7 Giocare con il fuoco

La mattina seguente con il sole appena sopra l’orizzonte, Egwene si presentò alle porte delle stanze di Rand, seguita da una Elayne dal passo strascicato. L’erede al trono indossava un abito di seta azzurro chiaro a maniche lunghe, tagliato alla moda di Tairen e tirato in basso dopo alcune discussioni. Un girocollo di zaffiri del colore del cielo intenso del mattino e una seconda fila intrecciata fra i riccioli rosso dorati esaltavano l’azzurro degli occhi. Malgrado il caldo umido, Egwene indossava una semplice sciarpa rossa, larga come uno scialle, attorno alle spalle. Era stata Aviendha a procurargliela, come anche gli zaffiri. Sorprendentemente, la donna aiel aveva una certa riserva di queste cose.

Anche se sapeva che erano lì, Egwene sobbalzò quando le guardie aiel si mossero con sorprendente immediatezza. Elayne si lasciò sfuggire una piccola esclamazione, ma velocemente li guardò con quel suo portamento regale che le riusciva tanto bene. Non sembrò fare alcun effetto su questi uomini abbronzati. I sei uomini erano Shae’en M’taal, Cani di Pietra, e sembravano rilassati per essere Aiel, vale a dire sembrava guardassero ovunque, pronti a scattare in qualsiasi direzione.

Egwene si raddrizzò imitando Elayne — desiderava riuscire a farlo bene come l’erede al trono — e annunciò: «Io... noi... vogliamo vedere come stanno le ferite del lord Drago.» La sua osservazione sarebbe stata assolutamente sciocca se gli Aiel avessero saputo qualcosa riguardo la guarigione, ma quella probabilità era molto piccola; poche persone ne sapevano qualcosa, e gli Aiel probabilmente meno degli altri. Non era intenzione di Egwene fornire spiegazioni sulla loro presenza in quel luogo — era abbastanza che le credessero Aes Sedai — ma quando gli Aiel sembrarono quasi sbucare dal marmo nero del pavimento, all’improvviso sembrò una buona idea. Non che stessero facendo qualche tentativo di bloccarle. Ma questi uomini erano tutti così alti, dai lineamenti duri, avevano quelle lance corte, gli archi di corno e sembrava che usarli per loro fosse naturale quanto respirare e almeno altrettanto facile. Con quegli occhi chiari che la guardavano così attentamente era fin troppo semplice rammentare storie di Aiel velati di nero, senza compassione o pietà, la guerra aiel dove uomini come questi avevano distrutto ogni esercito inviato contro di loro, ed erano tornati nel deserto solamente dopo aver combattuto le nazioni alleate fino all’arresto, durante tre giorni e tre notti bagnati di sangue dinnanzi Tar Valon. Fu molto vicina ad abbracciare saidar.

Gaul, il capo dei Cani di Pietra, le guardò con un atteggiamento di rispetto. Era un bell’uomo, dai lineamenti marcati, un po’ più grande di Nynaeve, con gli occhi verdi e chiari come gemme lucide, contornate da ciglia lunghe e scure. «Forse gli stanno dando fastidio. È di umore schifoso stamattina.» Gaul sorrise, un rapido lampo di denti bianchi per esprimere comprensione del malumore di un ferito. «Ha cacciato un gruppo di questi Sommi signori e uno lo ha gettato fuori dalla stanza di persona. Come si chiamava?»

«Torean» rispose un altro uomo, anche più alto. Aveva una freccia incoccata e teneva il corto arco di corno con una certa indifferenza. Posò per un attimo gli occhi grigi sulle due donne, quindi ricominciò a perlustrare le colonne dell’anticamera.

«Torean» concordò Gaul. «Credevo che sarebbe scivolato fino a quelle graziose statue...» Puntò la lancia verso l’anello di difensori immobili «...ma il lancio è stato troppo corto di tre passi. Ho perso un bell’arazzo di Tairen, tutto falchi ricamati in oro, per Mangin.» L’uomo più alto ebbe un fugace sorriso di soddisfazione.

Egwene batté gli occhi immaginando Rand che lanciava di peso un Sommo signore sul pavimento. Non era mai stato violento; ben lungi dall’esserlo. Quanto era cambiato? Egwene era stata troppo impegnata con Joiya e Amico, e lui con Moiraine, o Lan o i Sommi signori, per fare altro che parlarsi fugacemente, alcune parole su casa di tanto in tanto, su come poteva essere andato Bel Time quest’anno e come sarebbe stato il Giorno del Sole. Erano stati tutti incontri brevi. Quanto era cambiato?

«Dobbiamo vederlo» insisté Elayne, con un leggero tremito nella voce.

Gaul fece un inchino, appoggiando la punta di una lancia sul marmo nero. «Naturalmente, Aes Sedai.»

Fu con una certa trepidazione che Egwene entrò nelle stanze di Rand e l’espressione di Elayne era più che esplicita riguardo lo sforzo che le costavano quei pochi passi.

Non era rimasta alcuna conferma degli orrori della notte precedente, se non l’assenza di specchi; delle aree più chiare sui pannelli alle pareti denotavano i punti da dove gli specchi erano stati rimossi. Non che la stanza si avvicinasse all’ordine; c’erano libri ovunque, appoggiati su qualsiasi cosa, alcuni aperti, come abbandonati nel bel mezzo di una lettura, e il letto era ancora disfatto. Le tende cremisi erano aperte davanti a tutte le finestre rivolte a ovest, verso il fiume che era l’arteria di Tear e Callandor riluceva come cristallo lucidato su un grande piedistallo dorato di incomparabile vistosità. Egwene pensò che quel piedistallo fosse la cosa più brutta che avesse mai visto per ornare una stanza, fino a quando non notò i lupi d’argento che attaccavano con ferocia un cervo dorato appoggiato sulla mensola del camino. Una leggera brezza proveniente dal fiume manteneva la stanza sorprendentemente fresca rispetto al resto della Pietra.

Rand, in maniche di camicia, era seduto scompostamente su una sedia, con una gamba su un bracciolo e un libro rilegato in pelle appoggiato su un ginocchio. Quando sentì il rumore dei passi chiuse bruscamente il libro, lo lasciò cadere fra gli altri sul tappeto decorato con spirali, balzando in piedi pronto a litigare. L’espressione minacciosa scomparve dal viso non appena si accorse dei suoi ospiti.

Per la prima volta nella Pietra, Egwene cercò dei cambiamenti in Rand, e ne trovò.

Quanti mesi erano trascorsi da quando lo aveva visto l’ultima volta? Abbastanza perché il viso del ragazzo diventasse più duro, perché la franchezza di una volta svanisse. Si muoveva in maniera differente, un po’ come Lan, un po’ come gli Aiel. Con la sua altezza e i capelli rossicci, gli occhi che ora sembravano azzurri, ora grigi, a seconda di come prendevano la luce, assomigliava fin troppo agli Aiel, troppo per sentirsi a suo agio. Ma era cambiato anche interiormente?

«Pensavo foste... qualcun altro» borbottò, scambiando sguardi imbarazzati con le ragazze. Quello era il Rand che conosceva, anche il rossore che gli appariva sulle guance ogni volta che guardava lei, Elayne o entrambe. «Alcune... persone vogliono cose che non posso dare. Cose che non concederò.» Il sospetto crebbe sul viso di Rand con scioccante immediatezza, e il tono di voce si indurì. «Cosa volete? Vi ha mandate Moiraine? Dovreste convincermi a fare ciò che vuole?»

«Non essere idiota» inveì Egwene secca prima di pensare. «Non voglio che tu dia il via a una guerra.»

Elayne aggiunse in tono supplichevole: «Siamo venute a... ad aiutarti, se possiamo.» Quello era uno dei motivi e il più facile da esporre, avevano deciso a colazione.

«Siete al corrente dei piani di Moiraine per...» iniziò Rand rozzamente, quindi cambiò improvvisamente argomento. «Aiutarmi? Come? Questo è quello che sostiene Moiraine!»

Egwene incrociò severamente le braccia sotto al petto stringendo forte la sciarpa, nel modo in cui Nynaeve usava rivolgersi al Consiglio del Villaggio quando intendeva averla vinta, non importa quanto fossero testardi. Era troppo tardi per iniziare nuovamente; la sola cosa che poteva fare era proseguire come aveva iniziato. «Ti ho detto di non essere sciocco, Rand al’Thor. Potrai anche avere i Tarenesi che si inginocchiano ai tuoi piedi, ma ricordo quando Nynaeve ti fustigò per esserti fatto convincere da Mat a rubare una fiasca di acquavite di mele.» Elayne mantenne l’espressione attentamente composta. Troppo attentamente; per Egwene era chiaro che voleva sganasciarsi dalle risate.

Rand naturalmente non se ne era accorto. Gli uomini non lo facevano mai. Sorrise a Egwene e stava quasi per ridere anche lui. «Avevamo appena compiuto tredici anni. Ci trovò addormentati dietro la stalla di tuo padre, e la testa ci faceva così male che non sentimmo nemmeno i colpi.» La storia non era proprio come se la ricordava Egwene. «Non come quando le tirasti una scodella in testa. Ricordi? Ti aveva somministrato del tè di erbacane perché eri abbattuta da una settimana e non appena l’assaggiasti, le tirasti in testa la ciotola. Luce! gridasti. Quando accadde? Due anni fa, cre...»

«Non siamo qui per parlare dei vecchi tempi» puntualizzò Egwene, spostando irritata la sciarpa. Rand sorrise, come se sapesse a cosa stava pensando, e proseguì rasserenato. «Hai detto che siete qui per aiutarmi. Con cosa? Immagino non sappiate come far mantenere a un Sommo signore la parola data quando non lo sto fissando. O come fermare sogni indesiderati. Mi farebbe sicuramente comodo con...» Gli occhi di Rand balzarono su Elayne per poi tornare su Egwene, e cambiò di nuovo umore bruscamente. «Cosa sapete della lingua antica? L’avete imparata alla Torre Bianca?» Senza aspettare la risposta incominciò a scartabellare fra i volumi sparsi sul tappeto. Ce ne erano altri sulle sedie e fra le coperte del letto. «Ho una copia qui... da qualche parte... di...»

«Rand.» Egwene alzò la voce. «Rand, non posso leggere la lingua antica.» Egwene lanciò un’occhiata ammonitrice a Elayne, che non provasse ad ammettere una conoscenza simile. Non erano venute per tradurre le Profezie del Drago per lui. Gli zaffiri fra i capelli dell’erede al trono dondolarono mentre annuiva. «Dovevamo imparare altre cose.»

Rand si sollevò dai libri sospirando. «Era sperare troppo.» Per un momento sembrò sul punto di aggiungere altro, ma si fissò i piedi. Egwene si chiese come faceva a gestire i Sommi signori con tutta quella loro arroganza, se lei ed Elayne lo avevano scoraggiato così tanto.

«Siamo venute per aiutarti con l’incanalare» spiegò Egwene. «Con il Potere.» Ciò che sosteneva Moiraine in teoria era vero; una donna non poteva insegnare a un uomo a incanalare, come non poteva insegnargli a portare in grembo un bambino. Egwene non era sicura. Una volta aveva sentito qualcosa intessuto da saidin. O meglio, qualcosa che aveva bloccato i suoi flussi, con la stessa certezza con cui la pietra bloccava l’acqua. Ma Egwene aveva imparato molte cose fuori dalla Torre come dentro; e di certo qualcosa avrebbe potuto insegnargli, offrirgli qualche forma di guida.

«Se possiamo» aggiunse Elayne.

Il sospetto lampeggiò nuovamente sul viso di Rand. Era snervante la facilità con la quale cambiava umore. «Ho più possibilità di leggere la lingua antica che voi di... Siete sicure che questa non sia opera di Moiraine? Vi ha mandate lei qui? Crede di riuscire a convincermi con qualche manovra accerchiante, vero? Qualche contorto complotto Aes Sedai di cui non mi accorgerò fino a quando non vi sarò invischiato del tutto?» Grugnì amareggiato e raccolse una giubba verde scuro dal pavimento dietro una sedia, indossandola rapidamente. «Ho acconsentito a incontrare qualche altro Sommo signore questa mattina. Se non li tengo d’occhio, troveranno il modo di aggirare il mio volere. Impareranno, presto o tardi. Adesso sono io a governare Tear. Il Drago Rinato. Glielo insegnerò. Dovete scusarmi ora.»

Egwene voleva scuoterlo. Governava Tear? Be’, forse lo faceva, ma lei ricordava un ragazzo con un agnello infilato sotto la giacca, fiero come un gallo perché aveva cacciato il lupo che voleva catturarlo. Era un pastore, non un re, e anche se aveva motivo di darsi tante arie, non era bello che lo facesse.

Stava quasi per dirglielo, ma prima che vi riuscisse Elayne parlò fieramente. «Nessuno ci ha mandate. Siamo venute perché... perché ci importa di te. Forse non funzionerà, ma puoi provarci. Se io... se a noi importa abbastanza da provare, allora puoi farlo anche tu. È così irrilevante per te che non puoi nemmeno dedicarvi un’ora? Per la tua vita?»

Rand smise di abbottonarsi la giubba, fissò l’erede al trono così attentamente che per un istante Egwene pensò che avesse dimenticato la sua presenza. Scosso dai brividi Rand distolse lo sguardo. Lanciò un’occhiata a Egwene, cambiò posizione e scrutò cupo il pavimento. «Farò un tentativo» borbottò. «Non servirà a nulla, ma proverò... Cosa volete che faccia?»

Egwene esalò un respiro profondo. Non credeva che convincerlo sarebbe stato così facile; Rand era sempre stato come un masso conficcato nel fango quando decideva di puntare i piedi, cosa che faceva fin troppo spesso.

«Guardami» rispose Egwene abbracciando saidar. Lasciò che il Potere la colmasse al massimo, anche più del solito, accettandone ogni goccia che poteva trattenere; era come se la luce inondasse ogni particella del suo corpo, come se la Luce stessa riempisse ogni recesso. La vita sembrò esploderle dentro come un fuoco d’artificio. Non aveva mai attinto così tanto potere prima d’ora. Fu un colpo accorgersi che non stava fremendo; certamente non poteva sopportare questa gloriosa dolcezza. Voleva dilettarsi con essa, danzare e ballare, limitarsi a giacere e a lasciarla scorrere attraverso il corpo, su di lei. Si costrinse a parlare. «Cosa vedi? Cosa provi? Guardami, Rand!»

Rand sollevò la testa lentamente, ancora accigliato. «Vedo te. Cos’altro dovrei vedere? Stai toccando la Fonte? Egwene, Moiraine ha incanalato nelle mie vicinanze centinaia di volte, e non ho mai visto nulla. Tranne quel che faceva. Non funziona a quel modo. Anche io lo so.»

«Sono più forte di Moiraine» puntualizzò Egwene con fermezza. «Adesso sarebbe distesa al suolo a piagnucolare, o forse svenuta, se cercasse di attingere tanto Potere quanto ne sto trattenendo io in questo momento.» Era vero, anche se non aveva mai valutato le capacità dell’Aes Sedai a questo modo prima d’ora.

Il Potere gridava per essere usato, pulsava attraverso la ragazza più forte del battito del cuore. Con questa quantità di Potere, sarebbe stata in grado di fare cose che Moiraine non poteva nemmeno sognarsi. La ferita nel fianco di Rand che non era in grado di guarire completamente. Egwene non conosceva la guarigione — era considerevolmente più complessa di qualsiasi altra cosa avesse mai fatto — ma aveva osservato Nynaeve guarire gli altri e forse, con questa grande pozza di Potere che la colmava, poteva studiare un modo di guarirlo. Naturalmente non farlo, solo osservare.

Con molta cautela intessé dei flussi d’Aria, Acqua e Spirito sottili come capelli, i Poteri usati nella guarigione, e cercò di investigare la vecchia ferita di Rand. Un solo tocco, e la ragazza indietreggiò, scossa dai brividi, ritraendo bruscamente la tessitura di flussi; aveva lo stomaco a soqquadro, come se ogni pasto che aveva mangiato in tutta la vita volesse tornarle su. Sembrava che tutta l’oscurità del mondo riposasse nel fianco di Rand, tutto il male del mondo concentrato in una piaga in suppurazione coperta solo da un sottile strato di tessuto cicatrizzato. Una cosa come quella avrebbe assorbito i flussi della guarigione come gocce d’acqua sulla sabbia arida. Come faceva Rand a sopportarne il dolore? Perché non piangeva?

Dal primo pensiero all’azione passarono solo pochi attimi. Scossa e nascondendolo disperatamente, proseguì senza una pausa. «Sei forte come noi. Lo so, devi esserlo. Cerca di percepire, Rand. Cosa senti?» Luce, cosa la può guarire? C’è qualcosa in grado di farlo? pensò Egwene.

«Non percepisco nulla» mormorò Rand, cambiando posizione. «Pelle d’oca. E non mi meraviglia. Non è che non mi fido di te, Egwene, ma non posso fare a meno di essere nervoso con una donna che incanala intorno a me. Scusami.»

Egwene non si prese la briga di spiegargli la differenza fra incanalare e limitarsi ad abbracciare la Vera Fonte. C’era così tanto che Rand non sapeva, anche a confronto con la sua scarsa conoscenza. Era un uomo cieco che cercava di usare un telaio solo con il tatto, senza alcuna idea dei colori, dei fili, o anche di come fosse fatto il telaio.

Con uno sforzo Egwene rilasciò saidar. Parte di lei voleva gridare per la perdita. «Non sto toccando la Fonte in questo momento, Rand.» Si avvicinò di un passo e lo scrutò. «Senti ancora la pelle d’oca?»

«No, ma solamente perché me lo hai detto.» Rand scosse inaspettatamente le spalle. «Vedi? Ho ricominciato a pensarci e mi è tornata la pelle d’oca.»

Egwene sorrise trionfante. Non ebbe bisogno di voltarsi verso Elayne per avere conferma di ciò che aveva già percepito, la parte che avevano concordato in precedenza su questo punto. «Puoi percepire quando una donna abbraccia la Fonte, Rand. Elayne lo sta facendo in questo momento.» Rand guardò con sospetto l’erede al trono. «Non importa cosa vedi o non vedi. Lo senti. Almeno sappiamo questo, ora. Vediamo cos’altro riusciamo a scoprire. Rand, abbraccia la Fonte. Abbraccia saidin.» Le parole sgorgarono roche. Avevano concordato anche questa parte, lei ed Elayne. Quello era Rand, non un mostro delle favole, ed erano d’accordo; eppure, chiedere a un uomo di... Il fatto sorprendente era essere riuscita a pronunciare le parole. «Vedi qualcosa?» chiese a Elayne. «O percepisci qualcosa?»

Rand ancora distribuiva sguardi fra le due ragazze, fissando il suolo negli intervalli e, a volte, arrossendo. Perché era così scoraggiato? Fissandolo attentamente, l’erede al trono scosse il capo.

«Potrebbe benissimo essere fermo immobile, per quanto ne so. Sei certa che stia facendo qualcosa?»

«Può essere ostinato, ma non è uno sciocco. Almeno, non lo è la maggior parte delle volte.»

«Be’, ostinato, sciocco o altro, non sento nulla.»

Egwene guardò cupa Rand. «Hai detto che avresti fatto quello che chiedevamo, Rand. Lo stai facendo? Se hai percepito qualcosa, allora adesso dovrei percepirla io e non...» Si interruppe con uno strillo improvviso. Qualcosa le aveva pizzicato le natiche. Rand serrò le labbra, cercando chiaramente di reprimere un sorriso malizioso. «Quello» osservò Egwene acida «non è stato affatto carino.»

Rand cercò di mantenere un’espressione innocente, ma gli scappò un sorriso. «Hai detto che volevi sentire qualcosa e ho solo pensato che...» Il grido improvviso di Rand fece saltare Egwene. Mettendosi una mano sulla natica sinistra, zoppicò intorno dolorante. «Sangue e ceneri, Egwene! Non c’era bisogno di...» ridusse la protesta a lamenti inaudibili che Egwene fu felice di non capire. Egwene colse l’occasione per sventolarsi con la sciarpa, e scambiò un piccolo sorriso con Elayne. Il bagliore intorno l’erede al trono svanì. Si misero quasi a ridacchiare quando si sfiorarono furtivamente. Gli sarebbe servito di lezione. Cento a uno, considerò Egwene.

Rivolgendosi nuovamente a Rand, assunse un’espressione severa. «Mi sarei aspettata una cosa simile da Mat. Pensavo che almeno tu fossi cresciuto. Siamo venute qui per aiutarti, se possiamo. Cerca di cooperare. Fai qualcosa con il Potere, qualcosa che non sia infantile. Forse quello saremo in grado di percepirlo.»

Incurvato, le fissò furioso. «Fa’ qualcosa» borbottò. «Non avevi il diritto di... zoppicherò per... vuoi che faccia qualcosa?»

All’improvviso Egwene fluttuò in aria, e anche Elayne; le due ragazze si fissarono, gli occhi sgranati, mentre galleggiavano a un passo dal tappeto. Egwene non avvertiva, o vedeva, nulla. Serrò le labbra. Rand non aveva il diritto di farle questo. Nessuno ne aveva il diritto, ed era il momento di dargli una lezione. Lo stesso tipo di schermo che aveva tagliato Joiya dalla Fonte avrebbe fermato anche lui; le Aes Sedai lo usavano su quei pochi uomini che scoprivano in grado di incanalare. Si dischiuse a saidar — e lo stomaco si contrasse. Saidar era lì — poteva percepirne il calore e la luce, ma fra lei e la Vera Fonte c’era qualcosa, il niente, un’assenza che la escludeva dalla Fonte come un muro di pietra. Si sentì vuota, fino a quando non fu colmata dal panico. Un uomo stava incanalando, e lei era presa in quell’azione. Naturalmente si trattava di Rand, ma ciondolando come un cestino, inerme, tutto quello che le veniva in mente era un uomo che incanalava, e la contaminazione di saidin. Cercò di gridargli qualcosa, ma tutto quello che le uscì dalla bocca fu un gracidio.

«Vuoi che faccia qualcosa?» gridò Rand. Due tavolini piegarono le zampe rozzamente, il legno scricchiolò, e incominciarono a muoversi nella parodia di una danza.. «Ti piace questo?» Il fuoco si accese nel camino riempiendolo da un lato all’altro, bruciando sulla pietra priva di ceneri. «O questo?» La scultura con i lupi e il cervo sulla mensola del camino cominciò a sciogliersi e afflosciarsi. Piccoli rivoli d’argento e oro fluivano dalla massa, colando in fili brillanti, serpeggianti, che si intrecciavano in una piccola pezza di metallo; la striscia di tessuto luccicante rimaneva sospesa in aria mentre cresceva, le sommità ancora unite alla statuetta che si scioglieva lentamente sulla mensola di pietra. «Fai qualcosa» ripeté Rand. «Fa’ qualcosa! Avete la più pallida idea di cosa significhi toccare saidin, mantenerlo? Lo sapete? Posso percepire la pazzia in attesa, che mi filtra nel corpo!»

Di colpo i tavolini danzanti esplosero in fiamme come torce, sempre danzando; i libri rotearono in aria, con le pagine svolazzanti, il materasso esplose, facendo piovere le piume in tutta la stanza come neve. Le piume che cadevano sul fuoco riempirono la stanza con un forte fetore fuligginoso.

Per un momento Rand fissò i tavoli in fiamme con occhi selvaggi. Quindi qualsiasi cosa stesse trattenendo Egwene ed Elayne svanì assieme allo schermo, e toccarono il tappeto nello stesso momento in cui le fiamme si estinguevano, come risucchiate nel legno che stavano consumando. Anche quelle nel camino si ritirarono, e i libri caddero in terra più disordinatamente di prima. La striscia di oro e argento cadde al suolo, assieme ai filamenti di metallo fuso, non più liquido o caldo. Solo tre grossi pezzi, due d’argento e uno d’oro, rimanevano sulla mensola del camino, freddi e irriconoscibili.

Egwene era caduta addosso a Elayne. Si abbracciarono per sostenersi, ed Egwene sentì l’altra fare esattamente quel che stava facendo lei, abbracciare saidar il più velocemente possibile. In pochi momenti Egwene aveva preparato uno schermo da lanciare attorno a Rand in caso le fosse anche solo sembrato che stesse incanalando, ma il ragazzo stava in piedi stordito, fissando i tavolini carbonizzati con le piume che ancora gli svolazzavano intorno, punteggiandogli la giubba.

Adesso non sembrava pericoloso, ma la stanza era certamente un disastro. Egwene intrecciò sottili flussi di Aria per raccogliere tutte le piume che svolazzavano e quelle già sul tappeto. Come se fosse stato un pensiero secondario, aggiunse anche quelle sulla giubba di Rand. Il resto poteva farlo sistemare alla majhere, o occuparsene lui.

Rand sussultò mentre le piume gli volavano vicino per posarsi sul materasso ridotto a brandelli. Non eliminò l’odore di piume e legno bruciati, ma almeno la stanza era pulita, e la brezza che proveniva dalle finestre aperte già stava riducendo il fetore.

«La majhere potrebbe non darmi un nuovo materasso» osservò con una risata tesa. «Un materasso al giorno probabilmente è più di quanto è disposta a...» Evitò di guardare Egwene o Elayne. «Mi dispiace. Non volevo... A volte scorre selvaggiamente. A volte non c’è nulla che mi aspetta quando mi protendo, e altre volte fa cose che non vorrei... mi dispiace. Forse fareste meglio ad andare via. Sembra che ripeta questa frase molto spesso.» Arrossì nuovamente e si schiarì la gola. «Non sto toccando la Fonte, ma forse sarebbe meglio se andaste via.»

«Non abbiamo ancora finito» rispose gentilmente Egwene. Più gentilmente di quel che sentiva — voleva tirarlo per le orecchie; la sola idea di sollevare lei a quel modo, schermandola, ed Elayne — ma Rand era al limite. Di cosa, non lo sapeva, e non voleva scoprirlo, non ora, non qui. Dopo tanto clamore sulla loro forza — tutte sostenevano che lei ed Elayne sarebbero state fra le Aes Sedai più forti, se non ‘le’ più forti da mille anni o più — aveva supposto che fossero forti come Rand. Almeno vicine. Era appena stata duramente disingannata. Forse Nynaeve poteva avvicinarsi, se abbastanza arrabbiata, ma Egwene sapeva di non poter fare ciò che Rand aveva appena compiuto, separare i flussi in così tante direzioni, facendo così tante cose simultaneamente. Lavorare due flussi al contempo era molto più difficile che lavorarne uno della stessa vastità, e con tre era molto più difficile che con due. Rand probabilmente ne aveva intessuti una dozzina. Non sembrava nemmeno stanco, eppure l’applicazione del Potere richiedeva energia. Egwene temeva fortemente che Rand avrebbe potuto manovrare lei ed Elayne come due gattini. Bestiole che Rand poteva decidere di annegare, se impazziva.

Ma non avrebbe voluto, né potuto, limitarsi ad andarsene. Sarebbe stato lo stesso che arrendersi, e lei non era fatta a quel modo. Intendeva fare ciò per cui era venuta — tutto — e non sarebbe riuscito a cacciarla prima. Né lui né qualsiasi altra cosa.

Gli occhi azzurri di Elayne erano colmi di determinazione e nel momento in cui Egwene tacque, aggiunse con voce molto più ferma: «E non ce ne andremo fino a quando non avremo finito. Hai detto che avresti provato. Devi provare.»

«L’ho detto, no?» mormorò dopo un po’. «Almeno potremmo sederci.»

Senza guardare i tavoli anneriti o la fascia di tessuto metallico che giaceva ammucchiata sul tappeto, le guidò, zoppicando leggermente, verso le sedie dallo schienale alto vicino le finestre. Dovettero spostare qualche libro dai cuscini di seta rossa per potersi sedere; sulla sedia di Egwene c’era il dodicesimo volume de I tesori della Pietra di Tear, un polveroso libro rilegato in legno intitolato Viaggi nel deserto Aiel, con varie osservazioni degli abitanti selvaggi, e uno spesso volume stracciato rilegato in pelle, Trattare i territori di Mayene, dal cinquecento al settecentocinquanta della Nuova Era. Elayne dovette rimuovere una pila più alta di libri, ma Rand si affrettò a prenderli, come anche quelli sulla sua sedia, e li appoggiò a terra, dove la pila di libri crollò immediatamente.

«Cosa volete che faccia ora?» Rand era seduto sul bordo della sedia, le mani sulle ginocchia. «Prometto che stavolta farò solo quello che mi chiederete.»

Egwene si morse la lingua per non puntualizzare che quella promessa giungeva un po’ in ritardo. Forse era stata vaga con la sua richiesta, ma non era una scusante. In ogni caso avrebbe sistemato la questione in un altro momento. Si accorse che stava di nuovo pensando a lui solo come Rand, la stessa persona che le aveva macchiato di fango l’abito migliore ed era preoccupato che non lei lo avrebbe creduto un incidente. Eppure Egwene non aveva rilasciato saidar, come nemmeno Elayne. Non c’era bisogno di essere sciocche. «Stavolta» spiegò «vogliamo solamente parlare. Come fai ad abbracciare la Fonte? Spiegacelo. Passo passo, lentamente.»

«È più una lotta che un abbraccio» grugnì. «Passo passo? Be’, prima immagino una fiamma, quindi ci spingo ogni cosa dentro. Odio, paura, nervosismo. Tutto. Quando tutti i sentimenti sono consumati, si crea un vuoto, un nulla, dentro la testa. Io mi trovo al centro di tutto, ma sono anche parte di qualsiasi cosa su cui mi concentro.»

«Questo sembra familiare» rispose Egwene. «Ho sentito tuo padre parlare di un trucco per concentrarsi che usava per vincere le competizioni di tiro con l’arco. Quello che chiama ‘la fiamma e il vuoto’.»

Rand annuì, in apparenza triste. Egwene pensò che forse gli mancavano la casa e il padre. «Tam me lo ha insegnato per primo. Anche Lan lo usa, con la spada. Selene — una donna che ho conosciuto — la chiamava ‘l’unicità’. Molta gente sembra saperne qualcosa, comunque la chiamino. Ma ho scoperto da solo che quando ero nel vuoto potevo percepire saidin, come una luce intravista con la coda dell’occhio nel nulla. Non c’è altro se non me e quella luce. Le emozioni, anche il pensiero, ne sono al di fuori. Un tempo si presentava un pezzo alla volta, ma ora giunge in un colpo unico. Almeno il più delle volte.»

«Il vuoto» ripeté Elayne rabbrividendo. «Nessuna emozione. Questo non somiglia molto a ciò che facciamo noi.»

«Sì, vi somiglia» la contraddisse Egwene. «Rand, lo facciamo solo un po’ differentemente, questo è tutto. Io mi immagino di essere un fiore, un bocciolo di rosa, lo immagino fino a quando non divento il bocciolo di rosa. È come il tuo vuoto, in un certo qual modo. I petali della rosa si dischiudono alla luce di saidar e lascio che mi colmi, tutto è luce, calore, vita e meraviglia. Mi arrendo a esso e facendolo, lo controllo. Quella è stata la parte più difficile da imparare: come gestire saidar sottomettendomi. Ora sembra così naturale che non devo nemmeno pensarci. Questa è la chiave, Rand. Ne sono sicura. Devi imparare ad arrenderti...»

Rand stava scuotendo vigorosamente il capo.

«Non ha niente a che vedere con quel che faccio» protestò. «Lasciare che mi colmi? Devo protendermi e afferrare saidin. A volte non c’è comunque nulla, nulla che possa toccare, ma se non mi protendessi, potrei restare lì per sempre e non accadrebbe nulla. È vero, mi colma, una volta che l’ho afferrato, ma arrendermi a esso?» Si passò le mani fra i capelli. «Egwene, se mi arrendessi — anche per un minuto — saidin mi consumerebbe. È come un fiume di metallo fuso, un oceano di fuoco, tutta la luce del sole riunita in un punto. Devo lottare per fargli fare quello che voglio, lottare per non esserne consumato.»

Rand sospirò. «Però so cosa intendi dire con la vita che ti colma, anche con la contaminazione che mi dà il voltastomaco. I colori sono più forti, gli odori più intensi. Tutto è più reale, in qualche modo. Non voglio lasciarlo una volta che riesco ad afferrarlo, anche mentre sta cercando di ingoiarmi. Ma il resto... Affronta la realtà, Egwene. La Torre ha ragione riguardo questo argomento. Accettalo come vero, perché lo è.»

Egwene scosse il capo. «Lo accetterò quando mi verrà provato.» Non sembrò così sicura come avrebbe voluto, non come lo era stata in precedenza. Ciò che Rand aveva spiegato sembrava l’immagine riflessa di ciò che faceva lei, le similitudini servivano solo a enfatizzare le differenze. Però c’erano. Non si sarebbe arresa. «Puoi distinguere i flussi fra loro? Aria, Acqua, Spirito, Terra e Fuoco?»

«A volte» rispose lentamente. «Non di solito. Mi limito a prendere quello che mi serve per fare ciò che voglio. Il più delle volte brancolo per raggiungerlo. È molto strano. A volte ho bisogno di fare qualcosa, e la faccio, ma solo dopo capisco cosa ho fatto, o come. È quasi come ricordare qualcosa che avevo dimenticato. Ma posso ricordarmi come farlo nuovamente. Il più delle volte.»

«Quindi puoi ricordarti come fai» insisté Egwene. «Come hai fatto a incendiare quei tavolini?» Voleva chiedergli com’era riuscito a farli danzare — credeva di vedere una possibilità, con Aria e Acqua — ma voleva iniziare con qualcosa di semplice; accendere e spegnere una candela erano cose che una novizia poteva fare.

Sul volto di Rand apparve un’espressione addolorata. «Non lo so.» Sembrava imbarazzato. «Quando voglio il fuoco, per una lampada o un camino, mi limito a farlo, ma non so come. Non devo necessariamente pensare a fare cose con il fuoco.»

Era comprensibile. Fra i Cinque Poteri, Fuoco e Terra erano stati i più forti negli uomini durante l’Epoca Leggendaria, mentre Aria e Acqua lo erano stati nelle donne. Spinto era stato diviso equamente. Egwene non doveva pensare intensamente per usare Aria o Acqua, una volta che aveva imparato a fare qualcosa. Ma il pensiero non suppliva al loro proposito.

Stavolta fu Elayne a incalzarlo con le domande. «Sai come li hai spenti? Mi è sembrato che pensassi prima di estinguerli.»

«Quello me lo ricordo, perché non credo di averlo mai fatto prima d’ora. Ho preso il calore dai tavoli e l’ho sparso nella pietra del camino; il caminetto non avrebbe notato tutto quel calore.»

Elayne sussultò, cullandosi inconsciamente il braccio sinistro per un momento, ed Egwene fece lo stesso per simpatia. Si ricordava di quando quel braccio era stato una massa di vesciche perché l’erede al trono aveva fatto ciò che Rand aveva appena descritto, e solamente con la lampada nella loro stanza. Sheriam l’aveva minacciata di lasciare che le vesciche guarissero da sole, ma non lo aveva fatto. Era uno degli avvisi che venivano dati alle novizie; mai attirare il calore.

Una fiamma poteva essere estinta usando Aria o Acqua, ma usare Fuoco per mandare via il calore significava disastro, con una fiamma di qualsiasi dimensione. Non era una questione di forza, così aveva spiegato Sheriam; una volta attratto il calore non potevano più liberarsene, non ci sarebbe riuscita nemmeno la donna più forte mai uscita dalla Torre Bianca. Alcune donne si erano date fuoco da sole a quel modo. Donne che si erano incendiate. Egwene respirò irregolarmente.

«Che succede?» chiese Rand.

«Credo che tu mi abbia appena dimostrato la differenza» sospirò.

«Oh. Significa che sei pronta ad arrenderti?»

«No!» Cercò di ammorbidire la voce. Non era arrabbiata con lui. Non proprio. Non sapeva con chi fosse arrabbiata. «Forse le mie insegnanti avevano ragione, ma ci dev’essere un modo. Qualche maniera. Solo che in questo momento non riesco a pensarci.»

«Ci hai provato» osservò Rand semplicemente «e per questo ti ringrazio. Non è colpa tua se non ha funzionato.»

«Ci dev’essere un modo» borbottò Egwene, ed Elayne aggiunse: «Lo scopriremo. Lo faremo.»

«Certo che lo farete» rispose Rand con allegria forzata «ma non oggi.» Esitò. «Immagino che ora andrete via.» Sembrava rammaricato e insieme contento. «Devo comunicare ai Sommi signori alcune cose riguardo alle tasse, stamattina. Credono di poter prendere da un contadino la stessa somma sia per un anno andato male che per uno andato bene, senza ridurlo in miseria. E immagino che dobbiate tornare a interrogare quelle Amiche delle Tenebre.» Aggrottò le sopracciglia.

Non aveva detto nulla, ma Egwene era certa che gli sarebbe piaciuto tenerle il più lontano possibile dall’Ajah Nera. Era un po’ sorpresa che non avesse già provato a farle tornare alla Torre. Forse sapeva che lei e Nynaeve lo avrebbero rimproverato incredibilmente se ci avesse provato.

«Dobbiamo» rispose Egwene con fermezza «ma non immediatamente. Rand...» Era giunto il momento di discutere il secondo motivo della loro presenza, ma era più difficile di quanto si fosse aspettata. Gli avrebbe fatto del male; quegli occhi tristi e diffidenti l’avevano convinta. Ma doveva essere fatto. Si strinse la sciarpa addosso; l’avvolgeva dalle spalle alla vita. «Rand, non posso sposarti.»

«Lo so» rispose Rand.

Egwene batté le palpebre. Non la stava prendendo male come si aspettava. Si disse che era un bene. «Non intendo farti del male, ma... sul serio, non voglio... non voglio sposarti.»

«Lo capisco, Egwene. So cosa sono. Nessuna donna potrebbe...»

«Tu, zuccone di un idiota!» scattò Egwene. «Questo non ha nulla a che vedere con la tua capacità di incanalare. Non ti amo! Almeno non da volerti sposare.»

Rand rimase a bocca aperta. «Non mi... ami?» La voce sembrava sorpresa quanto lui. E ferita.

«Ti prego, cerca di capire» proseguì Egwene con voce gentile. «Le persone cambiano, Rand. I sentimenti cambiano. Quando le persone sono lontane, a volte diventano distanti. Ti amo come un fratello, forse più di un fratello, ma non da sposarti. Riesci a capirlo?»

Rand cercò di sfoderare un sorriso mesto. «Sono davvero uno sciocco. Non pensavo che anche tu potessi cambiare, Egwene. Neanche io voglio sposarti. Non volevo cambiare, non ci ho provato intenzionalmente, ma è accaduto. Non dover più fare finta. Non avere paura di ferirti. Non è mai stata mia intenzione, Egwene. Non ho mai voluto farti del male.»

Egwene quasi sorrise. Rand stava mostrando un’espressione così coraggiosa, era quasi convincente. «Sono contenta che la prendi così bene» rispose Egwene a bassa voce. «Nemmeno io volevo farti del male. Adesso devo davvero andare via.» Alzandosi dalla sedia, si chinò per dargli un bacio sulla guancia. «Troverai qualcun’altra.»

«Naturalmente» puntualizzò Rand alzandosi in piedi, e la menzogna trasparì dalla sua voce.

«La troverai.»

Egwene sgusciò fuori con un senso di soddisfazione e si affrettò ad attraversare l’anticamera, lasciando andare saidar mentre si toglieva la sciarpa dalle spalle. Quella cosa era calda in un modo abominevole.

Rand era pronto per essere raccolto da Elayne come un cucciolo smarrito se lo avesse trattato come avevano concordato. Pensò che Elayne lo avrebbe trattato gentilmente, ora e in seguito. Per tutto il tempo che gli rimaneva. Qualcosa doveva essere fatta per aiutarlo a controllare il Potere. Era pronta ad ammettere che quanto le era stato detto era vero — nessuna donna poteva dargli lezioni; uccelli e pesci — ma non era lo stesso che arrendersi. Qualcosa andava fatta, per cui doveva trovare un sistema. Quell’orribile ferita e la pazzia erano problemi successivi, ma si sarebbe occupata anche di quelli. In qualche modo. Tutti sostenevano che gli uomini dei Fiumi Gemelli erano ostinati, ma non potevano eguagliare le donne dello stesso villaggio.

Загрузка...