8

In teoria, la riunione delle settantadue ore dovrebbe dare a tutti il tempo sufficiente per indirizzare le indagini su un caso, ma anche svolgersi quando le piste sono ancora calde. Perciò lunedì mattina, nella sala riunioni al secondo piano, l’invincibile squadra anticrimine capitanata dall’indomabile detective LaGuerta si radunò nuovamente.

Stavolta c’ero anch’io.

Ricevetti qualche occhiata e gli agenti che mi conoscevano mi rivolsero simpatiche battute del tipo: «Ehi, raccattasangue, hai portato la carta assorbente?» Quella gente era il sale della terra e presto la mia Deborah sarebbe diventata una di loro. Mi sentivo al tempo stesso orgoglioso e onorato di potermi trovare nella stessa sala.

Sfortunatamente, questi sentimenti non erano condivisi da tutti i presenti. «Cazzo ci fai qui?» grugnì il sergente Doakes, un omaccione di colore dall’aria permanentemente ostile. C’era un che di freddamente feroce in lui, che gli avrebbe fatto comodo qualora si fosse dedicato al mio stesso hobby. Peccato non potessimo essere amici. Ma, per qualche ragione, Doakes odiava tutti i tecnici della Scientifica e, per qualche ragione supplementare, odiava soprattutto Dexter. Inoltre, deteneva il record di sollevamento pesi tra il personale del Dipartimento.

Perciò gli risposi con un sorriso diplomatico. «Sono solo venuto a sentire, sergente.»

«Non c’entri un cazzo qui. Porta fuori il culo.»

«Può restare sergente», intervenne la detective LaGuerta.

Doakes fece un’espressione ancora più rabbiosa. «Cazzo serve?»

«Non voglio essere di disturbo», feci io, andando verso la porta senza particolare convinzione.

«Va benissimo», ripeté la detective, rivolgendomi un autentico sorriso. Poi si voltò verso Doakes. «Può restare», ribadì.

«Mi fa venire i porci brividi», borbottò Doakes.

Cominciavo ad apprezzare le sue qualità. Certo che gli facevo venire i porci brividi. Semmai c’era da chiedersi perché fosse lui l’unico, in una stanza piena di poliziotti, a cui venissero i porci brividi in mia presenza.

«Cominciamo», esordì Migdia LaGuerta, facendo schioccare delicatamente la sua frusta, perché non ci fossero dubbi sul fatto che era lei a comandare.

Doakes si assestò sulla sua sedia, lanciandomi un’ultima occhiata sospettosa.

La prima parte della riunione fu semplice routine: rapporti, maneggi politici, tutte quelle cose che fanno di noi degli esseri umani. Quelli di noi che sono esseri umani, quantomeno. La detective aggiornò gli addetti stampa su ciò che si poteva e non si poteva passare ai giornalisti. Tra le cose che potevano passare c’era una nuova foto patinata che Migdia LaGuerta si era fatta scattare per l’occasione. Era seria ma con un pizzico di glamour, intensa ma raffinata. Già la si poteva vedere con il grado di tenente. Se solo Deborah avesse avuto lo stesso talento per le pubbliche relazioni.

Ci volle quasi un’ora per arrivare al nocciolo della questione: gli omicidi. Finalmente la detective LaGuerta volle fare il punto sulla ricerca del testimone fantasma. Nessuno aveva niente da riferire. Feci del mio meglio per mostrarmi sorpreso.

La detective LaGuerta si accigliò. «Avanti», disse, imperiosa. «Qualcuno deve trovare qualcosa.» Ma nessuno ci riusciva. Ci fu una pausa, durante la quale i presenti studiarono le unghie, il pavimento, il soffitto.

Deborah si schiarì la gola. «Io…» cominciò. Si schiarì di nuovo la gola. «Io avevo una, ehm, un’idea. Un’altra idea. Cercare qualcosa in una direzione leggermente diversa.» Lo disse come se fosse tra virgolette, e in effetti era così. Per quanto avessi cercato di allenarla, non ero riuscito a farglielo dire con naturalezza. Ma, se non altro, si era attenuta alle frasi politicamente corrette che le avevo suggerito.

La detective LaGuerta inarcò un sopracciglio accuratamente disegnato. «Un’idea? Davvero?» Fece un’espressione sorpresa e divertita al tempo stesso. «La prego, non esiti a condividerla con noi, agente Ein… voglio dire, agente Morgan.»

Deborah arrossì, ma non si fermò. «La, ehm, cristallizzazione cellulare. Nell’ultima vittima. Vorrei verificare se risultano furti di camion frigoriferi nell’ultima settimana o giù di lì.»

Silenzio. Assoluto, totale silenzio. Il silenzio dei deficienti. Non ci arrivavano, quelle teste di legno. E Deborah non li aiutava a capire. Lasciava che il silenzio si prolungasse, alimentato dall’espressione corrucciata di LaGuerta, che si guardava intorno chiedendosi se qualcuno stesse seguendo il ragionamento.

Poi guardò Deborah. «Camion… frigoriferi?» fece, in tono educato.

Deborah, povera bambina, sembrava del tutto spaesata. Non era il tipo di ragazza che ama parlare in pubblico. «Esatto», disse.

La detective lasciò la risposta aleggiare nell’aria, godendosi lo spettacolo. «Mm-mmh», commentò.

Il volto di Deborah si rabbuiò. Brutto segno. Mi schiarii la gola e, visto che non serviva a niente, tossii, abbastanza forte da ricordarle di mantenere la calma. Deborah mi guardò. Anche LaGuerta. «Scusate», mi giustificai, «credo che mi stia venendo un raffreddore.»

Si poteva trovare un fratello migliore?

«Si tratta, ehm, del raffreddamento», se ne uscì Deborah, aggrappandosi al mio salvagente. «La causa di quel particolare danno ai tessuti potrebbe essere un camion frigorifero. Un veicolo che permetterebbe all’assassino di muoversi più facilmente e di liberarsi comodamente del cadavere. Quindi, ehm, se ne è stato rubato uno… Voglio dire, un camion. Frigorifero. Potrebbe essere una pista.»

Be’, più o meno era tutto e Deborah ce l’aveva fatta. Notai un paio di facce pensose. Potevo quasi sentire gli ingranaggi che giravano.

Ma la detective si limitò ad annuire. «Un’idea davvero interessante, agente.» Mise un lievissimo accento sulla parola «agente», per ricordare a tutti noi che, sì, questa era una democrazia in cui tutti potevano esprimere la propria opinione, però… «Tuttavia ritengo che dovremmo puntare soprattutto sul testimone. Sappiamo che ci dev’essere un testimone.» Fece un sorriso, un sorriso diplomatico. «O una testimone», aggiunse, per mostrare quanto fosse acuta. «Qualcuno ha visto qualcosa. Ne abbiamo le prove. Quindi concentriamoci su questo e lasciamo che siano i ragazzi di Broward a pescare le pagliuzze, okay?» Fece una pausa in attesa delle inevitabili risatine. «In ogni caso, agente Morgan, apprezzerei molto che continuasse a interrogare le prostitute. La conoscono, da quelle parti.»

Dio mio, quanto era brava. Era riuscita a impedire a tutti i presenti di continuare a ragionare sull’idea di Deb, a rimetterla in riga e a risvegliare uno spirito cameratesco nella squadra con una battuta sulla nostra rivalità con i colleghi di Broward County. Tutto con poche parole. Mi veniva da battere le mani.

Peccato che io tifassi per Deborah, che era stata appena messa a terra. La vidi aprire la bocca per un istante, poi richiuderla, le mascelle tese nello sforzo di assumere una neutrale espressione poliziottesca. Nel suo piccolo, se l’era cavata bene, ma mai quanto LaGuerta.

La riunione si concluse senza eventi di rilievo. Non c’era molto altro di cui parlare. Quindi, poco dopo il magistrale trionfo della detective, la seduta fu sciolta e ci ritrovammo tutti in corridoio.

«Quella maledetta», imprecò Deborah sottovoce. «Quella maledetta. Quella maledetta.»

«Assolutamente», concordai.

Lei mi fissò. «Grazie, fratello. Mi sei stato di grande aiuto.»

Sollevai un sopracciglio.

«Eravamo d’accordo che ne sarei rimasto fuori, in modo che tu potessi prenderti tutti i meriti.»

«Bei meriti», ringhiò. «Mi ha fatto fare la figura della cretina.»

«Con tutto il rispetto, mia cara sorella, vi siete incontrate a metà strada.»

Deborah mi guardò, poi si voltò, facendo un gesto di repulsione con le mani. «Che cosa dovevo dire? Non faccio nemmeno parte della squadra. Ero lì solo perché l’ha detto il capitano.»

«Che non ha detto che dovevano anche darti ascolto.»

«Infatti non lo fanno. Non mi ascolteranno mai», disse Deborah, amareggiata. «Invece di farmi entrare alla Omicidi, questa storia mi rovinerà la carriera. Finirò i miei giorni come ausiliaria della sosta, Dexter.»

«C’è una via d’uscita, Deb.»

Quando mi guardò, nei suoi occhi restava solo un barlume di speranza. «Quale?»

Le rivolsi il mio sorriso più confortante, rassicurante, incoraggiante. «Trova quel camion.»


Passarono tre giorni prima che avessi notizie dalla mia cara sorellastra, un periodo insolitamente lungo. Giovedì mi si presentò in ufficio poco dopo l’ora di pranzo, con un’espressione cupa. «L’ho trovato», annunciò.

Sulle prime non capii. «Trovato cosa, Deb?» le domandai. «La Fonte dell’Eterna Ruvidezza?»

«Il camion. Il camion frigorifero.»

«Questa è una grande notizia! Perché hai la faccia da incazzata?»

«Perché lo sono.» E mi mise sulla scrivania un tabulato di cinque pagine. «Guarda qui.»

Presi i fogli. «Oh. Quanti sono in totale?»

«Ventitré. Nell’ultimo mese risultano rubati ventitré camion frigoriferi. I ragazzi del Traffico dicono che di solito finiscono bruciati e gettati nei canali per incassare l’assicurazione. Nessuno si dà mai troppo da fare per ritrovarli. Vale anche per questi ventitré.»

«Benvenuta a Miami.»

Deborah sospirò e si riappropriò della lista, abbandonandosi sulla sedia come se le avessero sfilato le ossa. «Non c’è modo di controllarli tutti. Non da sola. Ci vorrebbero mesi. Accidenti, Dex, e adesso che cosa facciamo?»

Scossi la testa. «Mi dispiace, Deb. Ma non ci resta che aspettare.»

«Tutto qui? Solo aspettare?»

«Tutto qui.»

E così fu. Per due settimane. Aspettammo.

E poi…

Загрузка...