco. «Questo dice solamente che abbiamo il permesso di andare via. Potremmo usarlo anche per imbarcarci su una nave come agli altri ponti.» Sembrava furbo dirigersi in una direzione che nessuno conosceva, nemmeno Gawyn. Non credeva che avrebbe davvero cambiato idea, ma era precario, pronto a cadere a pezzi sotto un colpo sbagliato.

«Questa potrebbe essere una buona idea» osservò Leane. «Ho sempre pensato che Galad fosse il più pericoloso dei due, ma ora non ne sono più certa. Hammar e Coulin...» fu scossa dai brividi. «Una nave ci porterebbe più lontano e più velocemente di questi cavalli.»

Siuan scosse il capo. «La maggior parte delle Aes Sedai in fuga avrà certamente attraversato i ponti. Quella è la via più veloce per lasciare la città se qualcuno ti insegue, più rapido di attendere che la ciurma di una nave salpi gli ormeggi. Devo restare vicino a Tar Valon se voglio riunirle.»

«Non ti seguiranno» disse Leane con un tono di voce monotono carico di significato. «Non hai più diritto alla stola. Nemmeno allo scialle o all’anello.»

«Non indosso più la stola» ribatté Siuan altrettanto piatta «ma so ancora come preparare un equipaggio per una tempesta. E visto che non posso indossare la stola, devo accertarmi che scelgano la donna giusta al mio posto. Non lascerò che Elaida la faccia franca autonominandosi Amyrlin. Deve essere qualcuna forte con il Potere, qualcuna che vede le cose nel modo giusto.»

«Quindi intendi proseguire ad aiutare questo... questo Drago!» scattò Leane.

«Cos’altro vorresti che facessi? Incurvarmi su me stessa e morire?»

Leane tremò come se fosse stata colpita in viso e per un po’ cavalcarono in silenzio. Tutti quegli edifici favolosi, come scogliere modellate da vento, onde e grandi stormi di uccelli, torreggiavano spaventosi sulle strade deserte; un tizio solitario che sbucò da dietro un angolo davanti a loro, strisciando furtivo di porta in porta come se stesse in avanscoperta per loro conto non ridusse il vuoto, al contrario, lo enfatizzò.

«Cos’altro possiamo fare?» chiese alla fine Leane. Adesso era accasciata sulla sella come un sacco di grano. «Mi sento così... vuota. Vuota.»

«Trova qualcosa per colmare il vuoto» la apostrofò con fermezza Siuan. «Qualsiasi cosa. Cucinare per gli affamati, accudire i malati, trovare un marito e mettere su una famiglia piena di bambini. Io intendo fare in modo che Elaida non la faccia franca. Potrei quasi perdonarla, se avesse davvero creduto che stavo mettendo in pericolo la Torre. Quasi. Avrei potuto. Quasi. Ma era piena di invidia fin dal giorno in cui sono stata eletta Amyrlin al suo posto. Questo è il suo scopo più di ogni altro e per questo intendo farla cadere. Questo è ciò che mi colma, Leane. Questo e il fatto che Rand al’Thor non deve finire nelle sue mani.»

«Forse sarà abbastanza.» La donna dalla pelle ramata sembrava dubbiosa, ma si raddrizzò. Il contrasto fra la sua indubbia esperienza e la situazione precaria di Siuan in groppa al cavallo la faceva sembrare il comandante. «Ma come possiamo anche solo iniziare? Abbiamo tre cavalli, pochi abiti e quello che c’è nella borsa di Min. Pochino per sfidare la Torre.»

«Sono contenta che tu non abbia deciso per un marito e una casa. Troveremo altre...» Siuan fece una smorfia. «Troveremo le Aes Sedai che sono fuggite, troveremo ciò di cui abbiamo bisogno. Potremmo avere più di quel che pensi, Leane. Min, cosa dice quel lasciapassare di Gawyn? Menziona tre donne? Cosa? Rapida, ragazza!»

Min si guardò torva alle spalle. Siuan stava osservando l’uomo che scattava davanti a loro, un tipo grosso con i capelli scuri, vestito bene ma in maniera semplice, in varie tonalità di marrone. La donna parlava come se fosse ancora l’Amyrlin. Be’, volevo che ritrovasse un po’ di spina dorsale, no? si disse Min.

Siuan si voltò per guardarla con quegli acuti occhi azzurri, non sembravano meno intimidatori di prima. «‘Ai latori della presente è permesso lasciare Tar Valon sotto la mia autorità’» ripeté Min a memoria. «‘Chi impedisce loro il passaggio ne risponderà a me’. Firmato...»

«So come si chiama» scattò Siuan. «Seguitemi.» Spronò Bela sui fianchi, quasi cadendo quando l’irsuta giumenta passò a un lento galoppo. Comunque riuscì a mantenere salda la presa, rimbalzando goffamente e spronandola ad andare più veloce.

Min scambiò un’occhiata stupita con Leane ed entrambe le galopparono appresso. L’uomo si voltò indietro al suono degli zoccoli al galoppo e incominciò a correre anche lui, ma Siuan gli tagliò la strada con Bela. L’uomo rimbalzò contro l’animale con un grugnito. Min la raggiunse giusto in tempo per sentire Siuan dire: «Non credevo di incontrarti qui, Logain.»

Min rimase a bocca aperta. Era davvero lui. Quegli occhi disperati, e quel viso una volta attraente incorniciato da capelli scuri che scendevano ricci sulle spalle erano inconfondibili. Proprio la persona che avevano bisogno di trovare. Un uomo che la Torre voleva quanto Siuan.

Logain cadde carponi come se le ginocchia affaticate non potessero sostenerlo oltre. «Adesso non posso fare del male a nessuno» sì rivolse stancamente alle donne, fissando il lastricato sotto alle zampe di Bela. «Volevo solo andare via per morire in pace da qualche parte. Se solo sapeste cosa significa aver perduto...» Leane tirò furiosa le redini mentre l’uomo si interrompeva, quindi riprese a parlare senza farci caso. «I ponti sono tutti controllati. Non lasciano passare nessuno. Non mi conoscevano ma non mi hanno comunque lasciato passare. Li ho provati tutti.» Di colpo prese a ridere stancamente, come se la situazione fosse davvero molto divertente. «Li ho provati tutti.»

«Io credo» osservò con cautela Min «che dovremmo andare. Probabilmente lui vuole evitare quelli che ‘lo stanno cercando’.» Siuan le lanciò un’occhiata che fece quasi arretrare la giumenta di Min, occhi gelidi e mento rigido. Non sarebbe stata spaventoso se la donna avesse mantenuto un po’ dell’incertezza di qualche momento prima.

Sollevando la testa l’uomo guardò da una all’altra aggrottando lentamente le sopracciglia. «Voi non siete Aes Sedai. Chi siete? Cosa volete da me?»

«Io sono la donna che può portarti fuori Tar Valon» gli rispose Siuan. «E forse offrirti una possibilità di vendicarti dell’Ajah Rossa. Ti piacerebbe avere l’opportunità di andare contro le tue catturatrici, no?»

L’uomo rabbrividì. «Cosa devo fare?» rispose lentamente.

«Seguimi» ingiunse Siuan. «Seguimi e ricordati che io sono la sola in tutto il mondo che può offrirti la possibilità di vendicarti.»

Restando in ginocchio studiò le donne con il capo reclinato, esaminando ogni volto, quindi si alzò con gli occhi fissi su Siuan. «Sono il tuo uomo» rispose semplicemente.

Il viso di Leane appariva incredulo come si sentiva Min. Cosa se ne faceva Siuan, per la Luce, di un uomo dalla dubbia sanità mentale che si era una volta proclamato falsamente Drago Rinato? Come minimo avrebbe rubato loro uno dei cavalli! Guardandone l’altezza e l’ampiezza delle spalle, Min pensò che avrebbero fatto meglio a tenere i pugnali a portata di mano. Di colpo, per un momento, l’alone brillante dorato e blu risplendette sulla testa dell’uomo, parlando di gloria futura con la stessa certezza della prima volta che lo aveva visto. Min rabbrividì. Visioni. Immagini.

Si voltò indietro verso la Torre. Il bianco fusto che dominava la città era integro e dritto, eppure spezzato come se fosse un mucchio di rovine. Per un momento rimase a pensare alle immagini che aveva intravisto, solo per un momento, lampeggiare intorno alla testa di Gawyn. Gawyn che si inchinava davanti ai piedi di Egwene a capo chino e Gawyn che spezzava il collo di Egwene, prima l’una e poi l’altra, come se ognuna di loro potesse rappresentare il futuro.

Raramente il significato delle visioni era chiaro come in questo caso, e non aveva mai visto prima d’ora questo ondeggiare avanti e indietro come se nemmeno la visione sapesse quale sarebbe stato il futuro. Peggio, aveva la sensazione quasi certa che era stato ciò che aveva fatto oggi ad aver indirizzato Gawyn verso queste possibilità.

Malgrado il sole rabbrividì nuovamente. Quel che è fatto è fatto, pensò. Guardò le due Aes Sedai — ex Aes Sedai. Entrambe studiavano Logain come se fosse un cane addestrato, feroce, forse pericoloso, ma utile. Siuan e Leane voltarono i cavalli verso il fiume, con Logain che camminava fra loro. Min seguì più lentamente. Luce, spero che ne sia valsa la pena, si disse

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