43 Attenzione per i viventi

Prendendo Stepper per le briglie Verin lo guidò di persona alla Locanda della Fonte del Vino, con la folla che si apriva per farla passare e poi seguirla. Dannil, Ban e gli alta seguirono a cavallo o a piedi, mischiati con i loro familiari. Sbalorditi dai cambiamenti a Emond’s Field, i ragazzi ancora erano orgogliosi e camminavano a grandi passi anche se zoppicavano, o rimanevano seduti eretti sulle selle; avevano affrontato i Trolloc e fatto ritorno a casa. Le donne abbracciavano i figli, i nipoti e i pronipoti, spesso trattenendo le lacrime, e i loro bassi mormorii creavano un debole brusio doloroso. Gli uomini con gli occhi tesi cercavano di nascondere le loro preoccupazioni dietro sorrisi orgogliosi, dando pacche sulle spalle ed esclamando alla vista delle barbe che iniziavano appena a crescere, eppure spesso i loro abbracci si trasformavano in una spalla sulla quale appoggiarsi. Gli innamorati si correvano incontro baciandosi e gridando, in parti uguali per la contentezza e la commiserazione, fratellini e sorelline, incerti, alternavano accessi di pianto e abbracci con occhi sgranati ai fratelli che tutti sembravano trattare come eroi.

Erano le altre voci che Perrin avrebbe voluto non sentire.

«Dov’è Kenley?» Comare Ahan era una bella donna, con delle striature bianche lungo la treccia quasi nera, ma aveva uno sguardo pieno di paura mentre cercava fra i volti e vide occhi che evitavano di incontrare i suoi. «Dov’è Kenley?»

«Bili!» chiamò incerto il vecchio Hu al’Dai. «Qualcuno ha visto Bili al’Dai?»

«... Hu...!»

«... Jared...!»

«... Tim...!»

«... Colly...!»

Davanti alla locanda Perrin cadde di sella nel bisogno di fuggire quei nomi, senza nemmeno fare caso a quali mani lo afferrarono.

«Portatemi dentro!» gridò. «Dentro!»

«... Teven...!»

«... Haral...!»

«... Had...!»

La porta escluse le grida di disperazione, quelle della madre di Dael al’Taron perché qualcuno le aveva detto dov’era suo figlio.

Nella pentola dei Trolloc, pensò Perrin mentre veniva adagiato su una sedia nella sala comune. Nello stomaco di un Trolloc, dove io l’ho condotto, comare al’Taron. Dove lo ho condotto io. Faile gli teneva la testa fra le mani, guardandolo preoccupata in viso. Devi avere attenzioni per i viventi, pensò. Piangerò i morti in un altro momento. Più tardi.

«Sto bene» le disse. «Mi sono solo sentito la testa vuota quando stavo smontando da cavallo. Non sono mai stato un bravo cavaliere.» Faile non sembrò credergli.

«Non puoi fare nulla?» chiese a Verin.

L’Aes Sedai scosse la testa con calma. «Credo sia meglio di no, bambina. È un peccato che nessuna di noi due sia una Gialla, ma Alanna è molto più brava di me come guaritrice. I miei talenti sono orientati in altre direzioni. Ihvon la porterà qui. Abbi pazienza, bambina.»

La sala comune era stata trasformata in una specie di armeria. Tranne che davanti al camino, le pareti erano una massa compatta di lance di ogni tipo, intervallate ogni tanto da un’alabarda o da rostri, o da bastoni che culminavano con lame dalle forme insolite, molte piene di buchi e scolorite nei punti in cui la vecchia ruggine era stata rimossa. Anche più sorprendentemente, un barile vicino alla base delle scale era pieno di spade ammucchiate assieme, la maggior parte senza fodero e nemmeno due erano uguali. Ogni soffitta nell’arco di otto chilometri doveva essere stata messa a soqquadro alla ricerca di reperti coperti di polvere da generazioni. Perrin non avrebbe mai sospettato che ci fossero più di cinque spade in tutti i Fiumi Gemelli. Comunque non prima che arrivassero Manti Bianchi e Trolloc.

Gaul prese posto da un lato, vicino alle scale che portavano alle stanze della locanda e all’abitazione degli al’Vere, che osservavano Perrin guardando nel frattempo ogni mossa di Verin. Dall’altro lato della stanza, osservando Faile e tutti gli altri, le due Fanciulle sistemarono le lance nell’incavo del braccio e assunsero una posizione che sembrava disinvolta e al tempo stesso in bilico sulle punte dei piedi. I tre giovanotti che avevano trasportato Perrin cambiarono posizione, fissando a occhi sgranati lui, l’Aes Sedai e gli Aiel. Questo era tutto.

«Gli altri» iniziò Perrin «hanno bisogno...»

«Ce ne prenderemo cura» lo interruppe delicatamente Verin sedendosi a un tavolo. «Vorranno stare con le loro famiglie. È molto meglio avere vicino qualcuno che si ama.»

Perrin accusò una fitta di dolore — gli vennero in mente le tombe sotto ai meli — ma la respinse. Prenditi cura dei viventi, si ricordò con durezza. L’Aes Sedai estrasse penna e inchiostro e iniziò a prendere appunti nel suo piccolo libro con mano ferma. Si chiese se le importasse di quanta gente dei Fiumi Gemelli era morta, purché lui fosse vivo per essere usato nei piani della Torre per Rand.

Faile gli strinse la mano, ma si rivolse all’Aes Sedai. «Non dovremmo metterlo a letto?»

«Non ancora» si intromise Perrin irritato. Verin lo guardò e aprì la bocca, quindi Perrin ripeté con voce più ferma: «Non ancora.» L’Aes Sedai si strinse nelle spalle e si rimise a scrivere. «Qualcuno sa dove sia Loial?»

«L’Ogier?» rispose uno dei tre ragazzi che stava vicino alla porta. Dav Ayellin era più tarchiato di Mat, ma aveva la stessa luce negli occhi scuri. Aveva lo stesso aspetto sgualcito e spettinato, proprio come Mat. Ai vecchi tempi, quando non era Mat a combinare qualche guaio, ci pensava Dav, anche se solitamente era Mat a iniziare. «È fuori con gli uomini a disboscare il Bosco Occidentale. Viene da pensare che stiamo abbattendo un suo fratello ogni volta che tagliamo un albero, ma lui ne abbatte tre per uno dei nostri con quell’ascia mostruosa che si è fatto costruire da mastro Luhan. Se lo vuoi, ho visto che Jaim Thane stava correndo ad avvisarli del tuo arrivo. Scommetto che verranno tutti a guardarti.» Osservando il moncone di freccia, sussultò e si toccò il fianco in segno di comprensione. «Fa molto male?»

«Abbastanza» rispose Perrin bruscamente. Venire a guardarlo. Cosa sono, un menestrello? si chiese. «Cosa mi dici di Luc? Non voglio vederlo, ma è qui?»

«Temo di no» rispose il secondo uomo, Elam Dowtry, strofinandosi il lungo naso. Incongrua con la giubba grigia da contadino e il ciuffo ribelle, portava una spada appesa alla cintura; l’impugnatura era stata recentemente avvolta nel cuoio e aveva un fodero di pelle consumata.

«Lord Luc è alla ricerca del Corno di Valere, credo. O forse dei Trolloc.»

Dav ed Elam erano amici di Perrin, o lo erano stati, compagni di caccia e pesca, entrambi circa della sua età, ma i loro sorrisi entusiasti li facevano sembrare più giovani. Sia Mat che Rand sarebbero sembrati più grandi di almeno cinque anni. Forse anche lui.

«Spero che ritorni presto» proseguì Elam. «Mi ha mostrato come usare la spada, lo sapevi che è un Cercatore del Corno? E un re, se ottiene ciò a cui ha diritto. Di Andor, ho sentito dire.»

«Andor ha le regine,» mormorò Perrin con fare assente, incontrando lo sguardo di Faile, «non i re.»

«Per cui non è qui» concluse. Gaul cambiò leggermente posizione, sembrava pronto ad andare a caccia di Luc, gli occhi erano azzurri e gelidi. Perrin non sarebbe stato sorpreso di vedere Bain e Chiad velarsi in quell’istante.

«No» rispose vaga Verin, chiaramente più concentrata sui suoi appunti che su quanto stava dicendo. «Non che a volte non sia stato di aiuto, ma ha un modo di provocare problemi quando è qui. Ieri, prima che chiunque sapesse cosa stava facendo, ha guidato una delegazione a incontrare una pattuglia dei Manti Bianchi per informarli che Emond’s Field è loro proibita. Ha consigliato loro, pare, di tenersi a quindici chilometri di distanza. Non posso approvare i Manti Bianchi, ma non credo che l’abbiano presa bene. Non è saggio inimicarseli più di quanto non sia strettamente necessario.» Guardando quanto aveva scritto si strofinò il naso, senza accorgersi di averci lasciato sopra una macchia di inchiostro.

A Perrin non importava molto di come i Manti Bianchi prendevano le cose. «Ieri» sospirò. Se Luc era tornato ieri al villaggio, era improbabile che avesse avuto a che fare con i Trolloc che si erano trovati dove non avrebbero dovuto essere. Più Perrin pensava a come si era svolta l’imboscata, più credeva che i Trolloc li stessero aspettando. E più voleva incolpare Luc. «La volontà non trasforma una pietra in formaggio» borbottò. «Ma per me ancora puzza di formaggio.»

Dav e gli altri due si guardarono dubbiosi. Perrin immaginava che per loro quanto stava dicendo non aveva molto senso.

«Erano in prevalenza Coplin» intervenne il terzo ragazzo con una voce sorprendentemente profonda. «Darl, Hari, Dag, Ewal e Wit Congar. Si sono beccati una ramanzina da Daise per quello.»

«Pensavo che i Manti Bianchi piacessero a tutti.» Il ragazzo con la voce profonda gli sembrava familiare. Era più giovane di Elam e Dav di almeno due o tre anni, eppure più alto, con il viso scarno ma le spalle ampie.

«Era così» rise il ragazzo. «Li conosci: sono attratti naturalmente verso qualsiasi cosa crei problemi agli altri. E da quando lord Luc ha iniziato a parlare sono tutti pronti a marciare fino a Watch Hill e dire ai Manti Bianchi di lasciare i Fiumi Gemelli. O almeno approvano che qualcuno lo faccia. Credo intendano tenersi ben indietro nel gruppo.»

Se quel viso fosse stato tozzo e più in basso... «Ewin Finngar!» esclamò Perrin. Non poteva essere, Ewin era tarchiato, un rompiscatole dalla voce stridula che cercava sempre di seguire i ragazzi più grandi. Questo qui invece sarebbe stato grosso come lui, forse di più una volta smesso di crescere. «Sei tu?»

Ewin annuì sorridendo. «Abbiamo tutti sentito parlare di te, Perrin» continuò con quella voce sorprendentemente bassa. «Combattere contro i Trolloc e avere tutti i tipi di avventure possibili al mondo, così raccontano. Posso ancora chiamarti Perrin, vero?»

«Luce, sì!» gridò Perrin. Era più che stufo di questa faccenda di Occhidoro.

«Vorrei essere venuto con te lo scorso anno.» Dav si strofinò le mani. «Ritornare a casa con le Aes Sedai, i Custodi e un Ogier.» Detto da lui parevano trofei. «Tutto quello che faccio qui è pascolare le mucche e mungerle, pascolare mucche e mungerle. E zappare o spaccare legna. Tu invece hai avuto tutta quella fortuna.»

«Com’era?» chiese Elam senza fiato. «Alanna Sedai ci ha raccontato che sei andato fino alla Grande Macchia e ho sentito raccontare che hai visto Caemlyn e Tear. Com’è una città? Sono davvero grandi dieci volte Emond’s Field? Hai visto un palazzo? Ci sono Amici delle Tenebre nelle città? La Macchia è davvero piena di Trolloc, Fade e Custodi? È stato un Trolloc a provocarti quella ferita?» Che avesse la voce di un toro o no, Ewin era riuscito a scatenare una sorta di noioso eccitamento. «Vorrei avere una cicatrice. Hai visto una regina? O un re? Io credo che preferirei vedere una regina, ma anche un re sarebbe fantastico. Com’è la Torre Bianca? È grande come un palazzo?»

Faile sorrise divertita, ma Perrin batté le palpebre davanti a quell’assalto. Avevano dimenticato i Trolloc durante la Notte d’Inverno e quelli in campagna proprio in quel momento? Elam afferrò l’impugnatura della spada come se volesse trovarsi nella Macchia e Dav era in punta di piedi con gli occhi rilucenti, Ewin sembrava pronto ad afferrare Perrin per il colletto. Avventure? Erano degli idioti, ma stavano per giungere tempi duri, temeva sarebbero stati i più duri che i Fiumi Gemelli avessero mai visto. Non avrebbe fatto loro del male avere un altro po’ di tempo prima di sapere la verità.

Il fianco lo tormentava, ma provò a rispondere. Sembrarono delusi dal fatto che non avesse mai visto la Torre Bianca, un re o una regina. Pensava che Berelain sarebbe andata bene, ma con Faile presente non si sarebbe azzardato a menzionarla. Tenne nascoste anche altre cose. Falme e l’Occhio del Mondo, i Reietti e Callandor. Argomenti pericolosi che portavano inesorabilmente al Drago Rinato. Poteva raccontare loro qualcosa di Caemlyn e Tear, delle Marche di Confine e della Macchia. Era strano quel che accettavano e quel che invece non accettavano. La terra depravata della Macchia che sembrava marcire mentre la guardavi, i soldati shienaresi con i codini e gli stedding ogier dove le Aes Sedai non potevano manipolare il Potere, i Fade, questi li digerirono facilmente. Ma la dimensione della Pietra di Tear, l’immensità delle città...

Riguardo le sue presunte avventure disse: «Per lo più ho solo cercato di evitare che mi spaccassero in due la testa. Questo sono le avventure, questo e trovare un posto per dormire ogni notte, con qualcosa da mangiare. Ti fanno venir fame, le avventure, e dormi al freddo o all’umido o entrambi.»

Questa parte non era piaciuta molto, e non sembravano credervi più di quanto credevano che la Pietra fosse grande come una piccola montagna. Si rammentò che anche lui ne aveva saputo poco del mondo prima di lasciare i Fiumi Gemelli. Non aiutava molto. Lui non era mai stato così stupido. O sì? La sala comune pareva calda. Si sarebbe tolto la giubba, ma muoversi sembrava uno sforzo troppo grande.

«E Rand e Mat?» chiese Ewin. «Se si tratta solo di essere affamati e sotto la pioggia, perché non sono ritornati a casa anche loro?»

Erano entrati Tam e Abell, il primo con una spada appesa a un cinturone sopra la giubba ed entrambi con gli archi — stranamente la spada non sembrava fuori luogo su Tam, giubba da contadino o no — per cui confermò la versione precedente. Mat che giocava, faceva baldoria nelle taverne e correva appresso alle ragazze, e Rand con la giubba elegante e una bella ragazza bionda al braccio. Di Elayne fece una lady, aspettandosi che non avrebbero mai creduto che fosse l’erede al trono di Andor e aveva ragione, vista la loro incredulità. Comunque tutto sembrava soddisfarli, era il genere di cose che volevano sentire e l’incredulità si ridusse un po’ quando Elam fece presente che Faile era una lady eppure sembrava esaudire le richieste di Perrin con discreta solerzia. Questo lo fece sorridere e Perrin si chiese come avrebbero reagito se avesse detto loro che era cugina di una regina.

Adesso Faile non sembrava più divertita. Rivolse loro uno sguardo degno del più altezzoso di quelli di Elayne, con la schiena rigida e l’espressione gelida. «Lo avete tormentato abbastanza. È ferito. Andate via adesso.»

Stranamente si inchinarono goffi — Dav piegando la gamba e sembrando un idiota assoluto — mormorando le loro scuse — per lei, non per lui! — e si voltarono per andare via. La loro partenza fu ritardata dall’arrivo di Loial, che si inchinò per passare sotto alla porta sfiorando l’architrave con i capelli ispidi. Fissarono l’Ogier quasi come se lo vedessero per la prima volta — quindi lanciarono un’occhiata a Faile e andarono via subito. Quel freddo sguardo da lady funzionava.

Quando Loial si raddrizzò, la testa era vicina al soffitto. Le grandi tasche della giubba avevano la solita forma squadrata dei libri, ma aveva in mano una grande ascia. Il manico era lungo quanto lui era alto e la lama, a foggia di ascia per la legna, era grande almeno quanto l’ascia da combattimento di Perrin. «Sei ferito» esplose non appena lo vide. «Mi hanno detto che eri tornato ma non che eri ferito, o sarei venuto più in fretta.»

L’ascia fece sobbalzare Perrin. Fra gli Ogier ‘mettere un manico lungo all’ascia’ significava essere frettolosi o arrabbiati — sembrava che per gli Ogier le due cose fossero simili per motivi non chiari. Loial pareva irritato, aveva le orecchie pelose tirate indietro, lo sguardo tanto accigliato che le sopracciglia gli scendevano sulle guance. Senza dubbio perché doveva abbattere gli alberi. Perrin voleva parlare con lui da solo e scoprire se aveva visto altro riguardo ad Alanna. O a Verin. Si strofinò il viso e fu stupefatto di trovarlo asciutto, si sentiva come se dovesse sudare.

«È anche testardo» aggiunse Faile. girandosi verso Perrin con lo stesso sguardo imperioso che aveva usato con Dav, Elam ed Ewin. «Dovresti essere a letto. Dov’è Alanna, Verin? Se è in grado di guarirlo, dov’è?»

«Verrà» L’Aes Sedai non alzò lo sguardo. Era immersa nel suo libretto, con lo sguardo concentrato e pensieroso e la penna appoggiata di lato.

«Dovrebbe comunque stare a letto!»

«Avrò tempo per quello» rispose Perrin fermamente. Le sorrise per addolcire la durezza della risposta, ma tutto quello che ottenne fu farle assumere un’espressione preoccupata e mormorare: «Testardo.» Non poteva chiedere a Loial dell’Aes Sedai davanti a Verin, ma c’era qualcos’altro almeno della stessa importanza. «Loial, le Porte delle Vie sono state sbloccate e i Trolloc le stanno attraversando. Come può essere?»

L’ogier aggrottò la fronte e abbassò le orecchie ancor di più. «È colpa mia, Perrin» rombò dolorosamente. «Ho lasciato entrambe le foghe di Avendesora all’esterno. Questo ha bloccato le Porte delle Vie dall’interno, ma dall’esterno chiunque poteva entrare. Le Vie sono rimaste all’oscuro per molte generazioni, ma siamo stati noi a crearle. Non sono riuscito a distruggere le Porte. Mi dispiace Perrin. È tutta colpa mia.»

«Non credevo che le Porte delle Vie potessero essere distrutte» intervenne Faile.

«Non intendevo esattamente distruggere.» Loial si appoggiò all’ascia dal manico lungo. «Una volta ne fu distrutta una, meno di cinquecento anni dopo la Frattura, secondo quanto scrive Damelle, figlia di Ala, figlia di Soferra, perché la Porta era vicino uno stedding caduto nella Macchia. Ci sono due o tre Porte disperse nella Macchia al momento attuale. Ma racconta che fu molto difficile e richiese l’opera di tredici Aes Sedai e l’uso di un sa’angreal. Un altro tentativo di cui ha scritto, su nove, durante le Guerre Trolloc, danneggiò la Porta in modo tale che le Aes Sedai furono attratte in...» Si interruppe agitando imbarazzato le orecchie e si toccò il grande naso. Tutti lo fissavano, anche Verin e gli Aiel. «A volte mi lascio trasportare. Le Porte delle Vie. Sì. Non posso distruggerle, ma se rimuovo del tutto le due foglie di Avendesora, moriranno.» Fece una smorfia a quel pensiero. «Il solo modo per aprire nuovamente le Porte sarà quello di far portare dagli Anziani il Talismano della Crescita, anche se immagino che un’Aes Sedai potrebbe aprirvi un varco.» Stavolta tremò. Danneggiare le Porte delle Vie probabilmente per lui era come strappare un libro. Un attimo dopo tornò cupo.

«Andrò adesso.»

«No!» rispose duro. Il moncone della freccia sembrava pulsare, ma non gli faceva più tanto male. Stava parlando troppo, aveva la gola secca. «Ci sono i Trolloc lassù, Loial. Possono infilare un Ogier nella pentola quanto un essere umano.»

«Ma, Perrin, io...»

«No Loial. Come farai a scrivere il tuo libro se vai lassù a farti ammazzare?»

Loial agitò le orecchie. «È mia responsabilità, Perrin.»

«La responsabilità è mia» rispose gentilmente. «Mi hai detto cosa stavi facendo con le Porte delle Vie e non ho suggerito nulla di diverso. E poi da come salti ogni volta che viene nominata tua madre, non voglio che venga qui a cercarmi. Andrò io, non appena Alanna mi guarisce e rimuove questa freccia.» Si asciugò la fronte e si guardò la mano. Ancora niente sudore. «Posso avere un bicchiere d’acqua?»

Faile fu lì in un istante, appoggiò le dita fresche dove prima Perrin aveva appoggiato la mano. «Scotta! Verin, non possiamo attendere Alanna. Devi...!»

«Sono qui» annunciò la scura Aes Sedai, comparendo dalla porta sul retro della sala comune, con Mann al’Vere e Alsbet Luhan alle calcagna, Ihvon subito dietro di loro. Perrin sentì il formicolio del Potere prima che le mani di Alanna sostituissero quelle di Faile. La donna aggiunse con voce fredda e serena: «Portatelo in cucina. Il tavolo è abbastanza grande per lui. Velocemente, non c’è molto tempo.»

Perrin girò la testa e si accorse di colpo che Loial aveva appoggiato l’ascia accanto alla porta e lo stava sollevando, portandolo in braccio. «Le Porte delle Vie sono mie, Loial.» Luce, ho sete, pensò. «Una mia responsabilità.»

Davvero non sembrava che la freccia facesse male come prima, ma sentiva dolore in tutto il corpo. Loial lo stava trasportando da qualche parte, chinandosi per passare sotto alle porte. C’era comare Luhan che si mordeva il labbro, gli occhi stretti come se stesse per piangere. Si chiedeva perché. La donna non piangeva mai. Anche comare al’Vere sembrava preoccupata.

«Comare Luhan» mormorò «mamma ha detto che posso venire a fare l’apprendista da mastro Luhan.» No, questo era accaduto molto tempo fa. Era... Cos’era? Non riusciva a ricordare.

Era sdraiato su qualcosa di duro e sentiva Alanna che parlava. «... i barbigli sono incastrati nell’osso oltre che nella carne e la punta della freccia si è storta. Devo allinearla con la prima ferita ed estrarla. Se il colpo non lo uccide, dopo posso eliminare il danno che causerò come tutto il resto. Non c’è altro modo. Ormai Perrin è al limite.» Nulla che avesse a che fare con lui.

Faile gli sorrise tremante e lui la vedeva capovolta. Aveva davvero pensato una volta che aveva la bocca troppo grande? Era perfetta. Voleva toccarle la guancia, ma comare al’Vere e comare Luhan gli tenevano fermi i polsi per non si sa bene quale motivo. Qualcuno era anche appoggiato sulle sue gambe e le grosse mani di Loial gli tenevano ferme le spalle, schiacciandolo contro il tavolo. Tavolo. Sì, il tavolo della cucina.

«Mordi, cuor mio» disse Faile in lontananza. «Farà male.»

Voleva chiedere cosa avrebbe fatto male, ma la ragazza gli stava premendo in bocca un bastone ricoperto di cuoio. Perrin sentiva l’odore di pelle, di legno e di Faile. Sarebbe andata a cacciare con lui, a correre nelle sterminate pianure erbose dietro le mandrie di daini? Era scosso da brividi gelidi e riconobbe vagamente la sensazione dell’Unico Potere. Quindi giunse il dolore. Sentì il bastone spezzarsi fra i denti prima che tutto fosse sommerso dall’oscurità.

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