CAPITOLO SECONDO

Anche se Alaspin attirava la sua parte di visitatori, pochi di questi erano turisti. La maggior parte erano scienziati per i quali il clima sgradevole rappresentava solo un insignificante ostacolo sulla strada delle grandi ricerche. Tuttavia, qui si trattava di un ostacolo consistente: nelle grandi savane dall'erba altissima e nelle fitte giungle che le circondavano, il clima cambiava poco da un mese all'altro. Esistevano solo due stagioni: quella umida e quella un po' meno umida.

Gli scienziati ci venivano per studiare le migliaia di templi e di rovine lasciate da un'avanzatissima civiltà che era stata troppo timida persino per darsi un nome, e che veniva quindi chiamata “alaspiniana” in mancanza d'altro. Gli Alaspiniani avevano lasciato esaurienti descrizioni dei loro viaggi in quel settore dello spazio, ma praticamente nulla per quello che riguardava loro stessi. Eppure avevano scelto di vivere in primitive strutture di legno e pietra. Della loro scomparsa non si sapeva nulla, anche se la teoria del suicidio razziale aveva parecchi sostenitori. Era quasi come se, imbarazzati dalle loro numerose conquiste, avessero semplicemente deciso di scomparire circa settantamila anni prima. Altri invece sostenevano che dovevano essere emigrati, perché se davvero si fosse trattato di un suicidio di massa, si sarebbe trovato qualche resto.

Avevano dei corpi fragili, insistevano i sostenitori del suicidio. O forse cremazioni nella giungla. Non erano che supposizioni, impossibili da provare, che facevano discutere anche gli xenoarcheologi più moderati, perché, tra i milioni di incisioni e registrazioni lasciate su piccoli cubi di metallo incisi al micromillesimo, non esisteva neppure una fotografia di un Alaspiniano. C'erano infinite immagini di piante, animali, paesaggi, strutture, ma nessuna che mostrasse l'aspetto della gente.

Era uno di quei mondi dove i Thranx si trovavano a loro agio più dei loro compagni umani. Quel clima caldo umido era per loro come un fresco soffio dell'aria fumante di casa. Tutte le più grandi installazioni permanenti di ricerca avevano personale thranx, mentre gli umani andavano e venivano molto in fretta, per racimolare frammenti di conoscenza da trasferire in pubblicazioni o tesi, prima di fuggire su mondi più freschi e meno umidi.

Nelle regioni di frontiera, i cercatori di minerali erano molto più numerosi degli scienziati. Alaspin possedeva molti minerali di valore, tuttavia coloro che si facevano chiamare cercatori, evitavano le ricche pianure alluvionali delle savane, preferendo scavare tra le innumerevoli rovine, dove gli scavi erano più facili e i 'filoni' avevano una più alta concentrazione; anzi, erano già raffinati. Tra scienziati e cercatori esisteva un perpetuo stato di guerra non dichiarata.

Per coloro che erano impegnati nelle ricerche archeologiche, i cercatori erano profanatori di tombe e distruttori di una civiltà e di un'eredità aliena ancora troppo avvolta nel mistero. Alcuni dei più rapaci e incuranti esploratori non avrebbero esitato a fare a pezzi un edificio appena scoperto, per impossessarsi di un manufatto commerciabile, rendendo così inutile le ricerche di una intera area archeologica.

Al contrario, i poveri cercatori di minerali, che non avevano il sostegno delle grandi compagnie e sopravvivevano in quell'ambiente ostile grazie soprattutto alla loro abilità, si lamentavano del fatto che le autorità appoggiavano sempre le grandi fondazioni, mentre loro invece avevano già localizzato più rovine e insediamenti di quanti se ne sarebbero potuti studiare in mille anni. Insistevano che ogni nuovo sito da essi scoperto aggiungeva, invece di sottrarre, qualcosa alla somma della conoscenza scientifica.

In mezzo ai due, si muoveva un piccolo gruppo di ibridi riconosciuto tacitamente da ambo le parti, composto da individui solitari, che erano sia scienziati che cercatori, il cui desiderio di apprendere era in continua lotta con la cupidigia.

Poi c'erano quelli giunti su Alaspin per fare fortuna con altri mezzi: venivano per provvedere ai bisogni sia dei cercatori di minerali che degli scienziati, e lo facevano per denaro, naturalmente, dal momento che nessuno veniva su Alaspin per ragioni di salute. Il clima era infernale e le forme di vita indigene erano ostili.

Non tutti gli scienziati erano sostenuti da qualche organizzazione legalmente riconosciuta. E non tutti i cercatori erano equipaggiati dei loro attrezzi da una grande compagnia o da un consorzio criminale. Quindi servivano magazzini, divertimenti sufficientemente semplici e allegri e strutture di supporto. Coloro che gestivano questi affari erano gli unici che si potevano davvero chiamare cittadini di Alaspin. Per la loro sopravvivenza dipendevano esclusivamente dal pianeta. La loro fortuna andava costruita in tempi lunghi, al contrario degli scienziati che sognavano la Grande Scoperta o dei cercatori che fantasticavano sul Gran Colpo, messo a segno nel prossimo tempio coperto di erbacce o nel prossimo torrente inesplorato.

E poi c'era Flinx.

Lui non apparteneva a nessuna di quelle classi riconosciute che sciamavano sulla superficie umida di Alaspin. Non era lì per ricerche minerarie e neppure per studi scientifici, anche se d'abitudine studiava approfonditamente ogni cosa che incontrava. Quello che lo spingeva era la solitudine.

Gli scienziati pensavano che si trattasse di uno studente un po' particolare che lavorava ad una tesi. I cercatori invece, che riconoscevano un lupo solitario quando ne vedevano uno, lo consideravano dei loro. Chi altri se non un cercatore avrebbe potuto avere un drago volante alaspiniano, o un minidrago, se preferite, sempre appollaiato sulla spalla? Chi altri avrebbe scoraggiato ogni tentativo di conversazione o di presentazione? Non che il giovane dovesse darsi molto da fare per scoraggiarli. La presenza dell'orribile e letale animaletto teneva alla larga i curiosi.

Comunque, con quelli che erano tanto coraggiosi o ignoranti da affiancarlo per strada o nella sala da pranzo del piccolo albergo, lui rispondeva sempre con gentilezza: No, non era uno studente. E nemmeno un cercatore. Non lavorava neppure per una delle corporazioni di servizi del pianeta. Si trovava su Alaspin, ammetteva senza reticenze, per preparare il suo ritorno a casa. Al che, gli interlocutori invariabilmente si allontanavano più perplessi di prima.

Flinx apprezzava moltissimo ogni persona che incontrava, sia coloro che gli facevano domande, che quelli che riconoscevano subito l'inconfondibile colore blu e rosa di Pip e si affrettavano ad allontanarsi quando lo vedevano arrivare. Più invecchiava, più trovava affascinante il genere umano. Fino a poco tempo prima, la sua immaturità gli aveva impedito di apprezzare l'unicità di quel composito organismo che era la razza umana.

In quanto ai Thranx, a modo loro erano altrettanto interessanti. Il loro sistema sociale era diverso da quello degli uomini. Anche se le due specie convivevano in perfetta armonia, avevano priorità e princìpi differenti. Sì, stava davvero diventando uno studioso della gente, senza curarsi della taglia, della razza e di dove avevano lo scheletro. Questo era in parte dovuto al fatto che Flinx era alla ricerca di qualcuno simile a lui. Ma fino a quel momento non lo aveva trovato.


Mentre rifletteva, maneggiava un machete. Era uno straordinario strumento primitivo, niente più di un pezzo di metallo affilato. Coltelli laser a buon mercato si trovavano in ogni magazzino di attrezzature di Mimmisompo, ma lui aveva preferito scegliere quell'anticaglia. Prendere la mira con un laser e premere il grilletto non procurava lo stesso senso di soddisfazione dato dal maneggiare la pesante lama. Il laser era silenzioso e preciso, con il machete, invece, si potevano annusare i progressi fatti aprendosi la strada tra steli verdi e purpurei e foglie ricche di venature. Inoltre la distruzione della flora fatta con il machete non lo turbava, perché sapeva che era solo temporanea. Nel giro di una settimana, il sentiero che stava aprendo in quel momento sarebbe scomparso, sommerso dalla nuova vegetazione.

Intorno a lui si ergevano alti alberi. Uno in particolare lo affascinava, aveva radici simili a contrafforti, quasi privo di tronco e ricoperto da festoni di epifite dai vividi fiori color carminio. Sciami di minuscoli insetti neri e azzurri si affollavano intorno ai fiori a forma di piccole trombe, si trattava di parenti a quattro ali dei lepidotteri terrestri che spingevano per avere la loro parte di nettare.

Creature assai meno decorative cercavano di morsicarlo attraverso gli stivali che affondavano per più di tre centimetri nel fango grigiastro. Annusavano l'odore del sangue. Il repellente ad alta frequenza agganciato alla cintura teneva lontani la maggior parte dei vampiri; la camicia a maniche lunghe e i pantaloni erano impregnati di potenti antiferomoni, come pure il cappello a tesa larga. Fino a quel momento, gli odori e i suoni che egli emetteva avevano fatto sì che non venisse punto.

Anche se non lo sapeva, il suo aspetto non era molto diverso da quello degli esploratori della giungla dei tempi antichi. Ma quegli uomini avrebbero ucciso per impossessarsi della chimica e dell'elettronica che teneva a debita distanza la fauna più pericolosa che Alaspin aveva da offrire. I thranx, beati loro, non avevano bisogno di protezioni tanto complicate. Erano pochi gli insetti in grado di penetrare attraverso le loro corazze chitinose. E non avevano neppure bisogno delle strisce raffreddanti allacciate ai pantaloni che lo mantenevano fresco, riciclando il suo sudore. Non era strettamente necessario, ma era un lussuoso antidoto alla miseria della situazione.

Ed era anche molto costoso, ma il denaro era una cosa di cui Flinx non si preoccupava. Anche se non era favolosamente ricco, si era reso finanziariamente indipendente.

Un ronzio a più voci gli riempì le orecchie. Ne aveva avvertito la presenza molto prima di udirli. Pip si srotolò dalla sua spalla e si innalzò in volo. Eccoli di nuovo, si trovavano negli alberi alla sua destra.

Erano più grandi del più grosso colibrì e sfrecciarono verso di lui in formazione, danzando intorno alla sua testa. Flinx rivolse loro un sorriso pieno di affetto, poi si voltò e riprese il cammino verso il lago di cui aveva scoperto la presenza sulla mappa. Quel luogo gli era sembrato il più adatto per gli addii finali.

La realtà era molto più bella delle fotografie aeree, pensò quando finalmente emerse dagli ultimi cespugli per ritrovarsi sulla riva scoscesa. Era ancora piuttosto presto. Dalla liscia superficie del lago si innalzava la nebbia, che addolciva i contorni degli alberi e delle liane che incorniciavano la sponda opposta. Erano come sagome di sogno, delineate da un contorno dorato e fiammeggiante, una sorta di offerta al sole velato dalla foschia.

Quella distesa ispirò i suoi compagni di viaggio. Essi si slanciarono verso l'acqua, saettando gioiosi intorno a Pip, che era la stella alla quale ancoravano la loro costellazione, almeno fino a quel giorno, perché il momento del distacco si avvicinava.

Flinx lo sapeva perché lo percepiva nella mente del suo animale. Pip era un telepate empatico, in grado sia di trasmettere che di ricevere le emozioni del suo padrone. La mezza dozzina di piccoli che in quel momento saettavano gioiosi intorno a Pip, erano dotati degli stessi poteri.

Erano stati concepiti durante una visita in quel pianeta, il loro mondo di origine, e a quel luogo Flinx li aveva riportati per svezzarli, anche se quello non era un termine che si applicasse del tutto ai serpenti volanti. Aveva sentito dire che quella era la cosa giusta da fare, per quanto non sapesse fino a che punto quell'idea era nata da lui o gli fosse invece stata suggerita da Pip. Ora sapeva di aver fatto la cosa giusta. Aveva goduto della compagnia dei piccoli, ma questi crescevano in fretta. Sei minidraghi, mortalmente velenosi, erano un po' troppo per una persona sola, perciò lui aveva deciso di riportare a casa i cuccioli.

Erano serpenti solo di nome, perché era la specie a cui assomigliavano di più. Persino gli xenotassonomi li chiamavano draghi in miniatura, anche se erano imparentati più strettamente con gli estinti sauri della Terra, con i celosauri in particolare.

Ritto sulla sponda, con il machete nella mano, percepì la loro confusione.

Ondate di materna repulsione emanavano da Pip, come lievi increspature in una pozza. Si abbattevano sui suoi piccoli, respingendoli, costringendoli ad allontanarsi. Gradualmente, pur senza capire, l'istinto prese il sopravvento. Si misero a volare intorno a Pip in cerchi sempre più larghi e Flinx percepì il loro legame farsi sempre più debole. Non si spezzò, ma divenne sempre meno intenso. Era una sensazione ad un tempo meravigliosa e dolorosa, che lo riempì di pace.

Non si chiese più se avesse fatto la cosa giusta portandoli lì. I minidraghi continuarono la loro danza: quelle forme incredibilmente agili guizzavano e roteavano, e le loro scaglie iridescenti catturavano i raggi del sole. Poi, uno alla volta, ruppero la formazione e scomparvero tra gli alberi sull'altra sponda del lago. Adesso erano davvero tornati al mondo che li aveva dati alla luce. Flinx trasse un profondo respiro.

— Questa è fatta — disse ad alta voce, sapendo che nonostante Pip non capisse le parole, avrebbe però capito perfettamente quello che provava. — Non c'è altro, vecchia mia. È tempo che noi due torniamo indietro, sta cominciando a fare caldo.

Pip sfrecciò verso di lui, fermandosi di colpo ad un metro davanti al suo viso. La lingua lunga e appuntita gli sfiorò il naso e gli occhi, poi l'animale girò su se stesso, andando a sistemarsi comodamente sul collo e sulle spalle.

Flinx si concesse un ultimo sguardo al lago, a quella superficie immobile come il vetro. Poi si voltò, per ripercorrere il sentiero che aveva aperto nella giungla. Se Pip era triste per il distacco dai suoi piccoli, non ne diede alcun segno. L'unica cosa che percepiva in lei era una grande contentezza.

Naturalmente non aveva modo di dire se stesse davvero provando le sensazioni del minidrago o se queste non erano altro che deboli riflessi delle sue. Quella sua particolare sensibilità continuava a restare un mistero, anche se a ogni anno che passava sembrava accettarla un po' di più. Era come cercare di stringere la nebbia: un momento quel talento era solido e reale come acciaio, e il momento seguente, quando cercava di usarlo, non trovava nulla, assolutamente nulla.

Mentre si trascinava nel fango, cercava di evitare di sfiorare la vegetazione che lo circondava, perché in quella giungla ogni foglia sembrava nascondere qualcosa di spinoso o di tossico. Stava cominciando a provare rispetto per i suoi talenti, invece di temerli e odiarli. Fino a quel momento, le sue abilità gli avevano più che altro causato guai. Purtroppo, doveva imparare a conviverci. Non poteva disconoscerli, non più di quanto potesse mutilarsi.

Pip si agitò sulla sua spalla nello stesso istante in cui un boato di emozioni si riversava nella sua mente. Flinx si fermò, e si voltò quando colse il ronzio.

Un piccolo minidrago era sospeso davanti a lui. Quando si era voltato, il piccolo si era ritirato, portandosi a due metri di distanza ed era rimasto lì, fissandolo intensamente.

Flinx sapeva di non essere il primo essere umano ad aver stabilito uno stretto legame emotivo con un minidrago alaspiniano. Si raccontava di altri cercatori che lo avevano fatto. Lui stesso ne aveva incontrato uno poco più di un anno prima. Il minidrago di quell'uomo, Balthazaar, si era accoppiato con Pip. Ma non aveva mai sentito parlare di nessuno che fosse riuscito ad instaurare un legame con più di un serpente volante. Un essere umano, un minidrago. Quella era la regola. Il piccolo doveva andarsene.

— Forza, vattene, fila! — gridò, facendo un balzo verso l'animale e brandendo il machete. La piccola creatura indietreggiò di un altro metro. — Vola via, scompari! la tua casa non è più con me e con tua madre. È arrivato il momento di salutarci. — Continuò ad avanzare verso il minidrago e quest'ultimo indietreggiò di un altro metro, nascondendosi per metà dietro la mole di un albero dalla corteccia blu.

Voltandosi con gesto deciso, Flinx riprese il cammino. Aveva fatto non più di venti metri, quando udì di nuovo il ronzio. Girò su se stesso, esasperato, e vide il piccolo atterrare su di un ramo, ripiegando le ali scagliose lungo il corpo affusolato e arrotolando la coda al ramo.

— Che cosa ti prende? — Gettò uno sguardo a Pip, che fissava in silenzio la sua prole recalcitrante. — Hai un cucciolo che non vuole lasciare il nido. Che cosa intendi fare?

Era per Flinx fonte di meraviglia costante la complessità di pensieri che le emozioni erano in grado di trasmettere. Pip non capiva una sola parola, ma le sensazioni erano chiarissime. Si srotolò, spiegò le ali e si slanciò verso il piccolo.

Il cucciolo quasi cadde dall'albero cercando di evitare l'attacco. Flinx guardò i due minidraghi girare intorno ai tronchi e tra i rami, spaventando la fauna locale e facendola fuggire in tutte le direzioni.

Alla fine Pip tornò, respirando affannosamente e si risistemò sulla sua spalla. Questa volta rimase fermo ad aspettare. Passò un minuto, poi due, e finalmente udì il noto ronzio. Il cucciolo era sospeso all'incrocio di due grandi rami, chiaramente esausto e altrettanto chiaramente deciso a restare. Sentendo Pip agitarsi sulla spalla, le mise una mano sul collo per calmarla.

— Buona. — Lei percepì senza capire e il suo respiro si tranquillizzò. — Va tutto bene.

Il cucciolo colse quella sensazione e si lanciò verso di lui, arrotolandosi sul suo polso sinistro.

— No, tu non puoi restare, mi capisci? — Sollevò la mano con un gesto deciso, lanciando in aria il minidrago. Ma non appena la riabbassò, il serpente volante ritornò ad aggrapparsi al suo braccio, come un braccialetto dai colori sgargianti e dagli occhi rossi.

Lo fece volare via parecchie volte, ma ogni volta la bestiola tornava ad aggrapparsi al polso o all'avambraccio. — Che cosa diavolo devo farne di te? — Se un serpente volante poteva rannicchiarsi, allora quel cucciolo stava facendo proprio quello, nascondendo la testa sotto un'ala.

Maledizione, era così tenero, pensò. Tutti i cuccioli di Pip erano piccole, tenere, delicate sculture di cuoio. E ognuno di loro aveva abbastanza neurotossine nelle sacche del veleno da uccidere una dozzina di uomini in pochi minuti. Per niente teneri.

Le emozioni che emanavano dal minidrago erano deboli e confuse, come quelle della madre. Affetto, confusione, solitudine, paura, sconcerto, tutti insieme. Dal momento che il livello di intelligenza di un minidrago era molto al di sotto di quello di un essere umano, non poteva sapere con certezza quale fosse la sensazione dominante.

E quello era molto piccolo, anche per un minidrago di quasi un anno. Pip esitava, cercando di dividere la propria attenzione tra il padrone e il suo cucciolo. Flinx si chiese come avrebbe reagito se avesse fatto un gesto violento verso l'adolescente. Non aveva dubbi che se avesse diretto una quantità di rabbia sufficiente verso il minidrago, la madre avrebbe cercato di allontanarlo, anche se per farlo avesse dovuto ferirlo.

Era così piccolo che probabilmente era stato l'ultimo della covata e di conseguenza il meno disposto ad essere svezzato. Ma Flinx non aveva alcuna intenzione di restare su Alaspin un giorno di più dello stretto necessario, e certo non per tranquillizzare i sentimenti feriti di un riluttante minidrago adolescente. Non c'era nulla che volesse fare su quel mondo, nulla che avesse bisogno di vedere. Voleva solo andarsene, non importa dove. Non aveva certo bisogno di un'altra forma di vita che gli affollasse la nave. Sospirò ad alta voce e si rese conto che negli ultimi tempi aveva sospirato parecchie volte.

— Non te ne importa molto, vero? — Una minuscola testina triangolare dai vivaci colori, spuntò per sbirciarlo da sotto un'ala. — Non è così che funziona. Un minidrago, un essere umano. Non si può avere una relazione empatica in tre sensi. — Il minidrago non rispose.

Forse non era ancora abbastanza maturo. Di certo, era il più piccolo della nidiata. Flinx sollevò il braccio in modo che i loro occhi si trovassero alla stessa altezza.

— Immagino che se non posso liberarmi di te, almeno dovrò darti un nome. Che cosa c'è di più piccolo di un seme? Un nocciolo? No, tu sei un rimasuglio, per cui ti chiamerò Scrap.

Appropriato, se non esaltante. Il piccolo nodo di muscoli gli strinse il braccio, ma Flinx non capì se lo aveva fatto come reazione al suo battesimo o solo per rafforzare la presa. Non avrebbe occupato molto spazio, si disse. Pip avrebbe potuto tenerlo d'occhio mentre erano a bordo del Teacher, che era pieno di rimasugli di altro genere. Si sarebbe proprio sentito a suo agio, il piccolo.

Ora che l'animosità del padrone nei confronti del suo cucciolo era svanita, Pip si era rilassata contro la sua spalla, senza far caso al piccolo. Era chiaro che pensava di aver fatto del suo meglio per porre fine ai suoi doveri materni. Se il suo padrone non rifiutava più l'adolescente, allora neppure lei si sentiva obbligata a farlo.

Mentre ripercorreva il sentiero, Flinx non pensò più al suo nuovo compagno. Alaspin non era un mondo benevolo. Era un pianeta dall'impressionante assortimento di carnivori e forme di vita velenose che non facevano certo discriminazioni, nelle loro abitudini alimentari, tra prede locali e straniere. Come aveva imparato nella sua precedente visita, non era un luogo in cui correre rischi, o dove fare del tranquillo e rilassato turismo. Così non pensò né a Pip né a Scrap mentre si concentrava su dove metteva i piedi, cercando di appoggiarli nelle impronte fangose da lui lasciate nel viaggio di andata. Foglie e viticci gli sfioravano il viso e ad ogni contatto lui trasaliva.

Per quanto vi fossero giungle più ostili di quelle di Alaspin, quella era per lui già abbastanza pericolosa. Non aveva mai provato alcun desiderio di unirsi agli Esploratori, quegli uomini, donne e thranx mezzi pazzi che erano i primi a posare i piedi su di un mondo nuovo. Neppure Pip poteva proteggerlo dai parassiti e dalle piccole sanguisughe. Strinse forte il machete. Almeno, pensò, gli antichi avevano avuto il buon senso di farli in titanio: qualunque altro materiale sarebbe stato troppo pesante per poterlo maneggiare con efficienza.

Percorse altri trenta metri e giunse nella radura dove aveva lasciato il mezzo cingolato. Era stato costretto a fermarsi lì ed a proseguire a piedi fino al lago perché per quanto il veicolo viaggiasse benissimo sull'acqua e anche nella giungla, gli alberi troppo fitti lo bloccavano.

Il cingolato aveva l'aspetto di una grossa canoa cromata montata su ruote, con il tetto di plexolega e snodabile al centro. I fianchi lucidi riflettevano gran parte dei brucianti raggi del sole, e anche se ora, lì sotto gli alberi, non era importantissimo, era invece vitale per il raffreddamento quando ci si trovava su di un lago o su di un fiume. Nella parte inferiore, una griglia corazzata proteggeva i delicati ingranaggi. Non era più largo del sedile di guida e questo faceva sì che riuscisse a passare im mezzo a quegli alberi che non riusciva ad abbattere. In realtà, si trattava di un gigantesco scambiatore mobile di calore, che, offrendo un relativo comfort, trasportava i passeggeri attraverso la superficie calda e umida di Alaspin.

Flinx lo aveva affittato a Mimmisompo, pagandolo con una carta di credito il cui limite, benché non astronomico, aveva fatto inarcare un sopracciglio al commerciante che aveva effettuato il noleggio.

Il veicolo viaggiava su due coppie di cingoli, una anteriore e una posteriore ed era in grado di ospitare tre passeggeri seduti in fila dietro il conducente. Flinx non aveva altri passeggeri oltre a Pip e in effetti non gli serviva un mezzo di trasporto tanto grande, ma era stato il più piccolo che era riuscito a trovare in breve tempo. Per cui aveva scrollato le spalle e pagato la cifra esorbitante. Sull'acqua, era molto più veloce che sulla terraferma. Certo, un velivolo sarebbe stato più veloce, ma a Mimmisompo non se ne trovavano da noleggiare. Gli scienziati e i cercatori li tenevano tutti occupati per traghettare amici e provviste. Flinx aveva denaro, ma non appoggi. E in una piccola città di frontiera, questi ultimi erano spesso il mezzo di scambio più importante. Così era stato costretto ad accontentarsi di un cingolato.

Non aveva importanza: era solo a qualche giorno di distanza dalla città e stava tornando indietro. E avendo tracciato un sentiero nel viaggio di andata, gli ci sarebbe voluto un quarto del tempo per raggiungere il fiume, evitando accuratamente i cespugli che il veicolo non era in grado di superare. Una volta giunto al fiume, avrebbe viaggiato seguendo la corrente, invece che contro. Non vedeva l'ora di passare una notte in albergo, invece che nell'angusta cabina del cingolato.

Mimmisompo si trovava al limitare di un'immensa spiaggia sabbiosa, ampia e secca nella bella stagione, paludosa in quella umida. Lo spazioporto era molto più all'interno, su una delle poche alture della regione, al riparo dalle alluvioni stagionali. Non era certo il luogo che si poteva scegliere per una rilassante vacanza, ma egli era ugualmente ansioso di tornarvi.

In cima alla scaletta costruita sul fianco del cingolato, si fermò e fece scorrere la chiave magnetica sulla serratura, che si aprì con uno scatto. Un soffio di aria fresca lo accolse quando si arrampicò all'interno e, dopo essersi seduto al posto di guida, premette un pulsante per richiudere lo sportello. Probabilmente non c'era bisogno di chiudere a chiave là, nel bel mezzo del nulla, ma lui aveva imparato molto presto che il bel mezzo del nulla era spesso un luogo frequentato da tipi poco raccomandabili e anche se le probabilità che qualcuno si imbattesse nel cingolato erano molto scarse, preferiva comunque che fossero tutte a suo favore. La vista di un costoso veicolo aperto e incustodito poteva essere troppo tentatrice anche per il più onesto dei cercatori.

Nella sua mente non aleggiava più la presenza residua dei cinque piccoli minidraghi, ma la cabina del cingolato era ancora invasa dal loro odore pungente, che sapeva di muschio, ma non era sgradevole. Presto l'aria condizionata lo avrebbe disperso. Le pareti di plexolega trasparente e il tetto a cupola erano sostenuti da strisce di metallo ricurvo. Dopo un breve esame del paesaggio circostante, cominciò ad accendere gli strumenti. Le luci gialle lasciarono in fretta il posto a quelle verdi del via libera.

Come ogni marchingegno moderno, il cingolato impiegò solo un attimo per effettuare un controllo e dichiararsi a posto. Dopo di che, Flinx aumentò la potenza del ricambio d'aria e tirò fuori un asciugamano per asciugarsi il viso. Bisognava fare molta attenzione quando si cambiava ambiente. Mentre l'unità di condizionamento aveva mantenuto il suo corpo ad una temperatura confortevole, il viso al contrario era rimasto esposto all'aria e il sudore gli colava dalla fronte e dalle guance, scendendo lungo il collo e dentro il colletto della camicia. La combinazione di sudore e aria condizionata poteva causare il raffreddore più in fretta di qualunque altra cosa conosciuta all'uomo.

Si era trattato di una scelta: avrebbe potuto indossare un casco, isolando così completamente il corpo dal clima del luogo, ma chissà perché non gli era sembrata la cosa giusta da fare per il momento dell'addio ai minidraghi. Così aveva lasciato il casco nel cingolato e aveva tollerato il calore e l'umidità durante la breve passeggiata nella giungla.

Mise da parte l'asciugamano bagnato e bevve un lungo sorso di succo di frutta fresco prima di accendere il motore. L'unità elettrica si mise in moto con un ronzio sommesso e costante. Pip scese dalla sua spalla ed andò ad arrotolarsi attorno ad un portaoggetti accanto al sedile posteriore. Se era triste o malinconica per la perdita dei suoi cinque piccoli, non lo dava a vedere.

Scrap era meno desideroso di trovarsi un posto. Nonostante gli sforzi di Flinx per scrollarselo dal braccio, il piccolo continuava a restare aggrappato. Alla fine, Flinx desistette e mise in moto il cingolato. Il piccolo non pesava molto, ma presto si sarebbe stufato e avrebbe cercato un altro posto.

Era facile seguire il sentiero che aveva aperto venendo dal fiume. Nuovi germogli nella giungla stavano già lottando per occupare la loro parte in quella striscia inondata dal sole. Fece una curva stretta, piegando il cingolato nel mezzo per girare intorno ad un tronco largo tre metri. Quando compiva quella manovra per seguire lo stretto letto di un fiume in secca, il veicolo si disponeva verticalmente.

Ora che aveva portato a termine il compito per cui era venuto su Alaspin, Flinx fu costretto a riflettere su quello che avrebbe fatto dopo. La vita aveva perso la sua semplicità. Era stata semplice una volta, quando era su Moth, e quando non aveva altra preoccupazione che mantenersi asciutto e trovare abbastanza da mangiare, e magari arraffare una cosina o due per aiutare Madre Mastino quando gli affari andavano a rilento. Gli ultimi quattro anni avevano incredibilmente complicato la sua vita. Aveva visto e sperimentato più cose di quante ne vedano e ne sperimentino la maggior parte degli uomini in una intera vita, per non parlare poi di un ragazzo.

Non era più un ragazzo, rammentò a se stesso. Era cresciuto, sia fisicamente che mentalmente. Di quasi nove centimetri. Le decisioni non erano più così facili da prendere, le scelte non più chiare e obbligate. Avere diciannove anni significava anche avere un sacco di responsabilità, per lui più che per altri. Per non parlare poi del bagaglio emotivo che si accompagnava a tutto il resto, e che non poteva venir respinto.

L'unico problema che sorgeva quando si vedevano tante cose, rifletté tra sé mentre guidava il cingolato nella giungla dell'Ingre, era che non tutte quelle cose ti piacevano. In generale, sia gli umani che i thranx erano stati per lui una delusione. Troppi individui erano più che disposti a vendere i loro princìpi e i loro amici per il prezzo giusto. Perfino persone fondamentalmente buone, come il mercante Maxim Malaika, in realtà ricercavano solo il proprio tornaconto. Madre Mastino non era diversa da loro, ma almeno in lei non c'era ipocrisia. Le piaceva essere quella donna avida e pronta ad arraffare che era. E questa sua onestà lo deliziava. Era diventata il miglior essere umano che potesse diventare, date le tristi circostanze della sua vita.

E di lui che ne sarebbe stato? Gli si apriva un universo di possibilità, forse troppe. Non aveva la più pallida idea di quale afferrare.

Ma quello che lo ossessionava in quel momento non erano solo ponderose domande di ordine filosofico o morale. C'era anche, ad esempio, il complesso e sempre più affascinante problema dell'altro sesso. Dal momento che la maggior parte di quegli ultimi quattro anni li aveva passati cercando di sopravvivere, le donne rimanevano per lui un mistero sconcertante e insolubile.

Ce n'era stata qualcuna. La splendida e compassionevole Lauren Walder, tanti anni prima, sul suo mondo natale, Moth. Atha Moon, il pilota personale di Maxim Malaika. E qualche altra, più giovane e non così memorabile, che avevano guizzato come brevi fiammelle nella sua vita, lasciando ricordi brucianti e sconcertanti al tempo stesso. Si scoprì a chiedersi se Lauren si ricordava ancora di lui, se continuava a lavorare felicemente in quella sua dimenticata capanna di pesca o se invece se n'era andata, magari su di un altro pianeta. Se pensava ancora a lui come al 'ragazzo di città'.

Raddrizzò la schiena: a quel tempo era stato poco più che un ragazzo e anche molto timido. Forse aveva ancora qualcosa del ragazzo, ma certo non era più timido. E neppure il suo aspetto era più quello di un ragazzo. E questa era una cosa che lo disturbava. Qualunque cambiamento lo turbava, perché non aveva mai modo di sapere con certezza se fosse il risultato di un naturale processo di crescita o della sua origine innaturale.

Prendiamo per esempio la faccenda della sua statura. Aveva sempre sentito dire che per i ragazzi era normale raggiungere la statura definitiva tra i diciassette e i diciotto anni; invece lui aveva raggiunto la statura da adolescente quando ne aveva quindici e poi si era fermato di colpo. E adesso, improvvisamente e inesplicabilmente, era cresciuto di altri nove centimetri in dodici mesi e non dava segno di volersi fermare. In pochissimo tempo, era passato da un'altezza leggermente inferiore alla media ad una leggermente superiore. La statura cambiava la prospettiva con cui si guardava la vita e anche il modo in cui ti guardavano gli altri.

Lo svantaggio era che a quel punto diventava difficile passare inosservati. Lo faceva sentire meno ragazzo e più uomo: però, quando un ragazzo diventa uomo, non dovrebbe al tempo stesso acquisire la certezza delle cose? Flinx si accorgeva di essere più confuso adesso di quando aveva sedici anni e non solo per quello che riguardava le donne.

Se c'era qualcuno che aveva il diritto di sentirsi confuso, questo era Philip Lynx, detto Flinx. La sua non era una mente normale in un corpo normale. Era meglio essere sempre confusi che spaventati. Riusciva a tenere la paura sullo sfondo, chiusa negli scuri recessi della propria mente. E non gli veniva in mente che erano la paura e la confusione ad impedirgli ulteriori contatti con l'altro sesso. Sapeva solo di essere diffidente.

Se solo Bran Tse-Mallory o Truzenzuzex fossero stati lì a consigliarlo. Gli mancavano tantissimo, e si chiese dove fossero e cosa stessero facendo, quali misteri stessero sondando quelle menti così incredibilmente penetranti. Per quello che ne sapeva, si rese conto con un brivido, potevano anche essere morti.

No, impossibile. Quei due erano immortali. Erano entrambi dei monumenti, spirito e intelligenza fusi in una sostanza eterna, due parti che si combinavano per formare un tutt'uno molto più grande. Essi avevano la loro vita da vivere, il loro destino da seguire, si disse per la millesima volta. Non poteva aspettarsi che perdessero tempo ad ammaestrare un ragazzo un po' strano, per quanto interessante potesse essere.

Se l'era sempre cavata da solo quando era un ragazzo e poteva certo farlo anche da uomo. Poteva anche provare a scoprire le cose da solo, senza aspettare che fosse un altro a farlo per lui. Perché non avrebbe dovuto riuscirci? Lui era in grado di fare cose che nessun altro era in grado di fare.

Mi hanno progettato bene, pensò amaramente. I miei medici prenatali. Quei burloni che avevano usato il suo DNA come giocattolo. Che cosa avevano sperato di ottenere, in realtà, con lui e con gli altri feti sperimentali? Sarebbero stati fieri di lui oggi, o delusi, come sembrava che lo fossero stati per tutti gli altri? O invece sarebbero stati solo curiosi, distaccati e lontani? Ma quei pensieri non potevano essere altro che speculazioni accademiche, dal momento che erano tutti morti o erano stati sottoposti al lavaggio del cervello.

Bene, il loro soggetto da esperimento stava preparandosi a costruire una sua vita, indipendente e inosservato. Aveva già attraversato gran parte del Commonwealth cercando di localizzare i suoi genitori naturali, ma solo per scoprire che sua madre era morta e che l'identità di suo padre restava un mistero avvolto nella nebbia e nelle dicerie che costituivano la sua eredità.

Quel desiderio di conoscere lo aveva animato per parecchi anni. Ma adesso lo aveva superato. Se mai avesse davvero voluto conoscere la verità sulla sua genealogia, avrebbe dovuto andare a scovarla in qualche unità di memoria nascosta sotto le conoscenze umane. Era giunto il momento di lasciarsi alle spalle la storia e di guardare al futuro, che con ogni probabilità si sarebbe rivelato complicato quanto il passato.

Eppure si riteneva fortunato. Spesso i suoi imprevedibili talenti lo avevano cacciato nei guai, ma erano anche serviti a tirarlo fuori. Aveva avuto l'opportunità di incontrare degli individui unici: Bran Tse-Mallory e Truzenzuzex, Lauren Walder e altri non ugualmente gradevoli. E poi c'erano gli Ujurriani: si chiese come stesse procedendo lo scavo del loro tunnel. E naturalmente gli AAnn, che tramavano contro gli humanx, sempre in cerca di un punto debole, di uno spiraglio, in attesa di espandersi tutte le volte che il Commonwealth appariva indebolito o indeciso.

I suoi pensieri vagavano, ma lui non poteva farci niente. Il cingolato procedeva praticamente da solo ed ora che aveva svolto il compito per cui era venuto, si sentiva tranquillo e rilassato. Non faceva fatica a vedersi come un mistico, il vecchio eremita dei vettori commerciali che viaggiava in lungo e in largo per il Commonwealth, tenendosi lontano dai confini più estremi, nella splendida nave che gli Ujurriani avevano costruito per lui. Il Teacher, era così che lo chiamavano. Il che era un paradosso, perché più imparava, più si sentiva ignorante.

Truzenzuzex avrebbe detto che quello era un segno di maturità. Lui era uno studente, non un insegnante, assorbito dall'interesse per tutto ciò che lo circondava: luoghi e gente, civiltà e individui. Era venuto a contatto con frammenti e pezzi di grandi misteri: Abalamahalamatandra, che non era un sopravvissuto di un'antica razza, ma una chiave biomeccanica per innescare un terrificante congegno, il Krang, l'arma finale dei Tar-Aiym, scomparso da tempo immemorabile, i cui strani influssi meccanicomentali ancora gli aleggiavano nel cervello dopo tutti quegli anni. Tante cose già viste, tanti luoghi ancora da vedere. Tanto ancora da provare a comprendere.

L'intelligenza era un terribile fardello.

Di colpo, disinserì l'acceleratore e il cingolato si arrestò. Pip, arrotolata al suo posto, sollevò di scatto la testa e le minuscole ali di Scrap sfarfallarono nervosamente quando Flinx si portò entrambe le mani alla testa. Le emicranie stavano peggiorando. Le aveva sempre avute, ma in quell'ultimo anno erano diventate un compagno abituale, che compariva ben più di una volta al mese.

Ragione di più per rifuggire dalle relazioni fisse. Era possibilissimo, come aveva pensato spesso nei momenti più cupi, che lui fosse un altro degli esperimenti mal riusciti, destinato a morire e non aveva alcuna intenzione di trascinare qualcun altro con sé. Forse era solo riuscito a durare un po' più degli altri clamorosi fallimenti. La cosa davvero spaventosa era che nei testi di medicina, le differenze tra i sintomi dell'emicrania e quelli di un colpo apoplettico erano impercettibili.

I dolorosi lampi di luce sulle retine cominciarono a diminuire. Flinx trasse un lungo e tremulo respiro e raddrizzò la schiena. Gli stava accadendo qualcosa. Qualcosa stava cambiando dentro la sua testa, e lui non aveva alcun controllo su di essa, non più di quanto ne avesse la torre dello spazioporto su di una navetta in fuga. Altri cambiamenti. Maledizione ai suoi progenitori, a quei figli di puttana che si erano arrogati il diritto di giocare con un essere non nato.

E non c'era nulla che si potesse fare. Non poteva certo presentarsi in qualche grande ospedale richiedendo con tutta calma un'intera serie di esami, con l'unica giustificazione di essere il prodotto bastardo di una società illegale e universalmente esecrata di eugenetisti rinnegati. Ma d'altra parte, si disse, mentre il dolore si attenuava, poteva anche darsi che fosse predisposto alle emicranie. Riuscì a sorridere. Sarebbe stato divertente se tutte le sue paure e preoccupazioni fossero state infondate e l'unica cosa di cui soffriva fossero i normali disturbi del passaggio dall'adolescenza alla maturità. E sarebbe anche stato meraviglioso.

E improbabile.

Le emicranie in genere erano accompagnate di forti sconvolgimenti emotivi in un'altra persona, ma lì nelle vicinanze non c'era nessuno. Allora forse era solo un normale mal di testa. E se era così, non gli sarebbe importato del dolore. A volte, persino il dolore poteva essere rassicurante.

Il fatto che anche lì, in mezzo alla giungla, potesse provare delle laceranti dislocazioni emotive era un'ulteriore prova della natura irregolare dei suoi talenti, anche se non aveva certo bisogno di ulteriori conferme in quel senso. Ed essere riuscito a raggiungere un compromesso a livello intellettuale con le sue peculiarità non attenuava comunque gli effetti che avevano su di lui. Non facevano altro che rammentargli di continuo che era anormale, che qualunque cosa avesse fatto, non avrebbe mai potuto condurre una vita normale.

Se solo fosse riuscito ad imparare ad incanalare, a controllare i suoi talenti, ad accenderli e spegnerli come si fa con l'interruttore della luce. Se solo, mormorò rabbioso tra sé, fossi normale. Ma non sono normale, né posso controllare quello che sono.

Percepì una leggera pressione sulla spalla destra e un'occhiata gli mostrò il viso scaglioso, eppure in qualche modo comprensivo, di Scrap. Sorrise.

— Che cosa ne farò di te? Non troverai nessuno a cui legarti, nessuno con cui condividere le emozioni. Vivrai in un vuoto emotivo, nutrendoti solo degli eccessi di emozioni mie e di Pip. Riceverai senza mai amplificare.

Che cosa facevano i minidraghi alla stato brado? Potevano nutrirsi empaticamente l'un l'altro? Di certo non potevano comportarsi come lenti telepatiche, come faceva Pip con lui. A volte si domandava cosa ricavassero i serpenti volanti dalle loro relazioni privilegiate con certi esseri umani, al di là della compagnia fisica.

Era proprio quello che mi mancava, pensò senza acrimonia. Un'altra carta spaiata nel mazzo. Eppure, quale migliore compagnia, per un fuoricasta autoconsacrato come lui, di un altro fuoricasta dichiarato? Si sentì molto meglio.

Ecco cosa avrebbe fatto: avrebbe preso la sua meravigliosa nave ed avrebbe esplorato il Commonwealth fino a quando glielo avessero concesso tempo e salute. Intorno a lui sarebbero fiorite le leggende, il vagabondo con il serpente volante che sfiorava questo o quel mondo solo per andarsene via in silenzio, senza lasciare il proprio nome o la ragione per cui era venuto. L'Eremita del Commonwealth. C'era una certa solidità in quell'immagine. Era stoica ed estetica. C'era solo un problema in quella vita di nobili intenti che si prefiggeva: Sarebbe stato molto difficile incontrare delle ragazze.

Chiunque abbia manipolato il mio cervello, pensò cupo, mischiando il mio codice genetico come un barista mescola gli ingredienti per un cocktail, non ha toccato i miei ormoni. I nobili intenti e gli impulsi sessuali non vanno d'accordo. Quel problema era stato all'origine di molti guai dell'uomo fin dall'inizio dei tempi.

A lungo andare e con molta pazienza forse un giorno sarebbe riuscito a trovare un chirurgo comprensivo in grado di liberarlo dai suoi mal di testa, se non della sua ereditarietà. Forse sarebbe riuscito a trovare un modo per controllare la propria vita. Di cose straordinarie ne aveva viste e fatte abbastanza. Ora non chiedeva altro che pace e tranquillità e la possibilità di imparare.

Proprio mentre concludeva quel pensiero, percepì quel noto e dannato solletico nella mente. Non era emicrania, questa volta, solo una sorta di titillamento mentale, ma che a modo suo era ugualmente inquietante, perché non poteva chiuderlo fuori. Era una sensazione facile da identificare, perché l'aveva incontrata fin troppe volte in passato. Da qualche parte, c'era qualcuno nei guai.

Anche Pip e Scrap l'avevano percepita, e Scrap si era messo a svolazzare davanti al suo viso, sbattendo come un calabrone impazzito sul vetro di plexolega, impedendogli la visuale.

— Levati, vai via di lì! — Con un gesto brusco del dorso della mano allontanò il minidrago, senza fermarsi a riflettere che, se lo avesse voluto, il cucciolo avrebbe potuto ucciderlo nella frazione di un secondo.

Sporgendosi in avanti, cercò di vedere tra gli alberi. L'aria fredda che circolava tra le due lastre di plexolega impediva il formarsi della condensa. Davanti a lui non c'era altro che la giungla verde, ma qualche istante più tardi non ci fu più neppure quella.

Vide una spiaggia che delimitava un fiume, cento metri di sabbia compatta, grigia e intatta. Durante la stagione delle piogge, il greto scompariva, ma in quel momento era invitante come la più esclusiva spiaggia di New Riviera.

Comunque nessuno su Alaspin avrebbe pensato di stendersi a prendere il sole su quella spiaggia. C'erano migliaia di luoghi simili sulle sponde di una dozzina di fiumi e centinaia se ne sarebbero potute comprare per una miseria: le sanguisughe e gli insetti avrebbero prosciugato il corpo di chiunque come se fosse stata un spugna, se solo qualcuno avesse cercato di prendere il sole laggiù senza avere il corpo completamente protetto.

La spiaggia era deserta, immacolata. Non c'erano ripari, tranne quelli che un uomo avrebbe potuto portare con sé. Il cingolato morse la sabbia mentre Flinx ripercorreva le tracce lasciate nel viaggio di andata. Non si sentiva più così depresso e la sua mente stava già progettando il passaggio da Mimmisompo al Porto di Alaspin, dove la sua navetta lo stava aspettando per riportarlo sul Teacher, parcheggiato in un'orbita sincrona.

Le ali di Pip agitarono l'aria alle sue spalle. Il serpente volante si era alzato, ansioso.

— E adesso che c'è?

Poi le sue mani strinsero con violenza la barra di guida del cingolato, facendogli compiere un brusco scarto a sinistra, mentre il cingolo anteriore sollevava un nugolo di sabbia.

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