Rimasi per un po’ a meditare sulle crudeli ironie della vita. Dopo tanti anni solitari in cui avevo contato esclusivamente su me stesso, mi ritrovavo improvvisamente circondato da donne che contavano su di me. Deb, Rita, LaGuerta sembravano non poter vivere senza Dexter. Eppure l’unica persona con cui avrei voluto trascorrere il mio tempo libero si faceva desiderare, limitandosi a lasciarmi una Barbie in frigorifero.
Misi la mano in tasca e sentii il vetrino, al sicuro nella bustina di plastica. Per il momento mi fece stare meglio. Se non altro stavo facendo qualcosa. L’unico dovere della vita, dopotutto, era di essere interessante, e non potevo negare che la mia lo fosse, in quelle circostanze. «Interessante», non rende nemmeno l’idea. Avrei barattato un anno di vita per scoprire qualcosa di più sull’assassino fantasma che mi solleticava impietoso con l’eleganza del suo operato. In effetti, con l’interludio di Jaworski, avevo rischiato ben più di un anno di vita.
Sì, le cose erano certamente interessanti. E davvero al Dipartimento si diceva che avevo un sesto senso per gli omicidi seriali? Questo era preoccupante. Poteva mettere a repentaglio la mia diligente copertura. Ero stato troppo bravo, troppe volte. Poteva diventare un problema. Ma quali alternative avevo? Dovevo fare lo scemo per un po’? Non ero sicuro di sapere come fare, malgrado tutti i miei anni di studio della natura umana.
Ah, be’. Aprii il dossier su Jaworski, pover’uomo. Dopo averlo esaminato per un’ora, giunsi a un paio di conclusioni. Prima, e più importante: l’avrei passata liscia, a dispetto della mia impulsività. E, seconda, c’era l’opportunità di far guadagnare meriti a Deb. Se lei avesse potuto dimostrare che questa era opera del Nostro Originale Artista, mentre LaGuerta puntava sulla teoria del copycat, Deb avrebbe potuto trasformarsi da ultima ruota del carro in Poliziotta del Mese. Certo, non era proprio opera della stessa mano, ma a questo punto sembrava un dettaglio irrilevante. E dal momento che sapevo senza possibilità di dubbio che presto si sarebbero trovati altri cadaveri, non valeva la pena di preoccuparsene.
Ma, nel frattempo, dovevo procurare alla fastidiosa detective LaGuerta corda sufficiente per impiccarsi. Il che, mi venne da pensare, sarebbe potuto tornarmi utile su un piano più personale. Messa all’angolo e costretta a fare la figura dell’idiota, la reazione naturale di LaGuerta sarebbe stata dare la colpa a quel cretino di tecnico di laboratorio che l’aveva spinta all’erronea conclusione: il dannato, deficiente Dexter. Così la mia reputazione sarebbe stata ridimensionata a una conveniente mediocrità. Dopotutto, da me ci si aspettava che analizzassi le macchie di sangue, non che stilassi profili degli assassini. Ma intanto LaGuerta si sarebbe rivelata per l’inetta che era, mentre le azioni di Deborah sarebbero risalite.
È bello quando tutti i dettagli vanno al loro posto.
Chiamai Deborah.
All’una e trenta del giorno successivo, incontrai Deb in un ristorantino qualche isolato più a nord dell’aeroporto, non troppo lontano dalla centrale di Miami-Dade. Era un posto che conoscevamo bene, incastrato tra un negozio di pezzi di ricambio per autoveicoli e una rivendita di armi, dove si preparavano i migliori sandwich cubani del mondo. Potrà sembrare poco, ma ci sono momenti in cui non c’è niente come un medianoche e il Café Relampago è l’unico posto in cui mangiarlo. I Morgan ci andavano dal 1974.
E in ogni caso avevo la sensazione che un tocco di allegria ci volesse: se non una vera e propria celebrazione, almeno la presa di coscienza che il futuro cominciava a sorridere. Forse ero di buon umore per avere alleviato la tensione col mio caro amico Jaworski. In ogni caso, mi sentivo incredibilmente bene. Ordinai persino un batido de mamé, un frullato dal sapore unico, un misto di anguria, pesca e mango.
Deb, tanto per cambiare, non sembrava disposta a condividere il mio irrazionale stato di benessere. Ostinata e abbacchiata al massimo grado, sembrava che avesse studiato attentamente l’espressione facciale di un pesce.
«Per favore, Deborah», la supplicai. «Se non la pianti, la faccia ti resterà così. La gente ti prenderà per un pesce gatto.»
«Di certo non mi prenderanno per una poliziotta. Perché non lo resterò ancora per molto.»
«Assurdo», la smentii. «Non te l’ho promesso?»
«Già. Hai promesso anche che avrebbe funzionato. Non mi hai detto delle occhiatacce che mi avrebbe lanciato il capitano Matthews.»
«Oh, Deb. Ti ha lanciato delle occhiatacce? Sono spiacente.»
«Vaffanculo, Dexter. Tu non c’eri. Non è la tua vita a finire nel cesso.»
«Te l’avevo detto che sarebbe stata dura per un po’, Deb.»
«Be’, almeno su questo hai indovinato. Stando a Matthews, sono a tanto così dall’essere sospesa.»
«Ma ti ha dato il permesso di usare il tuo tempo libero per approfondire l’indagine?»
Lei sbuffò. «Ha detto: ‘Non te lo posso impedire, Morgan. Ma sono molto deluso. Mi domando che cosa avrebbe detto tuo padre’.»
«E tu gli hai detto: ‘Mio padre non avrebbe mai chiuso un caso con l’uomo sbagliato in cella’?»
Lei rimase sorpresa. «No. Ma l’ho pensato. Come facevi a saperlo?»
«Però non l’hai detto, vero Deborah?»
«No», ammise lei.
Le spinsi davanti il suo bicchiere. «Assaggia il mamé, sorellina. Le cose vanno per il meglio.»
«Sei sicuro che non mi stai mandando a fondo?»
«Mai, Deb. Come potrei?»
«Con molta facilità.»
«Sul serio, sorellina. Devi fidarti di me.»
Lei sostenne il mio sguardo per un istante, poi chinò il capo. Non aveva toccato il frullato. Non sapeva che cosa si stava perdendo. Li facevano ottimi. «Mi fido di te. Ma giuro su Dio che non so perché.» Risollevò la testa. Un’espressione strana le balenava sulla faccia. «E a volte penso proprio che non dovrei, Dexter.»
Le rivolsi uno dei miei più rassicuranti sorrisi da fratello grande. «Tempo due o tre giorni, verrà fuori qualcosa di nuovo. Te lo prometto.»
«Non puoi saperlo.»
«Certo che non posso. Ma lo so. Davvero.»
«E allora perché ne sembri così felice?»
Avrei voluto dire: Perché il solo pensiero mi rende felice, perché l’idea di rivedere quelle meraviglie esangui mi rallegra più di ogni altra cosa al mondo. Ma naturalmente quello non era un concetto che Deb sarebbe stata in grado di capire, perciò lo tenni per me. «Perché sono felice per te, è chiaro.»
Lei sbuffò di nuovo. «Giusto, dimenticavo.» Ma finalmente bevve un sorso del frullato.
«Ascolta. I casi sono due: o LaGuerta ha ragione…»
«E in tal caso sono morta e me lo mettono in culo.»
«Oppure LaGuerta si sbaglia e tu sei viva e vergine. Mi segui fin qui, sorellina?»
«Mmh», fece lei, in tono alquanto burbero, considerando tutta la pazienza che stavo mostrando.
«Se tu dovessi scommettere, punteresti su LaGuerta che ha ragione? Su qualsiasi cosa?»
«Forse sulla moda. Si veste proprio bene.»
Arrivarono i sandwich. Il cameriere li buttò in mezzo al tavolo senza una parola e tornò rapidamente al banco. Nondimeno, erano ottimi sandwich. Non so che cosa li rendesse migliori di tutti gli altri medianoche della città, ma lo erano veramente: pane croccante all’esterno e morbido dentro, il perfetto equilibrio di carne di maiale, cetrioli e formaggio perfettamente fuso. Pura gioia. Ne staccai un grosso boccone. Deborah giocherellava con la cannuccia del frullato.
Deglutii. «Deb, se la mia fredda logica non riesce a tirarti su, se un sandwich del Café Relampago non riesce a tirarti su, allora è troppo tardi. Sei già morta.»
Lei mi rivolse un’occhiata da pesce gatto e addentò il sandwich. «Molto buono», disse, inespressiva. «Vedi come mi tira su?»
Deborah non era convinta e questo era un brutto colpo per il mio ego. Ma in fondo, l’avevo solo portata in un luogo di delizia tradizionale della famiglia Morgan. E per giunta le avevo dato solo ottime notizie. Se quello non bastava a strapparle un sorriso, be’, non potevo essere io a fare tutto.
Ma c’era un’altra piccola cosa che potevo fare, questo sì. Ed era dare qualcosa in pasto a LaGuerta. Niente di paragonabile ai sandwich del Relampago, ma a suo modo delizioso. Perciò quel pomeriggio feci visita alla brava detective nel suo ufficio, un grande open space occupato da altre cinque scrivanie. Il suo angolo, manco a dirlo, era il più elegante, con tante sue belle foto in compagnia di celebrità, appese alle pareti divisorie. Riconobbi Gloria Estefan, Madonna e Jorge Mas Canosa. Sulla scrivania, con un piano di lavoro verde giada bordato di pelle, riposava un raffinato portapenne di onice con incastonato un orologio al quarzo.
Quando entrai, LaGuerta era al telefono e stava parlando in uno spagnolo rapidissimo. Alzò gli occhi su di me senza vedermi, poi distolse lo sguardo. Tornò a guardarmi dopo un attimo, stavolta più a lungo, con un’espressione inquieta. Disse: «Okay-okay, ta luo», la versione cubana di hasta luego. Poi riagganciò, senza togliermi gli occhi di dosso.
«Che cosa mi hai portato?» disse finalmente.
«Un grazioso omaggio.»
«Se si tratta di buone notizie, ne avrei proprio bisogno», replicò lei.
Agganciai una sedia pieghevole con un piede e la tirai davanti alla sua scrivania. «Non c’è ombra di dubbio.» Mi sedetti. «L’uomo in cella è quello giusto. Il delitto sulla Old Cutler è opera di una mano completamente diversa.»
Lei mi fissò per un istante. Mi chiesi se quello fosse il tempo che le era necessario per elaborare i dati e rispondere. «Puoi sostenerlo? Con sicurezza?»
Certo che potevo sostenerlo con sicurezza, meglio di chiunque altro. Ma non era mia intenzione farlo, per quanto una confessione possa fare bene all’anima. «I fatti parlano da soli. Non c’è possibilità di smentita. Guarda…» Presi da una cartelletta il foglio su cui avevo stampato un elenco dettagliato di elementi di confronto. «Primo: la vittima è di sesso maschile. Tutte le altre erano femmine. La vittima è stata trovata sulla Old Cutler. Tutte le vittime di McHale erano sulla Tamiami Trail. Questa vittima è stata trovata relativamente intatta, nello stesso punto in cui si è consumato il delitto. Le vittime di McHale erano completamente smembrate e sono state abbandonate in un luogo diverso da quello del crimine…»
Proseguii. LaGuerta non perdeva una parola. La lista era ben fatta, mi ci erano volute diverse ore per tirare fuori le differenze più ovvie, ridicole, stupide ed evidenti e devo dire che avevo fatto un buon lavoro. Anche lei fece meravigliosamente la propria parte. Si bevve tutto quanto. Naturalmente, stava sentendo proprio ciò che voleva sentire.
«In sintesi», conclusi, «questo nuovo omicidio porta i segni di un delitto per vendetta, probabilmente collegato a una questione di droga. Gli altri omicidi sono opera dell’uomo che è stato arrestato e quella è una storia assolutamente, inequivocabilmente chiusa, sicuro al cento per cento. Non succederà più. Il caso è risolto.» Lasciai cadere la cartelletta sulla scrivania e le porsi la mia lista.
Lei prese il foglio e lo osservò a lungo. Aggrottò la fronte, pensosa. Gli occhi scorsero la pagina ripetutamente. Un angolo del suo labbro inferiore vibrò lievemente. Poi depose la lista sulla scrivania, bloccandola con un fermacarte di giada verde. «Okay», disse, allineando con cura il fermacarte al bordo del piano di lavoro. «Niente male. Dovrebbe servire.» Tornò a guardarmi senza perdere la sua espressione concentrata poi, d’un tratto, sorrise. «Grazie, Dexter.» Era un sorriso così genuino e inaspettato che, se solo avessi avuto un’anima, avrei provato rimorso.
LaGuerta si alzò, sempre sorridente, e mi gettò le braccia al collo. «Lo apprezzo davvero molto. Mi sento tanto… tanto grata.» E mi si strofinò addosso in un modo che posso solo descrivere come suggestivo. Di sicuro non si poteva pensare che… Voglio dire, si trattava di una tutrice della pubblica morale e proprio qui, in pubblico… Né, d’altra parte, anche nella privacy di una camera blindata mi sarebbe interessato che la detective LaGuerta mi si strofinasse addosso. Per tacere il fatto che le avevo appena fornito la corda che avrebbe usato per impiccarsi, il che non mi sembrava il tipo di occasione da celebrare. Be’, sul serio, a tutti stava dando di volta il cervello? Che cos’avevano gli umani? Non riuscivano proprio a pensare ad altro?
Provando qualcosa di assai simile al panico, cercai di divincolarmi. «Per favore, detective…»
«Chiamami Migdia», sussurrò lei, stringendosi più forte e strofinandosi più voluttuosamente. Quando la sua mano si avvicinò alla cerniera dei miei pantaloni, sobbalzai. Il lato positivo fu che la mia azione riuscì a liberarmi dall’abbraccio dell’amorosa detective. Il lato negativo fu che LaGuerta perse l’equilibrio, urtò la scrivania con l’anca, inciampò nella sua sedia e cadde lunga e distesa sul pavimento.
«Io, ah, devo proprio tornare al lavoro», balbettai. «C’è un importante… ah…» Comunque fosse, non riuscivo a pensare a nulla di più importante del correre al riparo, per cui uscii indietreggiando, seguito dallo sguardo di LaGuerta.
Non sembrava uno sguardo particolarmente amichevole.