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“Non si poteva immaginare che Marte avrebbe seguito entrambe le vie. Adesso invece sappiamo che avverrà così. Noi raggiungeremo il pianeta Marte di questo universo e lo trasformeremo in una nuova casa per l’Homo sapiens…”


Al loro ritorno, Jock li stava aspettando. Mary si sentiva come se il cuore stesse per schizzarle fuori dal torace.

— Adikor, Ponter — disse Jock — temo che dovrete lasciarci.

— In che senso? — chiese Ponter.

— Hanno chiamato dall’ospedale: le condizioni di Lonwis stanno peggiorando, e i nostri medici non sanno più che farci. Verrà trasferito nell’universo neanderthal per essere curato là. Ho procurato un aereo dell’aviazione USA per farlo arrivare il più in fretta possibile a Sudbury, ma Lonwis desidera che voi due lo accompagniate. Dice… sono spiacente, ma dice che non gli resta molto da vivere. Vuole condividere con voi le sue ultime scoperte in fatto di calcolo quantistico.

Ponter guardò Mary, che si accigliò. Avrebbe preferito che ci fosse un’alternativa. — Vi accompagno in macchina all’aeroporto — disse.

— Una sola cosa, prima della vostra partenza — disse Jock.

— Sì? — chiese Ponter.

— Quando avverrà il… come lo chiamate?… quando i Due diventano Uno?

— Fra tre giorni — rispose Adikor. — Perché?

— Oh, semplice curiosità — fece Jock.

Il codificatore di codoni era sotto chiave nella cassaforte di Jock. Mary avrebbe voluto portare via quell’apparecchiatura, maledizione, quando lei e Louise fossero fuggite in Canada. Ma la cassaforte era inespugnabile.

Però non lo era il computer di Jock. Louise non aveva avuto difficoltà a scoprire che la sua password era “minimax”, termine derivato dalla Teoria dei giochi. Mary a sua volta, digitando quella parola, aveva avuto accesso ai file nascosti sul server Synergy. Aveva cliccato sull’icona Surfaris e si era aperto il programma USAMRIID Geneplex, con lo schema del virus. E Mary si era lanciata nell’operazione di modifica.

Un’esperienza inebriante. Nonostante tutta la sua preparazione scientifica, una parte di Mary considerava la vita come qualcosa di sacro, irriducibile a dei semplici chimismi. Tuttavia la genetista che era in lei propendeva per quest’ultima ipotesi: la giusta sequenza di nucleotidi, ed ecco l’organismo. In ogni caso, ancora non riusciva a credere a ciò che stava facendo. Come quando, ai tempi in cui era sposata con Colm, scriveva poesie che le venivano pubblicate su riviste come “Malahat Review”, “White Wall Review” o “HazMat”: si sedeva alla tastiera, e dal nulla venivano fuori immagini stupende.

Anche adesso stava facendo la stessa cosa: scrivere serie di segni che avrebbero generalo qualcosa di vivente (un virus, se non altro) che fino ad allora non esisteva. Per quanto fosse solo la versione modificata di un esperimento iniziato da qualcun altro.

La caratteristica principale del virus che Mary stava creando era che… non combinava nulla. Se ne sarebbe rimasto inattivo ricevendo qualsiasi input, qualunque fosse la cellula ospitante. Mary si limitò a ritoccare il cladogramma senza cancellare il Passo 4, per evitare che, anche a uno sguardo distratto, venisse scoperta la manomissione.

Però voleva dare alla sua creatura un nome diverso rispetto a quella di Jock. Lui l’aveva battezzata “Surfaris”, una parola introvabile sul dizionario. A meno che non fosse un plurale. Il plurale di “surfari”, una specie di incrocio tra “surfing” e “safari”?

A questo punto aveva provato a cercare il termine con Google.

“Tombola!”

I Surfaris erano un gruppo rock che nel 1963 aveva inciso un brano destinato a spopolare sulle radio dedicate ai favolosi anni ’60: Wipeout.

“Cristo santo…” pensò Mary. Wipeout. “Repulisti.”

Ci voleva un nome che significasse l’opposto. Quale?

Mary era troppo giovane per aver vissuto l’epoca dei 45 giri, ma era facile indovinare che anche Wipeout fosse uscito in quella versione. Che canzone c’era sul lato B? Anche in questo caso la risposta gliela fornì Google: Surfer Joe, scritta da Ron Wilson. Come spesso accadeva per i lati B, era un pezzo che non ricordava nessuno.

Ma come nome in codice era buono come un altro. Ovviamente Mary salvò il file modificato con lo stesso nome che gli aveva dato l’altro genetista di Jock, ma nella sua mente il virus innocuo diventò Surfer Joe.

Si distese indietro con la schiena. Stava davvero giocando a fare Dio.

Ed era un gioco appassionante.

Chissà in che modo i neanderthal chiamavano le manie di grandezza. Magari “giocare a fare Lonwis”.

— M… Mary!

Il cuore di lei ebbe un sobbalzo. Sollevò gli occhi e “Oh Dio, no!”

Sulla porta c’era Cornelius.

— Che ci fai tu qui? — balbettò Mary, e dalla scrivania prese un fermacarte in malachite.

Cornelius mostrò cosa teneva in mano: un portafoglio. — L’avevo dimenticato in ufficio. Sono tornato indietro a prenderlo.

E solo allora Mary connesse. L’altro genetista. Era lui.

— Tu, piuttosto, che ci fai nell’ufficio di Jock? — chiese Cornelius.

Dalla porta, Cornelius non poteva notare che lo schermo del computer, a cristalli liquidi, era acceso. — Niente. Stavo cercando un libro — rispose Mary.

— Ah, okay… Mary, senti, io…

— Hai ritrovato il portafoglio, no? Perciò, aria!

— Mary, se solo mi lasciassi…

A lei si stava attorcigliando lo stomaco. — Di sopra c’è Louise. Sto per gridare.

Cornelius non si mosse. Aveva un’aria tirata. — Volevo solo dire che sono pentito…

— Fuori di qui!!

Lui esitò un istante, quindi si voltò e filò verso l’uscita.

Mary aveva la vista appannata. Respirò più volle lentamente, a fondo. Aveva le mani sudate. “Maledizione, maledizione, maledizione, maledizione…”

La scena dello stupro le si rivitalizzò nella memoria come non succedeva da settimane. Gli occhi blu di Cornelius attraverso la fessura del passamontagna, la puzza di sigaretta, il braccio di lui che la spingeva…

All’inferno Cornelius Ruskin.

All’inferno Jock Krieger.

All’inferno tutti e due. Fanculo tutti gli uomini, che non sapevano fare di meglio che creare virus Wipeout.

Finora aveva sempre identificato il male del mondo con gente come Gengis Khan, Hitler, Pol-Pot, Osama bin Laden…

Poi erano arrivati Jock e Cornelius.

Il mondo degli uomini.

No, bisognava specificare meglio: il mondo dei maschi di Homo sapiens.

Pian piano, Mary si stava calmando. Non tutti gli uomini erano perversi. C’erano anche suo padre, e i suoi fratelli, e Reuben, e padre Caldicott… e Bill Cosby, e il Dalai Lama…

Alcuni c’erano.

Mary non avrebbe saputo trovare le differenze genetiche tra i buoni e i cattivi, tra profeti e pazzoidi. Però c’era un responsabile chiaramente identificabile per la violenza maschile: il cromosoma Y. Il cromosoma più breve, ma quello con conseguenze più pesanti sulla psiche.

E sulla Storia.

E sul benessere di donne e bambini.

Cornelius aveva quella. E anche Jock.

“Perché no?”

Si stava lasciando prendere la mano dal gioco di Dio. No, no, non si sarebbe mai sognata di scatenare in questo mondo un virus sterminatore. Non avrebbe voluto neppure la morte di Ruskin.

L’ipotesi di Adikor non reggeva. Jock non avrebbe mai liberato il suo Wipeout su questa versione della Terra: aveva creato il serpente per cacciare via gli abitanti del nuovo Eden. Se tutto procedeva secondo i piani, però, nell’altro universo quel virus non sarebbe mai arrivato. O al limite ci sarebbe arrivato l’innocente Surfer Joe prodotto da lei.

A meno che…

A meno che lei non lo rielaborasse in modo più radicale, modificando il cladogramma in modo che desse il via all’epidemia solo se… (sarebbe stato così facile)… solo se la cellula ospitante non appartenesse a un neanderthal, e contenesse il cromosoma Y.

Se, e solo se.

L’amico si sarebbe chiamato Surfer Joe II, come un papa.

Mary scosse la testa. “Ma sono impazzita?”

O no? Avrebbe tutelato un intero pianeta dalle violenze dei maschi sapiens. Dopotutto, se lei e alcuni paleoantropologi avevano visto giusto, erano stati proprio loro nella preistoria a massacrare i loro cugini dall’arcata sopracciliare sporgente.

Ed ecco che, grazie alla tecnologia del XXI secolo e a quella copiata dai barast, i maschi sapiens si accingevano a ripetere l’impresa.

Mary fissò lo schermo del PC di Jock.

Sarebbe stato così facile. Facilissimo. Il cladogramma c’era già, bastava modificare qualche parametro. Il test per individuare il cromosoma Y era relativamente semplice.

Frugò alla ricerca di carta e penna, e si mise a scrivere:

PASSO 1: È presente il cromosoma Y?

Se , è un uomo/maschio: vai al Passo 2.

Se NO, interrompere procedura (non è un uomo).


PASSO 2: Il gene alfa si trova adiacente a un telomero?

Se sì, interrompere procedura (è un neanderthal).

Se no, è probabile che si tratti di un gliksin: vai al Passo 3.


PASSO 3: Il gene beta si trova adiacente a un telomero?

Se sì, interrompere procedura (non può essere un gliksin).

Se no, è sicuramente un gliksin: vai al Passo 4.

Lesse e rilesse, ma non trovò pecche procedurali. In nessun punto il processo sarebbe finito in un circolo vizioso; e c’erano, non una, ma due barriere per evitare di colpire per errore un Homo neanderthalensis.

Naturalmente, quell’incursione nel PC del boss aveva solo un scopo scaramantico. Jock sarebbe stato fermato prima di compiere alcunché.

Mary guardò l’ora. Era passata mezzanotte.

Bene, poteva tornare a casa. Il file del virus Wipeout era stato alterato in modo da disattivarlo (purché Jock non lo avesse già prodotto con il codificatore di codoni). Surfer Joe non avrebbe fatto del male a una mosca. Missione compiuta.

Oppure…

Oppure.

Nessuno sarebbe rimasto infetto. Lei avrebbe diffuso la notizia che per un uomo gliksin era pericoloso viaggiare tra i neanderthal. E viceversa la decontaminazione laser avrebbe impedito ai barast di esportare su questa Terra il virus Surfer Joe. In questo modo i maschi gliksin, i tanti accettabili e i pochi bastardi, non avrebbero avuto nulla da temere, finché avessero lasciato in pace il mondo di Ponter.

Mary inspirò in profondità. Espirò lentamente.

Rifletté. Rifletté. Rifletté ancora.

E alla fine prese l’unica decisione giusta.

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