Capitolo 10

«Come hai potuto permetterti una Corvette?» domandò mio padre. «Tutto quel che hai è la pensione sociale.»

«Ho i soldi della vendita della casa» disse la nonna. «E comunque ho fatto un buon affare. Persino il Luna ha detto che ho fatto un buon affare.»

Mia madre si fece di nuovo il segno della croce. «Il Luna» ripeté con appena una sfumatura isterica nella voce. «Hai comprato un’auto da quell’uomo?»

«No, non da lui» disse la nonna. «Il Luna non vende auto. L’ho comprata dal Commerciante.»

«Grazie al cielo» disse mia madre, mettendosi una mano sul cuore. «Per un momento… Sono contenta che almeno tu sia andata da un commerciante.»

«Non un commerciante di auto» le rispose la nonna. «L’ho comprata da un commerciante di Metamucil. L’ho pagata quattrocentocinquanta verdoni. È un buon prezzo, vero?»

«Dipende» disse mio padre. «Ha il motore?»

«Non ci ho guardato» rispose la nonna. «Le auto non hanno tutte il motore?»

Joe era sulle spine. Non voleva essere lui a riprendere mia nonna per il possesso di merce rubata.

«Mentre Louise e io stavamo guardando le auto, c’era una coppia di uomini nel cortile del Commerciante, e parlavano di Homer Ramos» disse la nonna. «Dicevano che era un grande commerciante di macchine anche lui. Non sapevo che la famiglia Ramos vendesse auto, pensavo che trattasse solo armi.»

«Homer Ramos vendeva auto rubate» disse mio padre con la testa china sul piatto. «Lo sanno tutti.»

Mi voltai verso Joe. «È vero?»

Joe si strinse nelle spalle. Non si sbilanciava. La faccia di bronzo del poliziotto. Per chi era capace di leggere tra le righe, quella faccia diceva: «Indagine in corso».

«E non è tutto» proseguì la nonna. «Quello tradiva la moglie. Era un vero bastardo. Dicono che il fratello non sia meglio di lui. Vive giù in California ma si tiene una casa qui per vedere delle donne di nascosto. Tutta quella famiglia è marcia, se volete saperlo.»

«Deve essere piuttosto ricco se ha due case» disse Myron. «Vorrei averli io tanti soldi. Mi prenderei una ragazza anch’io.»

Ci fu un silenzio generale mentre tutti ci stavamo domandando che cosa se ne sarebbe fatto Landowsky di una ragazza.

Lui si allungò a prendere la ciotola del purè, ma era vuota.

«Dammela, la riempio» disse la nonna. «Ellen ne lascia sempre un po’ in caldo sulla stufa.» Prese la ciotola e trotterellò via.

«Oh-oh» esclamò, appena mise piede in cucina.

Mia madre e io ci alzammo simultaneamente e andammo a vedere che cosa fosse successo. La nonna era in mezzo alla stanza e guardava la torta sul tavolo. «La buona notizia è che Bob non ha mangiato tutta la torta» disse. «La cattiva notizia è che ha leccato via la glassa da un lato.»

Senza perdere un colpo, mia madre prese un coltello a spatola dal cassetto delle posate, tolse un po’ di glassa dalla cima della torta, la spalmò sul lato che Bob aveva leccato e spolverò di cocco tutto il dolce.

«Era un sacco di tempo che non mangiavamo una torta al cocco» disse la nonna. «Ha un gran bell’aspetto.»

Mia madre mise la torta sopra il frigorifero, fuori della portata di Bob. «Quando eri bambina, anche tu avevi il vizio di leccare la glassa ogni volta» mi disse. «Abbiamo mangiato un sacco di torte al cocco.»

Morelli mi rivolse uno sguardo interrogativo quando tornai in sala.

«Non fare domande» dissi. «E non mangiare la parte esterna della torta.»


Il cortile era quasi pieno di auto quando tornai a casa. I più anziani erano già rientrati, e già piazzati davanti al televisore.

Myron fece dondolare le proprie chiavi di casa davanti alla nonna. «Che ne dici di venire da me per il bicchiere della staffa, dolcezza?»

«Voi uomini siete tutti uguali» disse la nonna. «Sapete pensare soltanto a una cosa.»

«A che cosa?» domandò Myron.

La nonna storse la bocca. «Se hai bisogno che te lo spieghi, allora non ha senso che venga da te per il bicchiere della staffa.»

Morelli accompagnò la nonna e me fino in casa. La lasciò entrare, poi mi prese di lato. «Potresti venire a casa con me» disse.

La tentazione c’era. E non per il motivo che sperava Morelli: ero stanca morta, e Morelli non russava. Forse sarei davvero riuscita a dormire a casa sua. Avevo trascorso tante notti insonni che non mi ricordavo neppure quale effetto facesse dormire.

Lui mi sfiorò le labbra con un bacio. «La nonna non se ne avrà a male. C’è Bob con lei.»

Otto ore, pensai. Tutto quello che volevo erano otto ore di sonno, e sarei tornata come nuova.

Lui infilò le mani sotto il mio maglione. «Sarà una notte da ricordare.»

Sarebbe stata una notte senza piromani scassinatori armati di coltello. «Sarebbe un paradiso» dissi, senza neppure rendermi conto che stavo parlando a voce alta.

Lui era così vicino che potevo sentire ogni parte del suo corpo premuta contro di me. E una di quelle parti stava crescendo. Di solito questo avrebbe stimolato una reazione corrispondente nel mio corpo. Ma quella sera pensavo che si trattasse di qualcosa di cui potevo fare a meno. E tuttavia, se quello era il prezzo da pagare per avere una notte di sonno decente, andasse come doveva andare.

«Dammi solo il tempo di fare un salto in casa a prendere qualcosa» dissi a Morelli, già immaginando me stessa teneramente accoccolata nel suo letto con una camicia da notte di flanella adatta all’occasione. «E poi devo dirlo alla nonna.»

«Non hai intenzione di entrare, chiudere a chiave la porta e lasciarmi qui fuori, vero?»

«Perché dovrei fare una cosa del genere?»

«Non lo so. Era solo una sensazione…»

«Dovresti venire dentro» gridò la nonna. «C’è un programma in televisione, tutto sugli alligatori.» Poi drizzò le orecchie. «Che cos’è questo strano rumore? Sembra un grillo.»

«Merda» disse Joe.

Lui e io sapevamo che cos’era quel suono. Era il suo cercapersone. Morelli stava facendo del proprio meglio per ignorarlo.

Io fui la prima ad arrendermi. «Dovrai guardarlo prima o poi» dissi.

«Posso anche evitare di farlo» disse lui. «So di cosa si tratta, e non è niente di piacevole.» Controllò il display, fece una smorfia e si diresse al telefono in cucina. Quando tornò aveva in mano un tovagliolo di carta con su scritto un indirizzo, e io gli rivolsi uno sguardo interrogativo.

«Devo andare» disse. «Ma tornerò.»

«Quando? Quando tornerai?»

«Mercoledì al più tardi.»

Alzai gli occhi al cielo. Umorismo da poliziotto.

Mi diede un rapido bacio e se ne andò.

Premetti il pulsante di richiamata del telefono. Rispose una donna e riconobbi la voce. Terry Gilman.

«Guarda qui» disse la nonna. «L’alligatore ha mangiato una mucca. Non è una cosa che si vede tutti i giorni.»

Mi sedetti accanto a lei. Per fortuna non ci furono altre scene di quel genere. Per quanto adesso sapessi che Joe stava andando a incontrare Terry Gilman, la morte e la distruzione mi facevano ancora un certo effetto. Il fatto che fosse senza dubbio un incontro di lavoro toglieva una parte del gusto all’idea di impazzire per la gelosia. E tuttavia sarei forse riuscita a entrare in una discreta agitazione se soltanto non fossi stata così maledettamente stanca.

Quando il programma sugli alligatori fu finito, guardammo per un po’ il canale delle vendite promozionali.

«Credo che andrò a letto» disse alla fine la nonna. «Devo fare il mio sonno di bellezza.»

Non appena fu uscita dalla stanza tirai fuori cuscino e coperta, spensi le luci e mi buttai sul divano. Mi addormentai all’istante, di un sonno profondo e senza sogni. E breve. Infatti fui svegliata dal russare della nonna. Mi alzai per chiudere la sua porta, ma era già chiusa. Sospirai, in parte di autocommiserazione e in parte di stupore, nel vedere che lei riusciva a dormire con tutto quel rumore. Avrebbe dovuto svegliarla. Bob sembrava non farci caso. Dormiva sul pavimento a un’estremità del divano, sdraiato su un fianco.

Mi infilai sotto la coperta e mi costrinsi a tornare a dormire. Mi rigirai per un po’. Misi le mani sulle orecchie. Mi agitai ancora. Il divano era scomodo. La coperta era in disordine e la nonna continuava a russare. «Arrrgh» dissi. Bob non si mosse.

La nonna doveva andarsene, in un modo o nell’altro. Mi alzai e arrancai fino in cucina. Guardai nella credenza e nel frigorifero. Niente di interessante. Era da poco passata mezzanotte. Non tanto tardi, in realtà. Forse avrei dovuto uscire e andare in un bar per calmare i nervi. La cioccolata era un calmante, giusto?

Mi infilai i jeans e le scarpe e coprii la giacca del pigiama con un cappotto. Presi la borsa dal gancio nell’ingresso e uscii. Ci sarebbero voluti solo dieci minuti per fare un salto al bar e poi sarei tornata a casa e senza dubbio mi sarei di nuovo addormentata.

Entrai nell’ascensore quasi aspettandomi di trovare Ranger, ma lui non si fece vedere. E non c’era ombra di lui neanche nel parcheggio. Accesi il motore della Buick, andai fino al negozio e comprai dei dolcetti al cioccolato. Ne mangiai un po’ immediatamente con l’intenzione di tenere il resto per quando fossi stata a letto ma, chissà come, finirono tutti.

Pensai alla nonna e al fatto che russava, e la cosa non mi invogliò a tornare a casa, perciò mi diressi a casa di Joe. Joe abita appena fuori dal Burg in una villetta a schiera che ha ereditato da una zia. All’inizio era parso strano pensare a lui come a un proprietario. Ma in qualche modo la casa si era modellata su Joe e l’unione si era dimostrata gradevole. Era una casetta graziosa in una strada tranquilla. La schiera di villette era in uno stile semplice ed essenziale, con la cucina sul retro e le camere da letto e il bagno al primo piano.

La casa era buia. Nessuna luce filtrava da dietro le tende. Nessun furgone parcheggiato lungo la strada. Nessun segno di Terry Gilman. Bene, forse mi stavo comportando proprio come una ragazzina ansiosa. E forse i dolcetti erano stati solo una scusa per andare lì. Composi il numero di Joe sul cellulare. Nessuna risposta.

Era un peccato che non fossi brava a scassinare le serrature. Avrei potuto entrare e andare a dormire nel letto di Joe. Proprio come Riccioli d’Oro.

Ingranai la marcia e lentamente percorsi tutta la lunghezza dell’isolato, con la sensazione di non essere più stanca. Diavolo, pensai, giacché sono qua senza niente da fare, perché non dare un’occhiata alla casa di Hannibal?

Uscii dal quartiere di Joe, presi la Hamilton e andai in direzione del fiume. Arrivai sulla Route 29 e in pochi minuti ero già davanti alla villetta. Buio, buio, buio. Nessuna luce nemmeno lì. Parcheggiai nell’isolato successivo, appena girato l’angolo, e andai a piedi fino alla casa. Rimasi lì, giusto davanti, a guardare le finestre. C’era forse un tenue bagliore nella stanza principale? Attraversai il prato con circospezione e poi i cespugli che circondavano la casa, quindi premetti il naso contro la finestra. C’era decisamente un po’ di luce proveniente da qualche parte della casa. Poteva essere la lampada di un comodino. Difficile dire da dove venisse.

Tornai precipitosamente sul vialetto e poi, di buon passo, alla pista ciclabile dove aspettai qualche istante perché gli occhi si abituassero all’oscurità. Quindi, con cautela, mi inoltrai verso il cortile di Hannibal. Mi arrampicai sull’albero e osservai la finestra. Tutte le tende erano tirate ma, di nuovo, c’era un barlume di luce che veniva da qualche punto al piano terra. Cominciavo a pensare che quella luce non volesse dire niente quando improvvisamente si spense.

Questo mi fece sobbalzare il cuore in petto, poiché non avevo alcuna voglia di farmi sparare di nuovo. In realtà, probabilmente, non era una grande idea rimanere lì sull’albero. Forse sarebbe stato meglio spiare da una certa distanza… per esempio dalla Georgia. Silenziosamente scesi a terra e stavo per andarmene in punta di piedi quando udii lo scatto di una serratura. O qualcuno aveva chiuso dall’interno per la notte, oppure stava venendo fuori per spararmi. Questo mi indusse ad affrettarmi.

Ero sul punto di svoltare sulla strada quando udii lo scricchiolio di un cancello che si apriva. Mi appiattii contro la recinzione, nascosta nell’ombra, trattenni il fiato e osservai la pista ciclabile.

Una figura solitaria comparve. Chiuse il cancello. Si fermò un momento e guardò esattamente nella mia direzione. Ero quasi sicura che fosse uscita dal cortile di Hannibal. Ero quasi sicura che non riuscisse a vedermi. C’era un buon tratto di distanza tra noi ed essa era quasi invisibile nell’oscurità; la luce naturale della notte ne mostrava solo la sagoma. Girò sui tacchi e si avviò nella direzione opposta a me, passando sotto la lama di luce che proveniva da una finestra, e per un attimo fu visibile. Il fiato mi si spezzò in gola. Era Ranger. Aprii la bocca per chiamarlo ma se n’era già andato, scomparso nella notte. Come un fantasma.

Corsi sulla strada e rimasi in ascolto. Non sentii nulla, tranne il rumore di avviamento di un motore non lontano da lì. Una piccola fuoristrada nera attraversò l’incrocio e lentamente si diresse in città. Ero per metà spaventata e per metà smarrita, come se fosse stata tutta un’allucinazione dovuta alla mancanza di sonno. Confusa, tornai all’auto e partii in direzione di casa.

La nonna stava ancora russando come un boscaiolo quando lasciai cadere la borsetta sul ripiano della cucina. Salutai Rex e arrancai verso il divano. Non mi diedi neppure la pena di togliere le scarpe. Mi limitai a crollare sui cuscini e a tirarmi addosso la coperta.

Quando riaprii gli occhi, il Luna e Dougie erano seduti sul tavolino del salotto e mi fissavano.

«Ehi!» strillai. «Che diavolo succede?»

«Salve, piccola» disse il Luna «spero che non ti abbiamo, come dire, svegliata.»

«Che cosa ci fate in casa mia?» strillai.

«Il ragazzo, qui, un tempo conosciuto come il Commerciante, ha bisogno di parlarti. È un po’, come dire, confuso. Sai com’è, un attimo fa era un uomo d’affari di successo, e l’attimo dopo — wham - si vede strappare via tutto il futuro da sotto i piedi. Non è proprio una bella cosa, ragazza.»

Dougie scosse la testa. «Non è una bella cosa» ripeté.

«Così abbiamo pensato che forse tu avevi qualche idea per il suo prossimo impiego» proseguì il Luna «visto che tu hai un lavoro di successo. Voi due siete un po’ come… be’, una bella coppia di imprenditori.»

«Non che non abbia ricevuto delle offerte» precisò Dougie.

«Proprio così» disse il Luna. «Dougie è molto richiesto nel commercio dei farmaci. C’è sempre spazio per giovani intraprendenti nel settore farmaceutico.»

«Vorresti dire come il Metamucil?»

«Anche quello» disse il Luna.

Come se Dougie non fosse già abbastanza nei guai. Vendere Metamucil rubato era un conto. Vendere crack era tutta un’altra storia.

«Probabilmente il commercio dei farmaci non è una buona idea» spiegai loro. «Potrebbe anche ridurre la tua aspettativa di vita.»

Dougie annuì nuovamente. «Esattamente quello che pensavo. E ora che Homer è uscito di scena le cose si faranno complicate.»

«Accidenti a Homer» disse il Luna. «Era una bella persona. Ecco, lui era un uomo d’affari.»

«Homer?» domandai.

«Homer Ramos. Homer e io eravamo così» disse il Luna unendo i due indici. «Eravamo vicini, piccola.»

«Mi stai dicendo che Homer Ramos era implicato in un giro di droga?»

«Be’, certo» disse il Luna. «Non lo siamo tutti?»

«Come l’hai conosciuto?»

«Non lo conoscevo davvero, in senso fisico. Era più una specie di legame cosmico. Lui era, come dire, il grande santone della droga e io una specie di seguace. È stato davvero un colpo di sfortuna che gli abbiano aperto un buco in testa. E proprio quando aveva appena preso quel costoso tappeto, oltre tutto.»

«Un tappeto?»

«Ero al negozio di tappeti Art’s Carpet’s la scorsa settimana, e stavo osservando la compravendita dei tappeti. E lo sai come vanno queste cose: all’inizio pensi che i tappeti siano assolutamente eccellenti, e poi, più li guardi, più cominciano a sembrarti tutti uguali. E prima che tu te ne renda conto sei ipnotizzato dai tappeti. E subito dopo, senza accorgertene, ti stai prendendo una pausa, sdraiato sul pavimento, a tremare di freddo. E mentre ero lì sdraiato, dietro ai tappeti, ho sentito Homer entrare. È passato nella stanza sul retro, ha preso un tappeto e se n’è andato. E il tizio dei tappeti, sai, il proprietario, stava parlando con Homer del fatto che il tappeto valeva un milione di dollari e Homer doveva starci molto attento. Un bel po’ di soldi, eh?»

Un tappeto da un milione di dollari! Arturo Stolle aveva dato un tappeto da un milione di dollari a Homer Ramos poco prima che Ramos fosse ucciso. E ora Stolle stava cercando Ranger, l’ultima persona che aveva visto Ramos vivo… a eccezione del tizio che lo aveva ucciso. E Stolle pensava che Ranger avesse qualcosa che apparteneva a lui. Tutta questa faccenda di Stolle poteva davvero riguardare solo un tappeto? Difficile da credere. Doveva essere un tappeto dannatamente importante.

«Sono quasi sicuro che non si è trattato, come dire, di un’allucinazione» disse il Luna.

«Sarebbe stata una strana allucinazione» commentai.

«Non così strana come la volta che credevo di essermi trasformato in un gigantesco palloncino di gomma da masticare. È stato davvero spaventoso, piccola. Avevo queste manine e questi piedini, e tutto il resto era gomma da masticare. Non avevo neppure una faccia. Ed ero, come dire, tutto masticato, sai.» Il Luna rabbrividì involontariamente. «È stato un gran brutto viaggio, piccola.»

La porta si aprì e Morelli entrò. Guardò il Luna e Dougie, poi guardò l’orologio e alzò le sopracciglia.

«Ehi, ragazzo» disse il Luna. «È un sacco di tempo che non ci vediamo. Come vanno le cose?»

«Non mi lamento» disse Morelli.

Dougie, per nulla ingenuo come il Luna, saltò in piedi alla vista di Morelli e calpestò accidentalmente Bob che guaì di sorpresa e affondò i denti nei pantaloni di Dougie strappando un brandello di stoffa.

Nonna Mazur aprì la porta della camera da letto e guardò fuori. «Che cosa succede?» domandò. «Mi sto perdendo qualcosa?»

Dougie si dondolava sui talloni, pronto a scattare verso la porta alla prima occasione, non si sentiva a proprio agio in presenza di un poliziotto. Gli mancavano molte delle qualità necessarie per essere un criminale di successo.

Morelli sollevò una mano in segno di resa. «Ci rinuncio» disse. Mi diede un bacio svogliato sulle labbra e si voltò per andarsene.

«Ehi, aspetta» dissi. «Ho bisogno di parlarti.» Guardai il Luna. «Da sola.»

«Certo» disse il Luna. «Nessun problema. Abbiamo apprezzato il saggio consiglio sulla faccenda dei farmaci. Io e Dougie dovremo cercare altre strade per trovargli un impiego.»

«Io torno a letto» disse la nonna quando il Luna e Dougie se ne andarono. «Non sembra niente di interessante. Preferivo la notte scorsa quando eri sul pavimento con quel cacciatore di latitanti.»

Morelli mi rivolse lo stesso sguardo che hanno i comici della televisione quando il loro compare fa qualcosa di incredibilmente stupido.

«È una lunga storia» dissi.

«Ci scommetto.»

«Non penso che tu abbia voglia di ascoltare tutta questa noiosa faccenda per intero proprio adesso» dissi.

«Credo che invece sarebbe molto divertente. È così che si è rotta la tua catenella di sicurezza?»

«No, quella è opera di Morris Munson.»

«Una nottata molto impegnativa.»

Sospirai e mi lasciai sprofondare di nuovo sul divano.

Morelli si accomodò in una poltrona di fronte a me. «Allora?»

«Sai niente di tappeti?»

«So che stanno sul pavimento.»

Gli raccontai la storia del Luna e del tappeto da un milione di dollari.

«Forse non era il tappeto che valeva un milione di dollari» disse Morelli. «Forse c’era qualcosa dentro al tappeto.»

«Per esempio?»

Joe si limitò a guardarmi.

Feci a me stessa qualche domanda a voce alta. «Che cosa è abbastanza piccolo da stare dentro a un tappeto? Droga?»

«Ho visto un pezzetto del filmato registrato dalle telecamere di sicurezza durante l’incendio da Ramos» disse Morelli. «La notte in cui si è incontrato con Ranger, Homer Ramos aveva con sé una borsa da palestra quando è passato davanti alla telecamera nascosta. E Ranger aveva la borsa quando se n’è andato. Corre voce che Arturo Stolle abbia perso un bel po’ di denaro e voglia parlare con Ranger. Che cosa ne pensi?»

«Penso che forse Stolle ha dato a Ramos della droga. Ramos l’ha passata a qualcuno perché la tagliasse e la distribuisse e si è ritrovato con una borsa da palestra piena di soldi, parte dei quali appartenevano a Stolle. Qualcosa è successo tra Ranger e Homer Ramos, e Ranger ha preso la borsa.»

«E se fosse andata così, allora probabilmente questa era un’attività fuori dalle abitudini di Homer Ramos» disse Morelli. «Droga, estorsione e gioco d’azzardo sono cose per il crimine organizzato. Le armi sono roba per la famiglia Ramos. E Homer Ramos ha sempre rispettato questa regola.»

Non fosse per il fatto che, a Trenton, si trattava piuttosto di crimine disorganizzato. Trenton si trovava proprio a metà tra New York e Philadelphia, nessuno se ne interessava molto ed era frequentata perlopiù da un manipolo di delinquenti di medio livello che passava le giornate a giocare d’azzardo nei vari ritrovi. I soldi delle bische contribuivano a stabilizzare lo spaccio di droga. E la droga veniva smerciata da bande dei bassifondi che si davano nomi come i Corleone. Non fosse stato per i film del Padrino e per i documentali sul crimine in televisione, probabilmente a Trenton nessuno avrebbe saputo come agire e quale nome darsi.

Così ora cominciavo ad avere un’idea più chiara del motivo per cui Alexander Ramos era tanto cinico nei confronti del figlio. Ma la domanda principale rimaneva: cinico abbastanza da ucciderlo? E forse avevo anche capito la ragione per cui Arturo Stolle stava cercando Ranger.

«Queste sono solo congetture» proseguì Morelli. «Solamente parole.»

«Tu non mi dici mai niente delle informazioni che ottieni dalla polizia. Perché ora mi racconti tutto questo?»

«Queste non sono esattamente informazioni avute in polizia. Queste sono solo le idee sparse che mi ronzano in testa. Ho tenuto d’occhio Stolle per parecchio tempo senza molta fortuna. Forse questo è l’indizio che stavo aspettando. Ho bisogno di parlare con Ranger, ma non riesco a farmi ritelefonare. Perciò ti riferisco tutto e tu potrai informare Ranger.»

Annuii. «Gli darò il messaggio.»

«Nessun particolare al telefono.»

«Capito. Com’è andata con la Gilman?»

Morelli sorrise. «Lascia che indovini. Hai accidentalmente urtato il pulsante di richiamata del telefono.»

«D’accordo, lo ammetto, sono stata cattiva.»

«La Squadra Anticrimine sta avendo qualche problema organizzativo. Avevo notato un aumento dei traffici fuori e dentro i locali notturni, perciò ho manifestato le mie preoccupazioni a Vito. Vito ha mandato Terry per rassicurarmi che i ragazzi non stavano rifornendosi di armi nucleari per la Terza guerra mondiale.»

«Ho visto Terry mercoledì. Ha consegnato una lettera ad Hannibal Ramos.»

«La Anticrimine e la squadra che si occupa del traffico d’armi stanno cercando di ristabilire i confini. Homer Ramos ha abbattuto alcune barriere e ora che è uscito di scena le barriere devono essere ripristinate.» Joe mi stuzzicò il piede con il proprio. «Allora?»

«Allora, che cosa?»

«Che cosa ne dici?»

Ero tanto stanca che avevo le labbra insensibili e Morelli voleva che ci dessimo un po’ da fare. «Certo» dissi. «Lascia solo che riposi gli occhi per un minuto.»

Chiusi gli occhi e quando mi svegliai era già mattina. Morelli non c’era più.

«Sono in ritardo» disse la nonna, trotterellando dalla camera da letto alla cucina. «Ho dormito troppo. È colpa di tutte quelle interruzioni durante la notte. Questo posto sembra la stazione centrale. Tra mezz’ora ho la mia ultima lezione di guida. E poi domani farò l’esame: speravo che tu potessi accompagnarmi.»

«Certamente. Lo farò.»

«E poi traslocherò. Niente di personale, ma questa è una gabbia di matti.»

«E dove andrai?»

«Torno a vivere da tua madre. Tuo padre si merita di avere qualcuno con cui litigare, comunque.»

Era domenica e la nonna andava sempre in chiesa la domenica mattina. «E che ne è della messa?»

«Non ho tempo per quello, oggi. Dio dovrà fare a meno di me. In ogni caso tua madre sarà là a rappresentare la famiglia.»

Mia madre svolgeva sempre questo compito, perché mio padre non andava mai a messa: rimaneva a casa e aspettava che arrivasse la busta bianca del fornaio. Da quando ho memoria, ogni domenica mattina mia madre andava in chiesa, e sulla via del ritorno si fermava dal fornaio. Ogni volta portava a casa focacce con la marmellata. Nient’altro che focacce con la marmellata. Biscotti, torte al caffè e cannoli venivano acquistati nei giorni feriali: la domenica era la giornata delle focacce alla marmellata. Era come fare la comunione. Sono una cattolica per nascita, ma nella mia personale religione la Trinità sarà per sempre composta dal Padre, dal Figlio e dalla Santa Focaccia alla Marmellata.

Misi il guinzaglio a Bob e lo portai fuori a fare una passeggiata. L’aria era fresca e il cielo blu, la primavera sembrava ormai alle porte. Non vidi Habib e Mitchell nel parcheggio. Immaginai che non lavorassero di domenica. Non vidi neppure Joyce Barnhardt. E questo fu un sollievo.

La nonna se n’era andata quando tornai a casa e l’appartamento era immerso in una quiete paradisiaca. Diedi da mangiare a Bob, bevvi un bicchiere di spremuta d’arancia e poi mi rannicchiai sotto la coperta. Mi svegliai all’una del pomeriggio e ripensai alla mia conversazione con Joe, la notte precedente. Avevo tenuto duro con lui: non gli avevo detto di aver visto Ranger che usciva dalla casa di Hannibal. Mi domandai se anche Morelli mi avesse nascosto qualche informazione. Era decisamente possibile che lo avesse fatto, la nostra relazione professionale aveva un codice di regole completamente diverso dalla relazione personale, Joe lo aveva stabilito fin dall’inizio: c’erano faccende di polizia che lui semplicemente non condivideva con me. Le regole personali erano ancora in fase evolutiva, lui aveva le sue e io avevo le mie; di tanto in tanto ci trovavamo d’accordo. Non molto tempo prima avevamo fatto un tentativo di andare a vivere insieme, ma le responsabilità mettevano a disagio lui e la reclusione infastidiva me. Perciò ci eravamo separati.

Riscaldai una scatoletta di zuppa di pollo con pasta e telefonai a Joe. «Mi dispiace per la notte scorsa» dissi.

«Da principio ho temuto che fossi morta.»

«Ero stanca.»

«Me l’ero immaginato.»

«La nonna è uscita, per tutto il giorno, e io ho un po’ di lavoro da fare. Mi domandavo se avessi voglia di fare da dog sitter a Bob.»

«Per quanto tempo?» domandò Morelli. «Un giorno? Un anno?»

«Un paio d’ore.»

Subito dopo chiamai Lula. «Devo fare una violazione di domicilio con scasso. Vuoi venire con me?»

«Diavolo, certo. Non c’è niente che mi piaccia di più di una violazione di domicilio.»

Portai Bob da Morelli e gli diedi qualche istruzione. «Tienilo d’occhio. Mangia qualunque cosa.»

«Forse dovremmo arruolarlo in polizia» disse Joe. «Come se la cava con gli alcolici?»

Quando arrivai a casa di Lula lei mi stava aspettando sotto la veranda. Era vestita in modo discreto, con un paio di pantacalze verde acido e una giacchetta di pelliccia finta rosa shocking. La si sarebbe potuta piazzare a un angolo, nella nebbia, in piena notte, e sarebbe stata visibile ad almeno cinque chilometri di distanza.

«Bella tenuta» dissi.

«Volevo essere carina nel caso ci arrestassero. Sai come fanno, ti scattano una fotografia e tutto il resto.» Salì in auto e mi squadrò. «Ti dispiacerà di aver indossato quella camicetta incolore. Non farà nessuna figura. E a questo proposito, non ti sei neppure acconciata i capelli. Che razza di pettinatura è quella?»

«Non ho in programma di farmi arrestare.»

«Non si sa mai. Non fa mai male prendere qualche precauzione e aggiungere un po’ di eye-liner al trucco. Da chi stiamo andando a scassinare, in ogni caso?»

«Hannibal Ramos.»

«Come hai detto? Vuoi dire il fratello del defunto Homer Ramos? E il figlio primogenito del re delle armi, Alexander Ramos? Sei diventata pazza?»

«Probabilmente non è a casa.»

«Come pensi di scoprirlo?»

«Penso di suonare il campanello.»

«E se viene ad aprire?»

«Gli domanderò se ha visto il mio gatto.»

«Oh-oh» disse Lula. «Tu non hai un gatto.»

D’accordo, era una piccola bugia. Non mi era venuto in mente niente di meglio. Avrei scommesso che Hannibal non fosse in casa. Non avevo sentito Ranger pronunciare nessun tipo di saluto la notte precedente. Non avevo notato luci accese dopo che lui se n’era andato.

«Che cosa stai cercando?» domandò Lula. «O vuoi semplicemente morire giovane?»

«Lo saprò quando lo vedrò» dissi. O almeno lo speravo.

Per la verità, non volevo pensare troppo a quello che stavo cercando. In parte temevo che avrebbe incriminato Ranger. Lui mi aveva chiesto di sorvegliare la casa di Hannibal e poi era andato a ficcare il naso senza di me. Mi faceva sentire come un ragazzino che viene lasciato indietro. E inoltre ero un po’ preoccupata: che cosa era andato a cercare a casa di Ramos? E per di più, che cosa era andato a cercare alla casa di Deal? Sospettavo che la mia spedizione per inventariare porte e finestre gli avesse fornito le informazioni che gli occorrevano per penetrare nell’edificio. Che cosa mai poteva esserci là, da valer la pena di correre un rischio simile?

Ranger, l’Uomo del Mistero, andava bene quando tutto funzionava a dovere, ma ora mi ritrovavo invischiata in qualcosa di molto serio e cominciavo a pensare che il costante mistero che ammantava Ranger fosse ormai un po’ superato: volevo sapere che cosa stava succedendo ed esigevo qualche rassicurazione sul fatto che in questo caso Ranger si trovasse dalla parte giusta della legge. Voglio dire, chi era quell’uomo?


Lula e io ci fermammo sul marciapiede a studiare la casa di Hannibal. Le tende erano ancora tirate. Tutto molto quieto. Anche le villette vicine erano silenziose. Domenica pomeriggio: erano tutti giù in centro.

«Sei sicura che questo sia l’indirizzo giusto?» disse Lula. «Non sembra affatto la casa di un pezzo grosso del traffico di armi. Mi aspettavo qualcosa come il Taj-Mahal. Qualcosa di simile al posto dove abita Donald.»

«Donald Trump non vive nel Taj-Mahal.»

«Invece sì, quando è ad Adantic City. Questo galletto non ha neppure le torri di guardia per le sentinelle. Che razza di trafficante d’armi è?»

«Di basso livello.»

«Un fottuto miserabile.»

Mi avvicinai alla porta e suonai il campanello.

«Di basso livello o no» disse Lula «se viene ad aprire me la faccio addosso.»

Provai a far girare la maniglia, ma la porta era chiusa a chiave.

Guardai Lula. «Tu sei capace di scassinare una serratura, vero?»

«Diavolo, certo. Non hanno ancora inventato una serratura che io non riesca ad aprire. Solo che non ho portato con me il mio comediavolosichiama.»

«L’attrezzo per scassinare?»

«Esatto. E comunque che cosa facciamo con il sistema d’allarme?»

«Ho la sensazione che il sistema d’allarme non sia attivato.» E, se lo fosse stato, saremmo scappate via come il vento non appena fosse entrato in funzione.

Tornammo sul marciapiede, facemmo il giro dell’isolato e arrivammo sulla pista ciclabile da una traversa un po’ più lontana, nel caso qualcuno ci stesse osservando. Proseguimmo fino alla recinzione della casa di Hannibal ed entrammo attraverso il cancello, che non era chiuso a chiave.

«Sei stata qui altre volte?» domandò Lula.

«Già.»

«Che cosa è successo?»

«Mi ha sparato.»

«Mmm, interessante.»

Afferrai la maniglia della porta che dava sul portico e la scossi. Non era chiusa a chiave.

«Puoi entrare prima tu» disse Lula. «So che ti piace tanto.»

Tirai la tendina di lato e feci un passo nella casa di Hannibal.

«È buio qui» disse Lula. «Questo tizio deve essere un vampiro.»

Mi voltai a guardarla.

«Oh-oh» disse lei. «Mi sono spaventata da sola.»

«Non si tratta di un vampiro. Tiene le tende tirate perché nessuno possa guardare dentro. Farò un controllo preliminare per accertarmi che la casa sia vuota. E poi andrò di stanza in stanza per vedere se salta fuori qualcosa di interessante. Voglio che tu rimanga qui per fare la guardia.»

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