19 Ai piedi del Pugnale

La notte ai piedi del Pugnale del Kinslayer era fredda, come sono sempre le notti fra le montagne. Il vento soffiava dagli alti picchi e portava il gelo delle cime innevate. Rand cambiò posizione sul terreno duro e si avvolse meglio nel mantello e nella coperta, addormentato solo per metà. Portò la mano alla spada, per terra al suo fianco. “Ancora un giorno” pensò. “Ancora uno e poi ce ne andiamo. Se domani non viene nessuno, Ingtar o gli Amici delle Tenebre, condurrò Selene a Cairhien."

Non era la prima volta che se lo diceva. Ogni giorno trascorso sul pendio delle montagne, a tenere d’occhio il luogo dove secondo Hurin c’era stata la traccia in quell’altro mondo (e dove, secondo Selene, gli Amici delle Tenebre sarebbero di sicuro comparsi in questo mondo) si era ripetuto che era tempo d’andarsene. E Selene parlava del Corno di Valere e gli toccava il braccio e lo guardava negli occhi... e prima di rendersene conto, lui conveniva d’aspettare ancora un giorno.

Si strinse nelle spalle per difendersi dal vento gelido e pensò al tocco di Selene, agli sguardi di Selene. Se Egwene avesse visto, l’avrebbe tosato come pecora; e avrebbe tosato pure Selene. Ma ormai Egwene era di sicuro a Tar Valon e imparava a essere Aes Sedai. Al primo incontro, probabilmente avrebbe tentato di domarlo.

Nel rigirarsi, con la mano toccò il fagotto, posto più in là della spada, contenente l’arpa e il flauto di Thom Merrilin. Inconsciamente strinse fra le dita il manto del menestrello. Era felice, a quel tempo, anche se fuggiva per salvarsi la vita. Suonava il flauto per procurarsi la cena. Era troppo ignorante per sapere che cosa accadeva. Non c’era modo di tornare indietro.

Con un brivido aprì gli occhi. L’unica luce proveniva dalla luna calante, ancora quasi piena e bassa nel cielo: un fuoco da campo avrebbe rivelato la loro posizione. Loial borbottò nel sonno, un basso brontolio. Un cavallo batté lo zoccolo. Hurin montava il primo turno di guardia, da una roccia poco più in alto; presto sarebbe venuto a svegliarlo per avere il cambio.

Rand tornò a rigirarsi... e si bloccò. Nel chiaro di luna scorse Selene, china sulle bisacce e intenta ad armeggiare con le fibbie. La veste bianca rifletteva la scarsa luce. «Ti serve qualcosa?» domandò.

Selene trasalì e guardò dalla sua parte. «Mi... mi hai spaventata.»

Rand si alzò, mettendo da parte la coperta e avvolgendosi nel mantello, e andò verso di lei. Era sicuro d’avere lasciato le bisacce proprio accanto a sé, quando si era disteso: le teneva sempre a portata di mano. Gliele tolse. Tutte le fibbie erano chiuse, anche quelle del lato dove teneva il maledetto stendardo. Possibile che la sua vita dipendesse dal fatto di conservarlo? Se qualcuno l’avesse visto e riconosciuto, sarebbe morto perché l’aveva con sé. Sospettoso, scrutò Selene.

Lei rimase ferma a guardarlo. La luna le brillò negli occhi scuri. «M’è venuto in mente» disse Selene «che porto questa veste da troppo tempo. Potrei spazzolarla, almeno, se avessi altro da indossare mentre la pulisco. Una delle tue camicie, forse.»

Rand annuì, sollevato. La veste di Selene gli pareva pulita come la prima volta che l’aveva vista, ma sapeva che se nella veste di Egwene compariva una macchiolina, lei non era contenta se non la ripuliva immediatamente.

«Certo» disse. Aprì la tasca dove aveva infilato tutto tranne lo stendardo e tirò fuori una delle camicie di seta bianca.

«Grazie.» Selene si portò le mani alla schiena. Per sbottonare la veste, capì Rand. Subito si girò.

«Se mi aiuti, farò meno fatica. Rand si schiarì la gola.»

«Non sarebbe corretto. Non è come se fossimo promessi o...» “Smettila di pensare a queste cose! Non potrai mai sposarti." «Insomma, non sarebbe corretto.»

La risatina di Selene gli mandò un brivido lungo la schiena, come se lei gli passasse il dito lungo la spina dorsale. Rand cercò di non prestare orecchio ai fruscii alle sue spalle. Disse: «Ah... domani... domani partiremo per Cairhien.»

«E il Corno di Valere?»

«Forse ci siamo sbagliati. Forse non vengono affatto qui. Hurin dice che ci sono diversi passi per attraversare il Pugnale del Kinslayer. Un po’ più a ponente non devono neppure inoltrarsi fra le montagne.»

«Ma la pista che abbiamo seguito portava qui. Verranno qui. Il Corno verrà qui. Puoi girarti, ora.»

«Lo dici tu, ma non sappiamo...» Si girò e le parole gli morirono sulle labbra. Selene reggeva fra le braccia la veste e indossava la sua camicia che le penzolava addosso, troppo larga. Era una camicia fatta per uno della sua altezza, ma Selene era alta, per essere una donna. Il lembo inferiore le arrivava a metà polpaccio. Non che lui non avesse mai visto gambe femminili: nei Fiumi Gemelli, le ragazze si tiravano su le sottane per andare nei laghetti del Waterwood. Ma smettevano di farlo, molto prima d’essere tanto adulte da portare la treccia... e poi, stavolta era di notte. La pelle di Selene luccicava al chiaro di luna.

«Cosa non sai, Rand?»

Il suono della voce gli sgelò le giunture. Con un forte colpo di tosse, Rand si girò a guardare da un’altra parte. «Ah... penso... ah... io...»

«Pensa alla gloria, Rand» disse Selene. Gli toccò la schiena e lui rischiò di fare una figuraccia lasciandosi scappare uno strillo. «La gloria che toccherà a chi ritrova il Corno di Valere. Quanto sarei orgogliosa di stare vicino a chi regge il Corno. Non immagini nemmeno le altezze che scaleremo insieme, tu e io. Col Corno di Valere in mano tua, puoi diventare re. Puoi essere un altro Artur Hawkwing. Puoi...»

«Lord Rand!» Hurin, ansimante, arrivò nell’accampamento. «Milord, loro...» Si fermò di colpo, con un borbottio strozzato. Abbassò gli occhi e rimase a torcersi le mani. «Chiedo perdono, milady. Non volevo... Chiedo scusa.»

Loial si alzò a sedere, gettando da parte coperta e mantello. «Cosa succede? È già il mio turno?» Guardò dalla parte di Rand e di Selene: anche al chiaro di luna fu evidente che sgranò gli occhi.

Rand udì alle sue spalle il sospiro di Selene. Si allontanò da lei, sempre senza guardarla. Le sue gambe erano così bianche, così lisce... «Cosa c’è, Hurin?» Controllò il tono di voce: era arrabbiato con Hurin, con se stesso o con Selene? Non c’era motivo per essere arrabbiato con lei. «Hai visto qualcosa?»

L’annusatore rispose senza alzare gli occhi. «Un fuoco, milord, giù fra le alture. Sulle prime non l’ho scorto. È piccolo, nascosto dagli occhi d’eventuali inseguitori, non da chi sta più avanti e più in alto. A due miglia, lord Rand. Di sicuro meno di tre.»

«Fain» disse Rand. «Ingtar non avrebbe timore d’essere seguito. Di sicuro è Fain.» A un tratto non sapeva più che cosa fare. Avevano aspettato Fain, ma ora che costui era solo a un paio di miglia da loro, lui era incerto. «Domattina... Domattina lo seguiremo. Quando Ingtar e gli altri ci raggiungeranno, indicheremo loro l’esatta posizione.»

«Così» disse Selene «lascerai che questo Ingtar prenda il Corno di Valere. E la gloria.»

«Non voglio...» Senza pensarci, si girò, e lei era lì, con le gambe nude illuminate dal chiaro di luna, noncurante come se fosse da sola. “Come se noi due fossimo da soli” pensò Rand. “Vuole l’uomo che troverà il Corno." «In tre non possiamo prenderlo» replicò. «Ingtar ha con sé venti lancieri.»

«Come fai a dirlo? Quanti seguaci ha, quell’uomo? Non sai neppure questo. Non sai nemmeno se gli uomini accampati più in basso hanno il Corno. L’unico modo è scendere a vedere. Prendi con te l’alantin: la sua razza ha vista acuta anche al chiaro di luna. E lui ha la forza per trasportare lo scrigno del Corno, se prendi la decisione giusta.»

Aveva ragione, si disse Rand: non era sicuro che si trattasse di Fain. «Andrò da Solo» dichiarò. «Hurin e Loial faranno là guardia a te.»

Selene gli sorrise e si accostò con tanta grazia che parve quasi danzare. Le ombre gettate dalla luna le velavano il viso, le davano un’aria di mistero che la rendeva ancora più bella. «Sono capace di difendermi da sola, finché non torni a proteggermi. Prendi l’alantin.»

«Ha ragione, Rand» disse Loial, alzandosi. «Al chiaro di luna ci vedo meglio di te. Non sarà necessario avvicinarci tanto.»

«E va bene.» Rand prese la spada e se l’agganciò alla cintura. Lasciò arco e faretra dov’erano: un arco non era di grande utilità, al buio, e lui intendeva guardare, non combattere. «Hurin, mostrami questo fuoco.»

L’annusatore lo guidò su per il pendio, fino all’affioramento roccioso, simile a un enorme pollice di pietra che sporgesse dalla montagna. Il fuoco era soltanto un puntino: sulle prime, Rand non lo scorse, quando Hurin glielo indicò. Chiunque l’avesse acceso, non voleva che si vedesse. Rand si fissò in mente la posizione.

Tornarono all’accampamento, dove Loial aveva già sellato Red e il proprio cavallo. Mentre Rand montava in sella al baio, Selene gli prese la mano. «Ricorda la gloria» disse piano. «Ricorda.» La camicia la copriva meglio di quanto lui non ricordasse e le modellava le forme.

Rand trasse un profondo respiro e staccò la mano. «Proteggila a costo della vita, Hurin» disse. «Loial?» Diede di sprone. L’Ogier lo seguì.

Non cercarono di muoversi rapidamente. La notte ammantava il fianco della montagna e le ombre proiettate dalla luna rendevano incerti gli appoggi. Rand non scorgeva più il fuoco, ma ne ricordava la posizione. Per uno che aveva imparato a cacciare nell’intricato Westwood, trovare quel fuoco non presentava difficoltà. E poi? Davanti a lui si stagliò il viso di Selene. Quanto sarei orgogliosa di stare vicino a chi regge il Corno, aveva detto.

«Loial, perché continua a chiamarti alantin?» domandò a un tratto, cercando di pensare ad altro.

«Una parola della Lingua Antica, Rand.» Il cavallo dell’Ogier avanzava a passi incerti, ma Loial lo guidava con sicurezza, quasi come se fosse giorno. «Significa Fratello ed è un’abbreviazione di tia avende alantin, Fratello degli Alberi. Una parola molto formale, ma mi risulta che i cairhienesi amino le formalità. Le Case nobili, almeno. La gente comune non è affatto formale.»

Rand corrugò la fronte. Un pastore non sarebbe stato accettabile, per una Casa nobile del Cairhien. Luce santa, Mat aveva ragione. Era pazzo e anche stupido. Ma se avesse potuto sposarsi...

Non voleva più pensare: senza preavviso, dentro di lui si formò il vuoto e gli rese i pensieri cose remote, quasi estranee a lui. Saidin brillò, lo invitò. Rand digrignò i denti e lo ignorò: era come ignorare un tizzone ardente dentro la propria testa, ma almeno riusciva a tenerlo a bada. Per un pelo. Gli Amici delle Tenebre erano là fuori nella notte, più vicino, adesso. E i Trolloc. Aveva bisogno del vuoto, anche della fastidiosa calma del vuoto. Non era obbligato a toccare Saidin.

Dopo un poco fermò Red. Si trovavano alla base di un’altura sul cui pendio gli alberi, assai distanziati, apparivano neri nella notte. «Ormai dovremmo esserci avvicinati» disse piano Rand. «Meglio continuare a piedi.» Smontò di sella e legò a un ramo le redini del baio.

«Stai bene?» mormorò Loial. «Sembri strano.»

«Sto benissimo» replicò Rand. Si rese conto di parlare con voce tesa. Forzata. Saidin lo chiamava. No! «Fai attenzione» soggiunse. «Il fuoco dovrebbe essere proprio davanti a noi. In cima all’altura, credo.»

L’Ogier annuì. Rand avanzò lentamente, passando d’albero in albero, posando il piede con prudenza, tenendo stretta al fianco la spada per non farla urtare contro i tronchi. Per fortuna non c’era sottobosco. Loial lo seguì, simile a una grossa ombra. Ogni cosa era ombra e buio.

All’improvviso uno scherzo del chiaro di luna mutò le ombre più avanti e Rand impietrì, toccando il tronco scabro di una ericacea. I confusi rigonfiamenti del terreno divennero uomini avvolti in coperte e a una certa distanza comparve un gruppo di rigonfiamenti più grossi. Trolloc addormentati. Avevano spento il fuoco. Un raggio di luna, muovendosi fra i rami, trasse da terra un luccichio d’oro e d’argento, a metà fra i due gruppi. Il raggio parve aumentare di luminosità: per un istante Rand vide con chiarezza. Vicino al bagliore c’era la sagoma d’un uomo addormentato, ma non fu questa ad attirare l’attenzione di Rand. Lo scrigno. Il Corno. E un oggetto sopra lo scrigno, un oggetto con un puntino rosso che brillò alla luna. Il pugnale! Perché mai Fain aveva messo il pugnale sopra...

Loial gli tappò la bocca. Rand si girò a guardarlo. L’Ogier indicò a destra, lentamente, come se il movimento rischiasse d’attirare l’attenzione.

Sulle prime Rand non vide niente; poi, a meno di dieci passi da lui, un’ombra si mosse. Un’ombra alta e massiccia, animalesca. Rand trattenne il fiato: un Trolloc. La creatura alzò il muso, come se annusasse l’aria. Alcuni Trolloc cacciavano basandosi sul fiuto.

Per un istante il vuoto vacillò. Qualcuno, nel gruppo di Amici delle Tenebre, cambiò posizione e il Trolloc si girò a scrutare da quella parte.

Rand s’immobilizzò e si lasciò avvolgere dalla calma del vuoto. Tenne la mano sull’elsa, ma non pensò alla spada. Il vuoto era tutto. Fissò il Trolloc, senza battere ciglio.

L’ombra animalesca osservò ancora per un poco il campo degli Amici delle Tenebre e poi, soddisfatta, si accovacciò ai piedi d’un albero. Quasi subito si udì un rumore simile a quello di tela strappata.

Loial avvicinò le labbra all’orecchio di Rand. «Si è addormentato» bisbigliò, incredulo.

Rand annuì. Tarn gli aveva detto che i Trolloc erano pigri, capaci di trascurare qualsiasi incarico, tranne uccidere, se non li si costringeva con la paura. Si girò dalla parte del campo.

Tornò il silenzio. Il chiaro di luna non brillava più sullo scrigno, ma Rand ora ne conosceva la posizione. Con gli occhi della mente vedeva il Corno, librato fuori del vuoto, lucente d’oro, intarsiato d’argento, nel bagliore di Saidin. Il Corno di Valere e il pugnale indispensabile a Mat, tutt’e due quasi a portata di mano. E, con il Corno, il viso di Selene. Si disse che potevano seguire il gruppo di Fain, al mattino, e aspettare che Ingtar li raggiungesse, se ancora seguiva la pista anche senza l’annusatore. No, una simile occasione non si sarebbe più presentata. Corno e pugnale lì a portata di mano. E Selene aspettava sulla montagna.

Rand segnalò a Loial di seguirlo; si mise carponi e strisciò verso lo scrigno. Udì l’ansito soffocato dell’Ogier, ma tenne gli occhi fissi sullo scrigno velato d’ombra. A destra e a sinistra c’erano Amici delle Tenebre e Trolloc, addormentati; ma lui una volta aveva visto Tarn avvicinarsi di soppiatto a un cervo, tanto da toccagli il fianco, prima di farlo scappare.

Piano piano, senza far rumore, strisciò fino a quell’ombra speciale e protese la mano. Toccò eleganti ghirigori incisi nell’oro: era davvero lo scrigno del Corno di Valere. E toccò un altro oggetto, posto sul coperchio: il pugnale, sguainato. Sgranò gli occhi. Ricordò quel che il pugnale aveva fatto a Mat e si ritrasse di scatto.

L’uomo addormentato lì accanto, a non più di due passi dallo scrigno, borbottò nel sonno e si agitò sotto la coperta. Rand lasciò che il vuoto spazzasse via pensieri e paura. L’uomo emise un mormorio d’inquietudine e si calmò.

Rand allungò di nuovo la mano verso il pugnale, senza toccarlo. Si disse che all’inizio il pugnale non aveva nuociuto a Mat, non molto, almeno. Con gesto rapido afferrò il pugnale e se l’infilò nella cintura, come se fosse utile ridurre al minimo il tempo di contatto con la pelle nuda. Forse era vero. Inoltre, senza quel pugnale Mat sarebbe morto. Rand se lo sentì addosso, simile a un peso che lo tirava giù, che premeva su di lui. Ma nel vuoto quella sensazione era remota come il pensiero e il peso del pugnale svanì rapidamente.

Rand sprecò ancora un istante per fissare lo scrigno: il Corno era certo là dentro, ma lui non sapeva come aprire lo scrigno e non poteva sollevarlo da solo; si guardò intorno, cercando Loial. L’Ogier, acquattato poco lontano alle sue spalle, muoveva la grossa testa da una parte e dall’altra per scrutare gli Amici delle Tenebre e i Trolloc addormentati. Rand gli afferrò la mano.

Loial trasalì e ansimò. Rand si mise il dito sulle labbra, posò sullo scrigno la mano di Loial e mimò il gesto di sollevarlo. Per un poco — un’eternità, nella notte piena di Amici delle Tenebre e di Trolloc — Loial si limitò a fissarlo. Poi, lentamente, prese fra le braccia lo scrigno e si alzò senza sforzo apparente.

Rand cominciò ad allontanarsi, con prudenza anche maggiore, seguendo Loial. Mani sulla spada, tenne d’occhio gli Amici delle Tenebre e i Trolloc, sagome immobili presto inghiottite dal buio. Ce l’avevano quasi fatta!

All’improvviso, l’uomo che dormiva accanto allo scrigno si alzò a sedere con un grido strozzato e subito balzò in piedi. «È sparito! Sveglia, luridi bastardi! È sparito!» Rand riconobbe la voce di Fain. Gli altri si alzarono in fretta, Amici delle Tenebre e Trolloc, tra grida per sapere che cosa accadeva, ringhi e grugniti. La voce di Fain divenne un ululato. «So che sei stato tu, al’Thor! Non ti vedo, ma sei nascosto qui intorno! Trovatelo! Trovatelo! Al’Thor!» Uomini e Trolloc si sparpagliarono in tutte le direzioni.

Avvolto nel vuoto, Rand continuò a muoversi. Saidin pulsò in lui.

«Non può vederci» bisbigliò Loial. «Ci basta arrivare ai cavalli...»

Dal buio un Trolloc s’avventò contro di loro, faccia umana con un micidiale becco d’aquila al posto di naso e bocca, spada simile a falce già pronta a fendere l’aria.

Rand reagì senza pensare. Fu tutt’uno con la spada. Il gatto danza sul muro. Con un grido d’agonia, il Trolloc cadde e morì.

«Scappa, Loial!» ordinò Rand. Saidin lo chiamava. «Scappa!»

Si accorse appena che Loial si lanciava in una goffa corsa: un altro Trolloc si stagliò nel buio, muso e zanne da cinghiale, ascia alzata. Rand si frappose tra Trolloc e Ogier: Loial doveva portare via il Corno. Testa e spalle più alto di Rand, largo una volta e mezzo, il Trolloc s’avventò con un ringhio silenzioso. Il cortigiano muove il ventaglio. Stavolta non ci fu alcun grido d’agonia. Rand camminò a ritroso, seguendo Loial e scrutando nella notte. Saidin gli cantava, un canto dolcissimo. Il Potere poteva bruciarli tutti, bruciare Fain e gli altri, ridurli in cenere. No!

Altri due Trolloc, lupo e ariete: zanne lucenti e corna ricurve. Lucertola nel roveto. Rand si rialzò agilmente, mentre il secondo Trolloc cadeva e con le corna gli sfiorava la spalla. Il canto di Saidin lo accarezzava con la sua seduzione, lo tirava con mille funi di seta. Bruciali tutti con il Potere. No, no! Meglio morire. Da morto, sarebbe tutto finito.

Comparve un gruppetto di Trolloc, incerti sulla direzione. Tre, quattro. All’improvviso uno di essi indicò Rand e mandò un latrato a cui gli altri risposero lanciandosi all’attacco.

«Facciamola finita!» gridò Rand e balzò a incontrarli.

Per un istante la sorpresa rallentò i Trolloc; poi quei mostri si lanciarono alla carica, con grida gutturali, allegri e assetati di sangue, spade e asce alzate. Rand danzò fra di loro al canto di Saidin. Il colibrì bacia la rosa. Gatto sulla sabbia ardente. Nelle sue mani, la spada pareva viva come mai lo era stata e Rand combatteva come se una lama col marchio dell’airone potesse tenere lontano Saidin. L’airone allarga le ali.

Rand fissò le figure immobili sul terreno intorno a sé. «Meglio morire» mormorò. Alzò gli occhi verso l’altura con l’accampamento. Là c’era Fain, c’erano gli Amici delle Tenebre e altri Trolloc. Troppi, per affrontarli e sopravvivere. Mosse un passo in quella direzione. Poi un altro.

«Rand, andiamo!» Il bisbiglio pressante di Loial giunse nel vuoto fino a lui. «Per la vita e la Luce, Rand, vieni via!»

Rand si chinò a pulire la spada sul mantello di un Trolloc. Poi, con gesto formale, come se Lan fosse lì a guardare, la mise nel fodero.

«Rand!»

Con calma, Rand raggiunse Loial ai cavalli. L’Ogier aveva preso dalle bisacce una corda e legava sulla sella lo scrigno d’oro.

Saidin non cantava più. Era sempre lì, quel bagliore che torceva lo stomaco, ma si teneva in disparte, quasi fosse davvero sconfitto. Perplesso, Rand lasciò svanire il vuoto. «Credo d’impazzire» disse. Di colpo si rese conto del luogo dove si trovavano e scrutò dalla parte da cui erano giunti. Grida e latrati provenivano da una decina di direzioni: segnali di ricerca, non d’inseguimento. Rand montò in sella.

«A volte non capisco nemmeno la metà dei tuoi discorsi» disse Loial. «Se proprio devi impazzire, non puoi almeno aspettare d’essere di nuovo con lady Selene e Hurin?»

«Come farai a cavalcare con lo scrigno sulla sella?»

«Andrò a piedi!» E infatti si mise a correre, tirandosi dietro il cavallo. Rand lo seguì.

L’andatura imposta da Loial era rapida come il trotto d’un cavallo. Rand era sicuro che l’Ogier non potesse mantenerla a lungo, ma Loial non diede segno di stanchezza: quando si era vantato d’avere battuto in velocità un cavallo, aveva detto la pura verità. Di tanto in tanto Loial si guardava alle spalle, ma le grida degli Amici delle Tenebre e i latrati dei Trolloc si affievolivano in lontananza.

Anche quando il pendio divenne più erto, Loial quasi non rallentò l’andatura; arrivati all’accampamento, non aveva nemmeno il fiatone.

«L’hai preso» disse Selene, esultante, guardando lo scrigno sulla sella di Loial. Si era rimessa la veste, che pareva bianca come neve. «Sapevo che avresti fatto la scelta giusta, Posso... posso dargli un’occhiata?»

«Vi hanno seguito, milord?» chiese ansiosamente Hurin. Guardò con stupore reverenziale lo scrigno, ma spostò lo sguardo giù nella notte, verso la base della montagna. «Se vi hanno seguito, dobbiamo muoverci in fretta.»

«Non credo» rispose Rand. «Torna sulle rocce e tieni gli occhi aperti.» Smontò di sella, mentre Hurin risaliva in fretta il pendio. «Selene, non so aprire lo scrigno. Loial, tu sai aprirlo?» L’Ogier scosse la testa.

«Fammi provare...» Selene allungò la mano a toccare i disegni finemente lavorati, mosse le dita, premette. Si udì uno scatto. Selene spinse il coperchio e aprì lo scrigno.

Si alzò in punta di piedi per infilare la mano nello scrigno, ma Rand la precedette e prese il Corno di Valere. L’aveva visto già una volta, ma non l’aveva mai toccato. Per quanto di magnifica fattura, non aveva l’aria d’un oggetto di grande antichità e di grande potere. Era un corno ricurvo, d’oro, che scintillava nella fioca luce, con una scritta in argento intarsiata intorno alla svasatura. Rand toccò col dito le lettere bizzarre, che parevano catturare i raggi di luna.

«Tia mi aven moridin isainde vadin» disse Selene. «‘La tomba non è sbarramento al mio richiamo.’ Sarai davvero più grande dello stesso Artur Hawkwing.»

«Lo porto nello Shienar, a lord Agelmar» disse Rand. “Dovrebbe andare a Tar Valon” pensò. “Ma con le Aes Sedai ho chiuso. Che sia Agelmar, o Ingtar, a portarlo laggiù." Rimise nello scrigno il Corno: rifletteva il chiaro di luna, attirava l’occhio.

«Pazzia!» disse Selene.

A quella parola Rand trasalì, «Pazzia o no, ho deciso. Te l’ho detto, Selene, non cerco grandezza. Laggiù, credevo di sì. Per un poco pensavo di volere...» “Luce santa, è bellissima. Egwene. Selene. Non merito nessuna delle due." «Pareva che qualcosa si fosse impadronito di me.» “Saidin è venuto per me, ma l’ho sconfitto con una spada. O anche questa è pazzia?" «Lo Shienar è il posto del Corno di Valere. In caso contrario, lord Agelmar saprà cosa farne.»

Comparve Hurin. «Hanno acceso di nuovo il fuoco, lord Rand, più grosso di prima. E m’è parso di udire delle grida. Giù fra le colline. Non credo che abbiano già cominciato a risalire la montagna.»

«Non mi hai capito, Rand» disse Selene. «Non puoi più tornare indietro. Sei compromesso. Questi Amici del Buio non si limiteranno ad andarsene, solo perché ti sei impadronito del Corno. Anzi, tutt’altro. Se non conosci un modo per ucciderli tutti, ti daranno la caccia come tu la davi a loro.»

«No!» gridò Rand. Loial e Hurin parvero sorpresi per la veemenza della risposta. Rand addolcì il tono. «Non conosco alcun modo per ucciderli tutti. Per quel che mi riguarda, possono vivere in eterno.»

Selene scosse la testa, facendo ondeggiare i lunghi capelli neri. «Allora non puoi tornare indietro, puoi solo proseguire. E raggiungere la sicurezza delle mura di Cairhien in un tempo molto inferiore di quello necessario per tornare nello Shienar. Trovi tanto gravoso sopportare la mia compagnia ancora per qualche giorno?»

Rand fissò lo scrigno. La compagnia di Selene era tutt’altro che gravosa: ma accanto a lei non poteva fare a meno di pensare cose che non doveva pensare. Tuttavia, andando a settentrione, correva il rischio d’uno scontro con Fain e i suoi seguaci. In questo Selene aveva ragione: Fain non avrebbe mai rinunciato. Neppure Ingtar, però. Se Ingtar continuava verso meridione, e Rand non vedeva ragione perché dovesse cambiare percorso, prima o poi sarebbe giunto a Cairhien.

«Cairhien» convenne. «Mi mostrerai dove vivi, Selene. Non sono mai stato nel Cairhien.» Allungò la mano per chiudere lo scrigno.

«Hai preso qualcos’altro, agli Amici del Buio?» domandò Selene. «Parlavi di un pugnale.»

Come aveva fatto a dimenticarsene? Rand lasciò perdere lo scrigno e tolse dalla cintura il pugnale. La lama era ricurva come un corno e aveva guardie d’oro a forma di serpente. Incastonato nell’elsa, un rubino grosso come l’unghia del pollice ammiccò al chiaro di luna, come un occhio malevolo. Per quanto riccamente ornato, per quanto infetto, non pareva diverso da qualsiasi altro pugnale.

«Stai attento» disse Selene. «Non tagliarti.»

Rand rabbrividì: portare su di sé quel pugnale era già pericoloso; non voleva proprio scoprire che cosa poteva fare un suo taglio. «Proviene da Shador Logoth» spiegò agli altri. «Corrompe chiunque lo tenga per un certo tempo, lo contamina fino al midollo, così com’è contaminata Shadar Logoth. Senza l’intervento delle Aes Sedai, alla fine la contaminazione risulterà mortale.»

«Ecco allora che cosa affligge Mat» disse piano Loial. «Non l’avevo mai sospettato.» Hurin fissò il pugnale e si pulì le mani sul davanti della giubba. Non aveva un’aria felice.

«Nessuno di noi deve maneggiarlo più dell’indispensabile» continuò Rand. «Troverò un modo di portarlo...»

«È pericoloso» disse Selene. Guardò di storto il pugnale, come se i serpenti della guardia fossero vivi e velenosi. «Buttalo via. Sotterralo, se non vuoi che cada in altre mani. Ma liberatene.»

«Mat ne ha bisogno» replicò Rand, con fermezza.

«È troppo pericoloso. L’hai detto tu stesso.»

«Mat ne ha bisogno. L’Amy... le Aes Sedai dicono che morirà: non riusciranno a guarirlo, senza il pugnale.» Ancora un filo, pensò, legava Mat alle Aes Sedai, ma quella lama l’avrebbe reciso. E finché non si fosse liberato del pugnale, e del Corno, anche lui sarebbe stato legato; ma, per quanto lo tirassero, non avrebbe danzato ai loro comandi.

Mise il pugnale nello scrigno, accanto al Corno, e chiuse il coperchio, che si bloccò con uno scatto secco. «Questo dovrebbe fare da schermo» disse. Almeno, se lo augurava. Secondo Lan, proprio nel momento della massima incertezza bisognava mostrarsi più sicuri.

«Lo scrigno ci riparerà di certo» disse Selene, con voce tesa. «E ora vorrei terminare quel che mi resta del sonno della notte.»

Rand scosse la testa. «Siamo troppo vicini. Certe volte pare che Fain abbia il dono di rintracciarmi.»

«Cerca l’Interezza, se hai paura» replicò Selene.

«Prima di domattina voglio essere il più lontano possibile da questi Amici delle Tenebre. Ti sello la giumenta.»

«Testardo!» ribatté Selene. Pareva in collera; ma quando Rand la guardò, aveva sulle labbra un sorriso che non arrivava agli occhi. «Un uomo testardo è migliore, una volta che...» Lasciò perdere la frase e Rand si preoccupò: pareva che le donne lasciassero spesso frasi in sospeso e, in base alla sua limitata esperienza, proprio quello che non dicevano si dimostrava il guaio maggiore. In silenzio Selene lo guardò sellare la giumenta e chinarsi a stringere il sottopancia.

«Radunali tutti!» ringhiò Fain. Di fronte alla sua collera, il Trolloc dal muso di capro arretrò. Ora il fuoco illuminava la collina e proiettava ombre guizzanti. I seguaci umani di Fain erano rannicchiati lì accanto, col terrore di trovarsi al buio con i rimanenti Trolloc. «Raduna tutti quelli ancora vivi e se qualcuno pensa di fuggire, fagli sapere che riceverà quel che ha ricevuto quello lì.» Indicò il Trolloc che gli aveva riferito che Rand al’Thor era introvabile: cercava ancora d’azzannare il terreno inzuppato del suo stesso sangue, scalciava negli spasmi dell’agonia e con gli zoccoli scavava solchi nella polvere. «Vai!» mormorò Fain. Il Trolloc dal muso di capro corse via nella notte.

Fain guardò con disprezzo gli altri esseri umani — gli sarebbero stati ancora utili, si disse — e si girò a fissare il buio, in direzione del Pugnale del Kinslayer. Al’Thor era lassù, da qualche parte, fra le montagne. Con il Corno. Digrignò i denti al pensiero. Non sapeva esattamente dove Rand si trovasse, ma si sentiva attirato verso le montagne. Verso al’Thor. Almeno questo, del... dono... del Tenebroso, gli restava. Non ci aveva quasi pensato, aveva cercato di non pensarci, finché all’improvviso, dopo la scomparsa del Como, aveva percepito la presenza di al’Thor, ne era attirato come cane famelico da un pezzo di carne.

«Non sono più un cane» mormorò. «Non sono più un cane!» Udì gli altri muoversi a disagio intorno al fuoco, ma li ignorò. «Pagherai per quel che mi è stato fatto, al’Thor. Il mondo intero pagherà!» Si mise a ridere, come impazzito. «Il mondo intero pagherà!»

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