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Mardìkian mi trovò un avvocato. Si trattava di Jason Komurjian, un altro armeno, ovviamente, uno dei soci nella finanziaria di Mardikian, lo specialista in divorzi, un uomo dalla schiena immensa e dagli occhietti tristi, molto ravvicinati in una grossa faccia scura.

Lo consultai nel suo studio al 95° piano del Martin Luther King Building, uno studio ombroso e profumato d’incenso che poteva rivaleggiare con quello di Lombroso per pompa e fasto, un posto con ornamenti così ricchi e pesanti come quelli della cappella imperiale di una cattedrale bizantina.

— Divorzio — ripeté Komurjian con espressione sognante — volete il divorzio, per determinare, certo, una separazione definitiva. — Fece ruotare il concetto nelle arene dalle volte immense della sua coscienza come se si trattasse di qualche raffinata questione teologica, come se stessimo parlando della consustanzialità del Padre e del Figlio o delle dottrine della successione apostolica.

— Sì, dovrebbe essere possibile ottenerlo. Vivete separati al momento attuale?

— Non ancora.

Sembrò dispiaciuto. Le sue labbra pesanti si curvarono, la faccia bovina assunse un colore più scuro.

— Questo deve essere fatto il più presto possibile. La perdurante coabitazione mette in pericolo la plausibilità di qualsiasi causa per scioglimento di matrimonio. Anche oggi, anche oggi. Sistematevi in appartamenti separati. Stabilite canali finanziari separati. Dimostrate il vostro proposito, amico mio. Eh?

Afferrò un crocifisso ornato di gemme che si trovava sulla scrivania, una cosa tempestata di rubini e smeraldi, e cominciò a giocarci, facendo scorrere le sue dita spesse sulla superficie snella e liscia, e per un certo periodo si perse nelle proprie ruminazioni. Immaginai di udire i toni di un organo nascosto; vidi una processione di preti barbuti coperti di paramenti procedere attraverso i cori della sua mente. Poi alzò lo sguardo, trapassandomi con un’occhiata inaspettatamente intensa.

— Volete dare battaglia legale?

— No, niente di tutto questo. Vogliamo solo rompere, andarcene ognuno per la propria strada, una semplice cessazione.

— Naturalmente, avrete già discusso della cosa con la signora Nichols e sarete giunti a un accordo preliminare.

Arrossii.

— Ah, ecco… non ancora — balbettai, a disagio.

Komurjian disapprovò decisamente.

— Dovete pur iniziare il discorso, a un certo punto, lo capite anche voi. Presumibilmente, la sua reazione sarà tranquilla. Quindi il suo avvocato e io ci incontreremo e la cosa sarà fatta.

Prese un blocco per appunti.

— Per la divisione della proprietà.,.

— Può avere tutto quello che vuole.

— Tutto? — sembrò stupito.

— Non voglio avere il minimo screzio con lei.

Komurjian si appoggiò con entrambe le mani aperte sulla scrivania.

— E se vuole tutto? Tutti i beni in comune? Cedete senza una parola?

— Non farà una cosa del genere.

— Non è una seguace della Dottrina del Transit?

Stupito, gli chiesi come facesse a saperlo.

— Haig e io abbiamo discusso il caso, penso che capirete.

— Vedo.

— E quelli del Passaggio sono imprevedibili.

Riuscii a soffocare una risata.

— Sì. Ne so qualcosa.

— Per un capriccio, potrebbe anche chiedere tutti i beni.

— Oppure, sempre per un capriccio, non volerne nessuno.

— È vero. Non si sa mai. Allora le vostre istruzioni sono di accettare qualsiasi posizione lei assuma?

— Aspettiamo e vediamo. Generalmente è una persona ragionevole, credo. Perciò prevedo che non farà delle richieste strane circa la divisione delle proprietà.

— E per il saldo del reddito? Non vorrà essere ancora mantenuta da voi? Avete un normale contratto a due, vero?

— Sì. La cessazione pone termine a ogni responsabilità finanziaria.

Komurjian cominciò a barbugliare a voce bassissima, quasi impercettibile. Che noiosa routine doveva sembrargli tutto questo, il continuo spezzare delle unioni sacramentali!

— Quindi non dovrebbero esserci problemi, vero? Ma dovete annunciare la vostra intenzione a vostra moglie, signor Nichols, prima che procediamo oltre.

Cosa che feci. Sundara ormai era così occupata e presa dalle sue molteplici attività dottrinali — le riunioni operative, i suoi cerchi di volatilità, gli esercizi di autodistruzione, i doveri missionari e tutto il resto — che passò quasi una settimana prima che riuscissi a scambiare qualche parola con lei in pace e in casa. Intanto, mi ero ripetuto il discorso a memoria almeno mille volte, cosicché le mie battute erano ormai consumate come delle rotaie; se c’era un esempio di fedele ripetizione del copione, questa lo sarebbe stata sicuramente.

Con l’aria quasi di scusarmi, come se fosse un’intrusione nella sua vita privata chiederle il privilegio di poter scambiare due parole con lei, una sera, sul presto, dissi che volevo parlarle di una cosa importante; e poi le annunciai, come avevo ripetuto infinite volte, che chiedevo il divorzio. Dicendo questo, capii qualcosa di come dovesse essere il “vedere” di Carvajal, perché avevo vissuto questa scena così spesso con la fantasia che ormai mi sembrava un avvenimento del passato.

Sundara mi contemplò con aria pensierosa, senza dire niente, senza mostrare né sorpresa, né rabbia, né ostilità, né entusiasmo, né sgomento, né disperazione.

Il suo silenzio fu come uno schiaffo.

Alla fine, parlai di nuovo io: — Ho preso Jason Komurjian come avvocato. Uno dei soci di Mardikian. Metterà ogni cosa a posto con il tuo avvocato, quando ne avrai uno. Voglio che sia una separazione mantenuta a un livello civile, Sundara.

Sorrise. Monna Lisa di Bombay.

— Non hai niente da dire?

— Niente.

— Per te il divorzio è cosa da niente?

— Divorzio e matrimonio sono aspetti della stessa illusione, amore mio.

— Questo mondo sembra più reale a me che a te, penso. Questa è una delle ragioni per cui non mi sembra più una buona idea continuare a vivere insieme.

— Ci saranno delle liti furibonde per la divisione delle cose che possediamo?

— Ti ho già detto che voglio che sia una cosa civile.

— Bene. Anch’io.

— Tutti quelli del Passaggio accettano i grandi sconvolgimenti della propria vita con tanta indifferenza?

— È un grande sconvolgimento?

— A me sembra di sì.

— A me invece sembra solo la rarifica di una decisione presa molto tempo fa.

— È stato un brutto periodo — ammisi. — Ma anche nei momenti peggiori, ho sempre continuato a ripetermi: è solo una fase, una cosa passeggera, tutti ci passano, alla fine torneremo insieme.

Mentre parlavo, scoprii che mi stavo convincendo che era ancora tutto vero, che Sundara e io potevamo ancora ricostruire un rapporto, da esseri umani fondamentalmente ragionevoli quali eravamo. Eppure le stavo chiedendo di prendersi un avvocato. Mi ricordai di Carvajal che mi diceva “L’avete persa”, con un tono inesorabilmente definitivo nella voce. Ma aveva parlato del futuro, non del passato.

Sundara disse: — E adesso invece pensi che non ci sia più speranza, non è così? Che cosa ti ha fatto cambiare idea?

— Come?

— Hai davvero cambiato idea?

Non dissi nulla.

— Non penso che tu voglia davvero il divorzio, Lew.

— Lo voglio — ribattei bruscamente.

— Così dici.

— Non ti sto chiedendo di leggermi nella mente, Sundara. Solo di seguire la tiritera legale attraverso cui dobbiamo passare per essere liberi di vivere le nostre vite separatamente.

— Tu non vuoi davvero il divorzio, eppure lo vuoi. Che strano, Lew. Un atteggiamento di questo genere è una tipica situazione Transit, sai, quello che noi chiamiamo punto di accordo, una situazione in cui uno assume simultaneamente due posizioni opposte e tenta di conciliarle. Ci sono tre sbocchi possibili. Ti interessa saperli? Uno è la schizofrenia. Un’altra possibilità è l’autoinganno, come quando si pretende di abbracciare entrambe le alternative ma non è vero. E la terza è la condizione di illuminazione conosciuta nel Passaggio come…

— Per favore, Sundara.

— Pensavo ti interessasse.

— No, penso proprio di no.

Mi studiò per un lungo momento. Poi sorrise.

— Questa faccenda del divorzio è in qualche modo collegata con il tuo dono della precognizione, non è vero? In realtà tu non vuoi il divorzio adesso, anche se in fondo non andiamo molto d’accordo, eppure pensi di dovere iniziare le pratiche, perché hai intuito che a un certo punto nel prossimo futuro divorzierai, e… non ho forse ragione, Lew? Avanti: dimmi la verità. Prometto che non mi arrabbio.

— Non sei molto lontana dalla verità.

— Lo pensavo. Bene, e adesso cosa facciamo?

— Cerchiamo di stabilire i termini della separazione — ripetei rabbiosamente. — Consulta un avvocato, Sundara.

— E se non lo faccio?

— Vuoi dire che ti opponi?

— Non l’ho mai detto. Semplicemente non mi va di trattare attraverso un avvocato. Sbrighiamocela tra noi, Lew. Da persone civili.

— Devo consultare Komurjian su questo. Questo modo può essere civile, ma non furbo.

— Pensi che voglia ingannarti?

— Non penso più niente.

Mi si avvicinò. I suoi occhi brillavano; il suo corpo emanava una palpitante sensualità. Davanti a lei ero inerme.

Avrebbe potuto chiedermi tutto. Mi baciò sulla punta del naso e disse con voce roca e melodrammatica: — Se vuoi il divorzio, caro, puoi averlo. Qualunque cosa tu voglia, io non mi opporrò. Voglio che tu sia felice. Ti amo, lo sai.

Sorrise malignamente. Oh, quella malizia così Transit!

— Qualunque cosa tu voglia — ripeté.

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