“Un carisma che ci spinge ad andare sempre oltre, sempre oltre…”
Il Bristol Harbour Village era la realizzazione del sogno di un progettista di nome Fred Sarkis: cinque condomini di lusso appollaiati al di sopra delle rive del lago Canandaigua, uno dei Finger Lakes. Era stato costruito agli inizi degli anni 70, prima che l’economia di Rochester crollasse. Una bizzarria architettonica in stile Expo ’67, con ponti di collegamento di tutti i tipi, che avrebbero fatto la felicità dell’uomo ragno.
Tuttavia quel quartiere non era mai veramente decollato, nonostante i campi da golf e le piste da sci. ancora adesso c’erano parecchi alloggi contrassegnati da cartelli VENDESI, AFFITTASI. Di celebrità ce n’erano passate poche, però Mary sospettava che due neanderthal avrebbero potuto rinverdire la fama del luogo.
Mary affittò un appartamento di 100 mq, su due livelli, con due camere da letto. La moquette era ancora quella originale, di un arancione spaventoso. In compenso la vista sul lago era stupenda. Dal balcone superiore l’occhio spaziava libero; da quello inferiore si potevano ammirare le cime di quelle piante testarde che si inerpicavano per le coste scoscese. Da entrambi, si vedeva la sopraelevata di cemento che collegava l’ascensore esterno alla spiaggia.
— Finalmente una casa come si deve — commentò Ponter. — Le comodità moderne in mezzo alla natura. Sembra quasi di essere nel mio mondo.
Mary cuoceva bistecche su una griglia elettrica, mentre Ponter gustava il paesaggio e Adikor si interessava a un ragno impegnato nella scalata della ringhiera.
Quando fu ora di cena, i due uomini si servirono usando gli appositi guanti, mentre Mary tornò a coltello e forchetta. Quella era la parte facile della serata, pensò lei; presto o tardi, però, doveva uscire la domanda…
— Allora, come ci sistemiamo per la notte? — disse Adikor.
Mary inspirò a lungo. — Pensavo che io e Ponter potremmo…
— Eh no, no, no — disse Adikor. — I Due non sono Uno. Tocca a me dormire con Ponter.
— Sì, ma questa è casa mia, nel mio mondo — rimbeccò lei.
— Ciò è irrilevante. Ponter è il mio legittimo compagno; voi due invece non avete ancora celebrato il Legame.
— Fermi, fermi! — fece Ponter. Quindi sorrise a entrambi, ma per un po’ non disse alcunché. Alla fine azzardò:
— Potremmo dormire tutti e tre ins…
— No! — esclamarono Mary e Adikor all’unisono. “Cristo!” pensò lei.
— Sul serio — disse poi Mary — penso sia più logico se io e Ponter…
— Ossa! — controbatté Adikor. — È invece evidente che…
— Tesoro… — intervenne Ponter. — Tesori miei, sapete benissimo quanto io voglia bene a entrambi. Ma ha ragione Adikor: in circostanze normali, in questo periodo del mese sto con lui. — Fece una carezza al compagno.
— Mèr; è una situazione alla quale ti devi abituare. Sarà così per tutto il resto della mia vita.
Mary si voltò verso il lago. Sulla sponda opposta, a un paio di chilometri di distanza, indugiavano gli ultimi barlumi del sole. Chissà, forse se avesse azionato al massimo il termoconvettore della propria camera da letto, avrebbe coperto tutti i rumori molesti…
Le cose stavano come diceva Ponter: doveva abituarsi.
— E va bene — disse, chiudendo gli occhi. — Ma allora toccherà a voi due preparare la colazione.
Adikor strinse la mano a Ponter e sorrise a Mary. — Affare fatto — disse.
Il codificatore di codoni veniva messo al sicuro nella cassaforte che Jock aveva fatto realizzare per prima cosa appena acquistato il palazzo. La cassaforte, incassata in una soletta di cemento, rispondeva a tutti i requisiti richiesti dal ministero della Difesa per essere inespugnabile e a prova di lanciafiamme.
L’oggetto usciva di lì solo quando voleva trafficarci un po’, come adesso. Su un lato della scrivania c’era l’interfaccia creata da Lonwis per scaricare schemi alfanumerici dal PC di Jock al codificatore di codoni. In quel momento sul monitor del computer compariva una delle formule elaborate da Cornelius; ovviamente, Jock gli aveva detto che si trattava di esercitazioni a scopo preventivo, tanto per immaginare possibili scenari prodotti da un uso distorto dell’invenzione.
Le norme prevedevano di passare l’apparecchiatura al Pentagono, ma quei figli di puttana l’avrebbero usata contro i “veri umani”. No, questa era per Jock la grande opportunità, e non se la sarebbe lasciata soffiare. In una fase ancora così sperimentale nei rapporti tra i due universi, sarebbe sembrato un incidente: “Ops, qualche maledetto virus è finito per errore dall’altra parte”. Che peccato. Avrebbe spopolato l’Eden, facendo una sola vittima tra i gliksin: l’ormai inutile Cornelius Ruskin.
Sarebbe stato messo al corrente solo dello stretto indispensabile. Per esempio, nessun genetista sapeva quale fosse il portatore sano del virus Ebola. Viceversa il governo USA lo aveva scoperto fin dal 1998: si trattava dell’uccello chiamato “becco a scarpa”, Balaeniceps rex. Informazione top secret, altrimenti qualcuno poteva approfittarsene.
Né Ruskin sapeva che il genoma dell’Ebola era già stato sequenziato, perciò pensava che la stringa genetica che stava manipolando fosse puramente teorica. Senza saperlo, stava producendo una versione ibrida, che combinava la virulenza del ceppo Eboia-Zaire alla capacità dell’Ebola-Reston di trasmettersi per via aerea.
Qualche altra modifica, e il periodo di incubazione del virus era stato portato a un decimo di quello naturale, e il suo tasso di mortalità innalzato dal 90 per cento al 99 percento. Infine, erano stati sostituiti i marcatori genetici che avrebbero tradito l’identità del portatore sano.
La seconda parte del progetto era stata ancora più ardua, ma Cornelius ci si era buttato come un cane sull’osso. Ricevere 200.000 dollari per una consulenza era un discreto incentivo.
Sulla carta, l’idea era abbastanza semplice: impedire al virus di attivarsi finché non fosse stato ospitato da cellule di un certo tipo. Per fortuna i dieci sapientoni neanderthaliani procurati da Tukana Prat avevano diffuso molte delle conoscenze in loro possesso, incluso il genoma barast completo. Grazie a quel dato, era possibile chiedere al virus di uccidere solo le vittime predestinate.
Ormai restava solo un punto: trasferire il virus. All’inizio Jock pensava che la soluzione più semplice fosse di infettarsi (tanto super-Ebola era inefficace contro un umano con 23 coppie di cromosomi) e attraversare il varco; poi si ricordò delle procedure di decontaminazione.
Occorreva una bomba-spray nascosta dentro un contenitore impermeabile ai laser. E qui sarebbe entrata in azione la sua squadra di esperti di ottica; tanto più che anche le tecnologie laser di decontaminazione erano state passate dai neanderthal ai sapiens.
Jock fece una chiamata interna. — Kevin? Qui Jock. Per favore, tu, Frank e Lilly potreste venire nel mio ufficio? Ho un lavoretto per voi.
Mary aveva trovalo una soluzione a breve termine al problema di lavorare nello stesso edificio con Ruskin: arrivare tardi e andarsene tardi dal lavoro. Cornelius terminava il turno prima ancora che lei arrivasse.
Ponter e Adikor venivano con lei, trascorrendo quindi gran parte del tempo al computer quantistico insieme a Lonwis, e a volte con Louise, che però seguiva orari normali.
Mary stava scrivendo a beneficio di Jock un Rapporto in cui elencava tutte le nozioni di Genetica che aveva raccolto da Lurt, Vissan e altre scienziate neanderthal. Un lavoro allo stesso tempo esaltante e deprimente. Esaltante per le tante cose imparate, deprimente al pensiero che quasi tutto ciò che lei sapeva era ormai obsoleto. Comunque…
Rumore di passi di qualcuno che correva in corridoio.
— Mèr! Mèr!
Adikor si affacciò alla porta. Era pallido in viso. — Lonwis Trob è svenuto! Abbiamo bisogno di un medico!
Lei si alzò e corse al laboratorio.
Lonwis giaceva supino, con gli occhi che si aprivano e chiudevano a scatti. Quando erano aperti mostravano solo una liscia superficie metallica; le iridi erano ruotate verso l’interno.
Accanto a lui si era inginocchiato Ponter. Con una mano eseguiva una versione neanderthaliana del massaggio cardiaco, ma senza successo. Il Companion dorato di Lonwis trasmetteva informazioni in lingua barasi dall’altoparlante esterno.
Mary compose il numero di emergenza.
— Vigili del fuoco, polizia o un’ambulanza? — chiese l’operatrice.
— Un’ambulanza!
— Che cosa è successo?
— Un infarto. Presto!
L’operatrice doveva leggere sul display l’indirizzo della chiamata. — L’ambulanza è partita. Sa come eseguire rianimazione?
— Sì, ma lo sta già facendo un’altra persona. E… senta, l’uomo che ha avuto l’infarto è un neanderthal.
— Signora, è punibile per legge chi…
— Non è uno scherzo! Chiamo dal gruppo Synergy, un’unità speciale del governo americano. Ci sono dei neanderthal in questo edificio.
Ponter proseguiva l’operazione. Adikor aveva preso dal cinturone medico di Lonwis un iniettore a gas compresso e lo aveva premuto contro il collo dell’anziano scienziato.
— Lei come si chiama? — chiese l’operatrice.
— L’ambulanza sta arrivando? L’ha già avvisata?
— Sì, signora: è già per strada. Mi può fornire il suo nome?
— Mary Vaughan. V-a-u-g-h-a-n. Sono una genetista.
— Che età ha il paziente, signora Vaughan?
— Cento-otto… no, anche adesso non sto scherzando. Si tratta di Lonwis Trob, uno dei neanderthal che un mese fa è andato all’ONU.
Sulla porta apparve Stan Rasmussen, l’esperto in geopolitica. Mary coprì la cornetta e gli disse: — Lonwis ha avuto un infarto. Chiama Jock! — Lui si precipitò.
— Le passo un’infermiera — disse l’operatrice.
Si sentì una diversa voce femminile. — È in grado di descrivere le condizioni del paziente?
— No — rispose Mary — ma la metto in contatto con il suo Companion. — Prese tutto il telefono e si spostò accanto al gruppo. Poi impostò l’impianto artificiale di Lonwis: — Modalità lingua inglese. Rispondi alle domande che ti verranno fatte. I soccorsi stanno arrivando…