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Venerdì sera. La sera in cui si esce, a Miami. E, credeteci o no, la sera di un appuntamento per Dexter. Strano a dirsi, avevo trovato qualcuno. Come come? Dexter-defunto-dentro delizia dolci donzelle? Sesso tra gli Zombie? Che il mio desiderio di imitare la vita fosse giunto al livello di simulare l’orgasmo?

Tirate il fiato. Il sesso non c’entrava niente. Dopo anni di tentativi imbarazzanti, nella speranza di sembrare normale, avevo finalmente agganciato l’anima gemella.

Rita era ridotta male quasi quanto me. Sposatasi troppo giovane, aveva cercato con ogni mezzo di far funzionare il suo matrimonio per dieci anni e due bambini. Il suo affascinante coniuge aveva qualche problemino: prima l’alcool, poi l’eroina, udite udite, e infine il crack. Il bruto la picchiava. Spaccava i mobili, urlava, lanciava oggetti e minacce. Poi la stuprava, infettandola con qualche orrenda malattia contratta tra i suoi compagni di crack. Tutto questo con regolarità. Rita resistette, lavorò, lo trascinò due volte a disintossicarsi. Poi una sera lui se la prese coi bambini e Rita decise di darci un taglio.

La sua faccia era guarita, ormai. E per i medici di Miami braccia e costole rotte sono cose di tutti i giorni. Ora Rita era tornata a essere alquanto presentabile, una donna a misura di mostro. Il divorzio era definitivo, il bruto era sotto chiave. E allora? Ah, i misteri della mente umana. Per qualche strano motivo, la cara Rita aveva deciso di uscire di nuovo con qualcuno. Era ragionevolmente sicura che fosse la Cosa Giusta da fare, ma come risultato delle frequenti percosse subite per mano dell’Uomo Che Amava, il sesso era l’ultima cosa che le potesse interessare. Solo, forse, un po’ di compagnia maschile.

Aveva cercato la persona adatta: sensibile, gentile, disposto ad aspettare. Una ricerca piuttosto lunga, inevitabilmente. Cercava un uomo immaginario cui importasse di più parlare e vedere film che fare sesso, perché Per Quello Lei Non Era Pronta.

Ho detto immaginario? Be’, sì, gli uomini umani non sono fatti così. La maggior parte delle donne lo capiscono, dopo due figli e il primo divorzio. Ma la povera Rita si era sposata troppo giovane per imparare quella preziosa lezione. E, come effetto collaterale della convalescenza dal suo tremendo matrimonio, anziché rendersi conto che tutti gli uomini sono bestie, aveva idealizzato la bella figura romantica di un perfetto gentiluomo che avrebbe atteso a tempo indefinito che lei si aprisse lentamente, come un fiorellino.

Be’. Sul serio. Forse un uomo del genere esisteva nell’Inghilterra vittoriana, dove a ogni angolo c’era un bordello in cui sfogarsi tra una dichiarazione e l’altra di puro e intatto amore floreale. Ma, per quanto ne sapevo, uomini così non se ne trovavano nella Miami del Ventunesimo secolo.

Eppure erano cose che io ero in grado di imitare perfettamente. Ed era realmente ciò che volevo: non avevo il minimo interesse in una relazione sessuale. Avevo bisogno di mimetizzarmi e Rita faceva proprio al caso mio.

Ed era, come ho detto, molto presentabile. Minuta, vivace, sexy, snella, atletica, con capelli biondi corti e occhi azzurri. Era una fanatica del fitness e passava tutte le ore libere correndo o andando in bicicletta. Di fatto, sudare era la nostra attività preferita. Avevamo fatto un giro in bicicletta nelle Everglades, partecipato a corse da cinque chilometri e persino sollevato pesi insieme.

Ma la cosa migliore erano i due figli: Astor, una bambina di otto anni, e Cody, il fratellino di cinque, entrambi molto tranquilli. Non potevano essere altrimenti. I figli di genitori che cercano abitualmente di ammazzarsi a vicenda a colpi di mobilio tendono a essere appena un po’ introversi.

Vale per tutti i bambini che crescono in mezzo all’orrore. Ma possono esserne tirati fuori, prima o poi. Guardate me. Avevo sopportato ignoti e indicibili orrori da bambino, eppure eccomi qui, cittadino esemplare e pilastro della comunità.

Forse era questa una delle ragioni della mia simpatia verso Cody e Astor. I motivi più profondi erano per me incomprensibili: so che cosa sono e capisco molte cose di me stesso, ma uno dei pochi tratti che sinceramente mi sfuggono è il mio atteggiamento verso i bambini.

Mi piacciono.

Sono importanti per me. Contano.

Non lo capisco, sul serio. Per essere sincero, non mi farebbe né caldo né freddo se tutti gli esseri umani sparissero improvvisamente dall’universo, con la possibile eccezione di me stesso e, forse, Deborah. Tutti gli altri hanno per me meno valore dei mobili da giardino. Non ho, come dicono gli strizzacervelli, alcun senso della realtà degli altri. E non mi preoccupo di averne.

Ma i bambini… i bambini sono diversi.

Era un anno e mezzo che uscivo con Rita e in quel periodo avevo lentamente e deliberatamente conquistato la fiducia di Astor e Cody. Ero okay. Non avrei cercato di far loro del male. Mi ricordavo dei loro compleanni, delle pagelle, delle vacanze. Potevo entrare in casa loro senza pericolo. Di me si potevano fidare.

Assai ironico, ma vero, che fossi io l’unico uomo di cui si potessero fidare. Rita pensava che facesse parte del mio lungo corteggiamento: mostrarle che ero simpatico ai bambini e… chissà? Ma la verità era che mi importava più di loro che di lei. Forse era già troppo tardi, ma non volevo vederli crescere per diventare come me.

Quel venerdì sera fu Astor ad aprire la porta. Indossava una lunga T-shirt con la scritta RUG RATS che le arrivava sotto le ginocchia. I capelli rossi erano raccolti in due treccine e il suo visino era totalmente inespressivo. «Ciao, Dexter», mi accolse, con la sua voce troppo calma. Per lei, due parole erano già una lunga conversazione.

«Buona sera, bella signorina», dissi io, con la mia migliore imitazione di Lord Mountbatten. «Posso osservare che vi trovo assai graziosa, questa sera?»

«Okay», fece Astor, tenendo la porta aperta. «Eccolo», aggiunse, voltandosi all’indietro.

La superai. Cody era dietro di lei, pronto a coprirle le spalle, in caso di necessità. «Cody», lo salutai. Gli consegnai una confezione di Necco Wafers. Lui la prese senza togliermi gli occhi di dosso e lasciò cadere la mano inerte lungo un fianco, senza neanche guardarla. Non l’avrebbe aperta finché non me ne fossi andato e avrebbe fatto a metà con sua sorella.

«Dexter?» chiamò Rita dall’altra stanza.

«Sono qui», risposi. «Non puoi insegnare a questi bambini a comportarsi bene?»

«No», rispose Cody a bassa voce. Un nostro gioco. Lo guardai. E adesso?

Un giorno sarebbe diventato un cantante? Avrebbe ballato il tip tap per strada? Avrebbe tenuto un discorso alla convention del Partito Democratico?

Rita sbucò dalla stanza, mettendosi un orecchino ad anello. Tutto sommato, era piuttosto provocante. Indossava un impalpabile vestitino di seta azzurra che le arrivava a metà coscia e, naturalmente, le sue migliori scarpe da ginnastica New Balance. Prima di lei non avevo mai incontrato una donna che indossasse scarpe comode a un appuntamento. Incantevole creatura.

«Ciao, bello», disse Rita. «Due parole alla baby-sitter e ce ne andiamo.» Andò in cucina, dove la sentii dare istruzioni alla figlia teenager dei vicini, arruolata come baby-sitter: ora di andare a letto, compiti, cosa vedere e non vedere in TV, numero di cellulare, numero di emergenza, cosa fare in caso di avvelenamento o decapitazione accidentale.

Cody e Astor continuavano a fissarmi. «Andate al cinema?» mi chiese la bambina.

Feci cenno di sì. «Se troviamo un film che non ci faccia vomitare.»

«Yuk», fece Astor, con una smorfietta di disgusto sul visino. Provai una punta sottile di soddisfazione.

«Ma tu vomiti al cinema?» chiese Cody.

«Cody», lo redarguì la sorella.

«Davvero?» insistette il bambino.

«No», risposi. «Ma spesso vorrei farlo.»

«Andiamo», esclamò Rita, arrivando di corsa, prima di chinarsi a dare un bacio sulla guancia a entrambi i figli. «Date retta ad Alice. A letto alle nove in punto.»

«Poi torni?» chiese Cody.

«Cody! Ma certo che torno», esclamò Rita.

«Dicevo a Dexter», precisò il bambino.

«Sarai a dormire», dissi io. «Ma ti farò un saluto, okay?»

«Non sarò a dormire», replicò Cody, serio.

«Allora mi fermerò a fare una partita a carte con te.»

«Davvero?»

«Assolutamente. Poker. Chi vince si prende i cavalli.»

«Dexter!» mi rimproverò Rita, con un sorriso. «Sarai a dormire, Cody. E adesso buona notte, bambini. Fate i bravi.» Mi prese per un braccio e mi condusse fuori dalla porta. «Ti vengono proprio a mangiare in mano», mormorò.

Il film non era nulla di speciale. Non mi venne da vomitare, ma me l’ero praticamente già dimenticato quando ci fermammo in un posticino a South Beach per il bicchiere della staffa.

L’idea era stata di Rita. Per quanto avesse passato a Miami quasi tutta la vita, era ancora convinta che South Beach fosse un luogo chic. Forse era per via di tutti quei rollerblade. O forse pensava che qualsiasi luogo brulicante di gente sgarbata dovesse per forza essere chic.

In ogni caso, aspettammo venti minuti prima che ci dessero un tavolino e altri venti perché si facesse vivo un cameriere. Non m’importava.

Mi divertivo a osservare gli idioti di bella presenza che si guardavano a vicenda. Molto più interessante che seguire una partita.

Dopo di che facemmo due passi lungo Ocean Boulevard, chiacchierando del più e del meno, un’arte in cui eccello. Era una serata deliziosa. La luna piena di qualche notte prima, quando avevo intrattenuto padre Donovan, era ormai sbocconcellata.

E mentre tornavamo verso la casa di Rita a South Miami, al termine di una nostra serata standard, ci trovammo a un incrocio in una delle zone meno salubri di Coconut Grove. Una luce rossa lampeggiante attirò la mia attenzione. Mi voltai verso la trasversale. Scena di un crimine. Il nastro giallo era già teso e c’erano tre auto della polizia parcheggiate alla bell’e meglio.

Di nuovo Lui, pensai, e svoltai prima ancora di rendermene conto.

«Dove andiamo?» chiese Rita. Era una richiesta ragionevole.

«Ah. Vorrei dare un’occhiata e controllare che non abbiano bisogno di me.»

«Non hai un cercapersone?»

Le rivolsi il mio miglior sorriso da venerdì sera. «Non sempre sanno di avere bisogno di me.»

Avrei potuto fermarmi anche per un’altra ragione: farmi vedere insieme a Rita. Il senso di un travestimento è farsi vedere quando lo si indossa. Ma, per la verità, la voce che mi sussurrava all’orecchio mi avrebbe fatto fermare comunque.

Di nuovo Lui. E dovevo sapere che cosa Lui stesse combinando. Lasciai Rita nell’auto e corsi a curiosare.

Il maledetto ne aveva combinata un’altra delle sue. Di nuovo lo stesso cumulo di membra imballate, di nuovo Angel Nessuna Parentela chino praticamente nella stessa posizione in cui lo avevo lasciato sulla scena precedente.

«Hijo de puta», disse Angel, quando mi avvicinai.

«Non stai parlando di me, suppongo.»

«Tutti noi ci lamentiamo di dover lavorare di venerdì sera e tu compari con una ragazza al seguito. E continua a non esserci lavoro per te.»

«Stesso individuo, stesso schema?»

«Identico», confermò Angel, sollevando un lembo del sacco con la matita. «Dissanguata. Neanche una goccia.»

Quelle parole mi diedero un vago senso di vertigine. Mi chinai a guardare. Anche stavolta le membra erano sorprendentemente pulite ed esangui. Avevano una sfumatura azzurrognola e sembravano bloccate nell’esatto momento della perfezione. Meraviglioso.

«Una lieve differenza nel taglio, questa volta», rilevò Angel. «In quattro punti», indicò. «Qui molto rude, quasi emotivo. Poi qui un po’ meno. Qui e qui, una via di mezzo. Eh?»

«Molto bello.»

«E poi, guarda questo.» Sfiorò il troncone dissanguato con la matita. La carne era stata tagliata longitudinalmente, con grande precisione, fino a mettere a nudo l’osso. «Perché ha dovuto farlo?»

Respirai a fondo. «Sta sperimentando. Cerca di trovare il modo giusto.» E continuai a fissare quella nitida sezione fino a quando mi resi conto che Angel mi stava guardando da un po’.

«Come un bambino che gioca col cibo nel piatto.» Così descrissi a Rita la scena, quando tornai all’auto.

«Mio Dio», mormorò lei. «È orribile.»

«Credo che la parola giusta sia macabro.»

«Come puoi scherzarci sopra, Dexter?»

Le sorrisi, rassicurante. «Ci si abitua, nel mio lavoro. Scherziamo sempre per nascondere il dolore.»

«Be’, santo cielo, spero che lo prendano presto, quel maniaco.»

Pensai a quelle membra accuratamente impilate, alla varietà dei tagli, a quella meravigliosa assenza di sangue. «Non troppo presto.»

«Cos’hai detto?»

«Ho detto: non credo che lo prenderanno troppo presto. L’assassino è estremamente abile e la detective incaricata del caso è più interessata ai giochetti politici che a risolvere gli omicidi.»

Rita mi guardò per capire se stessi scherzando. Poi rimase zitta per un po’, mentre percorrevamo la US1 in direzione sud. Non aprì bocca fino a South Miami. «Non mi abituerò mai a vedere… non so, l’altra faccia delle cose… Come sono veramente… Il modo in cui le vedi tu.»

Mi colse di sorpresa. Avevo approfittato del suo silenzio per riflettere sui pezzi di cadavere che ci eravamo appena lasciati alle spalle. La mia mente affamata girava intorno a quelle membra ripulite come un’aquila alla ricerca di un brandello di carne da lacerare. «Cosa vuoi dire?» riuscii a chiedere, dopo un po’.

Lei aggrottò le sopracciglia. «Io… non saprei. Solo che… diamo tutti per scontato che le cose… stiano in un certo modo. Come dovrebbero essere, forse. E non sono mai così. Sono sempre più… Non so. Oscure? Più umane. Come questa. Il poliziotto dovrebbe voler catturare l’assassino, non è questo che fanno i poliziotti? Prima d’ora non avevo mai pensato che ci potessero essere questioni di politica in un omicidio.»

«Tutto è politica», ribattei. Svoltai nella sua strada e rallentai di fronte alla sua casetta, graziosa e uguale a tante altre.

«Ma tu», riprese Rita, che sembrava non fare caso a dove fossimo e a cosa avessi detto. «Tu parti da questo. La maggior parte della gente nemmeno arriverebbe a pensarci.»

«Non sono così profondo, Rita», dissi, mentre infilavo l’auto in un parcheggio.

«È come se tutto avesse due facce. Quella che fingiamo di vedere e quella vera. E tu lo sai già. Per te è come un gioco.»

Non avevo idea di cosa stesse cercando di dire. Per la verità, avevo rinunciato a capire e, mentre lei parlava, la mia mente tornava al nuovo omicidio, al biancore della carne, all’improvvisazione nei tagli, a quella completa e immacolata assenza di sangue…

«Dexter…» disse Rita. Mi appoggiò una mano sul braccio.

La baciai.

Non so chi dei due si sia sorpreso di più. Non l’avevo assolutamente premeditato. E di sicuro non era effetto del suo profumo. Fatto sta che incollai le mie labbra alle sue e ce le tenni a lungo.

Lei mi respinse.

«No… no, Dexter.»

«Va bene», sussurrai, ancora sotto choc per quanto avevo fatto.

«Non credo di volerlo… Non sono ancora pronta per… Dannazione, Dexter.» Sganciò la cintura di sicurezza, aprì la portiera e corse in casa.

Oddio, pensai. Che cosa diavolo ho fatto?

Sapevo che me lo sarei dovuto chiedere e che forse avrei dovuto sentirmi deluso per avere distrutto il mio travestimento, dopo averlo faticosamente mantenuto per un anno e mezzo.

Ma non riuscivo a pensare che a quel mucchio di pezzi di cadavere.

Niente sangue.

Neppure una goccia.

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