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Quella sera, dopo il lavoro, uscii in barca. Per sfuggire alle domande di Deb e per comprendere quello che stavo sentendo. Sentendo. Io che sentivo qualcosa. Che concetto insolito.

Portai lentamente il Whaler fuori dal canale, senza pensare a niente, in un perfetto stato Zen. Costeggiavo senza fretta le grandi case, separate l’una dall’altra da alte siepi e recinzioni metalliche. Sorridevo e salutavo automaticamente con la mano tutti i vicini, fuori nei loro giardini ordinati oltre l’argine del canale. Bambini che giocavano nei praticelli ben curati, mamme e papà che si dedicavano al barbecue, o riposavano sulle sdraio, o lucidavano il filo spinato, sorvegliando i figli. Salutavo tutti quanti. Qualcuno mi rispondeva pure. Mi conoscevano, mi avevano visto passare altre volte, sempre allegro, sempre a fare grandi cenni di saluto a tutti. Era una persona così gentile. Molto amichevole. Non posso credere che abbia fatto tutte quelle cose orribili…

Uscito dal canale partii a tutto gas, rotta sud-est, verso Cape Florida. Il vento sulla faccia e il gusto salato degli spruzzi mi aiutarono a schiarirmi le idee, facendomi sentire più fresco e limpido. Pensare mi risultava più facile. Un po’ per la calma e la pace del mare, un po’ perché, nella migliore tradizione della nautica di Miami, la maggior parte delle altre imbarcazioni sembrava intenzionata a speronarmi. Lo trovavo molto rilassante. Ero proprio a casa: questo è il mio Paese, questa è la mia gente.

Nel corso della giornata avevo ricevuto piccoli aggiornamenti dalla Scientifica. All’ora di pranzo la storia era esplosa a livello nazionale. Il coperchio sui delitti da marciapiede era saltato dopo la «macabra scoperta» all’hotel El Cacique. Channel 7 aveva fatto un lavoro magistrale per fomentare l’isteria, mostrando in tutto il loro orrore i miseri resti tra i rifiuti, senza ulteriori commenti. Come aveva osservato cinicamente la detective LaGuerta, non erano che puttane. Ma, una volta che l’opinione pubblica fosse stata alimentata dai media, avrebbero potuto anche essere le figlie di un senatore. Perciò il Dipartimento di polizia cominciò a preparare una manovra difensiva, conscio di quanto l’impavida fanteria del quinto potere sapesse riscaldare gli animi.

Deb, rimasta sulla scena fino a quando il capitano non aveva cominciato a preoccuparsi per le ore di straordinario e l’aveva mandata a casa, aveva cominciato a chiamarmi dalle due del pomeriggio per sapere cosa avessi scoperto. Molto poco. In albergo non erano stati trovati indizi di sorta. Nel parcheggio c’erano così tante tracce di pneumatici da risultare indistinte. Niente di rilevante tra i rifiuti, nessuna impronta sui sacchetti o sulle membra mutilate. Niente di niente.

L’unico grande indizio della giornata riguardava la gamba sinistra. Come aveva notato Angel, la gamba destra era stata accuratamente sezionata all’anca, al ginocchio e alla caviglia, mentre la sinistra era stata divisa in due pezzi, ben impacchettati. «Ah-ah», aveva detto la detective LaGuerta, genio dell’investigazione, «qualcuno ha interrotto l’assassino, lo ha colto di sorpresa. In preda al panico, il maniaco non ha completato la dissezione.» E si era gettata a capofitto nella caccia al testimone.

C’era solo un punto debole nella sua teoria dell’interruzione. Un dettaglio insignificante, un pelo nell’uovo, ma… l’intero cadavere era stato meticolosamente ripulito e impacchettato, presumibilmente dopo essere stato smembrato. Infine era stato abbandonato pezzo per pezzo tra i rifiuti, apparentemente senza fretta e con molta circospezione, quanto occorreva all’assassino per non commettere errori e non lasciare tracce. Forse nessuno lo aveva fatto presente a LaGuerta. Oppure, meraviglia delle meraviglie, era possibile che nessuno ci avesse pensato? Certamente: buona parte del lavoro di indagine è routine e consiste nell’inserire i dettagli in schemi consolidati. Ma quando gli schemi sono del tutto nuovi, sembra di vedere tre ciechi che esaminano un elefante al microscopio.

Tuttavia, dal momento che io non ero né cieco né anestetizzato dalla routine, sospettavo che semplicemente, l’assassino non fosse soddisfatto. Di tempo ne aveva avuto a sufficienza, ma dopotutto questo era il quinto delitto con le stesse modalità. Che cominciasse ad annoiarsi a fare a pezzi i cadaveri? Che il Nostro Ragazzo fosse alla ricerca di qualcos’altro, qualcosa di diverso? Una nuova direzione, un’emozione nuova?

Potevo quasi avvertire la sua frustrazione. Arrivare fino a quel punto, darsi tanto da fare per sezionare i resti e farne pacchi dono, per arrivare all’improvvisa conclusione. Non è questo che cerco. Qualcosa non va.

Coitus interruptus.

L’esperienza non lo soddisfaceva più. Aveva bisogno di altro. Cercava di esprimere qualcosa, ma non aveva ancora trovato il suo vocabolario. E secondo la mia opinione personale, voglio dire, se fossi stato io, tutto ciò sarebbe risultato molto frustrante. E uno sprone a cercare altrove la risposta.

Presto.

Ma la detective LaGuerta cercava un testimone. Non ne avrebbe scovato nessuno. Questo era un mostro gelido e circospetto, una figura che trovavo molto affascinante. E come dovevo reagire io al suo fascino? Non lo sapevo. Per questo mi ero ritirato a pensare sulla mia barca.

Un Donzi mi tagliò la strada a settanta miglia all’ora, passandomi solo a pochi centimetri dalla prua. Gli rivolsi un allegro cenno di saluto e tornai al presente. Mi stavo avvicinando a Stiltsville, una collezione di case su palafitte quasi completamente abbandonate nei pressi di Cape Florida. Girai in cerchio, senza una meta precisa, e lasciai che i miei pensieri seguissero lo stesso lento arco.

Che cosa dovevo fare? Dovevo deciderlo subito, prima di cominciare a dare sul serio una mano a Deborah. Potevo aiutarla a risolvere il caso, questo era chiaro. Nessuno poteva farlo meglio di me. Non c’era nessun altro che si muovesse nella direzione giusta. Ma volevo proprio che il caso fosse risolto? Volevo proprio che questo serial killer fosse arrestato? Inoltre, pensiero quanto mai fastidioso, volevo davvero che fosse fermato?

Cosa avrei fatto?

Alla mia destra vedevo Elliott Key alla luce del tramonto. E, come sempre, ricordai quando ci ero andato in gita con Harry Morgan. Il mio padre adottivo. Il Buon Piedipiatti.

Sei diverso dagli altri, Dexter.

Sì, Harry, hai proprio ragione.

Ma puoi imparare a controllare la tua diversità e usarla in modo costruttivo.

Va bene, Harry. Se lo dici tu.

Come?

E lui me lo disse.


Da nessuna parte il cielo stellato è come quello della Florida meridionale quando hai quattordici anni e sei in gita con papà. Anche se si tratta solo di un papà adottivo. E anche se la vista delle stelle ti dà solo un remoto senso di soddisfazione, perché di emozioni non se ne parla. Non ne provi. Questa è una delle ragioni per cui sei qui.

Il fuoco si è spento, le stelle sono eccezionalmente brillanti e il tuo caro vecchio papà adottivo è zitto da un po’. Beve qualche sorso dalla fiaschetta che ha tirato fuori dalla tasca esterna dello zaino. A differenza di molti altri piedipiatti, non è un grande bevitore, ma ora la fiaschetta è vuota ed è il momento che lui dica quello che deve dire, se proprio intende farlo.

«Sei diverso dagli altri, Dexter.»

Smetto di fissare le stelle. L’ultimo bagliore del fuoco crea piccole ombre nella piccola radura sabbiosa. Qualcuna di esse si disegna sul volto di Harry, che mi appare strano, diverso dal solito. Determinato, infelice, titubante.

«Che cosa intendi dire, papà?»

Lui non mi guarda. «I Billup dicono che Buddy è sparito.»

«Quella piccola bestiaccia rumorosa. Abbaiava tutta la notte, la mamma non riusciva a dormire.»

La mamma aveva bisogno di dormire, naturalmente. Morire di cancro richiede parecchio riposo, ma era difficile con quel piccolo cagnaccio dall’altra parte della strada, pronto ad abbaiare a ogni foglia che cadeva sul marciapiede.

«Ho trovato la fossa», dice Harry. «C’erano tante ossa, Dexter. Non solo quelle di Buddy.»

Non ho molto da aggiungere. Raccolgo una manciata di aghi di pino e aspetto che prosegua.

«Da quanto tempo va avanti?» mi chiede Harry.

Cerco la sua faccia, poi guardo verso la spiaggia, in fondo alla radura, dove si trova la nostra barca, che ondeggia lieve con la marea. Le luci di Miami sono sulla destra, un debole chiarore. Non so dove Harry voglia andare a parare, o cosa voglia sentirsi dire. Ma lui è il mio papà adottivo, sempre schietto e diretto. Con Harry è sempre meglio dire la verità. Lui sa sempre tutto e, se non lo sa, lo scopre.

«Un anno e mezzo», rispondo.

Harry annuisce. «Perché hai cominciato?»

Bella domanda. La risposta sfugge alla mia mente di quattordicenne. «È solo che… Diciamo che… dovevo farlo.» Così giovane e già così calmo.

«Senti una voce?» vuole sapere. «Qualcosa o qualcuno ti dice cosa fare e tu devi farlo?»

«Uh», dico io, con la mia eloquenza di quattordicenne. «Non proprio.»

«Raccontami», dice Harry.

Oh, ci fosse stata la luna, una bella luna paffuta, qualcosa di grande da guardare. Raccolgo un’altra manciata di aghi di pino. Mi sento rosso in viso, come se papà mi avesse chiesto dei miei sogni erotici. Il che, in un certo senso…

«È come… una specie di… Sai, come se sentissi qualcosa…», dico io. «Dentro. Che mi guarda. Forse… che ride? Ma non è proprio una voce, solo…» Una significativa alzata di spalle da teenager.

Ma Harry sembra capire. «E questo qualcosa… ti spinge a uccidere.»

Sopra le nostre teste, in alto, passa lentamente un jet.

«No, ehm. Non è che mi spinge. Solo che… lo fa sembrare una buona idea.»

«Hai mai voluto uccidere qualcos’altro? Qualcosa di più grosso di un cane?»

Cerco di rispondere, ma sento qualcosa in gola. Mi schiarisco la voce. «Sì.»

«Una persona?»

«Nessuno in particolare, papà. Solo che…» Alzo di nuovo le spalle.

«Perché non l’hai fatto?

«È che… ho pensato che non vi sarebbe piaciuto. A te e alla mamma.»

«Solo per questo?»

«Io, ehm… Non volevo farvi… arrabbiare. Sai. Non volevo deludervi.»

Sbircio Harry di soppiatto. Mi sta guardando, senza battere ciglio. «È per questo che siamo venuti in gita, papà? Volevi parlarmi di questo?»

«Sì», dice Harry. «Bisogna far quadrare le cose.»

Far quadrare le cose, oh, sì, è così che Harry vede la vita: letti rifatti bene, scarpe lucide. Me lo aspettavo. Il bisogno di uccidere prima o poi si sarebbe confrontato con la necessità di far quadrare le cose.

«Come?» domando.

Lui mi guarda a lungo, serio, poi annuisce quando vede che lo seguo passo a passo.

«Bravo ragazzo», comincia. «Ora…» Ma ci vuole un bel po’ prima che si rimetta a parlare. Guardo le luci di una barca che passa a circa duecento metri dalla nostra spiaggetta. Da una radio a tutto volume la musica cubana sovrasta il rumore del motore. «Ora», ripete Harry, e io mi volto verso di lui. Sta guardando le braci morenti, come se ci leggesse il futuro. «Le cose stanno così.»

Lo ascolto attentamente. Queste sono le parole con cui Harry prelude a una somma verità. Come quando mi ha insegnato a lanciare una palla curva a baseball o a tirare un gancio sinistro. Le cose stanno così e le cose stavano sempre così.

«Divento vecchio, Dexter.» Aspetta che faccia un’obiezione, ma non la faccio e lui annuisce. «Credo che la gente veda le cose da un’altra prospettiva, quando invecchia. Non è questione di essere più molli, o di vedere il grigio invece del bianco e nero. Credo proprio di prendere le cose diversamente. Meglio.» Mi guarda. Lo sguardo di Harry: c’è l’affetto di un uomo duro in quegli occhi azzurri.

«Okay», dico io.

«Dieci anni fa ti avrei mandato in un istituto, da qualche parte», riprende, e io batto le palpebre. Mi ferisce, anche se l’ho pensato io stesso. «Adesso credo di vedere tutto più chiaramente. So che cosa sei e so che sei un bravo ragazzo.»

«No», lo contraddico. La voce mi esce flebile, ma Harry mi sente.

«Sì», ribatte lui, deciso. «Sei un bravo ragazzo, Dex. Lo so. Io lo so.» Parla quasi tra sé, forse in cerca di un effetto. Poi i suoi occhi agganciano i miei. «Altrimenti non ti importerebbe di quello che penso io o che pensa la mamma. Lo faresti e basta. Non puoi farci niente, lo so. Perché…» Si interrompe e mi fissa per un istante. Mi sento molto a disagio. «Che cosa ricordi di prima?» mi domanda. «Sai, prima che ti prendessimo con noi.»

Fa ancora male ma, sul serio, non so perché. Avevo solo tre o quattro anni. «Niente.»

«Bene», approva lui. «Nessuno dovrebbe ricordarlo.» E per tutto il tempo che gli resterà da vivere non dirà altro in proposito. «Ma anche se non te lo ricordi, Dexter, ha avuto un influsso su di te. È questo che fa di te ciò che sei. Ne ho parlato con qualcuno.» E, cosa più strana di tutte, mi rivolge un lieve, quasi timido sorriso. «Me lo aspettavo. Quello che ti è successo da piccolo ti ha influenzato. Ho cercato di mettere le cose a posto, ma…» Si stringe nelle spalle. «Era troppo forte. Troppo. Ti è entrato dentro presto e ci rimarrà. Non ci puoi fare niente. Non lo puoi cambiare. Tuttavia…» Distoglie nuovamente lo sguardo, non so per vedere cosa. «Tuttavia puoi incanalarlo. Controllarlo. Scegliere…» Le parole sono ponderate attentamente, non l’ho mai sentito parlare così. «Scegliere cosa… o chi… uccidi.» E mi rivolge un sorriso che non gli ho mai visto, secco e desolato come la cenere delle nostre braci morenti. «C’è un sacco di gente che se lo merita, Dex…»

E con quelle poche parole dà una forma alla mia vita intera, a tutto me stesso, a chi sono e cosa sono. Quell’uomo meraviglioso che vede tutto e sa tutto. Harry. Il mio papà.

Se solo fossi stato capace di amare, avrei amato Harry.


Tanto tempo fa. Harry è morto da molto. Ma le sue lezioni sono sopravvissute. Non perché provassi sentimenti caldi e appiccicosi, ma perché Harry aveva ragione. Lo avevo constatato più e più volte. Harry sapeva. Harry mi faceva da maestro.

Stai attento, diceva Harry. E mi insegnava a stare attento come solo un poliziotto poteva insegnarlo a un assassino. A scegliere con cura tra coloro che se lo meritavano. A esserne sicuro al cento per cento. E poi a essere preciso, a non lasciare tracce, a evitare sempre qualsiasi coinvolgimento emotivo, perché è così che si commettono gli errori.

E naturalmente l’attenzione andava oltre il semplice omicidio. Lo stesso rigore si applicava a tutto il resto. Dividere la mia esistenza in compartimenti. Socializzare. Imitare la vita.

Avevo seguito i suoi dettami diligentemente. Ero un ologramma pressoché perfetto. Al di sopra di ogni sospetto, del biasimo e del disprezzo. Un mostro pulito e ordinato, il ragazzo della porta accanto. Persino Deborah non sospettava quasi niente. Certo, anche lei credeva quello che voleva credere.

E in quel preciso momento credeva che io potessi aiutarla a risolvere quegli omicidi, a dare una spinta alla sua carriera, a catapultarla fuori dai vestiti da sesso hollywoodiano, direttamente in un tailleur di marca. E aveva ragione, ovviamente. Io potevo esserle d’aiuto. Ma non ero sicuro di volerlo fare, perché mi piaceva vedere quest’altro assassino all’opera. Provavo una sorta di connessione estetica, o di…

Coinvolgimento emotivo.

Bene, questo era il punto. Questa era una chiara violazione del Codice di Harry.

Diressi nuovamente la prua verso il canale. Era buio pesto, ormai, ma presi come riferimento un ripetitore sulla costa, pochi gradi a sinistra della mia destinazione.

E così sia. Harry aveva sempre avuto ragione e aveva ragione anche adesso. Nessun coinvolgimento emotivo, aveva detto. Dunque, non ne avrei avuti.

Avrei aiutato Deb.

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