13

Una cosa buffa della politica è che ti fa trovare degli strani compagni di letto. Senza la politica, Sundara e io non saremmo finiti in un’avventura a quattro con Catalina Yarber, apostola della Dottrina del Transit, e Lamont Friedman, il giovane genio delle finanze. Senza Catalina Yarber, Sundara, forse, non avrebbe scelto il Transit. E senza la sua conversione, Sundara, a quest’ora, sarebbe ancora mia moglie. Questi sono i fili della casualità e tutto ci riporta allo stesso punto nel tempo.

Accadde, dunque, questo: come membro del gruppo di Paul Quinn ricevetti, gratis, due biglietti per la cena (da 500 dollari a coperto) della Giornata di Nicholas Roswell che il Nuovo Partito Democratico di New York tiene ogni anno ad aprile.

Non si tratta solo di un tributo commemorativo al governatore assassinato ma è anche una macchina per fare dei soldi e una vetrina per il superdivo di partito del momento. L’oratore “clou” di quella serata era Quinn.

— Sarebbe ora che mi portassi a una delle tue cene politiche — affermò Sundara.

— Sono dei potenti sonniferi.

— Non importa.

— Ma ti annoierai a morte, tesoro.

— Tu, ci vai?

— Devo andarci.

— Allora io userò l’altro biglietto. Se mi addormento, dammi una gomitata quando il sindaco si alzerà per il discorso. Lo trovo eccitante da morire.

Così in una mite sera piovosa Sundara e io ci recammo allo Harbor Hilton, l’enorme piramide tutta scintillante sulla sua piattaforma, raggiungibile tramite un ponte mobile, a mezzo chilometro di distanza dalla punta di Manhattan. Arrivati a destinazione, ci unimmo al fior fiore della classe dirigente liberale dell’est nella spumeggiante Summit Room, da cui vedevo — tra l’altro — la torre condominiale di Sarkisian all’altro lato della baia dove, circa quattro anni prima, avevo incontrato per la prima volta Paul Quinn. Parecchi invitati presenti a quella festa faraonica sarebbero venuti alla cena di questa sera. Sundara e io ci trovammo a tavola con due di loro, Friedman e la Yarber.

Durante i preliminari, mentre si fumava osso e si bevevano aperitivi, Sundara attirò più attenzione di tutti i senatori, governatori e sindaci presenti, Quinn compreso. In parte si trattava di curiosità, dal momento che tutti a New York sapevano della moglie esotica ma pochi l’avevano conosciuta, in parte era l’attrattiva della sua bellezza, che faceva di Sundara la donna più affascinante della festa. Lei non fu né sorpresa né irritata. Era stata bella tutta la vita, dopo tutto, e aveva avuto tempo per abituarsi all’effetto provocato dal suo aspetto. D’altra parte, si era vestita come una a cui non dà nessun fastidio essere ammirata. Indossava un caffetano trasparente, nero, ampio e fluttuante, che la copriva dai piedi alla gola; sotto era nuda, e quando passava davanti a una fonte di luce, l’effetto era sconvolgente. Risplendeva come una falena radiosa al centro dell’immensa sala da ballo, agile ed elegante, arcana e misteriosa; le luci facevano nascere faville tra i suoi capelli di ebano e lampi di seni e fianchi stuzzicavano gli uomini rapiti. Stava davvero avendo un successo favoloso! Quinn si avvicinò per salutarci e lui e Sundara trasformarono un castissimo bacio-e-abbraccio in un complicato “pas de deux” di iniziazione sessuale che sconvolse alcuni dei nostri statisti più anziani, li fece rimanere senza fiato, arrossire e allentare i colletti.

Quando ci accomodammo ai nostri posti Sundara trasudava ancora il Kama Sutra da tutto il corpo. Lamont Friedman, che al tavolo circolare sedeva a metà strada da lei, sussultò e rabbrividì quando gli occhi di Sundara incontrarono i suoi e la fissò con feroce intensità mentre gli si contraevano violentemente i muscoli del collo lungo e magro. Intanto, la compagna di serata di Friedman, Catalina Yarber, lanciava a Sundara un’occhiata un po’ più contenuta, ma altrettanto intensa.

Friedman. Circa 29 anni, magrissimo, altissimo, metri 2,3, pomo d’Adamo molto sporgente e folli occhi esoftalmici; una folta massa di capelli arruffati gli inghiottivano la testa come se una creatura lanuginosa di un altro pianeta lo stesse sopraffacendo. Era uscito da Harvard con la fama di mago della finanza e, entrato a Wall Street a 19 anni, era diventato il capo stregone di un gruppo di potenti finanzieri autobattezzatisi Asgard Equities; con una serie di operazioni geniali — distribuzione di opzioni, finti contratti, opzioni doppie, e parecchie altre tecniche di cui capivo ben poco — avevano ottenuto, nel giro di cinque anni, il controllo di un impero corporativo di un bilione di dollari con società finanziarie sparse su tutti i continenti tranne in Antartide. (Non mi avrebbe meravigliato apprendere che la McMurdo Sound che aveva ottenuto l’appalto per l’esazione doganale era in realtà una società fittizia dietro cui stava la Asgard.)

Catalina era una biondina di circa 30 anni, snella e con un’espressione dura sul viso, un tipo energico dagli occhi svegli e le labbra sottili. I capelli, corti come quelli di un ragazzino, ricadevano a ciocche sparse sulla fronte alta e indagatrice. Non era molto truccata, aveva solo una sottile riga blu intorno alla bocca, ed era vestita in modo austero, un gilé tinta paglia e una gonna marrone diritta, semplice che le arrivava al ginocchio. L’effetto era contenuto e quasi ascetico ma, come avevo notato sedendomi, Catalina aveva equilibrato il suo aspetto quasi asessuato con un tocco sorprendentemente erotico: la gonna era completamente aperta dal fianco all’orlo di circa venti centimetri lungo il fianco sinistro, e quindi mostrava, al minimo movimento, una gamba levigata e muscolosa, una coscia liscia e abbronzata e un accenno di natica. A metà coscia portava, tenuto fermo da una catena, il piccolo medaglione della Dottrina del Transit.

Arrivammo così alla cena vera e propria. Solito menù da banchetto: macedonia, consommé, filetto al “soi”, piselli e carote cotti al vapore sul tavolo, bottiglioni di Burgundy della California, grosse forme di pane dell’Alaska, il tutto servito con enorme fracasso e pochissima grazia da membri accigliati di gruppuscoli politici di poca importanza. Mentre si chiacchierava e si mangiava, un miscuglio eterogeneo di politici del tempo che fu passava di tavolo in tavolo, dando pacche sulla schiena e stringendo mani. Oltre a questo, ci toccò anche sopportare una processione di mogli politiche che si erano autoinvestite di grande importanza, donne per lo più sui sessant’anni, grasse e tarchiate, grottesche negli abiti all’ultima moda, che vagavano per la sala a sbandierare davanti a tutti la loro intimità con i potenti e i famosi. Il livello di rumorosità era di 20 decibel superiore a quello delle cascate del Niagara. Geyser di reboanti risate scoppiavano a questa o a quella tavola quando qualche giurista dai capelli bianchi o qualche stimato legislatore finiva di raccontare, nel migliore stile Anni ’60, la sua barzelletta scabrosa preferita sui repubblicani / omo / Negri / portoricani / ebrei / irlandesi / italiani / medici / avvocati / rabbini / preti / donne in politica / mafia. Io mi sentivo, come sempre a queste serate, uno arrivato dalla Mongolia, scaraventato, senza abbecedario, nel mezzo di uno sconosciuto rito tribale americano. Sarebbe diventato insopportabile se non avessero continuato a circolare tubi d’osso di prima qualità; il Nuovo Partito Democratico potrà fare economia sul vino, ma sa come comprare dell’ottima “roba”.

Quando cominciarono i discorsi, alle nove e trenta circa, in mezzo al rito generale aveva cominciato a svolgersi un altro rito: Lamont Friedman stava lanciando segnali quasi disperati di desiderio a Sundara, e Catalina Yarber, benché fosse ovviamente attratta anche da Sundara, mi si era offerta in modo distaccato, freddo, silenzioso.

Quando il maestro di cerimonia, Lombroso che riusciva brillantemente a essere raffinato e grossolano nello stesso tempo, arrivò al “clou” della sua parte, alternando battute pesanti sui membri più insigni del partito presenti in sala alle inevitabili laudi funebri per i martiri tradizionali quali Roosevelt, Kennedy, King, Roswell e Gottfried, Sundara si protese in avanti mormorando: — Hai notato Friedman?

— Sembra che gli sia venuto un attacco acuto di erotomania.

— Pensavo che i genii si comportassero in modo più discreto.

— Lui forse pensa che l’approccio meno discreto sia l’approccio più discreto — suggerii io.

— Comunque è addirittura infantile.

— Peggio per lui, allora.

— Oh, no. Lo trovo attraente. Buffo, ma non ripugnante, capisci? Direi quasi affascinante.

— Allora l’approccio diretto sta funzionando. Vedi? È davvero un genio.

Sundara scoppiò a ridere.

— La Yarber sta facendo lo stesso con te. È anche lei un genio?

— Penso che in realtà sia te che vuole, tesoro. Si chiama approccio indiretto.

— Cosa vuoi fare?

Mi strinsi nelle spalle.

— Decidi tu.

— Io ci sto. Cosa pensi della Yarber?

— Immagino che debba avere molta energia.

— Anch’io. Allora gruppo a quattro stanotte, okay?

— Perché no? — convenni, proprio mentre Lombroso mandava il pubblico in solluchero con un elaborato-politecnico-perverso finale alla sua presentazione di Paul Quinn. Ci alzammo tutti e attribuimmo al sindaco un’ovazione orchestrata da Haig Mardikian sul palco. Ritornando al mio posto, mandai a Catalina Yarber un messaggio con il linguaggio del corpo che fece apparire delle chiazze di colore sulle sue guance pallide. Messaggio ricevuto. Ricevuto e accettato. Sundara e io avremo un’avventura con questi due questa notte.

In realtà, eravamo più monogami di molte altre coppie, per questo abbiamo preso una licenza matrimoniale singola: non ci andavano le schiamazzanti famiglie multiple, le liti per la proprietà privata, le nidiate comunitarie di bambini. Ma la monogamia è una cosa e la castità un’altra, e se la prima esiste, benché trasformata dalle evoluzioni dell’epoca, la seconda è tutt’uno con Matusalemme e i fossili. Accolsi, quindi, con piacere la prospettiva di uno scontro con la piccola e vigorosa Catalina Yarber. Tuttavia, mi resi conto di invidiare Friedman, come mi capita ogni volta con l’occasionale partner di Sundara, perché avrebbe posseduto l’unica Sundara, che per me continuava a essere la donna più desiderabile del mondo; io sceglievo qualcuno che desideravo, ma sempre meno di lei. Una prova d’amore, immagino, amore in un contesto di extrafedeltà. Fortunato Friedman! Solo una volta nella vita può capitare di avere per la prima volta una donna come Sundara.

Quinn stava parlando. Non era un tipo spiritoso e quindi si limitò a poche battute superficiali a cui gli ascoltatori con molto tatto fecero finta di divertirsi un mondo; subito passò a questioni serie, il futuro di New York, il futuro degli Stati Uniti, il futuro dell’umanità nel secolo seguente.

L’anno 2000, ci disse, ha un valore simbolico immenso: è l’inizio del millennio. Quando la lancetta si sposterà, facciamo piazza pulita del passato e ricominciamo da capo, ricordando, senza ripeterli, gli errori precedenti. Abbiamo superato, continuò, la prova del fuoco nel XX secolo, sopportando enormi cambiamenti, trasformazioni e danni; molte volte siamo andati vicino alla distruzione di ogni forma di vita terrestre; ci siamo trovati di fronte alla eventualità della carestia e povertà universale; ci siamo immersi scioccamente e con incoscienza in decenni d’instabilità politica; siamo stati le vittime della nostra stessa avidità, paura, odio e ignoranza; ma ora, con l’energia della stessa reazione solare sotto il nostro controllo, con l’aumento demografico ormai stabilizzato, con il raggiungimento di un equilibrio tra l’espansione economica e la protezione dell’ambiente, è giunto il momento di costruire la società finale, un mondo in cui prevalga la ragione e trionfi il diritto, un mondo in cui tutto il potenziale umano possa realizzarsi completamente. E, sempre su questo tono, la splendida visione dell’epoca a venire. Nobile retorica, soprattutto da parte di un sindaco di New York, tradizionalmente più preoccupato per i problemi scolastici e le agitazioni sindacali del servizio civile che per il destino dell’umanità. Sarebbe stato facile definire il discorso pura e semplice retorica e invece no, aveva un significato anche al di là del contenuto, perché quello che stavamo ascoltando era il primo squillo di tromba di un futuro leader mondiale. Eccolo là, una figura che si ergeva mezzo metro più alta di quanto non fosse, con le braccia incrociate in una posa caratteristica di forza e riposo mentre ci sferzava con quelle frasi messianiche…

— … quando la lancetta si sposterà facciamo piazza pulita del passato…

— … abbiamo superato la prova del fuoco…

— … è giunto il momento di edificare la società ultima…

La Società Ultima. Udii lo scatto e il ronzio e il suono non mi sembrò tanto quello della lancetta che si sposta quanto l’esplosione di un nuovo slogan politico; non erano necessarie grosse doti stocastiche per prevedere che avremmo ancora sentito parlare molto della Società Ultima prima che Paul Quinn avesse finito con noi.

Accidenti, era davvero irresistibile! Ero ansioso di andarmene e dedicarmi all’avventura della notte eppure rimanevo inchiodato alla sedia, immobile, rapito e come me tutti i presenti, l’intero gruppo di politici ubriachi e celebrità, sotto l’effetto della droga; persino i camerieri interruppero il continuo cozzare di vassoi quando la splendida voce di Quinn rimbombò nella sala. Da quella prima sera a casa di Sarkisian l’avevo visto diventare sempre più forte, più saldo, come se la sua ascesa al potere avesse confermato in lui la stima di se stesso e spazzato via qualsiasi residua ombra di diffidenza. Adesso, sotto le luci dei riflettori, sembrava un veicolo di energie cosmiche; scorreva nella sua persona e fuori di essa un’irresistibile energia che mi scosse profondamente. Un nuovo Roosevelt? Un nuovo Kennedy? Mi resi conto che tremavo. Un nuovo Carlomagno, un nuovo Maometto, forse un nuovo Genghis Khan.

Finì il discorso con un’espressione fiorita e ci ritrovammo tutti in piedi ad applaudire e gridare, senza aver bisogno dell’orchestrazione di Mardikian, mentre gli inviati della stampa correvano a richiedere le proprie cassette con la registrazione, gli inservienti impassibili del circolo si davano pacche sulle mani e parlavano della Casa Bianca, le donne piangevano e Quinn, sudato, con le braccia aperte, accettava il nostro omaggio con una soddisfazione tranquilla e io avvertivo i primi brontolii dell’olocausto che si sarebbe consumato attraverso gli Stati Uniti.

Fu esattamente un’ora prima che Sundara, Friedman, Catalina ed io riuscissimo a uscire dall’albergo. Arrivammo presto a casa. Strani silenzi impacciati: siamo tutti e quattro ansiosi di arrivare al dunque, ma le convenzioni sociali per il momento hanno il sopravvento e facciamo finta di niente; inoltre, Quinn ci ha sopraffatti. Siamo così pieni di lui, delle sue frasi risonanti, della sua presenza vitale, che noi siamo nullità, intontiti, disinteressati, annientati.

Nessuno riesce a fare la prima mossa. Chiacchieriamo. Brandy, osso; un giro dell’appartamento; Sundara e io mostriamo i nostri quadri, le sculture, oggetti primitivi, la vista del profilo di Brooklyn contro il cielo; il disagio iniziale scompare, ma non c’è ancora tensione sessuale; quel senso di anticipazione erotica che si era creato in modo così eccitante tre ore prima, si era completamente dissipato al momento del discorso di Quinn. Chissà se Hitler costituiva un’esperienza orgasmica? E Cesare? Ci sparpagliamo sul fitto tappeto bianco. Ancora brandy. Ancora osso. Quinn, Quinn, Quinn: invece di abbandonarci al sesso parliamo di politica. Friedman alla fine, in modo del tutto antispontaneo, fa scivolare la mano lungo la caviglia di Sundara, su fino al polpaccio. È un segnale. Saremo noi a forzare l’intensità.

— Deve presentarsi il prossimo anno — afferma Catalina, muovendosi volutamente in modo che la piega della sua gonna si apra, lasciando intravedere un ventre piatto e dei riccioli biondi.

— Leydecker ha già la nomina in tasca — ribatte Friedman, che intanto si fa più audace e arriva ad accarezzare il seno di Sundara.

Tocco l’interruttore per abbassare la luce, dò un calcio al reostato della luce variata e la stanza assume una lucente struttura psichedelica. Tutto intorno, a onde e oscillazioni, danzano i fuochi fatui. Catalina ci offre un nuovo tubo di osso.

— Viene dal Sikkim — dichiara. — La migliore droga sul mercato.

Poi, rivolgendosi a Friedman: — Lo so che Leydecker ha più probabilità, ma Quinn lo può battere se ci prova. Non possiamo aspettare altri quattro anni.

Aspiro profondamente dal tubo e la droga del Sikkim fa fiorire nel mio cervello una reazione nuova.

— Il prossimo anno è troppo presto — dico loro — Quinn è stato fantastico questa sera, ma non abbiamo abbastanza tempo per lavorare tutto il paese in poco più di un anno. Comunque, per Mortonson, la rielezione è cosa sicura. Lasciamo che Leydecker usi le sue cartucce l’anno prossimo e Quinn sarà a posto nel 2004.

Avrei voluto informarli della strategia del falso appello per la nomina vicepresidenziale, ma Sundara e Friedman erano svaniti nell’oscurità e Catalina non provava più nessun interesse per la politica.

I nostri vestiti caddero a terra. Il suo corpo era sodo, atletico, liscio e muscoloso come quello di un ragazzo, i seni erano più pieni di quanto pensassi, i fianchi stretti.

Conservò intorno alla coscia l’emblema della Dottrina del Transit. I suoi occhi luccicavano, ma la pelle era fredda e secca e i capezzoli non erano eretti; qualunque cosa stesse provando, non includeva in quel momento un forte desiderio fisico per Lew Nichols. Ciò che io sentivo per lei era curiosità e una certa, lontana voglia di fare all’amore; sicuramente lei non provava molto di più per me. Allacciammo i nostri corpi, ci colpimmo a vicenda sulla pelle nuda, avvicinammo le bocche e ci stuzzicammo reciprocamente la lingua.

Era una cosa così impersonale che avevo paura di non farcela, ma poi i riflessi abituali ebbero il sopravvento, il vecchio, il fidato sistema idraulico cominciò a inviare sangue alle reni e avvertii le solite pulsazioni e il solito irrigidimento.

— Vieni — disse lei — nasci in me adesso.

Strana frase. Tipico linguaggio Transit, appresi in seguito. Oscillai sopra di lei che mi strinse con le cosce snelle e forti e la penetrai.

I nostri corpi si mossero su e giù, avanti e indietro. Ci rotolammo da una posizione all’altra, passando, senza entusiasmo, attraverso tutto il repertorio normale. La sua abilità era eccezionale, ma nella sua bravura c’era una freddezza contagiosa che faceva di me una semplice macchina da letto, un pistone incessante che batte senza posa un cilindro, tanto che facevo all’amore senza piacere e senza nessuna sensazione. E lei, cosa provava? Non molto, immaginai. È perché in realtà vuole Sundara, pensai, e sta con me solo per avere la possibilità di arrivare a lei. Avevo ragione ma anche torto, in quanto, e lo avrei capito alla fine, la fredda e impersonale tecnica di Catalina Yarber non dipendeva da una mancanza di interesse nei miei confronti ma era il risultato degli insegnamenti della Dottrina. La sessualità, affermano i buoni discepoli, ci intrappola nel presente ritardando il passaggio, e il passaggio è tutto: lo stato di immobilità significa morte. Perciò, lasciatevi andare al coito se proprio dovete, e se, tramite suo, si può arrivare a una meta superiore, ma non lasciatevi dissolvere dall’estasi o potreste essere contaminati ingiustamente dalla situazione intransitiva.

Tutto qui. Ci abbandonammo al nostro balletto glaciale per ciò che mi sembrò un tempo interminabile, e alla fine Catalina venne, o si concesse di venire, in un silenzioso e rapido fremito; con inconfessato sollievo potei lasciarmi andare e raggiungere il godimento; dopo ci separammo, a malapena ansanti.

— Vorrei dell’altro brandy — disse dopo un poco.

Presi il cognac. Da lontano giungevano i gemiti e i respiri affannosi di un piacere più ortodosso: Sundara e Friedman ci stavano arrivando.

Catalina affermò: — Sei molto abile.

— Grazie — risposi, incerto.

Nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere. Mi chiesi cosa avrei dovuto rispondere e decisi di non tentare di ricambiare il complimento. Cognac per due. Sì rizzò a sedere, incrociò le gambe, sì lisciò i capelli e sorseggiò la sua bevanda. Non era sudata, non era scossa, non sembrava certo una che avesse appena finito di fare l’amore. Eppure, stranamente, emanava energia sessuale; sembrava davvero soddisfatta di quello che avevamo appena fatto e anche di me.

— Davvero, dico sul serio. Sei superbo. Lo fai con forza e distacco.

— Distacco?

— Non attaccamento, dovrei dire. Noi vi diamo molta importanza. Il non attaccamento è quello che cerchiamo, nói del Transit. Tutti i processi di Transit tendono alla creazione di flusso, all’evoluzione, al cambiamento costante e se ci abbandoniamo all’attaccamento per qualsiasi aspetto del presente, per il piacere erotico, ad esempio, per l’accumulare soldi, all’attaccamento per qualsiasi aspetto egoistico che ci lega a uno stato di immobilità…

— Catalina.

— Sì?

— Sono completamente stordito. Non posso sostenere una discussione teologica in questo momento.

Fece una smorfia.

— Abbandonarsi all’attaccamento per il distacco è una delle follie peggiori. Avrò pietà di te. Non parliamo più di Transit.

— Grazie.

— Ne parleremo qualche altra volta, d’accordo? Anche con Sundara. Vorrei davvero che conosceste la nostra dottrina, se…

— Certamente, ma non ora.

Bevemmo, fumammo, alla fine ci trovammo nuovamente a fornicare — era la mia arma di difesa contro la sua smania di convertirmi — e questa volta le sue credenze dovevano essere meno saldamente radicate nella sua coscienza, perché il nostro amplesso fu più un fare all’amore che un semplice coito. Verso l’alba ricomparvero Sundara e Friedman, lei morbida e splendente, lui pieno di droga, svuotato di energie e persino inebetito. Sundara mi mandò un bacio attraverso un abisso di dodici metri, un breve alito d’aria: ciao, amore, ciao, ti amo più di chiunque altro. Mi avvicinai e lei si strinse forte a me; le stuzzicai un lobo e chiesi: — Divertita?

Annuì, con aria sognante. Friedman doveva avere delle doti notevoli, non solo finanziarie.

— Ti ha parlato anche lui del Transit? — fui curioso di sapere.

Sundara scosse il capo. Friedman non faceva ancora parte della Dottrina, mormorò, ma Catalina lo stava lavorando.

— Sta lavorando anche me — l’avvertii.

Friedman era crollato sul divano e i suoi occhi vitrei fissavano ottusamente l’alba su Brooklyn. Sundara, imbevuta della classica erotologia indù, costituiva un’avventura snervante per qualsiasi uomo.

“… quando una donna abbraccia strettamente — il suo amante come un serpente si attorciglia intorno a un albero, e attira la sua testa verso le proprie labbra in attesa, e poi lei lo bacia emettendo un leggero sibilo “soutt soutt’ e lo guarda a lungo teneramente — le pupille dilatate dal desiderio — questa posizione è conosciuta come l’abbraccio del Serpente…”

— Qualcuno vuole fare colazione? — chiesi io.

Friedman non sembrò entusiasta all’idea.

— Più tardi — mormorò con una voce che era poco più di un sussurro. Sembrava l’involucro consunto di un uomo.

Li lasciai sparpagliati per il soggiorno e me ne andai a fare una doccia. Non avevo dormito, ma avevo la mente sveglia e attiva. Strana notte, notte operosa: mi sentivo vivo come non mi era capitato da settimane, e provai un solletico stocastico, un brivido di chiaroveggenza, che mi avvertiva che stavo arrivando alla soglia di qualche nuova trasformazione. Aprii completamente la doccia, ricevendo in pieno la forza di vibrazione con onde ultrasoniche che mi penetrarono il sistema nervoso, e ne emersi come un conquistatore alla ricerca di nuovi mondi.

Nel soggiorno non c’era nessuno, solo Friedman, ancora nudo, ancora intontito, ancora sdraiato sul divano.

— Dove sono andate? — gli chiesi.

Languidamente, indicò con un dito la camera da letto principale. Così Catalina ce l’aveva fatta, dopo tutto.

E adesso? Avrei dovuto anch’io estendere l’invito a Friedman? Il mio quoziente di bisessualità è basso e in quel momento Friedman non stimolava affatto la mia componente omofila. Ma no, Sundara l’aveva svuotato di qualsiasi voglia: non mandava nessun segno, se non di spossatezza.

— Siete un nomo fortunato — sussurrò dopo un poco. — Che donna meravigliosa… Che… donna… — pensai che si fosse addormentato — … meravigliosa. È in vendita?

— In vendita?

Sembrava quasi che parlasse sul serio.

— Sto parlando della vostra schiava orientale.

— Mia moglie?

— L’avete comprata al mercato di Baghdad. Vi do cinquecento dinari per lei, Nichols.

— Niente da fare.

— Mille.

— Neppure per due imperi.

Scoppiò a ridere.

— Dove l’avete trovata?

— In California.

— Ce ne sono altre come lei là?

— È unica, come lo siamo io, voi e Catalina. La gente non viene al mondo in modelli standard, Friedman. Avete voglia di far colazione, adesso?

Sbadigliò.

— Se si vuole rinascere al livello giusto, si deve imparare a purificarsi dai bisogni della carne. Dottrina del Passaggio. Mortificherò la mia carne rinunciando alla colazione, tanto per cominciare.

Chiuse gli occhi e non ci fu più.

Feci colazione da solo, osservai il mattino arrivare dall’Atlantico, poi presi il “Times” dalla fessura nella porta e fui soddisfatto di vedere che il discorso di Quinn aveva ottenuto la prima pagina, nella metà inferiore ma con una foto a due colonne. IL SINDACO INVOCA IL PIENO POTENZIALE UMANO. Questo era il titolo, leggermente al di sotto del normale standard di incisività del “Times”. L’articolo era impostato sul concetto della Società Ultima e riportava una mezza dozzina delle frasi più incisive nelle prime venti righe. L’articolo proseguiva poi a pag. 21, dove era anche riportato il testo completo del discorso. Non potei resistere alla tentazione di rileggerlo e mentre lo facevo mi trovai a chiedermi come avevo potuto esserne così sconvolto; il discorso stampato, infatti, sembrava mancare di un qualsiasi contenuto reale; si trattava di un semplice oggetto verbale, una collezione di frasi orecchiabili che non offrivano nessun programma e non davano suggerimenti concreti.

E dire che la notte prima era suonato alle mie orecchie come un programma per Utopia. Mi vennero ì brividi. Quinn non ci aveva dato altro che un bell’involucro; io stesso vi avevo attaccato le decorazioni e le rifiniture, tutte le mie informi fantasie di riforme sociali e le trasformazioni del millennio. La rappresentazione di Quinn ci aveva mostrato il puro carisma in azione, una forza elementare che ci aveva schiacciati dall’alto del palco. È sempre così con i grandi condottieri: il prodotto che hanno da vendere è la personalità. Le semplici idee vanno bene per uomini inferiori.

Il telefono cominciò a suonare poco dopo le otto. Mardikian voleva distribuire un migliaio di videoregistrazioni del discorso a organizzazioni di Nuovi Democratici in tutto il paese; cosa ne pensavo? Lombroso riferiva che nella somma raccolta dopo il discorso c’erano delle garanzie per mezzo milione di dollari come contributo alla campagna presidenziale di Quinn che non era stata ancora neppure programmata. Missakian… Ephrikian… Sarkisian…

Quando finalmente riuscii ad avere un attimo di pace, ritornai in soggiorno e trovai Catalina Yarber, già vestita, che cercava di svegliare Lamont Friedman. Mi rivolse un sorriso astuto.

— Ci vedremo presto, ne sono sicura — affermò con voce roca.

Se ne andarono. Sundara dormiva. Ci furono altre telefonate. Il discorso di Quinn aveva avuto risonanza ovunque. Alla fine Sundara emerse dalla camera da letto, nuda, deliziosa, assonnata ma perfetta nella sua bellezza, senza neppure gli occhi gonfi.

— Ho deciso che voglio saperne di più sul Transit — annunciò.

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