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Carvajal è morto il 22 aprile 2000. Io sto scrivendo all’inizio di dicembre a poche settimane di distanza dal vero inizio del XXI secolo e del nuovo millennio. L’arrivo del millennio mi troverà in questo edificio non meglio identificato in questa non specificata città del New Jersey settentrionale, a dirigere l’attività, ancora allo stadio iniziale, del Centro dei Processi Stocastici. Siamo qui da agosto, quando il testamento di Carvajal mi nominò unico erede di tutti i suoi milioni.

Qui al Centro, naturalmente, non lavoriamo con metodi stocastici. Gli abbiamo messo quel nome per convenienza; qui non siamo stocastici, ma piuttosto poststocastici, abbiamo superato la fase di manipolazione delle probabilità per arrivare alla certezza della seconda vista. Ma ho pensato che fosse meglio non dire le cose come stanno esattamente. Ciò a cui ci dedichiamo è una specie di stregoneria e una delle grandi lezioni impartite dal XX secolo quasi finito è che, se si vuole praticare la magia, è meglio farlo passare sotto un altro nome. “Stocastico” ha un piacevole tono pseudoscientifico che fornisce la materia adatta a una finzione, evocando un’immagine di schiere di giovani ricercatori che immettono dati in enormi computer.

Per ora siamo in quattro. Tra breve aumenteremo. Stiamo costruendo poco alla volta. Trovo nuovi seguaci ogni volta che ne ho bisogno. Conosco già il nome del prossimo, e so come lo convincerò a unirsi a noi, e al momento giusto verrà proprio come i primi tre. Sei mesi fa erano dei perfetti estranei per me; oggi sono come fratelli.

Ciò che stiamo costituendo è una società, un sodalizio, una comunità, un clero, se volete, una banda di “veggenti”. Stiamo ampliando e perfezionando i poteri della nostra vista, eliminando le ambiguità, raffinando la percezione. Carvajal aveva ragione: tutti hanno il dono. Ma dev’essere tirato fuori, risvegliato. In voi. E così ciascuno di noi tenderà la mano a un altro. Diffondendo pacificamente il vangelo poststocastico, moltiplicando pacificamente il numero di quelli che “vedono”. Sarà un processo lungo e lento. Saremo perseguitati. Tempi duri stanno per venire, e non solo per noi. Dobbiamo ancora passare attraverso l’éra di Quinn, un periodo che mi è ormai familiare come tutti gli altri periodi storici, anche se non è ancora iniziato: l’elezione che lo consacrerà è lontana quattro anni. Ma io “vedo” al di là, “vedo” i cambiamenti, i tumulti, i dolori che seguiranno quell’elezione. Non importa. Supereremo il regime di Quinn, come abbiamo resistito ad Assurbanipal, Attila, Genghiz Khan, Napoleone. Le nubi della visione già si aprono e “vediamo” oltre le tenebre future, contempliamo il tempo della guarigione.

Ciò che edifichiamo qui è una comunità che ha come fine l’abolizione dell’incertezza, l’assoluta eliminazione del dubbio. Alla fine guideremo l’umanità in un universo in cui niente è casuale, niente è ignoto, tutto è prevedibile e predicibile a ogni livello, dal microcosmico al macrocosmico, dalla contrazione di un elettrone ai viaggi delle nebulose galattiche.

Insegneremo all’umanità ad assaporare il dolce conforto del preordinato. E in un certo senso diventeremo degli dèi.

Dèi? Sì.

Ascoltate, Gesù ebbe paura quando i centurioni di Pilato andarono a prenderlo? Si lamentò perché andava a morire, pensò con rimpianto alla fine del suo ministero? No, no, andò calmo, senza mostrare né paura né amarezza né sorpresa, seguendo il copione, recitando la sua parte prestabilita, serenamente consapevole del fatto che ciò che gli stava accadendo faceva parte di un Piano predeterminato, necessario e inevitabile. E che dire di Iside, la giovane Iside che amava il fratello Osiride, che conosceva fin da bambina ciò che le riservava il futuro, che Osiride doveva essere fatto a pezzi, che lei avrebbe dovuto cercarne il corpo dilaniato nel fango del Nilo, che per tramite suo Osiride si sarebbe reintegrato, che da loro sarebbe nato il potente Oro? Iside visse nel dolore, è vero, e con la certezza anticipata della perdita terribile, e sapeva queste cose fin dall’inizio, perché era una divinità. Ma agì come doveva agire. Agli dèi non è dato il potere di scelta; è il prezzo e il prodigio della loro divinità. E gli dèi non conoscono paura o autocompatimento ó dubbio, perché sono dèi e non possono scegliere altra strada che quella giusta. Bene. Noi saremo come dèi, tutti noi.

Ho superato il momento del dubbio; ho sopportato e superato gli assalti della confusione e del terrore; sono passato in un regno che giace oltre queste cose, ma non in una paralisi come quella che affliggeva Carvajal. Io sono in un altro posto e vi ci posso portare. Noi “vedremo”; capiremo l’inevitabilità dell’inevitabile; accetteremo ogni frase del copione serenamente e senza rimpianto.

Circa quarant’anni fa uno scienziato e filosofo francese, Jacques Monod, scrisse: “L’uomo sa infine che è solo nell’indifferente immensità dell’universo da cui è emerso per caso”.

Ci credevo, una volta. Può darsi che voi ci crediate anche adesso.

Ma esaminate l’affermazione di Monod alla luce di un’osservazione fatta una volta da Albert Eìnstein: “Dio non tira i dadi”.

Una di queste due affermazioni è sbagliata. Credo di sapere quale.

FINE
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