Poco dopo le otto del mattino, la detective LaGuerta mi trovò seduto sopra il bagagliaio della mia auto. Depose il suo elegante posteriore sulla carrozzeria e scivolò all’indietro, fino a toccarmi la coscia con la sua. Attesi che dicesse qualcosa, ma lei sembrava a corto di frasi di circostanza. Pure io. Perciò rimasi immobile per parecchi minuti a guardare il ponte, sentendo il calore della sua gamba e chiedendomi dove se ne fosse andato il mio timido amico sul camion. Ma a risvegliarmi dai miei sogni a occhi aperti fu una pressione sulla mia coscia.
Abbassai lo sguardo. La detective LaGuerta stava stringendomi la gamba con forza, come se stesse impastando farina. La guardai negli occhi. Lei sostenne il mio sguardo.
«Hanno trovato il corpo», disse. «Sai, quello a cui apparteneva la testa.»
Mi alzai in piedi. «Dove?»
Lei mi guardò come un poliziotto guarda un tale che trova teste mozzate per la strada. Ma rispose: «Office Depot Center».
«Dove giocano i Panthers?» chiesi io. E un brivido mi corse lungo la schiena. «Sul ghiaccio?»
Lei annuì, continuando a guardarmi. «La squadra di hockey. Si chiamano Panthers?»
«Così mi risulta», replicai. Non potei farne a meno.
Lei si risucchiò un labbro. «L’hanno trovato sul campo di gioco, ficcato nella rete.»
«Quella della squadra di casa o quella della squadra ospite?»
Lei batté le palpebre. «Fa differenza?»
Scossi la testa. «Stavo solo scherzando, detective.»
«Perché io la differenza non la so. Bisognerebbe chiedere a qualcuno che s’intende di hockey.» Finalmente mi tolse gli occhi di dosso e li rivolse sulla folla, forse alla ricerca di qualcuno con una mazza da hockey. «Sono lieta che tu riesca a scherzarci sopra. A proposito, sai cos’è un…» aggrottò le sopracciglia, cercando di ricordare «… samboli?»
«Un cosa?»
Lei alzò le spalle. «Una specie di macchina che usano sul ghiaccio.»
«Vuoi dire uno Zamboni?»
«Quello che è. Un tipo lo porta sul ghiaccio per preparare la pista per gli allenamenti di stamattina. Ci sono un paio di pattinatori che vengono molto presto, il ghiaccio gli piace fresco. Dunque il tipo, il guidatore di…» esitò per un istante «… samboli arriva presto nei giorni di allenamento. Porta questa macchina sul ghiaccio e vede tutti quei pacchetti ammonticchiati. Sai, nella rete. Allora scende a dare un’occhiata.» Alzò di nuovo le spalle. «Se ne sta occupando Doakes. Dice che non riesce a farlo stare calmo per cavargli di bocca qualcos’altro.»
«Io so qualcosa di hockey», dissi.
Lei mi guardò, quasi risentita. «Questo non lo sapevo, Dexter. Giochi a hockey?»
«No, non ho mai giocato. Ho visto qualche partita.»
Lei non replicò e io dovetti mordermi un labbro per non lasciarmi sfuggire altro. La verità era che Rita aveva l’abbonamento per tutta la stagione dei Florida Panthers e che io avevo scoperto, con mia grande sorpresa, che l’hockey mi piaceva. Non era solo per l’allegra frenesia omicida dei giocatori, ma anche perché stare seduto al freddo in quella grande arena mi rilassava. Ci sarei andato volentieri anche ad assistere a una partita di golf. E in realtà ero pronto a dire qualsiasi cosa perché LaGuerta mi ci portasse. Morivo dalla voglia di andarci. Volevo vedere quei brandelli di cadavere sul ghiaccio più di qualsiasi cosa al mondo. Mi sembrava di essere un cane da punta in un cartone animato. Mi sentivo quasi possessivo nei confronti del cadavere.
«Va bene», concluse lei, finalmente, prima che scoppiassi. Esibì un sorriso che era in parte ufficiale e in parte… In parte cosa? Qualcos’altro, qualcosa di umano, sfortunatamente oltre la mia comprensione. «Così potremo fare due chiacchiere.»
«Mi piacerebbe molto», dissi, trasudando fascino.
Lei non reagì. Forse non mi aveva sentito. Non che importasse. Quando si trattava di lei, LaGuerta non percepiva minimamente il sarcasmo. Era possibile adularla nel modo più improbabile e lei lo accettava come se le fosse dovuto. Non mi piaceva adularla. Non c’è gusto quando l’interlocutore non coglie l’ironia. Ma non sapevo che altro dire. Di cosa pensava che avremmo potuto parlare? Mi aveva già grigliato senza pietà appena giunta sulla scena del crimine.
In piedi, accanto alla mia povera auto ammaccata, avevamo visto sorgere il sole. Con lo sguardo rivolto alla Causeway, mi aveva chiesto sette volte, ciascuna con un’inflessione diversa, intervallata da un’espressione accigliata, se avessi visto l’uomo al volante del camion. Mi aveva chiesto cinque volte se ero sicuro che si trattasse di un camion frigorifero. Tuttavia ero sicuro che ci fosse dietro un gioco sottile: voleva chiedermelo ancora, ma si era trattenuta per non sembrare troppo ovvia. L’ultima volta, in un momento di distrazione, me lo aveva chiesto anche in spagnolo. Le avevo risposto che ero seguro e lei mi aveva guardato e mi aveva appoggiato una mano sul braccio. Non me lo aveva chiesto più.
Tre volte aveva guardato la pendenza del ponte, scosso ü capo ed esclamato tra i denti: «¡Puta!» Un chiaro riferimento all’agente Puta, la mia cara sorella. Di fronte all’apparizione del camion frigorifero, come predetto da Deborah, alla detective LaGuerta occorreva uno sforzo per mantenere la calma. A giudicare da come si mordicchiava il labbro inferiore, le stava costando una certa fatica. Ero certo che avrebbe trovato qualcos’altro per mettere a disagio mia sorella, era la sua specialità, ma per il momento auspicavo un minimo aumento delle quotazioni di Deborah. Non agli occhi di LaGuerta, beninteso, ma speravo che a qualcun altro non passasse inosservato il suo brillante contributo alle indagini.
Stranamente, LaGuerta non mi domandò perché fossi in giro in auto a quell’ora. Certo, io non sono un detective, ma a me sarebbe sembrata una domanda ovvia. Forse non è gentile dire che quella era una tipica svista laguertiana. In ogni caso, non me lo chiese.
Eppure, a sentire lei, avevamo altre cose di cui parlare. Perciò la seguii fino alla sua auto, la Chevrolet azzurro chiaro che da un paio d’anni guidava quando era in servizio. Fuori orario usava una piccola BMW di cui nessuno avrebbe dovuto sapere nulla.
«Sali», disse. Occupai il sedile azzurro accanto a lei.
Andava forte, facendo lo slalom in mezzo al traffico, e in pochi minuti eravamo all’altro capo della Causeway, di nuovo a Miami. Passammo Biscayne e imboccammo la Interstate 95 verso nord, a una velocità che sembrava leggermente eccessiva anche per gli standard locali. Molto presto svoltammo verso ovest. LaGuerta mi guardò tre volte di sottecchi prima di parlare. «Bella camicia», osservò.
Abbassai gli occhi sulla mia bella camicia. Me l’ero messa al volo senza guardare quando mi ero precipitato fuori dal mio appartamento e la notavo ora per la prima volta. Era una camicia a maniche corte in poliestere con un disegno a draghi rossi. L’avevo avuta addosso tutto il giorno prima ed era un po’ spiegazzata, ma più o meno sì, sembrava pulita. Sì, non era male, tuttavia…
LaGuerta stava forse cercando di farmi chiacchierare, nella speranza che, rilassandomi, mi sfuggisse qualche dichiarazione avventata? Sospettava per caso che sapessi più di quanto ammettevo? Stava cercando di farmi abbassare la guardia?
«Sei sempre così ben vestito, Dexter», constatò. Mi fissava con un sorriso ampio e goffo, ignara del fatto che stavamo andando contro un’autobotte. Se ne accorse per tempo e girò il volante con un dito. Schivammo l’autobotte e imboccammo la I-595.
Mi chiesi se davvero fossi sempre ben vestito. Be’, certo. Ero orgoglioso di essere il mostro più elegante di Dade County. Sì, certo, ha fatto a pezzi a colpi d’ascia il signor Duarte, ma era vestito così bene! L’abbigliamento giusto per ogni occasione. A proposito, qual è l’abbigliamento giusto per assistere a una decapitazione mattutina? Pantaloni e camicia a maniche corte del giorno precedente, naturalmente. Ero à la mode. Ma, a parte la fretta di alcune ore prima, di solito avevo cura nel vestirmi. Era una delle lezioni di Harry: lavati, vestiti bene, non destare l’attenzione.
Ma perché una detective della Omicidi, più interessata alla politica che ad altro, doveva farci caso? Non era certo perché…
Oppure sì? Mi si accese una lampadina. La risposta era nello strano sorriso che le balenava sulla faccia. Era ridicolo, ma che cos’altro poteva essere? LaGuerta non stava cercando di farmi abbassare la guardia per interrogarmi a fondo su quanto avessi visto. E non le importava una scoreggia di uccello della mia competenza in fatto di hockey.
LaGuerta cercava di socializzare.
Le piacevo.
Io stavo ancora cercando di riprendermi dallo choc della mia incerta, bizzarra e bavosa aggressione a Rita… e adesso questo? Che i terroristi avessero gettato strane sostanze nell’acquedotto di Miami? Trasudavo forse qualche strano feromone? Che le donne di Miami, in blocco, avessero finalmente compreso che tutti gli uomini erano senza speranza e quindi io fossi divenuto attraente per esclusione? Sul serio, che cosa diavolo stava succedendo?
Certo, potevo essere in errore e questo pensiero mi attirò come un cucchiaino d’argento lucente attira un barracuda. Dopotutto, ci vuole un egotismo colossale per convincersi che una donna in carriera, raffinata e sofisticata come quella, potesse mostrare interesse nei miei confronti. Era più probabile che… che…
Che cosa? Sfortunatamente, l’idea non era poi così peregrina. Lavoravamo nello stesso settore, quindi, secondo il comune buon senso poliziottesco, eravamo più inclini a comprenderci e perdonarci reciprocamente. La nostra relazione avrebbe potuto sopravvivere ai suoi orari di lavoro e alla sua vita stressante. E, per quanto non mi voglia dare arie, mi considero piuttosto presentabile. Sono «ripulito», come diciamo noi nativi. Ed erano ormai parecchi anni che mi mostravo carino con lei: si trattava di una questione puramente diplomatica, ma lei non era tenuta a saperlo. Avevo un certo talento a mostrarmi carino, una delle mie poche vanità. Avevo studiato a fondo e mi ero esercitato a lungo e, quando mi ci applicavo, nessuno si accorgeva che stavo fingendo. Ero bravissimo a disseminare germi di simpatia. Era naturale che poi, talvolta, la simpatia germogliasse.
Ma fino a questo punto? E adesso che cosa sarebbe accaduto? Forse LaGuerta mi avrebbe proposto una cenetta intima. O qualche ora di gioioso sudore all’hotel El Cacique.
Per fortuna arrivammo all’Arena prima che il panico avesse il sopravvento. Lei fece un giro completo dell’edificio alla ricerca dell’entrata giusta. Non era difficile trovarla: era quella di fronte a cui erano ammassate le auto della polizia. Scesi in fretta dalla Chevrolet prima che LaGuerta mi mettesse una mano sul ginocchio. Lei scese a sua volta e mi guardò. La sua bocca si contrasse per un istante.
«Vado a dare un’occhiata», dissi. Mi avviai di buon passo nell’Arena, resistendo alla tentazione di mettermi a correre. Stavo scappando da LaGuerta, sì, ma ero anche ansioso di entrare, di vedere che cosa avesse combinato il mio giocoso amico, di contemplare il suo operato, inalarne lo splendore, imparare da un maestro.
All’interno ferveva il caos organizzato tipico dell’inizio di un’indagine. Eppure mi sembrava che ci fosse un’insolita elettricità nell’aria, una muta sensazione di tensione ed eccitazione che di solito non si avvertiva sulla scena di un delitto qualunque. Si intuiva che qui qualcosa era diverso, che altre sorprese ci aspettavano, perché stavamo esplorando una nuova frontiera. Ma forse ero solo io a sentirlo.
Intorno alla rete si era radunato un gruppetto di persone, molte delle quali indossavano l’uniforme di Broward County. Stavano in piedi a braccia conserte, mentre il capitano Matthews dissertava in materia di giurisdizione con un altro uomo in giacca e cravatta di buon taglio. Quando mi avvicinai, vidi Angel Nessuna Parentela in una posizione insolita: era in piedi accanto a un uomo stempiato, con un ginocchio a terra, intento a esaminare i sacchi meticolosamente imballati.
Mi fermai al parapetto e guardai attraverso i vetri. Eccoli là, a soli tre metri da me, così perfetti nella purezza della superficie ghiacciata lucidata dallo Zamboni. Qualsiasi gioielliere vi può dire che trovare la collocazione giusta è di vitale importanza. E questa era stupefacente. Assolutamente perfetta. Mi girava quasi la testa. Avevo la sensazione che il parapetto non sarebbe riuscito a reggere il mio peso o che vi sarei potuto passare attraverso come fossi incorporeo.
Si capiva anche da lì che l’assassino aveva agito senza fretta, senza omissioni, malgrado quella che doveva essergli parsa come una fastidiosa interferenza sulla Causeway di pochi minuti prima. A meno che avesse capito che non intendevo fargli del male.
A proposito, davvero non intendevo fargli del male? Non volevo forse rintracciarlo, stanarlo e far guadagnare punti alla carriera di Deborah? Certo, era quello che ero convinto di stare facendo, ma avrei avuto la forza di andare fino in fondo se le cose si facevano tanto interessanti? Ci trovavamo tutti all’Arena, in cui avevo trascorso ore piacevoli di contemplazione. Non era questa una prova ulteriore che quell’artista, pardon, quel serial killer e io ci muovevamo lungo percorsi paralleli? Bastava guardare lo splendido lavoro che aveva appena fatto.
E la testa… era quella la chiave. Di sicuro era un pezzo troppo importante per abbandonarlo alla leggera. Me l’aveva gettata contro per spaventarmi, per precipitarmi in un parossismo di terrore, orrore e raccapriccio? Oppure, in qualche modo, sapeva che io provavo le stesse pulsioni? Forse anche lui avvertiva la connessione tra noi due e voleva solo giocare. Mi stava provocando? Doveva avere una ragione importante per lasciarmi un simile trofeo. Se io provavo quelle sensazioni così intense e inebrianti, come poteva lui non sentire nulla?
LaGuerta mi raggiunse. «Avevi tanta fretta», disse, con una sfumatura delusa nella voce. «Hai paura che scappi?» Accennò al cumulo di membra.
Sapevo che da qualche parte, dentro di me, c’era una risposta brillante, una battuta che l’avrebbe fatta sorridere, l’avrebbe affascinata ancora di più, addolcendo il malumore per la mia fuga dalle sue grinfie. Ma in quel momento, appoggiato al parapetto, con quel cadavere nella rete, sul ghiaccio… di fronte alla grandezza, potremmo dire, lo spirito mi venne meno. Riuscii a trattenermi dall’imporle di chiudere il becco, ma ci mancò poco.
«Dovevo vedere», risposi, in tono sincero. E poi riuscii a cavarmela aggiungendo: «È la porta dei Panthers».
Lei mi batté una mano sul braccio, con fare scherzoso. «Sei terribile.»
Per fortuna, il sergente Doakes ci raggiunse prima che la detective si mettesse a ridacchiare con aria felina: sarebbe stato più di quanto potessi reggere. Come sempre, Doakes sembrava più interessato a trovare un pretesto per spaccarmi le costole che ad altro. Mi rivolse un’occhiata di benvenuto così calda e penetrante che pensai bene di eclissarmi e lasciare LaGuerta tutta per lui. Dal suo sguardo, avrei detto che Doakes mi ritenesse colpevole di qualcosa e che gli sarebbe piaciuto esaminarmi le interiora per scoprire di che si trattasse. Sono sicuro che sarebbe stato più felice di vivere in un posto in cui alla polizia fosse consentito di spaccare una tibia o un femore, di quando in quando. Mi portai a distanza di sicurezza, girando intorno alla pista fino a trovare un punto in cui entrare. Lo avevo appena trovato quando qualcosa mi aggredì alle spalle, colpendomi con una certa forza alle costole.
Dolorante, mi voltai a guardare l’assalitore e mi sforzai di sorridere. «Ciao, sorella cara. È bello vedere una faccia amica.»
«Bastardo!» sibilò Deborah.
«Può darsi. Perché sollevi proprio adesso l’argomento?»
«Perché tu, miserabile figlio di puttana, tu avevi una pista e non mi hai chiamato!»
«Una pista?» Quasi tartagliai. «Che cosa ti fa pensare…»
«Poche storie, Dex. Non eri per strada alle quattro del mattino perché eri in cerca di puttane. Sapevi dov’era, accidenti!»
Cominciai a capire. Ero così concentrato sui miei problemi personali, a cominciare dal sogno e da tutte le sue ovvie implicazioni per finire col mio inquietante incontro con LaGuerta, che non mi era nemmeno passato per la testa di avere fatto torto a Deborah, non mettendola a parte di nulla. Aveva ragione di arrabbiarsi. «Non era una pista, Deb», mi giustificai, cercando di ammorbidirla. «Niente di così solido. Solo… un presentimento. Un’idea, null’altro. Non era niente di…»
Mi diede un altro spintone. «Solo che era qualcosa», ringhiò. «Lo hai trovato.»
«Per la verità non ne sono sicuro. Credo che sia stato lui a trovare me.»
«Smetti di fare il furbo.»
Allargai le braccia come per farle capire che ero in buona fede.
«Avevi promesso, accidenti a te.»
Non ricordavo alcuna promessa che potesse comprendere una telefonata in piena notte per raccontarle i miei sogni, ma non mi sembrava una cosa carina da dirle, quindi evitai. «Mi spiace, Deb. Davvero non pensavo che avrei cavato un ragno dal buco. Era solo… istinto. Sul serio.» Di certo non intendevo avventurarmi in spiegazioni parapsicologiche, nemmeno con lei. O, forse, soprattutto con lei. Abbassai la voce. «Forse puoi darmi una mano. Che cosa posso dire se dovessero mai chiedermi che cosa ci facevo in macchina laggiù alle quattro del mattino?»
«LaGuerta ti ha interrogato?»
«Esaustivamente», risposi, reprimendo un brivido.
Deb fece una smorfia di disgusto. «E non te l’ha chiesto.» Non era una domanda.
«Sono sicuro che la detective ha tante cose per la testa.» Omisi di dire che una di queste ero io. «Ma prima o poi qualcuno si porrà il problema.» Mi voltai a guardare LaGuerta, impegnata nella Direzione Delle Operazioni. «Probabilmente il sergente Doakes», aggiunsi, seriamente preoccupato.
Deb annuì. «È un buon poliziotto. Dovrebbe solo placare la propria aggressività.»
«Non lo metto in dubbio. Ma per qualche ragione non gli sto simpatico. Non esiterà a farmi qualsiasi domanda, se solo pensa che possa darmi fastidio.»
«E allora digli la verità», consigliò Deborah. «Ma prima dilla a me.» E mi diede una ditata, sempre nello stesso punto.
«Per favore, Deb, sai che poi mi restano i lividi.»
«Non lo so, ma mi viene voglia di scoprirlo presto.»
«Non accadrà più», promisi. «Era solo una di quelle ispirazioni che ti vengono alle tre del mattino, Deborah. Che cosa avresti detto se ti avessi telefonato e poi fosse venuto fuori che non era nulla?»
«E, invece, poi è venuto fuori che era qualcosa», ribatté, dandomi un altro spintone.
«Non lo credevo affatto. E mi sarei sentito stupido a metterti di mezzo.»
«Immagina come mi sarei sentita io se ti avesse ammazzato», replicò lei.
Mi colse di sorpresa. Non riuscivo nemmeno a immaginare come si sarebbe potuta sentire. Avrebbe provato rimorso? Delusione? Rabbia? Temo proprio che questo genere di reazioni siano fuori dalla mia portata. Quindi ripetei semplicemente: «Mi spiace, Deb». E poi, visto che, come l’allegra Pollyanna, cerco sempre di vedere il lato buono delle cose, aggiunsi: «Ma almeno il camion frigorifero c’era».
Lei mi guardò, incredula. «C’era il camion?»
«Oh, Deb, non te l’hanno detto?»
Lei mi colpì ancora più forte, nello stesso punto. «Accidenti, Dexter», sibilò, «cos’è questa storia del camion?»
«C’era, Deb», risposi, quasi imbarazzato dalla sua violenta reazione emotiva. E anche dal fatto che una bella ragazza mi stava prendendo a botte. «Era al volante di un camion frigorifero quando mi ha gettato addosso la testa.»
Lei mi prese per un braccio e mi guardò negli occhi. «Niente cazzate?»
«Niente cazzate.»
«Gesù!» Guardò nel vuoto, di sicuro vedendo aleggiare la sua promozione sopra la mia testa. E avrebbe continuato a guardare da quella parte se, in quel momento, Angel Nessuna Parentela non avesse alzato la voce sull’eco dei rumori di fondo.
«Detective?» chiamò, alla volta di LaGuerta. Era uno strano suono inconscio, il grido mezzo strozzato di un uomo che non fa mai baccano in pubblico. D’un tratto calò un assoluto silenzio nell’Arena. Il tono era in parte di choc e in parte di trionfo, del tipo: «Ho trovato qualcosa d’importante, ma, Dio mio…» Tutti gli sguardi si rivolsero su di lui. Angel accennò all’uomo stempiato, accovacciato sul ghiaccio, che stava lentamente estraendo qualcosa dal sacco in cima al mucchio.
L’uomo soppesò l’oggetto, metallico e rilucente, che gli cadde di mano e slittò sul ghiaccio. Cercò di riprenderlo, ma scivolò a sua volta, finché entrambi non si trovarono contro la barriera di legno. Con le mani tremanti, Angel lo raccolse e lo sollevò perché tutti potessimo vederlo. Il silenzio era angosciante, mozzafiato come lo scroscio di applausi al disgelarsi di un’opera di genio.
Era lo specchietto retrovisore del camion.